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Africa Orientale Italiana - I

L'AFRICA ORIENTALE ITALIANA. - La conquista dell'Etiopia fu il frutto della brillantissima guerra italo-etiopica, iniziata il 3 ottobre 1935 col passaggio del Mareb e conclusasi il 5 maggio 1936 con l'ingresso delle truppe italiane in Addis Abeba. Il 9 maggio fu proclamata la sovranità italiana su tutti i territori e le genti dell'Impero d'Etiopia e il titolo d'Imperatore fu assunto dal Re d'Italia. La legge del 1° giugno 1936 riunì all'Impero d'Etiopia le vecchie colonie dell'Eritrea e della Somalia nell'unica amministrazione dell'Africa Orientale Italiana. Con decreto del 15 novembre 1937 l'A. O. I. venne divisa in 6 governi: Eritrea (231 280 kmq. con 500 000 ab.), Amara (197 500 kmq. con 1 600 000 ab.), Scioa (65 500 kmq. con 1 800 000 ab.), Galla e Sidama (322 200 kmq. con 4 300 000 ab.), Harar (206 850 kmq. con 1 600 000 ab.) e Somalia (702 000 kmq. con 1 200 000 ab.). In totale l'A.O.I. ha una superficie calcolata in 1 725 330 kmq. e una popolazione di circa 12 milioni d'abitanti.

 

 

 

 Africa Orientale Italiana carta geografica

 

 

 

CONSISTENZA DELLA REGIA AERONAUTICA DELL'A.O.I. AL 10 GIUGNO 1940

 

velivolo

presso
reparti

magazzino

riparazione

totale

Numero squadriglie

Velivoli per squadriglia

 FIAT CR.32

18

5

11

34

2

9

 FIAT CR.42

18

14

2

34

2

9

Caproni Ca.133

84

35

48

167

14

6

Savoia Marchetti SM. 81

42

1

16

59

7

6

Savoia Marchetti SM. 79

12

4

2

18

2

6

IMAM Ro. 37 bis

9

2

2

13

1

9

Totale generale

183

61

81

325

28

 


 

 

 

 

 

 

CONSISTENZA DELLA REGIA MARINA DELL'A.O.I. AL 10 GIUGNO 1940

 

Nave coloniale Eritrea

 

III Squadriglia cacciatorpediniere: Nullo, Sauro, Manin, Battisti

V Squadriglia cacciatorpediniere:  Pantera, Tigre, Leone

 

81ª Squadriglia sommergibili: Guglielmotti, Ferraris, Galvani, Galilei

II Squadriglia sommergibili: Perla, Macallé, Archimede, Torricelli

 

Torpediniere: Acerbi e Orsini

 

XXI Squadriglia MAS (5 unità)

 

Naviglio ausiliario

Cannoniere: Porto Corsini e Biglieri

Posamine: Ostia

Navi cisterna per acqua: Sile, Sebeto e Bacchiglione

 

 

 

 Africa Orientale Italiana soldato indigeno

 

 

 

TELEGRAMMA INVIATO IL 9 GIUGNO 1940 DAL MARESCIALLO PIETRO BADOGLIO

 

« Situazione politica internazionale in sviluppo ma non completamente definita. Duce intende primo tempo non prendere iniziativa contro Francia ma solo et eventualmente contro Inghilterra. Azioni impero subordinate gran parte situazione interna. Concetto generale: garantire possesso impero, operando essere sicuri successo, successo sia reale e non effimero. Su tali basi direttive sono queste:

 

Al Comando Superiore delle forze in A.O.I.

