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Totaler krieg, Goebbels Sportpalast Berlino 19 febbraio 1943

 

Il 19 febbraio 1943 il ministro della propaganda tedesco Joseph Goebbels tiene, presso lo Sportpalast di Berlino un discorso in cui chiama il popolo tedesco alla totaler krieg (guerra totale). L’allocuzione avviene all’indomani della rovinosa sconfitta di Stalingrado e rappresenta, al di là delle ridondanze propagandistiche un segno evidente di come si corra a chiuder la stalla dopo la proverbiale fuga dei buoi. Tutta l’andamento della produzione bellica tedesca ha seguito infatti sino allora un percorso tutt’altro che lineare ed il successivo, notevole incremento non potrà avere effetto sull’andamento della guerra, oramai segnato.

Il testo è quello pubblicato in un opuscolo dal Ministero della Cultura Popolare italiano. (g)

 

 


Goebbels Sportpalast Berlino 19 febbraio 1943



Goebbels Sportpalast Berlino 19 febbraio 1943



Tedeschi e Tedesche, Camerati e Camerate del Partito!

 

Non sono passate tre settimane da quando, da questa stessa tribuna, ho parlato a voi in occasione della lettura del proclama del Führer in commemorazione dell’ascesa del partito al potere.

 

La crisi che attraversa attualmente il nostro fronte orientale, si trovava allora al suo culmine e noi sotto il segno della grave sciagura da cui era stata colpita la na­zione nella lotta sulle sponde del Volga, ci eravamo riu­niti per manifestare la nostra unità, la nostra compattezza ed anche la nostra ferma volontà di superare le difficoltà che questa guerra accumula davanti a noi nel quarto anno, del suo decorso.

 

È stato commovente per me e lo fu certamente per voi tutti, l’aver qualche giorno dopo appreso che gli ultimi eroici combattenti chi Stalingrado, congiunti in quella stessa ora con noi attraverso le onde dell’etere, avevano preso parte anche essi a quella nostra celebrazione dello Sportpalast. Nel loro ultimo rapporto ci hanno fatto sa­pere attraverso la radio che avevano anch’essi inteso il proclama del Führer e, forse per l’ultima volta in vita loro, avevano intonato assieme a noi gli inni nazionali. Quale prova dello spirito militare tedesco in tempi così grandi! Ma quale impegno non coinvolge anche per noi tutti quel gran gesto e specialmente per tutta la patria te­desca! Stalingrado è stato ed è il grido d’allarme del de­stino alla nazione tedesca!

 

Un popolo che possiede la forza di sopportare ima simile sciagura e di superarla, anzi di ritrarne maggior forza, è invincibile. Il ricordo degli eroi di Stalingrado deve dunque ricorrere anche oggi nel mio discorso davanti a voi e davanti alla nazione tedesca come un obbligo e come un impegno.

 

lo non so quanti milioni di uomini, congiunti con noi attraverso le onde dell’etere al fronte e in paese, pren­deranno parte questa sera alla nostra manifestazione e sta­ranno ad ascoltarmi. Vorrei parlare a voi tutti dal pro­fondo del cuore e col cuore in mano; credo che il popolo tedesco ascolterà con ardente passione quello che dovrò dirvi questa sera. Voglio quindi esporvi le mie considera­zioni con tutta la serietà e la franchezza sincera che esige da noi l’ora che stiamo attraversando. Il popolo tedesco allevato, istruito e disciplinato dal nazionalsocialismo è in grado di sopportare tutta la verità.

 

Esso sa quanto la situazione del Reich è difficile, e il suo Governo può quindi chiedergli di tirare dall'avversità delle circostanze le dure, anzi durissime conseguenze.
Noi tedeschi non siamo né deboli né impressionabili e gli scacchi e le traversie della guerra ci infondono maggiore energia, maggior fermezza e ci imprimono un tale impeto spirituale e combattivo da renderci pronti a su­perare con slancio rivoluzionario ogni prova e ogni osta­colo.

 

Non è ora il momento di indagare come si sono svol­ti gli avvenimenti. Ciò sarà riservato alla resa di conto, che sarà fatta più tardi in tutta franchezza e che mostrerà al popolo tedesco e all’opinione pubblica mondiale che la sventura che ci ha colpiti nelle ultime settimane ha la sua profonda, fatale significazione. Il sublime, eroico sa­crificio che hanno compiuto i nostri soldati a Stalingrado è stato per tutto il fronte orientale di una decisa e storica importanza. Non è stato vano, e l'avvenire dirà perché. Ma ora se al di là del recente passato rivolgo il mio sguar­do all’avvenire, lo faccio a ragion veduta.

 

L’ora ci incalza. Non ci lascia più tempo per sterili discussioni. Dobbiamo subito agire prontamente e a fon­do, così come è sempre stato nella natura del nazional­socialismo.

 

Fin dal suo sorgere la nostra rivoluzione ha agito in tal modo nelle numerose crisi che ha dovuto combattendo attraversare. Anche lo Stato nazionalsocialista, quando gli si levò davanti una qualche minaccia, l’ha affrontata con risolutezza. Non somigliamo allo struzzo che nasconde la testa nella sabbia per non vedere il pericolo. Abbiamo tan­to coraggio da guardarlo bene in faccia, da valutarlo a mente fredda e senza riguardi e da affrontarlo a testa alta e con fermezza di decisioni. Proprio in quei momenti noi - movimento e popolo - abbiamo sempre manife­stato le nostre più alte virtù, cioè la volontà fiera e risoluta di frangere e di allontanare il pericolo, la forza di carattere che supera ogni ostacolo, la irreducibile tenacia nel perseguire lo scopo prefissoci e un cuore di ferro, corazzato contro tutti gli attacchi interni ed esterni. E così sarà oggi. A me spetta il compita di esporvi la situazione così come è, e di tirarne le dure conseguenze per l’azione non solo del Governo ma anche del popolo tedesco.

 

Attualmente stiamo attraversando in Oriente un pe­riodo di grave pressione militare. Questa pressione ha tem­poraneamente preso maggior estensione e somiglia, non nella sua disposizione, ma nella sua entità, a quello dello scorso inverno.

 

Più tardi si dovrà parlare delle cause che l’hanno originata; oggi altro non ci resta che constatarne la esi­stenza ed esaminare ed applicare i provvedimenti atti a fronteggiarla. Non ha quindi nessun senso il negarla. Ri­sparmio a me stesso l’esporvi della situazione un quadro illusorio che potrebbe indurre ad erronee conseguenze, fa­cendo creder al nostro popolo che possa continuare un tenore di vita del tutto inappropriato alla situazione attuale.

 

L’assalto della steppa contro il nostro venerando con­tinente è scoppiato questo inverno con una veemenza che sorpassa ogni immaginazione umana e ogni ricordo storico. L’esercito tedesco coi suoi alleati è l’unico baluardo possibile.

 

Nel suo proclama del 30 gennaio il Führer con gravi e insistenti parole ha esaminato quello che sarebbe suc­cesso della Germania e dell'Europa se il 30 gennaio 1933 invece della rivoluzione nazionalsocialista fosse salito al potere un regime borghese o democratico. A quale peri‑

colo, e più presto che non potessimo immaginare, non sa­rebbe stato esposto il Reich? Su quali forze avremmo po­tuto contare per affrontarlo? Dieci anni di nazionalsocia­lismo sono bastati per illuminare pienamente il popolo te­desco sulla serietà del problema che fatalmente deriva dal bolscevismo orientale. Si comprenderà ora perché abbiamo così spesso tenuto i nostri Congressi di Norimberga sotto il segnacolo della lotta contro il bolscevismo. Abbiamo alzato al cospetto del popolo tedesco e dell’opinione pub­blica mondiale la nostra voce di monito, per scuotere da un’indicibile apatia e dalla paralisi spirituale l’umanità occidentale ed aprirle gli occhi contro l’orrendo storico pe­ricolo che nasce dall’esistenza stessa del bolscevismo che ha reso schiavo del terrorismo giudaico un popolo di quasi 200 milioni di anime e lo ha preparato alla guerra d’ag­gressione contro l’Europa.

 

Quando il Führer, il 22 giugno 1941, diede alle forze armate tedesche l’ordine di attaccare ad oriente, tut­ti vedemmo bene che era cominciata la lotta decisiva di questa gigantesca conflagrazione mondiale.

 

Sapevamo quali pericoli e quali traversie avrebbe por­tato con sé, ma sapevamo anche che l’attesa non avrebbe diminuito ma accresciuto i pericoli e le difficoltà. Man­cavano due minuti a mezzanotte. Un’ulteriore esitanza avrebbe facilmente portato alla distruzione del Reich e alla totale bolscevizzazione dell’Europa.

 

Le manovre inscenate in grande stile dal bolscevismo per mascherare le sue intenzioni e le sue forze, rendono comprensibile come noi non potessimo valutare il poten­ziale bellico dei Sovieti. Appena adesso quel potenziale ci si rivela in tutta la sua smisurata grandezza. È per con­seguenza anche la lotta che i nostri soldati debbono sostenere sorpassa in asprezza difficoltà e pericolo ogni uma­na rappresentazione, mentre esige si spieghi da parte no­stro tutte le forze della nazione. Abbiamo a che fare con una minaccia per il Reich e per l’Europa che mette nell’ombra tutti i pericoli affrontati finora dall’occidente. Se soccombessimo verremmo meno alla nostra missione storica.

 

Tutto quello che abbiamo fin qui creato e compiuto impallidisce al confronto del gigantesco compito che si pre­senta all’esercito e alla nazione tedesca.