1. Contegno strettamente difensivo.

2. Tenersi pronti at reagire subito e violentemente.

3. Studiare varie possibilità offensive da attuare dietro suo ordine, tenermi corrente situazione ».

 

 

 

 

 

 

 

LETTERA DEL VICERÉ A BADOGLIO

 

Ho letto attentamente il vostro 2105 Op. del 26 u.s. e rispondo:

 

1. Prevedevo che anche a voi sarebbe riuscito impossibile vaticinare con certezza il termine della guerra e comprendo che quanto mi comunicate in materia è il massimo che si può dire. Esso mi è servito come orienta­mento che, se bene ho compreso, si può riassumere così:

— prima di ottobre la pace è impossibile;

— dopo ottobre vi sono delle probabilità. Dire in che percentuale è forse più che altro questione soggettiva ed anche relativa. Infatti dal mio punto di vista pace significa non solo caduta dell'Inghilterra ma crollo dell'impero britannico; perché solo con questo conquisteremo il domi­nio del mare dal quale dipende la sicurezza definitiva del nostro impero;

— per queste ragioni ed esaminando il problema esclusivamente dal mio punto di vista — cioè sotto l'aspetto del compito primitivo e fonda­mentale: garanzia dell'integrità politica e territoriale dell'Impero — dovrei concludere indicando come unica soluzione possibile il completo raccoglimento per consumare il minimo di energia sì da conservare le forze il più a lungo possibile. Dico di più: poiché è mio dovere preve­dere lontano e guardare in faccia l'ipotesi peggiore mi sto già prepa­rando al caso di non potere più, per mancanza di autocarri, manovrare le mie forze e perciò studio un decentramento delle mie riserve e delle risorse così da disporle in corrispondenza delle principali linee di irru­zione nemica tanto da resistere a lungo nella speranza di avere tempo di fare affluire a piedi rinforzi tratti dagli altri scacchieri. È una situazione a cui mi rassegnerò quando proprio vi sarò costretto perché comprendo benissimo che essa mi porterebbe fatalmente ad un atteggiamento pas­sivo che è il peggiore al quale può essere ridotto un comandante in guerra.

 

2. Queste sono le conclusioni alle quali devo addivenire accettando l'i­potesi peggiore di una guerra molto lunga ed esaminando il problema dal mio punto di vista. Ma se la difesa dell'impero è un aspetto importantis­simo della nostra guerra non è ancora tutta la guerra e non devo esclu­dere che quello che posso chiamare il mio interesse debba cedere il passo ad un interesse più vasto.

Voi stesso mi avete accennato all'offensiva dell'ecc. Graziani in Egitto alla quale un concorso, sia pure indiretto e lontano, delle mie forze riuscirebbe utile. È chiaro che questo concorso sarà tanto più efficace quanto più immediato nel tempo e soprattutto più vicino nello spazio. Di qui una prima conclusione: difensiva fronte a sud (Kenia); esame di possibilità offensive in direzione di ovest o di nord; per essere più espliciti: obiettivo Khartum oppure obiettivo Porto Sudan.

Quando vi ho parlato della conquista del triangolo Ghedaref-Singa-Ro­seires più che ad una grande offensiva verso Khartum pensavo al cuscinetto che voi mi suggerivate di frapporre tra il Sudan e il Goggiam per meglio tenere questo a freno. Poiché creare una striscia a cavallo del confine è pressoché impossibile per la natura del terreno impervio e desertico al di qua e paludoso al di là di esso, avevo pensato al noto triangolo non tanto come pedana per Khartum quanto per copertura del confine, anche se non escludevo di potere poi, in secondo tempo, spingere il vertice verso Khartum.

Ma se si astrae da questo risultato di copertura che sarebbe implicita­mente assicurata dall'offensiva su Khartum, mi sembra che tutti gli altri fattori del problema propendono per l'azione verso il nord. A Khartum è pressoché impossibile arrivare direttamente da Cassala marciando diritto verso ovest; sono oltre 400 km di deserto e noi non potremmo mai avere i mezzi — aviazione e autocarri — per superare una simile difficoltà lo­gistica.

Molto più facile sarebbe arrivarci scendendo a cavallo del Nilo anche se la strada è molto più lunga (oltre 560 km in linea d'aria); ma per que­sta soluzione dovrei crearmi una grossa base logistica nel Goggiam. Ma qui ho il solo materiale logistico necessario per le truppe in posto; dovrei por­tare tutto dall'Eritrea e dallo Scioa; sono tanto da una parte quanto dall'altra, dai 6 ai 700 km di trasporti da fare per una strada che al di là di Gondar e di Lechenti è pessima. Inoltre partirei da un territorio che non sarà mai così sicuro da assicurarmi che tutti i traffici vi si possano svolgere senza molestia alcuna.

D'altra parte penso che indirettamente padroni di Khartum potremmo essere anche senza mettervi materialmente i piedi. Khartum è la punta dell'Egitto nel Sudan; la sua vita gravita sull'Egitto al quale è ottimamente collegata per acqua e per terra, dal quale riceve ordini e risorse.

Se noi tagliamo questo fascio di comunicazioni praticamente siamo pa­droni di Khartum e dell'alto Sudan. E questo credo si possa ottenere con la conquista del paese di Atbara.

Atbara è un grande nodo stradale al quale convergono le comunicazioni provenienti dall'Egitto, dal Mar Rosso e dall'alto Scioa.

Forse la conquista di Atbara avrà dal punto di vista politico una riso­nanza mondiale inferiore a quella di Khartum, ma dal punto di vista stra­tegico ha un'importanza notevolmente superiore.

Se del caso, quando fos­simo padroni di Atbara e i mezzi ce lo consentissero, potremmo sempre puntare su Khartum.

Oltre al grande valore strategico dell'obiettivo, l'azione su Atbara offre questi vantaggi:

parte dall'Eritrea, sicura all'interno, solcata da ottime strade e fin d'ora dotata di una aliquota di mezzi (autocarri, munizioni e viveri) all'incirca sufficiente senza che occorrano grossi trasporti da altri scacchieri;

— Atbara è l'obiettivo più vicino: da Cassala ad Atbara vi sono 360 km mentre da Cassala a Khartum ve ne sono 410 e da Metemma a Khartum via Ghedaref 520 e 560 da Kurmuk lungo il Nilo;

— il grosso delle truppe operanti su Atbara paese marcerebbe lungo lo Atbara fiume con notevole semplificazione del grave problema dei ri­fornimenti idrici;

— infine, e forse più importante, l'azione su Atbara è quella che ci porta piú vicini all'azione di Graziani e perciò è quella che meno indiretta­mente la aiuterebbe. Atbara rappresenta l'obiettivo principale e su di esso occorre convogliare la massa principale delle forze, ma questa co­lonna non può essere unica. Occorre garantire e fiancheggiare l'azione principale con altre sussidiarie e precisamente:

— per garantire la base di partenza Sabderat-Cassala-Tessenei occorre oc­cupare Khashm-el-Girba;

— per fiancheggiare la colonna principale è necessaria una puntata da Karora su Porto Sudan per Tokar per occupare un porto importante sul Mar Rosso ed una porta di afflusso di notevoli rinforzi. E se anche non potessimo arrivare fino a Porto Sudan attireremmo da questa parte forze non disprezzabili a favore della colonna principale.

Infine allo scopo di distrarre l'attenzione nemica si potrebbe tentare qualche incursione offensiva molto più a sud; ad esempio da Kurmuk in direzione di Roseires e da Gallabat in direzione di Ghedaref. Riassumendo l'azione potrebbe avere questa impostazione generale:

a) azioni dimostrative diversive: puntate in direzione di Roseires e di Ghedaref;

b) conquista di Khashm-el-Girba a garanzia della base di partenza;

c) puntata contemporanea da Karora su Porto Sudan e azione a fondo su Atbara.

Le forze tattiche per queste operazioni le avrei e potrei inviarle sulle basi di partenza senza depauperare gli altri scacchieri cioè lasciando 20 batta­glioni nell'Harar; 17 nel settore Giuba; 36 battaglioni nello scacchiere sud; 45 battaglioni nell'Amhara e 31 nello Scioa.