 

Nelle mie considerazioni mi rivolgo anzitutto all'opi­nione pubblica mondiale e di fronte ad essa proclamo le tre tesi della nostra lotta contro il pericolo bolscevico.

 

La prima tesi è questa: Se le forze armate tedesche non fossero in grado di frangere il pericolo che viene da Oriente, il Reich, e a breve distanza tutta l’Europa, Ca­drebbero in braccio al bolscevismo.

 

La seconda suona così: Solo l'esercito e il popolo te­desco posseggono coi loro alleati la forza di compiere l'ef­fettivo salvataggio dell'Europa.

 

La terza di queste tesi suona: Ogni attesa è un pericolo, bisogna agir presto e a fondo, se no sarà troppo tardi.

 

Quanto alla prima tesi, debbo specialmente osservare: Sempre, fin dal suo inizio, il bolscevismo ha proclamato apertamente di voler piombare nel caos bolscevico non l’Europa sola ma tutto il mondo. Questo intento è stato, fin dal principio dell'Unione dei Sovieti, ideologicamente rappresentato e praticamente propugnato dal Cremlino. È evidente che Stalin e gli altri gerarchi bolscevichi, quanto più crederanno avvicinarsi alla realizzazione dei loro pia­ni di distruzione, tanto più si sforzeranno di mascherarli e di nasconderli. Ma questo non può indurci in inganno. Non siamo di quegli spiriti pavidi che mirano come co­nigli ipnotizzati il serpente che li vuole inghiottire. Vo­gliamo conoscere il pericolo e affrontarlo a tempo, con mez­zi efficaci. Conosciamo bene non solo l’ideologia ma an­che la prassi del bolscevismo poiché già un’altra volta siamo entrati in lizza con esso, nel campo della politica interna e, a dir vero, col miglior successo immaginabile.

 

Il bolscevismo non c’illude: in una lotta di quattor­dici anni prima dell’avvento al potere, e in un’altra di dieci dopo averlo conquistato, abbiamo smascherato le sue intenzioni e le sue infami manovre ingannatrici del mondo. Scopo del bolscevismo è la rivoluzione mondiale ebraica.

 

Questa vuole, provocare il caos nel Reich e nell’Europa per erigere fra lo scoramento e la disperazione dei popoli la propria tirannide internazionale e capitalista, mascherata di bolscevismo.

 

Non è d’uopo spiegar qui più addentro ciò che que­sto significherebbe per i tedeschi. Alla bolscevizzazione del Reich seguirebbe la liquidazione di tutta la nostra classe intellettuale e dirigente e la conseguenza sarebbe il ridurre le masse lavoratrici nella schiavitù bolscevico-giudaica. Come ha detto il Führer nel suo proclama del 30 gen­naio, quelli di Mosca cercano dei battaglioni per le tundre siberiane. La insurrezione della steppa si svolge da­vanti ai nostri fronti e l’assalto incalzante da oriente contro le nostre linee con forza ognora maggiore, altro non è che la tentata replica delle storiche devastazioni che così spesso in altri tempi hanno posto a repentaglio il nostro continente.

 

Ma questo vuol dire anche un’immediata e acuta minaccia mortale per tutte le Potenze europee. Non bisogna credere che il bolscevismo, se avesse la possibilità di compiere la sua marcia trionfale attraverso il Reich, si arreste­rebbe alle nostre frontiere. Esso fa una politica e conduce una guerra di aggressione che tendono espressamente a bol­scevizzare tutti gli Stati e tutte le nazioni. Le dichiara­zioni cartacee del Cremlino o gli impegni di garanzia da parte di Londra e di Washington contro quelle irrefutabili intenzioni, non ci impressionano. Sappiamo bene che ab­biamo a che fare in Oriente con una diabolica trama po­litica che non rispetta gli usuali rapporti fra uomini e Stati. Quando, per esempio, l'inglese Lord Beaverbrook dichiara che l'Europa dev’esser sottoposta al governo dei Sovieti e quando l'ebreo americano Brown, un giornali­sta che va per la maggiore, completa l'asserto aggiungendo cinicamente che la miglior soluzione del problema con­tinentale sarebbe la bolscevizzazione dell'Europa, sap­piamo benissimo quello che s’intende dire. Le Potenze eu­ropee si trovano davanti ad un problema per loro vitale e decisivo.

 

L’occidente è in pericolo: vogliano o non vogliano vederlo e comprenderlo i governi e le loro classi intellet­tuali europee.

 

Comunque il popolo tedesco non intende affrontare quel pericolo, neanche per una prova. Dietro le divisioni,sovietiche moventi all’assalto, già vediamo i comandi ebrai­ci di liquidazione e dietro a costoro si innalzano il terrori­smo, lo spettro della fame di milioni di uomini, la com­pleta anarchia. E di nuovo l’ebraismo internazionale si rivela il diabolico fermento di decomposizione, che prova una soddisfazione addirittura cinica nel gettare il mondo nel più profondo disordine e nel provocare la decadenza di millenarie civiltà alle quali non ha mai avuto intima parte. Sappiamo dunque qual storico compito ci sta davanti. Il bimillenario lavoro costruttivo dell’umanità occi­dentale è in pericolo. Non si potrà mai rappresentare tale pericolo con la serietà che merita. Ma è ben significativo che quando appena lo si nomina, l’internazionale ebraica si mette a protestare in tutti i paesi e ad altissima voce. Siamo giunti al punto in Europa che un pericolo non si può più chiamare tale se proviene dagli ebrei. Questo però non ci impedisce dal fare al proposito le necessarie con­statazioni. Lo abbiamo fatto anche prima, nella nostra lot­ta politica interna, quando l’ebraismo comunista si serviva dell'ebraismo democratico del « Berliner Tagblatt » o della « Vissische Leitung » per mascherare e minimizzare il pericolo sempre più minaccioso e illudere così le frazioni minacciate da esso del nostro popolo, addormentandone la forza di resistenza. Se non arrivassimo a stornare questa minaccia, già vedremmo in ispirito affacciarsi per il popolo tedesco lo spettro della fame, della miseria e del la­voro coatto, vedremmo crollare dalle fondamenta il no­stro venerando continente e seppellire sotto i suoi ruderi la storica eredità dell'umanità occidentale. Questo è il pro­blema davanti al quale ci troviamo.

 

 

Goebbels Sportpalast Berlino 19 febbraio 1943

 

Goebbels Sportpalast Berlino 19 febbraio 1943

 

 

La mia seconda tesi suona così: solo il Reich tede­sco coi suoi alleati è in grado di stornare il pericolo che ho delineato. Gli Stati europei, compresa l’Inghilterra, si credono abbastanza forti per opporsi in pratica, a tempo ed efficacemente, alla bolscevizzazione dell’Europa. Que­sta persuasione è puerile e non merita di essere confutata. Se la maggior potenza militare del mondo non sarà ca­pace di frangere le minacce del bolscevismo, chi avrà mai la forza di, farlo?

 

Gli Stati neutrali d'Europa non posseggono né il po­tenziale né i mezzi militari, né una disposizione psichica tali da opporre opposizione anche minima al bolscevismo. In caso di bisogno sarebbero travolti in pochi giorni dal­le sue divisioni di schiavi motorizzati. Nelle capitali dei medi e dei piccoli Stati europei ci si consola con l'idea che contro il pericolo bolscevico basti armarsi spiritual­mente. Ciò somiglia in modo disastroso a quello che dice­vano nel 1932 i partiti borghesi del centro, che cioè la battaglia contro il bolscevismo si poteva combattere e vin­cere con armi morali. Quell’opinione era anche allora troppo sciocca perché perdessimo tempo a confutarla. Il bolscevismo orientale non è soltanto una teoria, ma è an­che una prassi terroristica che persegue i propri intenti e le proprie finalità con una fondatezza infernale esau­rendo senza tregua il proprio potenziale interno, senz'al­tro riguardo alla felicità, al benessere e alla pace delle popolazioni da esso soggiogate. Che farebbero l'Inghilterra e l’America se il continente europeo per sua peggiore sventura cadesse in braccio al bolscevismo? Vorrebbero far­ci credere da Londra che questo si arresterebbe alla Manica? Ho già accennato una volta al fatto che ha già pronte le sue legioni straniere nei partiti comunisti di tutti gli Stati democratici. Nessuno di questi Stati può vantarsi di essere immune da una bolscevizzazione interna.

 

Un’elezione suppletoria alla Camera inglese dei Co­muni ha dato per risultato che il candidato indipendente, vale a dire comunista, ha ottenuto in un circondario che era sempre stato un feudo elettorale dei conservatori, 10741 voti su 22371. Il che significa che i partiti di destra in quel solo circondario e in un breve spazio di tempo, han­no perduto a favore dei comunisti circa 10 mila voti, cioè la metà degli elettori. Ecco un’altra prova dei fatto che il pericolo bolscevico esiste anche in Inghilterra e non lo abolisce il non volerlo vedere. Gli impegni territoriali che l’Unione Sovietica si assume, non hanno ai nostri occhi nessun valore concreto. Il bolscevismo è uso a tracciare anche ideologicamente, e non soltanto militarmente le sue frontiere. E in ciò appunto che supera i confini delle nazioni, consiste il suo maggior pericolo.

 

Il mondo quindi, non ha la scelta fra un’Europa che ricadrebbe nel suo vecchio smembramento e un’Europa che si riordinerebbe sotto la supremazia dell’Asse, ma solo fra un’Europa militarmente protetta dall’Asse e un’Europa bolscevica.