Ma queste forze sono solo una parte di quanto mi occorre; per intra­prendere a ragion veduta questa azione molto più poderosa di ogni altra mi sono indispensabili: aeroplani, gomme e carburante.

Ho richiesto 100 apparecchi (di cui 70 da bombardamento e 30 da cac­cia), 10.000 gomme, 10.000 tonnellate di carburante. So che voi, eccellenza, vi adoperate a tutt'uomo per farmele avere e ve ne ringrazio. Ma è mio dovere dirvi con la massima sincerità e con tutta chiarezza che fino a quando non avrò ricevuto questi rifornimenti io non mi posso assolutamente muo­vere altro che per difendermi e anche questa difesa, senza rifornimenti, diventerà col tempo sempre piú difficile e aleatoria.

 

 

 

Africa Orientale Italiana SAR il Duca d'Aosta 

 

 

 

COMANDO SCACCHIERE EST DELL'A.O.I.
STATO MAGGIORE

 

RELAZIONE SINTETICA SULLA CAMPAGNA DEL SOMALILAND

(3-19 agosto 1940-XVIII)

 

Concluso l'armistizio colla Francia si pose mano allo studio ed alla pre­parazione di una operazione per la conquista del Somaliland inglese.

 

 

IL NEMICO

 

A metà luglio le forze inglesi costituite da truppe locali, truppe indiane e rhodesiane, ammontavano a circa undicimila uomini che salirono poi a tredicimila per l'arrivo di altri rinforzi d'oltre mare, fra cui un battaglione scozzese.

 

Si sapeva, in generale, che gli inglesi avevano concentrato le loro forze e preparato successive linee di resistenza a cavallo della rotabile Giggiga­ - Hargheisa - Berbera.

 

Nel fatto, queste linee di resistenza, furono riscontrate molto più soli­de ed estese di quel che si conoscesse e si pensasse.

 

Soprattutto la prima linea di resistenza, quella dell'Argan, distesa a ca­vallo della rotabile su un fronte di venti chilometri, organizzata in profon­dità con capisaldi naturalmente forti e potentemente armati, appoggiantesi coi suoi fianchi alle due regioni dell'Ala e del Gan Liban praticamente inag­girabili, costituì per noi una sorpresa. Insieme a questo, un grave errore della nostra carta che riportava il tracciato della rotabile, proprio nel tronco che costituì l'asse della battaglia, spostato di quasi venti chilometri ad oriente, rispetto alla realtà, portò a un sensibile ritardo di quelli che dovevano esse­re gli effetti immediati della manovra di aggiramento, che fu necessario al­largare a contatto col nemico e quindi a prezzo di tempo e sacrifici di sangue.

 

 

LE NOSTRE FORZE

 

Il corpo d'operazione ai miei ordini fu costituito con 26 battaglioni (23 coloniali e 3 nazionali) 21 batterie di vario calibro (10 nazionali e 11 colo­niali) con una forza complessiva di:

— 4.800 nazionali (ufficiali, sottufficiali e truppa);

— 30.000 coloniali;

 

così articolati:

 

1) - Colonna di sinistra (Gen. Bertoldi)

— 8 battaglioni e 4 batterie;

base di partenza: Agin-Bio Gurgurè; obiettivo: Zeila.

Questa colonna darà poi origine, in secondo tempo, alla: Colonna costiera (L.Ten. Gen. Passerone)

— 2 battaglioni e 1 sezione artiglieria; base di partenza: Zeila;

primo obiettivo: Bulhar.

 

2) - Colonna di centro (Divisione Speciale dell'Harar - Gen. De Simone)

— 11 battaglioni e 14 batterie; base di partenza: Giggiga; obiettivo finale : Berbera.

 

3) - Colonna di destra (Gen. Bertello)

— 3 battaglioni e 1 batteria; base di partenza: Curati; primo obiettivo : Oadweina.

 

4) - Riserva del Comando Scacchiere

— 1 brigata coloniale su 4 battaglioni e 2 batterie.