 

Del resto sono persuaso che i piagnucolosi Milord e Arcivescovi di Londra sono ben lontani dall’intenzione di affrontare praticamente quel pericolo che un’ulteriore avanzata delle armate sovietiche rappresenterebbe per gli Stati europei. L’ebraismo è ormai così profondamente pe­netrato nello spirito e nella politica degli Stati anglosassoni che non sono più in grado di vederne e constatarne la pericolosità. Come esso si maschera da bolsce­vico nell’Unione Sovietica, così si maschera da plutocrate-capitalista negli Stati anglosassoni. I metodi del mimetismo sono una notoria caratteristica della razza giudaica, la quale ha sempre avuto la tendenza ad addormentare i popoli che la ospitano e a paralizzarne le forze di resistenza.

 

Le nostre riflessioni su questo problema ci hanno por­tati già da tempo a riconoscere che la combutta interna­zionale fra la plutocrazia e il bolscevismo non è affatto un controsenso, ma ha anzi un profondo significato di causa ed effetto. Al di sopra del nostro Paese, l’ebraismo europeo occidentale, in apparenza civilizzato, e l’ebrai­smo del ghetto orientale si stringono la mano. E per ciò l'Europa si trova in pericolo di morte.

 

Non mi lusingo di poter dare l’allarme all'opinione pubblica degli Stati neutrali, per non dire dei nemici; non è questo lo scopo né l'intento delle mie considerazioni. So bene che la stampa inglese si avventerà domani con­tro di me con una furiosa canea: in vista della pressione al nostro fronte orientale, avrei emesso le prime antenne per saggiare il vento di pace. Ma questo non è davvero il caso.

 

Oggi, nessuno in Germania pensa ad un meschino compromesso, tutta la nazione invece pensa a una duris­sima guerra.

 

Io però, come responsabile portavoce del Paese ege­monico dell’Europa, mi arrogo il sovrano diritto di chia­mare pericolo il pericolo, quando questo minaccia non soltanto il Paese nostro, ma l'intero continente.

 

Da veri nazionalsocialisti abbiamo il dovere di suonar l'allarme contro il tentativo dell’internazionale ebrai­ca di ridurre ad un caos il continente europeo, di quell’internazionale che nel bolscevismo si è costituita una potenza militare terroristica che non può certo venire abbastanza sopravalutata.

 

 

Goebbels Sportpalast Berlino 19 febbraio 1943

 

Goebbels Sportpalast Berlino 19 febbraio 1943

 

 

La terza tesi di cui voglio parlare un po’ da vicino è che nell’indugio sta l’immediato pericolo.

I fenomeni di paralisi delle democrazie occidentali d’Europa di fronte a quella mortale minaccia sono sconfortanti. L’internazio­nale ebraica fa di tutto per accrescerli. Come nella no­stra lotta per il potere interno la resistenza contro il comunismo era stata addormentata ad arte dalla stampa ebraica e solo venne ridestata dal nazionalsocialismo, così succede oggi presso le altre nazioni.

Di nuovo l’ebraismo si mostra qual è, l’incarnazione del male, il demone tangibile della decadenza e il bacillo dei caos internazionale, distruttore di ogni civiltà.

 

Si potrà comprendere a questo proposito, solo per farne cenno di sfuggita, anche lo spirito di conseguenza della nostra politica antisemita. Nell’ebraismo vediamo un immediato pericolo per ogni Paese. Come altre nazioni si difendano non è affare che ci riguardi, ma come dob­biamo difenderci noi è affar nostro, nel quale non tolle­reremo ingerenze. L’ebraismo costituisce un fenomeno infettivo di natura contagiosa. Se i nostri nemici esteri protestano ipocritamente contro la nostra politica antisemita e versano lacrime di coccodrillo per i nostri provvedimenti contro l’ebraismo, tutto questo non ci tratterrà dal fare il necessario. In ogni caso la Germania non intende piegarsi a quella minaccia, ma vuole affrontarla a tempo e, se necessario, con le misure difensive le più radicali.

 

Sotto il segno di queste considerazioni si trovi la pressione militare in oriente contro il Reich.

La guerra de­gli schiavi meccanizzati contro la Germania e contro l'Europa, è giunta al suo culmine; il popolo tedesco quando combatte con le armi contro quella immediata e gravissima

minaccia, compie coi suoi alleati dell'Asse una missione europea nella più vera espressione del termine. Non ci la­sceremo fuorviare dalle grida dell’internazionale giudaica di tutto l’universo nel coraggioso e giusto proseguimento della gigantesca lotta contro quella peste mondiale: lotta che può e deve terminare soltanto con la vittoria.

 

La lotta per Stalingrado è diventata nella sua tragica complicazione addirittura un simbolo di quella virile eroi­ca resistenza contro l’insurrezione della steppa. E ha avuto per ciò un’importanza non solo militare, ma anche spiri­tuale e morale di profonda portata per il popolo tedesco. A Stalingrado per la prima volta i nostri occhi si sono aperti del tutto ai problemi che scaturiscono da questa guerra. Non vogliamo più sentir parlare di false speranze e di illusioni. Vogliamo guardare in faccia i fatti, per quanto duri e tremendi. Poiché ogni volta nella storia del nostro partito e della nostra rivoluzione si è visto che un pericolo individuato è ben presto un pericolo superato. Sotto il simbolo dell’eroica difesa di Stalingrado si tro­veranno anche le nostre prossime durissime azioni difen­sive, le quali impegnano i nostri soldati e le loro armi ad un grado finora ignoto a tutte le altre nostre campagne. Ad Oriente infuria una guerra senza quartiere, che il Führer ha caratterizzato bene dicendo che dopo di essa non ci sa­rebbero stati vincitori e vinti ma solo sopravviventi e morti.

 

Il popolo tedesco se n’è reso conto benissimo. Col suo sano buon senso si è aperta a suo modo una strada attraverso lo sterpaio delle difficoltà contingénti, morali e psichiche di questa guerra. Sappiamo bene oggi che la guerra-lampo della campagna di Polonia e della campagna d’occidente ha solo un relativo valore per la campagna di oriente.

 

In Oriente la nazione tedesca combatte per il tutto. In questa lotta siamo giunti al convincimento che il po­polo tedesco deve difendere i suoi beni più sacri, i suoi focolari, le sue donne e i suoi figli, la bellezza e l’inte­grità delle sue contrade, le sue città e i suoi villaggi, l’ere­dità bimillenaria della sua civiltà, e tutto quello che rende la vita degna di esser vissuta.

 

Naturalmente il bolscevismo non ha nessuna comprensione per questi tesori della nostra nazione e non avrebbe per essi alcun riguardo. Non ne ha neanche per i tesori della propria nazione. L’Unione Sovietica per ven­ticinque anni ha aumentato il potenziale di guerra bolsce­vico in misura inimmaginabile e che fu quindi da noi cal­colato male. In Russia l'ebraismo terrorista si è asserviti duecento milioni di uomini, sposando ai suoi cinici metodi e alle sue pratiche l’ottusa tenacia della razza russa, la quale appunto per ciò rappresenta un pericolo ancor mag­giore per i popoli civili d’Europa. In Oriente, tutto un popolo vien costretto a far la guerra. Uomini, donne e bambini debbono non solo lavorare nelle fabbriche, ma combattere. 200 milioni si trovano laggiù di fronte a noi con una passività di bruti, in parte sotto il terrore della G.P.U., in parte fanatizzati da una diabolica ideologia. Le masse di carri armati che in quest'inverno vengono spinte contro il nostro fronte orientale sono il risultato dei ven­ticinque anni di sventura e di miseria sociale del popolo bolscevico. A tutto questo dobbiamo opporre una difesa adeguata se non vogliamo perdere il gioco.

 

Esprimo la mia profonda convinzione dicendo che potremo abbattere per sempre il pericolo bolscevico solo se lo affronteremo, non dico con gli stessi metodi, ma con metodi equivalenti.

 

La nazione tedesca si trova davanti al più grave pro­blema di questa guerra, deve essere fermamente decisa a rischiar tutto per salvare quello che possiede e per gua­dagnare in più quello di cui avrà bisogno per vivere. Oggi non si tratta più di conservare un alto tenore di vita a costo della nostra forza di resistenza, ma si tratta di raf­forzare la nostra forza di resistenza a scapito di un te­nore di vita che non corrisponde ai tempi. Non significa affatto un’imitazione dei metodi bolscevichi. Anche pri­ma, nella lotta contro il partito comunista abbiamo impie­gato metodi diversi da quelli usati contro i partiti bor­ghesi, poiché in quel caso avevamo davanti a noi un nemico che doveva esser affrontato in altro modo se vole­vamo disfarcene. Quel nemico faceva uso del terrorismo per abbattere il movimento nazionalsocialista, e il terro­rismo non si vince con argomentazioni morali ma solo col controterrorismo.

 

Il pericolo morale che rappresenta il bolscevismo è cosa nota e non vien negato neanche dai paesi neutrali.

 

Ma al di là del pericolo morale, rappresenta ora per noi e per l’Europa un’immediata minaccia militare. Il volerla affrontare con argomenti morali provocherebbe fra i potentati del Cremlino un’enorme ilarità. Non siamo sciocchi o miopi al punto da tentare la lotta contro il bolscevismo con mezzi così insufficienti. Non vogliamo neppure si dica di noi che « solo i vitelli più grossi si scelgono chi li macella ». Siamo risoluti a diféndere la nostra vita con tutti i mezzi, senza star a vedere se il mondo che ci circonda riconosca o no la necessità della nostra lotta. La guerra totale è quindi il comandamento dell’ora.

 

Bisogna finirla con le leziosaggini dei borghesi, che anche in una lotta decisiva come questa continuano a dire: « lavami la pelle ma non bagnarmi ». Il pericolo davanti al quale ci troviamo è gigantesco e giganteschi debbono essere anche gli sforzi coi quali lo affrontiamo. È quindi giunta l’ora di levare i guanti da passeggio per mettere i guantoni da pugile. Non è più ammissibile attingere soltanto un po’ per volta e superficialmente al ricco potenziale di guerra del nostro Paese e delle importanti parti d'Europa che ci stanno a disposizione. Tutto deve esser posto a contributo, presto e completamente, sistematicamente e razionalmente. Falsi riguardi sarebbero fuori posto, l’avvenire d’Europa dipende dalla nostra guerra ad oriente.

Noi siamo pronti alla difesa dell’Europa, il popolo tedesco offre alla lotta il suo sangue più prezioso.

 

Ma il resto dell’Europa deve dare almeno il suo lavoro.

 

Chi nel resto dell’Europa non comprende ancora il senso di questa lotta ci ringrazierà domani in ginocchio di essercene incaricati noi, coraggiosamente e senza esi­tazione.

 

Non ci spiace quando sentiamo i nostri nemici affer­mare che le misure che stiamo prendendo per la guerra totale somigliano molto a quelle dei bolscevichi. Tirano da ciò l’ipocrita conclusione che allora non valeva la pena di far la guerra al bolscevismo. Ma qui non si tratta dei metodi con cui abbattere il bolscevismo, ma del fine, cioè di eliminare il pericolo che esso rappresenta. La que­stione non è se i metodi che noi applichiamo sono buoni o cattivi, ma se conducono o no al successo.

 

Comunque, noi, governo del popolo nazionalsociali­sta, siamo decisi a tutto. Faremo il nostro dovere senza ri­guardo alle proteste dell’uno o dell'altro. Non vogliamo più, per conservare ad un determinato settore della popo­lazione un tenore di vita alto e quasi da tempi di pace, indebolire il nostro potenziale di guerra e mettere con ciò in pericolo la prosecuzione della guerra. All’incontro; rinunziammo volontariamente ad una notevole parte di quel tenore di vita per aumentare più presto e più com­pletamente che sia possibile il nostro potenziale.

 

D’altronde innumerevoli lettere dall'interno e con­sensi ricevuti dal fronte mi fanno sapere che regna a que­sto proposito in tutto il popolo tedesco una sola opinione. Ognuno sa che se perdessimo questa guerra sarebbe la ro­vina per tutti. E perciò il popolo, in unione al Governo, è deciso ad aiutarsi da sé, nel modo più radicale. Le masse lavoratrici non rimproverano al Governo di avere pochi riguardi, ma di usarne troppi. Si interroghi, in tutto il

Paese, il 'popolo tedesco: dappertutto si udrà solo una ri­sposta:

 

Le misure le più radicali e le più totali, bastano appena per guadagnare la vittoria.

 

Per ciò la guerra totale riguarda tutto il popolo te­desco, e nessuno potrà sottrarsi con una parvenza di giu­stificazione alle esigenze di essa. Quando nel mio discorso del 30 gennaio ho proclamato da questa stessa tribuna la guerra totale, salirono a me dalla folla uragani di con­senso. Posso quindi accertare che le misure prese dal Go­verno trovano l’unanime consenso del popolo tedesco, in patria e al fronte. Questo popolo vuol prendere su di sé i pesi più gravosi ed è pronto a compiere qualunque sa­crificio che serva alla vittoria. Premesso naturalmente che i pesi siano equamente distribuiti. Non si può tollerare che la massima parte — della nazione sopporti tutto il fardello della guerra, mentre un’altra piccola parte passiva tenta sottrarsi ai pesi e alle responsabilità. I provvedimenti che abbiamo presi e dovremo prendere saranno quindi dettati dallo spirito di giustizia nazionalsocialista. Non avremo riguardo a classi sociali e a professioni. Poveri e ricchi, alti e bassi, tutti saranno trattati ad un modo. Ognuno, in questa serissima fase della nostra lotta fatidica, sarà tenuto e, se necessario, obbligato a compiere il suo dovere di fronte alla nazione. E anche in questo ci sentiamo pie­namente d’accordo con la volontà nazionale del nostro po­polo.

 

Preferiamo impiegare troppa energia piuttosto che troppa poca al fine di conseguire la vittoria.

 

Non s’è mai dato nella storia che una guerra si perdesse perché chi la faceva aveva troppi soldati e troppe armi. Molte guerre invece sono state perdute per il mo­tivo contrario. Ho già pubblicamente dichiarato che il com­pito attuale per decidere la guerra consiste nel mettere a disposizione del Führer, mediante draconiani provvedi­menti, una riserva di forze che gli dia la possibilità di ri­prendere nella vicina primavera e nell’estate l'offensiva, tentando così di dare al bolscevismo il colpo di grazia.

 

Quante più forze metteremo a disposizione del Führer, tanto più il colpo sarà schiacciante. Non è più il caso quindi di lasciarsi andare a inopportune idee di pace. Il popolo tedesco ha tutti i motivi per pensare solo alla guer­ra. Ciò non porta ad allungarla, ma ad affrettarne la fine. La guerra la più totale e la più radicale è anche la più breve. Dobbiamo riprendere l'offensiva ad oriente e a que­sto fine mobilitare le forze necessarie di cui il Paese di­spone in ricca misura; dobbiamo farlo non solo in via d’organizzazione, ma anche improvvisando.

 

Una procedura complicata e burocratica è troppo len­ta; l’ora incalza, la fretta è il suo imperativo. Anche in altri tempi, in quelli della lotta nazionalsocialista contro lo Stato democratico, non abbiamo seguito procedimenti inceppanti. Anche allora siamo spesso vissuti alla giornata, e abbiamo seguito nella nostra strategia politica il sistema dei ripieghi a getto continuo. Oggi deve essere di nuovo così.

 

È ora e tempo quindi di spinger all’azione anche i più restii, essi debbono scuotersi dalla loro comoda tran­quillità. Non possiamo aspettare che si ravvedano da sé quando sarà forse troppo tardi. Il grido d’allarme deve penetrare in tutta la nazione.

 

In tutto il Paese milioni di mani debbono mettersi all’opera. Le misure che abbiamo già prese e che prende­remo, misure che spiegherò poi particolarmente, incidono fortemente su tutta la vita pubblica e privata. I sacrifici a cui dovrà sobbarcarsi ogni singolo cittadino saranno a volte gravi; ma saranno sempre poca cosa a paragone di quelli che dovrebbe sopportare se volesse sottrarvisi, pro­vocando così sulla nostra nazione la maggiore delle scia­gure. È molto meglio provvedere a tempo che aspettare e lasciare che la malattia si diffonda e si aggravi. Non si deve fermar la mano dell'operatore che fa il taglio o ad­dirittura accusarlo di lesione corporale. Egli non opera per uccidere il paziente ma per salvargli la vita.

 

A questo punto debbo ancora rilevare che quanto più gravi saranno i sacrifici che il popolo tedesco dovrà sop­portare, tanto più si dovrà pretendere che vengano sud­divisi equamente. Anche questa è volontà del popolo. Oggi, nessuno si rifiuta a sopportare i pesi di guerra, anche i più gravosi, ma è naturalmente irritante il veder gente che ancor tenta di sottrarvisi. Il Governo nazionalsocialista ha il dovere non solo morale, ma anche politico di reprimere energicamente, e se occorre anche draconianamente, quei tentativi. I riguardi sarebbero del tutto fuori posto e por­terebbero un poco alla volta a confondere le idee e i sen­timenti del nostro popolo con la conseguenza di mettere a grave repentaglio la nostra morale bellica.

 

Siamo dunque obbligati a prendere una serie di provvedimenti che in sé non sono di primaria importanza ma che sembrano indispensabili per conservare la morale del­la guerra nel paese e al fronte. Anche l’aspetto esteriore della guerra ha vitale importanza in questo quarto anno di lotta. Il fronte, in vista dei sovrumani sacrifici che sta di giorno in giorno compiendo ha l’elementare diritto a che nessuno in paese pretenda per la propria persona di passare gli anni di guerra senza aver compiuto il proprio dovere. Ma non solo il fronte esige ciò, lo vuole anche nel paese stesso la gente per bene, la quale forma l’im­mensa maggioranza. I diligenti hanno ben diritto, se lavorano dieci, dodici o a volte anche quattordici ore al giorno, che non vi siano accanto a loro dei poltroni che si gingillano e considerano gli altri degli imbecilli non abbastanza scaltri.

 

Il paese deve rimanere nella sua totalità integro e in­tatto. Nulla deve turbare il suo aspetto guerresco.

 

Sono state prese quindi varie misure che tengono con­to della nuova faccia della guerra. Per esempio abbiamo ordinato la chiusura dei bar e dei locali notturni. Non so immaginare che vi siano ancora persone le quali adem­piano pienamente ai loro doveri di guerra e si trattengano poi fino a tarda notte nei luoghi di divertimento. Ne devo dedurre che costoro non prendono troppo sul serio il loro compito di fronte alla guerra. Noi abbiamo chiuso que­sti locali perché cominciavano a darci fastidio e stonavano nel quadro bellico. Non vogliamo affatto fare i piagnoni. Dopo la guerra seguiremo volentieri di nuovo il princi­pio. Vivere e lasciar vivere, ma durante la guerra vige un solo imperativo: Combattere e lasciar combattere!