 

5) - Aviazione a disposizione:

— 27 apparecchi da bombardamento;

— 23 apparecchi da caccia;

— 7 apparecchi da ricognizione.

 

 

SVOLGIMENTO DELLE OPERAZIONI

 

Chiarita solo il 27 luglio la situazione di Gibuti, il cui Governo in pri­mo tempo, dopo l'armistizio, si era orientato verso gli inglesi, fu stabilito che l'invasione del Somaliland avesse inizio la sera del 3 agosto.

L'avanzata si è svolta in tre tempi che, ben inteso, si succedettero sen­za altra pausa che quelle necessarie per le provvidenze logistiche che dove­vano alimentarla e per riordinare lo schieramento in ordine ai successivi concetti d'azione.

 

1 ° tempo (3-6 agosto). Sono raggiunti, quasi ovunque senza resistenza, i primi obiettivi prestabiliti di:

Zeila (Colonna di sinistra);

Hargheisa (Colonna del centro);

Oadweina (Colonna di destra).

 

2° tempo (7-16 agosto). La colonna del centro (Div. Spec. del Harar), col concorso della Colonna di destra (Gen. Bertello) e della 2a bri­gata coloniale (riserva di Scacchiere), indirizzate dal Comando Scacchiere ad avvolgere, rispettivamente, l'estrema sinistra e l'e­strema destra del fronte nemico, prosegue l'avanzata a cavallo della rotabile Hargheisa- Lefarug.

 

Il giorno 11 agosto urta contro la linea di resistenza dell'Argan che riesce a sfondare, solo dopo cinque giorni di dura lotta (bat­taglia dell'Argan: 11-15 agosto).

 

La Colonna costiera partita da Zeila il giorno 11, occupa Bulhar il giorno 16 agosto, senza resistenza.

 

3° tempo (17-19 agosto). La Divisione Speciale del'Harar proseguendo l'a­vanzata a cavallo della rotabile urta a Lafarug, contro una forte resistenza di retroguardia, appoggiata a difese organizzate, che supera con un breve ma violento combattimento, soprattutto per il tempestivo intervento, sul fianco destro del nemico, della II brigata, riserva di Scacchiere (battaglia di Lafarug: 17 agosto).

 

Le truppe inglesi ripiegano ovunque verso Berbera, ove si imbarcano precipitosamente, abbandonando armi e impedimenta.

 

Il 19 sera le nostre truppe occupano Berbera, che trovano già comple­tamente sgombra.

 

 

LE NOSTRE PERDITE E QUELLE DEL NEMICO

 

— nazionali morti e feriti (di cui 62 ufficiali) 161

— coloniali morti, feriti e dispersi 1.868

Totale perdite 2.029

 

così suddivise per tempi:

1° tempo occupazione Zeila-Hargheisa 59

2° tempo battaglia dell'Argan            1.445

3° tempo battaglia di Lafarug            525

 

A queste si devono aggiungere le perdite subite dall'Aviazione che co­me risulta dalla relazione del Comando Aeronautica ammontano a 13 mor­ti, 3 feriti, 7 dispersi.

 

 

Le perdite subìte dal nemico non possono precisarsi che in quelli dei prigionieri fatti:

— inglesi bianchi (di cui 11 ufficiali)            26

— di colore     38

 

Come noto i nostri ascari non hanno l'abitudine di fare prigionieri e questo ne spiega il numero relativamente esiguo.

 

Quanto ai morti la maggior parte fu certo seppellita dai reparti inglesi, ma molti ancora e quelli cioè dei reparti che ripiegarono sotto la nostra di­retta pressione, furono poi seppelliti a cura di nostre squadre incaricate del­la bonifica del campo di battaglia.

 

La preda bellica più importante è costituita da:

- cannoni 5

- lanciabombe 5

- mitragliatrici anticarro 30

- mitragliatrici varie    71

- fucili 5.396 (oltre quelli ancora detenuti dagli ex ascari inglesi)

- cartucce qualche milione

- carri armati 3

- automezzi efficienti o riparabili 128

- derrate varie quintali 75 mila circa

- materiale genio quintali 50 mila circa

 

 

CONSIDERAZIONI

1) - In questa campagna il problema logistico coloniale derivante dal tea­tro d'operazioni desertico, si è sommato a un problema tattico squisi­tamente europeo derivante dalla forza nemica armata e addestrata all'europea e per di più appoggiata ad una organizzazione difensiva di tipo europeo.

 

2) - Il nostro strumento militare era strumento di guerriglia più che di guerra, non preparato quindi, neanche per temperamento, ad affrontare il pro­blema tattico complesso che si trovò di fronte.

Come anche le perdite subite stanno a dimostrare, la lotta è stata dura anzi in taluni momenti durissima, sì da far dubitare di poterla spunta­re, senza un rinforzo di truppe fresche.

Se il nostro strumento non aveva capacità di penetrazione possede­va però in confronto del nemico, quella capacità di manovra che, in scacchieri coloniali dove la manovra è lunga e faticosa, deriva dalla ca­pacità di resistenza alla marcia, al clima, alle privazioni. E in questo la nostra truppa coloniale è insuperabile.

Vincemmo in definitiva perché volemmo e sapemmo tenere, in confron­to del nemico, quel minuto di più che è sufficiente a determinare la vittoria.

 

3) - La campagna del Somaliland costituisce un record di velocità per una grande unità di truppe indigene.

Le brigate che il tre sera varcarono il confine, il diciannove sera erano alle porte di Berbera.

Tenuto conto dei sei giorni di combattimento, le brigate hanno supera­to, in soli dieci giorni, i duecentosettanta chilometri che misura il na­stro stradale dal confine a Berbera, con una media che, per unità che marciavano in formazione, di notte, fuori strada, in boscaglia, può cal­colarsi molto superiore ai trenta chilometri al giorno.

 

4) - Vettovagliare 35 mila uomini portando spesso l'acqua anche per i qua­drupedi a cento chilometri di distanza (Colonna Bertello a duecento chilometri), rifornirli di munizioni e quanto altro necessario, autotra­sportare riserve che dovevano affluire d'urgenza, sgomberare feriti, in una regione desertica, talora torrida, senza strade propriamente dette, con poche piste camionabili spesso impantanate o insabbiate, marcian­do in genere di notte per sfuggire ai bombardamenti aerei nemici — e il tutto naturalmente a tempi comandati — ha rappresentato uno sfor­zo logistico che sa di miracolo.

 

5) - Questa vittoriosa campagna, mentre ha costituito il collaudo della fe­deltà delle nostre truppe indigene, specie amara e scioane, di cui la pro­paganda franco-inglese profetizzava invece il tradimento, per le sue favorevoli ripercussioni in tutta l'Etiopia, ha portato un grande con­tributo alla resistenza del fronte interno.

 

La conquista del mare etiopico ha toccato una corda sensibile delle po­polazioni indigene più evolute che, in Vittorio Emanuele III Imperato­re d'Etiopia, riconoscono il realizzatore del sogno secolare dei negus neghesti.

 

Il Generale Comandante
Guglielmo Nasi

 

 

 

COMANDO SCACCHIERE EST

STATO MAGGIORE

 

TABELLA DELLE PERDITE SUBITE DURANTE LA CAMPAGNA DEL SOMALILAND

 

 

MORTI

FERITI

DISPERSI

UFFICIALI

16

46

-

SOTTOUFFICIALI

6

11

1

TRUPPA NAZIONALE

17

64

-

TRUPPA COLONIALE

426

1.409

33

 

 

Harar, lì 22 settembre 1940 - XVIII

 

 

 

 Africa Orientale Italiana Vickers Wellesley

 

 

 

RELAZIONE DEL VICE MARESCIALLO DELL’ARIA REID COMANDANTE DELLA R.A.F. DI ADEN SULLE OPERAZIONI AEREE IN SOMALILAND

« Operations in the Protectorate of Somaliland »
Supplement to “The London Gazette” n.37594 – 4 giugno 1946

estratto

 

Sebbene il massimo possibile dello sforzo aereo fosse fatto in appoggio alle truppe del Somaliland, esso poté a queste sembrare non molto notevole.