 

Anche le trattorie di lusso, le cui spese non sono affatto in rapporto con l’effetto ottenuto, sono destinate ad esser chiuse. Può darsi che qualcuno, anche durante la guerra, veda nella cura del proprio stomaco un compito principale; noi non possiamo aver riguardi per lui. Quando le truppe combattenti al fronte, dal granatiere fino al generale, mangiano il rancio, credo che non sia pretender troppo il voler costringere ognuno in patria a seguire i più elementari precetti della vita di una comunità. Dopo la guerra torneremo ad essere buongustai: oggi

abbiamo da fare cose più importanti che non aver cura del proprio stomaco.

 

Sono stati chiusi inoltre molti negozi di lusso e di rappresentanza. Per il pubblico degli acquirenti erano spesso motivo di scandalo; offrivano ben poco da comprare, tutt’al più solo a chi si mostrasse disposto a pagare con burro e uova invece che con denaro. Che scopo hanno dei negozi che non vendono più nulla e consumano luce elettrica, riscaldamento, energie umane, tutte cose di cui

abbiamo tanto bisogno altrove, e sopratutto nell’industria bellica?

 

Non ci si venga a dire che il mantenere una piacevole apparenza di pace serve ad incuter rispetto all’estero. All’estero incute rispetto solo una vittoria tedesca! Quando avremo vinto, ognuno vorrà esserci amico; ma se dovessimo perdere potremmo contare i nostri amici sulle dita

di una mano. L’abbiamo fatta finita con le false illusioni che offuscano il quadro della guerra. A quelle persone che passavano il tempo senza far nulla nei negozi vuoti, assegneremo un’attività più utile alla economia bellica.

Questo processo è stato adesso avviato e, per il 15 marzo, sarà compiuto. Significa naturalmente una trasformazione colossale di tutta la nostra vita economica; ma noi non pro­cediamo senza un piano stabilito, e neppure vogliamo ac­cusare alcuno ingiustamente o distribuire biasimi e rim­proveri a destra e a sinistra. Facciamo solo quello che è necessario; ma lo facciamo presto e a fondo. Meglio an­dare in giro per qualche anno con abiti rattoppati, che provocare uno stato di cose per cui il nostro popolo dia costretto a vestirsi per qualche secolo di cenci. Che si­gnificano oggi grandi negozi di mode, i quali consumano luce, riscaldamento e forze lavorative? Risorgeranno dopo la guerra, quando avremo di nuovo tempo e voglia per si­mili cose. Che significano i negozi di parrucchiere, dove si praticano cure di bellezza, le quali richiedono una enor­me quantità di tempo e di lavoro? Sono cose belle e pia­cevoli in tempo di pace, ma superflue in tempo di guerra. Le nostre donne e le nostre fanciulle piaceranno ai nostri soldati, reduci vittoriosi dal fronte, anche senza una to­letta consona ai tempi di pace.

 

Negli uffici pubblici si lavorerà d’ora in poi con mag­gior rapidità e con sistemi meno burocratici. Non fa un bell’effetto se negli uffici, dopo ott’ore precise, viene so­speso il lavoro. Non il pubblico è stato creato per gli uf­fici, ma gli uffici per il pubblico. Bisogna lavorare tanto a lungo fino a che ogni faccenda sia stata sbrigata; que­sto è il comandamento della guerra. Se lo fa il Führer, potranno farlo anche i servitori dello Stato. Nel caso il lavoro non sia tanto da assorbire , tutte le ore lavorative, bisogna cedere il dieci o il venti o il trenta per cento dei collaboratori ad industrie di vitale importanza bellica, in modo da render libero per il fronte un corrispondente numero di uomini. Questo vale per tutti gli uffici in pa­tria. Sarà forse il mezzo migliore perché il lavoro pro­ceda più rapidamente e con minor pesantezza. In guerra dobbiamo imparare a lavorare non solo con precisione, ma anche con rapidità. Il soldato al fronte non può con­cedersi delle settimane per ponderare su di una disposizione, e passarla di mano in mano, o metterla agli atti, che la polvere vi si accumuli sopra; deve agire subito, altri­menti perde la vita. Noi in patria non rischiamo, a causa di un lavoro tento e pesante, la nostra vita, ma, alla lun­ga, mettiamo in pericolo la vita del nostro popolo.

 

Lavori sciocchi, che non hanno proprio nulla a che fare con la guerra, debbono essere eliminati dall’industria e dall’amministrazione. Molte cose, che in tempo di pace erano belle e desiderabili, diventano ridicole in tempo di guerra. Se, per esempio, come mi è stato riferito, tutta una serie di uffici si occupa per settimane della questione se alla parola di origine straniera « Akkumulator » (ac­cumulatore) possa esser sostituita la parola tedesca « Sammler », e su questo si scrivono voluminose relazioni, ho l’impressione e la ritengo condivisa dal popolo tedesco, che persone le quali durante la guerra si occupano di si­mili ragazzate, non siano proprio sovraccariche di lavoro e possano essere utilizzate in maniera più razionale in una fabbrica di munizioni o inviate al fronte.

 

Soprattutto bisogna che quanti lavorano al servizio del popolo, siano al popolo costantemente di esempio, nel la­voro come nell’atteggiamento interiore ed esteriore. Il ma­lumore pubblico può esser causato talvolta da piccolezze.

Per esempio è irritante vedere giovani uomini o donne cavalcare nel Tiergarten di Berlino ed incontrare forse una operaia, la quale, terminato il suo turno di notte di dieci ore, torna a casa dove deve accudire a tre o quattro o cinque bambini; la vista di una comitiva che galoppa come

in tempi di pace, può suscitare amarezza nell’animo della brava operaia. Per questo ho proibito che ci si dedichi all’equitazione nelle strade e piazze pubbliche della capi­tale del Reich per tutta la durata della guerra. Credo di tener conto così delle esigenze psicologiche della guerra e anche dei riguardi che ci impone il fronte. Il soldato il quale torna a casa dal fronte orientale per un breve per­messo e sosta forse un giorno a Berlino, potrebbe avere, da uno spettacolo simile, un’impressione del tutto falsa della capitale del Reich. Egli non vede gli operai e le ope­raie che lavorano nelle fabbriche di armamenti per do­dici, quattordici e talvolta sedici ore quotidiane, ma solo un’allegra comitiva a cavallo. Si può immaginare quale impressione della patria egli riporti con se al fronte.

 

Questo avere il massimo riguardo delle giuste esi­genze del popolo che lavora e combatte deve essere con­siderato da ognuno come un naturale comandamento della guerra. Noi non siamo dei guastafeste, ma non permet­tiamo ad altri di guastarci il nostro giuoco.

 

Se per esempio alcuni, uomini e donne, si tratten­gono oziando per settimane nei luoghi di cura, sussurran­dosi l'un l'altro le voci più recenti, e portano via il posto a mutilati di guerra, o a operai e ad operaie che dopo un anno di duro lavoro hanno diritto a una licenza, questa è una cosa insopportabile e perciò è stata proibita. La guerra non è il tempo adatto per certa gente che vuol  divertirsi. Il lavoro e la lotta sono, fino alla fine della guerra, l’unica nostra gioia; in essi troviamo la nostra in­terna profonda soddisfazione. Chi non lo sente da sé, per un intimo senso del dovere, deve essere educato a que­sto e, se necessario, costretto. In questi casi giovano solo misure energiche.

 

Non fa un bell’effetto sul popolo se, dopo aver fat­to una colossale propaganda in base alla parola d'ordine: « Le ruote devono girare per la vittoria », e dopo che tutti ne hanno tratto le dovute conseguenze e rinunciato ai viag­gi inutili, questo giova solo a lasciar più posto nei treni agli oziosi che viaggiano per diporto. I treni servono oggi a trasporti di utilità bellica e ai viaggi di affari necessari alla guerra. Ha dritto a una licenza solo colui, le cui forze al servizi del lavoro o della guerra sarebbero altrimenti compromesse. Il Führer dall’inizio della guerra, ed anche molto tempo prima, non ha avuto un giorno di permesso. Se dunque il primo uomo dello Stato prende il suo dovere così sul serio, e con tanto senso di responsabilità, questo deve esser compreso da ogni cittadino e da ogni cittadina come un silenzioso, ma eloquente monito, su cui modellare la propria condotta.

 

Il Governo da parte sua fa di tutto per conservare, anche in questi tempi difficili, al popolo che lavora le necessarie possibilità di ricreazione. I teatri, i cinemato­grafi, le. sale di concerti restano aperti. La radio si sfor­zerà di ampliare e migliorare i suoi programmi. Non ab­biamo affatto l’intenzione di creare per il nostro popolo una grigia atmosfera invernale. Ciò che giova al popolo, ciò che mantiene, rafforza ed aumenta la sua capacità di lavoro e di lotta, tutto questo è buono ed importante ai fini bellici. Il contrario va eliminato. Come compenso alle disposizioni che ho ora descritte, ho ordinato che i luoghi di ricreazione spirituale del popolo vengano non diminuiti, ma aumentati; in quanto non danneggiano, ma promuovono il nostro sforzo bellico, essi debbono esser fatti segno ad incoraggiamento da parte di coloro che governano lo Stato e il popolo.