Le difficoltà attraverso le quali si dové operare furono:

 

a) Mancanza nel Somaliland di aeroporti difesi, dai quali cacciatori e bom­bardieri potessero agire. I due aeroporti principali — Berbera e La Faruk — furono rapidamente resi inutilizzabili dai bombardamenti aerei, che non trovarono pratica­mente alcun contrasto da parte della difesa a terra.

Due dei nostri caccia furono distrutti nei distaccamenti iniziali sui terreni di at­terraggio, a causa della mancanza della protezione normalmente affidata all'Esercito. Gli aeroplani da caccia dovettero perciò esser ritirati.

 

b) In considerazione di quanto sopra, fu impossibile alla caccia operare, so­prattutto per il motivo, e per esso solamente, che il nemico aveva la superiorità aerea locale.

 

e) Poiché non vi erano nel Somaliland aeroporti da cui operare, i nostri bom­bardieri furono costretti ad agire da Aden, che era alla distanza di 200 miglia di mare. A questa distanza l'intervento aereo era grandemente ostacolato ed era impossibile rimanere a stretto contatto con la situazione a terra.

 

d) Poiché il nemico aveva la superiorità aerea locale, i nostri bombardieri erano continuamente attaccati dalla caccia, mentre gli equipaggi si sforzavano di con­centrare l'attenzione sul terreno, per dare appoggio alle truppe, e cercavano di avere l'esatta percezione di situazioni rapidamente variabili. Ciò rendeva i nostri bombar­dieri molto vulnerabili.

 

e) Il velivolo di cui eravamo dotati era un bombardiere medio veloce, eccellente per il suo normale impiego, ma inadatto ad una stretta cooperazione con truppe a terra, specialmente se non protetto dalla caccia.

 

In breve, lo sforzo aereo compiuto in appoggio all'Esercito nel Somaliland fu il massimo che potesse essér fatto con le forze aeree disponibili e con gli aeroporti non difesi dai quali operare. Esso costò molto in velivoli ed in equipaggi, ma raggiunse qualche notevole risultato.

La R.A.F. di Aden deve ringraziare sinceramente le Autorità militari della So­malia per la loro assistenza, per la stretta cooperazione e per il prudente riguardo alle nostre limitazioni nella circostanza ».

 

 

 

 

 

 

 

SITUAZIONE INTERNA ALL’A.O.I. NELL’AGOSTO 1940

 

GOVERNO GENERALE DELL'AFRICA ORIENTALE ITALIANA
Direzione Superiore Affari Politici

 

TELEAVIO

 

N. 789727 di prot.                                            Addis Abeba, 13 agosto 1940-XVIII

 

Al Ministero dell'Africa Italiana         Roma

 

e, per conoscenza:

 

Al Comando Superiore FF.AA. - Stato Maggiore     Sede

 