 

Questo vale anche per lo sport, che non riguarda oggi solo alcuni ambienti privilegiati, ma tutto il popolo. Parlare di inamovibilità nel campo sportivo non ha senso. Lo sport ha il compito di temprare la forza fi­sica, ma il suo scopo principale, almeno nei tempi più difficili per il popolo, è di assicurare l’uso di questa forza. Questo è ciò che chiede il fronte, ciò che chiede, con frenetico assenso, tutto il popolo tedesco. Non vuol più mentir parlare di una attività che non sia utile alla guerra, o di gonfiature che sprecano tempo e fatica. Non vuole più sentir parlare di esagerati e complicati sistemi di questionari per ogni sciocchezza. Non vuole disperdere le sue forze in mille piccolezze, importanti forse in tempo di pace, ma senza significato in tempo di guerra. Il popolo
sa quello che deve fare e quello che deve lasciare. Vuole un sistema di vita spartano per tutti, ricchi e poveri, grandi e piccini. Così come il Führer è di esempio a tutto il popolo, così il popolo, di ogni ceto sociale, deve prendere a modello l'esempio del Führer. Egli non conosce che lavoro e preoccupazioni; non vogliamo lasciare che gravino su lui solo, ma ognuno di noi vuol prenderne la sua parte.


Il tempo in cui viviamo oggi offre, nel suo insieme, per ogni vero nazionalsocialista, una sorprendente somi­glianza con il tempo della lotta del Partito. Allora e sem­pre noi abbiamo agito. Noi siamo andati con il popolo at­traverso ogni difficoltà, e per questo il popolo ci ha se­guito ovunque; abbiamo condiviso con il popolo tutti i pesi, e per questo ci sembravano non gravosi, ma leggeri. Il popolo vuole essere guidato. Non esiste esempio nella storia di un popolo che abbia rifiutato di seguire, in un'ora critica della vita nazionale, una guida coraggiosa e decisa.

 

Devo dedicare qualche parola ad alcune misure pra­tiche che abbiamo già preso per la guerra totale. Si tratta di render liberi soldati per il fronte, di render liberi ope­rai ed operaie per la produzione bellica. A questi due scopi devono essere subordinate tutte le altre necessita, anche a costo di abbassare, per la durata della guerra, il nostro li­vello di vita sociale. Questo non significa una definitiva stabilizzazione del nostro livello di vita, ma solo un mezzo per raggiungere la mèta, ossia la vittoria totale.

 

Nel quadro di questa azione bisogna eliminare cen­tinaia di migliaia di esoneri, indispensabili fino ad ora perché non avevamo a disposizione sufficienti tecnici o gente atta ad occupare posizioni chiave. Scopo delle mi­sure prese finora, e ancora da prendere, è mobilitare la necessaria mano d’opera. Perciò il nostro appello è diretto agli uomini che ancora sono al di fuori del nostro processo di economia bellica e alle donne che ancora sono al di fuori del processo lavorativo. Costoro non vorranno o non potranno rifiutarsi all’appello. L’obbligo al lavoro per le donne abbraccia molte categorie; ma non è detto che solo quelle indicate dalla legge siano chiamate a lavorare. Ognu­no è per noi il benvenuto; quanti più si metteranno a di­sposizione per il grande processo di trasformazione di tutta l'economia interna, tanti più soldati potremo rendere liberi per il fronte. I nostri nemici asseriscono che la donna tedesca non è in condizioni di sostituire gli uomini nell’industria bellica. Ciò può esser vero per alcuni lavori pe­santi; ma all'infuori di questi, io sono convinto che la donna tedesca è fermamente decisa ad occupare, nel più breve tempo, i posti lasciati liberi dagli uomini che vanno al fronte. Anche nell’economia bellica tedesca lavorano ormai da anni milioni di ottime tedesche e con il più grande successo; esse attendono con impazienza che le loro file vengano al più presto integrate e aumentate da un nuovo afflusso. Tutte coloro che si mettono a disposizione per questi lavori non fanno che adempiere ad un dovere di gratitudine verso il fronte. Centinaia di migliaia sono già venute, altre centinaia di migliaia verranno. In brevissimo tempo speriamo così di svincolare armate di forze lavo­rative le quali alla loro volta renderanno disponibili ar­mate di soldati combattenti.

 

Dovrei ingannarmi assai. sul conto delle donne tede­sche se dovessi supporre che non daranno ascolto all’ap­pello che viene loro rivolto. Esse non vorranno aggrap­parsi, in maniera meschina, alla legge o tanto meno tentare di sfuggire attraverso le sue maglie. Del resto le po­che che nutrissero simili intenzioni non avrebbero da noi grandi possibilità. Non si accettano, senza esaminarne il valore, certificati medici, ed all’eventuale alibi di un’oc­cupazione che ci si è procurata presso il marito o il co­gnato o un conoscente, per poter continuare così ad esi­mersi da un vero lavoro, risponderemo con adeguate mi­sure. Le poche, le quali nutrono simili propositi, non fan­no che condannarsi da sé nell’opinione pubblica; il pub­blico avrà per loro il più grande disprezzo. Nessuno chiede che una donna, la quale non ha le necessarie qualità fi­siche, si assuma un pesante lavoro in una fabbrica di carri armati, ma vi sono una infinità di lavori, anche nell’in­dustria bellica, che possono essere eseguiti senza un troppo grande sforzo fisico e peri quali, anche una donna che provenga da classi privilegiate, può tranquillai sente met­tersi a disposizione.

 

Sarebbe anche opportuno che donne le quali impie­gano personale di servizio riesaminassero fin da adesso la loro sostituzione, Si può benissimo occuparsi da sé della pro­pria casa e dei propri bambini e lasciar libera la dome­stica, oppure affidare casa e bambini alla domestica o alle previdenze del partito e presentarsi per un lavoro. Certo la vita non sarà allora così comoda come in tempo di pace; ma precisamente noi non viviamo più in tempo di pace, bensì in guerra. Ci procureremo di nuovo le comodità quando avremo la vittoria in pugno. Adesso dobbiamo lot­tare per la vittoria, sacrificando, nella più larga misura, le nostre comodità.

 

Sopratutto le donne dei combattenti comprenderanno questo; aiutare i loro uomini al fronte offrendosi per la­vori utili alla guerra sarà da loro considerato come il do­vere più alto. Questo riguarda specialmente l’agricoltura. Le donne dei lavoratori agricoli hanno dato un buon esem­pio. Tutti, uomini e donne, debbono tener presente che a nessuno è lecito fare in tempo di guerra meno di quanto faceva in tempo di pace. Il lavoro deve essere aumentato in tutti i settori.

 

Non si deve poi commettere l'errore di addossare al Governo la soluzione di ogni compito. Il Governo può solo promulgare le leggi che inquadrano lo sforzo della na­zione; spetta al popolo che lavora dare a tali leggi vita e contenuto, e questo deve avvenire sotto la guida incita­trice del partito. Rapidità di azione è il primo coman­damento.

 

Al di là dell'obbligo legale vale ora quindi la parola d’ordine: Avanti i volontari! Quale Gauleiter di Berlino io faccio appello qui sopratutto alle mie concittadine ber­linesi. Nel corso della guerra esse hanno già dato tanti esempi di una mentalità coraggiosa che certo non vorranno esser da meno di fronte a quest’appello. Con il loro pra­tico tenore di vita, con la loro vivacità di comprensione esse si sono conquistate buon nome in tutto il mondo, anche durante la guerra. Si tratta ora di mantenere e raf­forzare questo buon nome con un’azione in grande stile. Quando mi rivolgo alle mie concittadine berlinesi invitandole a presentarsi subito e senza obiezioni per un lavoro utile alla guerra, so che tutte seguiranno l’appello. Noi non vogliamo lamentarci dei tempi difficili o farci l’un l'altro grandi ragionamenti; noi vogliamo, secondo la ma­niera, non solo berlinese, ma tedesca, metterci al lavoro, agire, prendere l’iniziativa, fare noi stessi qualche cosa e non lasciare che facciano tutto gli altri. Quale donna te­desca può avere il coraggio di sottrarsi a quest’appello, che rivolgo al mondo femminile tedesco, a favore del fronte? Chi vorrebbe anteporre una comodità borghese all’imperativo dovere nazionale? Chi vorrebbe pensare ancora, di fronte alla grave minaccia cui ci troviamo tutti esposti, ai propri egoistici bisogni e non piuttosto alle supe­riori necessità della guerra?

 

Respingo con disprezzo il rimprovero rivoltoci dai nostri nemici che noi imitiamo il bolscevismo. Noi non vogliamo imitare il bolscevismo, vogliamo vincerlo e questo con mezzi e sistemi che gli stiano a paro. La donna tedesca sarà la prima a comprenderlo, poiché essa si è resa conto da tempo che la guerra combattuta oggi dagli no­mini è sopratutto una guerra a difesa dei suoi figliuoli. Il suo più sacro bene viene protetto con il sacrificio del più prezioso sangue del nostro popolo. La donna tedesca deve ora render spontaneamente ed esteriormente palese la sua solidarietà con la lotta degli uomini; deve inserirsi nella schiera dei milioni di impiegate e di operaie, aumentare con la sua persona l’esercito dei lavoratori, ed è meglio questo avvenga oggi che non domani. Bisogna che una corrente di volonterosità pervada tutto il popolo tedesco. Mi aspetto che adesso le innumerevoli donne, e sopratutto gli uomini, che ancora non facevano alcun lavoro di importanza bellica, si presentino agli uffici di iscrizione. Chi dà presto dà il doppio.

 

Frattanto in tutta la nostra economia hanno luogo concentramenti in grande stile. So che la massa del nostro popolo deve sottostare a duri sacrifizi. Ho comprensione per tali sacrifici e mi sforzo di ridurli ad un minimo; ma ne resterà pur sempre una parte che dovrà esser soppor­tata. Dopo la guerra ricostruiremo in maniera più bella e più grande quello che oggi sopprimiamo, e lo Stato darà per questo il suo aiuto.

 

A tale proposito mi oppongo energicamente all’affermazione che noi con le nostre misure miriamo ad elimi­nare la classe media e a creare un’economia di monopolio. Dopo la guerra la classe media sarà immediatamente rico­stituita, nella più larga misura, economicamente e socialmente. Le attuali disposizioni sono provvedimenti eccezionali per gli scopi e le necessità della guerra; non mirano a mutare la struttura dell’economia, ma sono dirette esclu­sivamente al raggiungimento, il più rapido ed il più com­pleto possibile, della vittoria. Poiché questa è la via della vittoria. Solo se avremmo un numero sufficiente di uomini e di armi, potremo opporci con tutti i mezzi ad una mi­naccia dall’Oriente, e ad una minaccia provocata dalle po­tenze anglosassoni, dall’occidente e dal sud-est. A Londra e Washington non devono farsi illusioni. Sull’accoglienza che le forze armate tedesche riserbano a un tentativo di invasione ,in qualsiasi punto dell’Europa esso venga intrapreso.

 

Io non nego che, con la messa in esecuzione delle mi­sure ora descritte, ci attendano settimane cariche di preoc­cupazioni. Noi prendiamo queste misure in vista delle azio­ni della ventura estate e ci mettiamo oggi al lavoro senza prestare la minima attenzione alle minacce e alle millan­terie del nemico. Sono felice di poter presentare questo programma di vittoria ad un popolo, come quello tede­sco, che noni solo accetta di buona voglia tali misure, ma le esige e con maggiore insistenza di quanto non sia av­venuto fino ad ora nel corso della guerra.

 

Il popolo vuole che si agisca rapidamente e a fondo. È tempo! Noi dobbiamo sfruttare l’ora e il momento per assicurarci contro possibili sorprese. Con questo appello io mi rivolgo a tutto il popolo tedesco e specialmente al Partito, che è chiamato a dirigere lo sforzo totale del fron­te interno. Non è la prima volta che il Partito si trova ad affrontare un così gigantesco compito lo risolverà con l'abituale slancio rivoluzionario. Esso è in grado di venire a capo meglio di ogni altro della pigrizia o dell'indolenza che può qua e là manifestarsi. Lo Stato ha emanato le leg­gi generali ed altre ne emanerà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane; i particolari, non contemplati dalla legge, devono essere regolati dal popolo stesso sotto la gui­da del Partito. Tutto quello che noi oggi compiamo o tralasciamo è dominato dalla legge morale, valida per tutti, di non fare nulla che noccia alla guerra e di fare tutto quanto giovi alla vittoria.

 

Durante gli scorsi anni, nei nostri giornali e nei nostri discorsi, ci siamo spesso richiamati ad esempi del gran­de Federico. Federico II si è trovato, al tempo della terza guerra di Slesia, secondo i calcoli dello Schlieffen, con cinque milioni di prussiani contro novanta milioni di europei. Già nel secondo, di sette durissimi anni di guerra, egli subì una disfatta che mise a repentaglio tutto lo Stato prussiano. Ma egli ha avuto soldati ed armi a sufficienza per combattere le sue battaglie senza esporsi al massimo rischio. La sua strategia era a base di ripieghi, ma egli seguiva il principio di attaccare il nemico dovunque se ne offrisse l'occasione e di batterlo là dove gli si parava davanti. Non conta che il grande Re abbia subito delle disfatte, ma che non si sia mai piegato ai colpi del destino, abbia dominato senza sgomentarsi l’instabile fortuna, e che il suo ferreo cuore abbia superato ogni pericolo. Alla fine dei sette anni egli, allora cinquantenne, sembrava un vec­chio sdentato, tormentato dalla gotta e da mille altri dolori; ma, sul devastato campo di battaglia, era vincitore. Che cosa possiamo mettere a paragone di questo? Solo la volontà e la risolutezza di stargli a paro quando l’ora lo comandi, di conquistare come lui la vittoria anche nelle condizioni più sfavorevoli e di non dubitare mai della grande causa per cui combattiamo.

 

Esprimo il mio sincero convincimento che il popolo tedesco è stato internamente e profondamente temprato dal tragico colpo di Stalingrado. Ha visto il volto duro e spie­tato della guerra; ora conosce la crudele verità ed è deciso a passare con il Führer attraverso ogni pericolo. Al nostro fianco sono alleati fedeli e sicuri. Il popolo italiano, sotto la guida del suo grande Duce, continuerà a cammi­nare con noi, senza esitazioni, fino alla vittoria. L’inse­gnamento fascista lo ha reso maturo per le grandi prove del destino. In Asia orientale il valoroso popolo giappo­nese infligge colpo su colpo alla potenza bellica anglosas­sone. Tre grandi potenze, insieme con i loro alleati, lottano contro la tirannia plutocratica e la minaccia bolscevica. Che cosa può accaderci se sopportiamo le dure prove di questa guerra con ferrea decisione? La certezza della nostra vittoria non conosce dubbi.

 

Mentre le nostre truppe si difendono ad Oriente con­tro l’assalto della steppa, la guerra dei nostri sottomarini fa strage nei mari del mondo. Il tonnellaggio nemico subisce perdite, che non possono venire lontanamente compen­sate da nuove costruzioni, il cui ammontare è artificiosa­mente esagerato. Del resto il nemico farà di nuovo cono­scenza, la prossima estate, con la nostra antica forza of­fensiva. Il popolo tedesco, facendo uso di tutte le proprie energie, è deciso a dare al Führer i mezzi necessari.

 

In questi giorni la stampa angloamericana si è occu­pata diffusamente dell’atteggiamento del popolo tedesco nella presente crisi. Gli inglesi a quanto pare pretendono di conoscere il popolo tedesco molto meglio di noi, che lo guidiamo. Essi ci danno ipocriti consigli su quello che dovremmo fare o non fare, sempre nell’errata supposizione che il popolo tedesco di oggi sia simile a quello del no­vembre 1918 che si lasciò adescare dalle loro arti. Non ho bisogno di dimostrare la falsità di questa supposizione. La prova contraria è data ogni giorno in maniera inequi­vocabile dal popolo tedesco che lotta e lavora.

 

Ma, a conferma della verità, vorrei rivolgere a voi, miei connazionali, una serie di domande, cui voi dovete rispondere con piena coscienza. Allorché il 30 gennaio i miei ascoltatori palesarono il loro assenso alle mie richie­ste, la stampa inglese asserì, il giorno seguente, che era stata una messa in scena della propaganda, la quale non rispondeva affatto ai veri sentimenti del popolo tedesco. Oggi ho invitato a questa riunione una rappresentanza del popolo tedesco nel senso migliore della parola. Davanti a me siedono file di feriti reduci dal fronte orientale, uomini con braccia e gambe amputate, membra mutilate, ciechi accompagnati dalle crocerossine, uomini sul fiore degli anni che hanno accanto le stampelle. Fra loro vedo circa cinquanta decorati al valore, eletta rappresentanza del fron­te combattente. Dietro a loro è un blocco compatto di ope­rai e operaie delle industrie belliche venuti dalle fabbriche berlinesi di carri armati e ancora dietro sono uomini delle organizzazioni del Partito, soldati delle forze armate, me­dici, scienziati, artisti, ingegneri e architetti, maestri, funzionari, impiegati, i rappresentanti della nostra vita intellettuale in tutti i suoi settori, cui il Reich deve, du­rante questa guerra, miracoli di invenzione e di genialità umana. Nell’ampio anfiteatro del Palazzo dello Sport vedo migliaia di donne tedesche. La gioventù e la vecchiaia sono qui rappresentate. Nessuna condizione, professione o età è stata dimenticata.

 

 

Goebbels Sportpalast Berlino 19 febbraio 1943

 

Goebbels Sportpalast Berlino 19 febbraio 1943

 

 

A buon diritto posso dunque dire: quelli che siedono davanti a me sono una rappresentanza di tutto il popolo tedesco al fronte ed in patria. È esatto?

 

Voi, miei ascoltatori, rappresentate in questo momento la nazione; a voi desidero rivolgere dieci domande cui do­vete rispondere, insieme al popolo tedesco, al cospetto del mondo intero e specie dei nostri nemici che ci ascoltano alla radio.

 

Gli inglesi asseriscono che il popolo tedesco ha perduto la fede nella vittoria.

Io vi domando:

Credete voi con il Führer e con noi tutti alla to­tale definitiva vittoria del popolo tedesco?

lo vi domando:

Siete voi decisi, per conquistare la vittoria, a seguire il Führer attraverso ogni pericolo, anche a costo di gra­vissimi sacrifici personali?

 

Secondo: gli inglesi affermano che il popolo tedesco è stanco della lotta.

Io vi domando:

Siete voi pronti a sostenere il Führer, formando, dietro alle forze armate combattenti, la falange della pa­tria; a continuare la lotta con selvaggia e ferma decisione attraverso ogni fatalità, fino a che la vittoria non sia nelle nostre mani?

 

Terzo: gli inglesi affermano che il popolo tedesco non ha più voglia di sottoporsi al crescente lavoro di guer­ra che il Governo esige da lui.

Io vi domando:

Siete voi, è il popolo tedesco deciso, ove il Führer lo comandi, a lavorare dieci, dodici, e, se necessario. quattordici e sedici ore al giorno, e dare tutto per la vit­toria?

 

Quarto: gli inglesi affermano che il popolo tedesco oppone resistenza contro le misure di guerra totale del Governo, e chiede non la guerra totale, ma la capitolazione.

Io vi domando:

Volete la guerra totale? La volete voi, se necessario, più totale, più radicale di quanto possiamo oggi imma­ginare?

 

Quinto: gli inglesi affermano che il popolo tedesco ha perduto la fiducia nel Führer.

lo vi domando:

È la vostra fiducia nel Führer oggi più grande, più completa, più incrollabile che mai? È la vostra volontà di seguirlo ovunque, di far tutto ciò che è necessario per condurre la guerra ad una fine vittoriosa, assoluta e il­limitata?

 

Sesto, vi chiedo:

Siete voi pronti a far uso d’ora in poi di tutta la no­stra forza per mettere a disposizione del fronte orientale gli uomini e le armi di cui abbiamo bisogno per infliggere al bolscevismo il colpo mortale?

 

Settimo, vi chiedo:

Promettete voi con sacro giuramento ai soldati del fronte che la patria sta dietro a loro con saldo animo e darà loro tutto ciò che è necessario per conquistare la vittoria ?

 

Ottavo, vi chiedo:

Volete voi, e specialmente voi donne, che il Governo provveda a che la donna tedesca ponga tutta la sua forza a disposizione della guerra e sostituisca ovunque è possi­bile gli uomini, in modo che questi possano recarsi al fronte, aiutando così i combattenti?

 

Nono, vi chiedo:

Approvate voi, se necessarie, le misure più radicali. contro un, piccolo gruppo di scansafatiche e di profittatori, i quali giuocano alla pace in piena guerra e vogliono sfrut­tare la grave ora della nazione a scopi egoistici? Siete voi d’accordo che chi si rende colpevole di fronte alla guerra deve esser condannato a morte?

 

Decimo ed ultimo, vi chiedo:

Volete voi che, secondo comanda il programma del Partito nazionalsocialista, regnino, specialmente in tempo di guerra, uguali diritti e uguali doveri, che la patria si assuma solidalmente i duri gravami della guerra e questi vengano suddivisi in ugual misura fra grossi e piccoli, ricchi e poveri?

 

Io vi ho rivolte le domande e voi mi avete dato le vostre risposte. Voi siete parte del popolo e attraverso la vostra bocca si è manifestata la volontà del popolo te­desco. Voi avete gridato ai nostri nemici quello che essi debbono sapere per non abbandonarsi ad illusioni o idee errate.

 

Così noi siamo, come dalla prima ora dell'ascesa al potere e attraverso tutti questi dieci anni, saldamente e fraternamente uniti al popolo tedesco. Il più potente al­leato che ci sia al mondo, il popolo stesso, è dietro di noi, deciso a conquistare insieme al Führer, a qualsiasi costo e con l'accettazione dei più gravi sacrifici, la vitto­ria. Quale potenza del mondo potrebbe ora impedirci di ottenere tutto quello che ci siamo proposti? Adesso possiamo e dobbiamo riuscire.

 

Sono davanti a voi non solo quale portavoce del Go­verno, ma anche quale portavoce del popolo. Attorno a me siedono i miei vecchi amici del Partito, che rivestono alte cariche nel governo del popolo e dello Stato. Accanto a me siede il camerata Speer, il quale ha avuto dal Führer l’incarico storico di mobilitare la produzione bellica tedesca e fornire al fronte armi in abbondanza; siede il camerata Dr. Ley, il quale ha avuto l'incarico dal Führer di guidare gli operai tedeschi, educarli ed addestrarli in­stancabilmente al loro compito bellico. Noi ci sentiamo uniti al camerata Sauckel, il quale ha avuto l'incarico dal Führer di far venire nel Reich centinaia di migliaia di forze lavorative, che rappresentano per l'economia nazioale un apporto, di cui il nemico non potrà mai disporre.

Sono inoltre uniti a noi tutti i capi del Partito, delle Forze armate dello Stato.

 

Noi tutti, figli del nostro popolo, uniti con il popolo nella più grande e fatale ora della nostra storia nazionale, giuriamo a voi al fronte, al Führer, che fonderemo la patria in un unico blocco di volontà, su cui il Führer ce i soldati combattenti potranno fare cieco e incondizionato assegnamento. Noi ci impegnano a fare con la nostra vita e il nostro lavoro tutto quello che è necessario alla vitto­ria. Vogliamo riempire i nostri cuori di quella passione politica che sempre, nei grandi momenti di lotta del Partito e dello Stato, ci ha divorato, come un fuoco perenne. Mai vogliamo abbandonarci, durante questa guerra a quel­la falsa, ipocrita, sonnolente obiettività, cui la nazione te­desca deve tante sventure nel corso della sua storia.

 

Da quando questa guerra si è iniziata abbiamo volto il nostro sguardo solo alla nazione; ciò che serve ad essa e alla sua lotta per l’esistenza è bene e deve esser mantenuto e promosso; ciò che nuoce ad essa ed alla sua lotta per l'esistenza è male e deve essere eliminato e soppresso. Con cuore ardente e testa fredda vogliamo accingerci a ri­solvere i grandi problemi di questo periodo della guerra. Intraprendiamo così il cammino che mena alla vittoria de­finitiva, basata sulla fede nel Führer. Ancora una volta in questa sera pongo davanti agli occhi di tutta la nazione il suo grande dovere.

 

Il Führer attende da noi uno sforzo che oscuri tutto quello che si è visto fino ad ora. Non vogliamo venir meno alla sua richiesta. Come noi siamo orgogliosi di lui, così lui deve poter essere orgoglioso di noi.

 

I veri uomini e anche le vere donne si vedono alla prova durante le grandi crisi e gli sconvolgimenti della vita nazionale. Non si ha più il diritto in questi casi di parlare di sesso debole; entrambi i sessi dimostrano la stessa decisione alla lotta e la stessa forza d’animo.

La nazione è pronta a tutto. Il Führer ha comandato, lo seguiremo. Mai abbiamo creduto nella vittoria con fede incrollabile più che in quest'ora di raccoglimento nazionale e di in­tima elevazione. La vittoria la vediamo davanti a noi a portata di mano, non ci resta che afferrarla; dobbiamo solo trovare la forza di subordinarle tutto il resto. Questo è il comandamento dell’ora. La parola d’ordine è quindi:

 

« Alzati o popolo, e ben venga la tempesta ».

 

 

 Goebbels Sportpalast Berlino 19 febbraio 1943

 

 

Enciclopedia Italiana Treccani 1938


GOEBBELS
, Paul Joseph. - Uomo politico tedesco, nato il 29 ottobre 1897 a Rheydt (Renania) da famiglia d'origine contadina. Studiò letteratura, storia, filosofia e storia dell'arte in varie università tedesche e si laureò a Heidelberg. Già nel 1922 entrò in rapporti con A. Hitler. Durante l'occupazione della Renania e della Ruhr lavorò nelle organizzazioni che sostenevano la resistenza passiva e fu perciò espulso dalle autorità militari belghe. Assunse allora la direzione del giornale Völkische Freiheit di Elberfeld e capeggiò la sezione Reno-Ruhr del partito nazionalsocialista. Nel 1926 ricevette da Hitler l'ordine di recarsi a Berlino per la conquista della capitale. Oratore vivacissimo, organizzatore instancabile, riuscì in breve tempo a capovolgere la situazione. Descrisse questa sua opera nel libro Kampf um Berlin. Fondò e diresse a Berlino il giornale Der Angriff, rivelandosi abile polemista e procurandosi numerosi processi per offese alle autorità. Eletto deputato di Berlino nel 1928, rappresentò in seno al partito nazionalsocialista la corrente più avanzata e durante la crisi politica dell'autunno 1932 fu per l'intransigenza assoluta e per la richiesta integrale del potere, contribuendo a far cadere le proposte di collaborazione.

Salito Hitler al cancellierato, il Goebbels, capo della propaganda del partito, organizzò una serie innumerevole di manifestazioni. Il 13 marzo 1933 era nominato ministro per l'Educazione del popolo e per la Propaganda, ponendo sotto il suo controllo la stampa, il teatro, la radio, il cinematografo. Recatosi a Roma, vi studiò le organizzazioni culturali del fascismo. Membro della delegazione tedesca alla Conferenza del disarmo nell'ottobre 1933, non fu certamente estraneo alla decisione presa dal governo tedesco di ritirarsi dalla conferenza stessa e dalla Società delle nazioni. Diresse la preparazione del plebiscito del 12 novembre. E da allora ha una posizione di primissimo piano nel Reich.

Il Goebbels ha scritto anche due lavori teatrali: Der Wanderer e Blutsaat e ha pubblicato varî opuscoli politici: Lenin oder Hitler; Die zweite Revolution (1926); Wege ins dritte Reich (1927); Das Buch Isidor (1928); Knorke, ein zweites Buch Isidor (1929); Der Unbekannte SA-Mann; Das kleine A. B. C. der Nationalsozialisten (1929); Der Nazi-Sozi (1932); Die verfluchten Hakenkreuzler (1932); Vom Kaiserhof zur Reichskanzlei (1934). I discorsi sono raccolti in Revolution der Deutschen (1933); e Signale der neuen Zeit (1934); Michael (1937).

Bibl.: W. Krause, Reichminister Dr. Goebbels, Berlino-Schoneberg s.a.

 

 

 

 

Collezione dei grandi discorsi a cura del Ministero della Cultura Popolare
Il Dott. Goebbels allo Sportpalast di Berlino il 19 febbraio 1943 – XXI
Stabilimento tipografico Francesco Canella – Roma 1943 - XXI

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