Bilancio di due mesi di guerra è soddisfacente su tutta la linea. Fronte interno ha in tutti i settori dimostrato una buona efficienza ed il risultato di due anni di politica indigena improntata ad equilibrio, assistenza e giu­stizia, è stato ormai collaudato dal successo. Non può certo asserirsi che Impero abbia solidità dell'Eritrea e della Somalia, tale da affrontare ogni contraria vicenda; ma tuttavia è da registrare con viva soddisfazione il fat­to che nei primi due mesi, nonostante le catastrofiche previsioni formulate dalla propaganda nemica sull'influenza che il possibile ritorno del Negus avrebbe causato fra le popolazioni, l'Impero abbia potuto compiere azioni offensive oltre i propri confini coronate da brillanti successi. La vittoriosa attività che si svolge alle frontiere si ripercuote con i migliori effetti propa­gandistici all'interno e paralizza la possibilità di estensione della ribellione. La graduale soluzione del problema di Gibuti comincia ad essere conosciu­ta e valutata, mentre le azioni su Moiale, Kurmuk, Gallabat e Cassala e l'oc­cupazione del saliente di Dolo, hanno avuto le più ampie ripercussioni interne e, nello Scioa, hanno lasciato un senso di sorpresa per lo sfatato mito dell'invincibilità britannica. L'azione in corso nella Somalia britannica è se­guita dalla popolazione indigena con ansia non minore di quella degli italiani. Quasi tutte le formazioni ribelli hanno ormai adottato una politica di attesa cauta e guardinga; ciò risulta rispondere anche ad una parola d'ordine giunta dall'estero. Nel Beghemeder, in conseguenza della morte del noto capo Asfau Boggalè, la vedova ed i sottocapi hanno preso contatto con autorità governo, dimostrando l'intendimento di sottomettersi. Nello Scioa, oltre alla cattura di undici fuorusciti provenienti da Gibuti di cui ho dato notizia e riferito a parte, si sono avute soddisfacenti azioni locali fra cui, con risultati notevoli, un bombardamento aereo sulle formazioni di Abebè Aregai.
In complesso: è stazionario il fenomeno delle diserzioni, sensibile quello delle sottomissioni, normale la situazione della città di Addis Abeba e dei grandi mercati, il presso dei cereali è inferiore a quello del corrispondente periodo dello scorso anno per effetto oltreché del favorevole andamento delle coltivazioni anche della soddisfacente situazione interna, In lieve rialzo il prezzo del tallero.

 

Il Governatore Generale

Viceré d’Etiopia

F.to Amedeo di Savoia

 

VISTO dal Duce il 27 Agosto 1940 - XVIII

 

 

 

 

 

 

 

5 novembre 1940

 

Nel Kenia ho visitato la maggior parte dei settori di operazione ed ho studiato alcuni piani col generale Cunningham e il suo stato mag­giore. Anche qui il morale è buono e la situazione generale favorevole, ma anche qui l'inattività troppo prolungata nel deserto o ai suoi mar­gini presenterà pericoli per noi. Il migliore obbiettivo su cui pun­tare nel prossimo futuro è Chisimaio, che rappresenta attualmente una seria minaccia per Mombasa, nostra base essenziale. Una volta presa Chisimaio e ben presidiata, il grosso delle nostre truppe po­trebbe essere spostato da questa inospitale zona desertica verso nord in modo da minacciare Addis Abeba. Per l'operazione di Chisimaio, Cunningham chiede forre superiori a quanto previsto in un primo tem­po; invierò un'altra brigata di fanteria dell'Unione appena ci sia dispo­nibilità di navi. Vi è estrema necessità di altri fucili mitragliatori Bren; si provvederanno altri automezzi per trasportare acqua e rifornimenti. Data la grave agitazione esistente in Etiopia, un attacco contempora­neo da sud e da nord potrebbe provocare un crollo degli italiani duran­te l'estate; considerevoli forze potrebbero così essere rese disponibili per il teatro d'operazioni, assai più importante, dell'Africa settentrionale.

 

 

 

 

 

 

 

IL GENERALE WAVELL AL CAPO DELLO S. M. G. IMPERIALE

 

23 novembre 1940

 

Cunningham ha deciso che non è possibile svolgere operazioni in grande stile quest'inverno. Propone di condurre una serie di opera ioni secondarie nel Kenia settentrionale verso la metà di dicembre e chiede per questo le due brigate dell'Africa Occidentale...

 

 

 

 

 

 

 

PROMEMORIA PER IL MINISTRO DELLA GUERRA E IL CAPO DELLO
STATO MAGGIORE GENERALE IMPERIALE

 

26 novembre 1940

 

Mi risulta che dovremo ricevere da voi un resoconto completo delle ragioni addotte per impedire l'operazione contro Chisimaio prima di maggio e che compirete uno strenuo sforzo per non arrendervi a queste ragioni. Se si dovesse decidere che non si può far nulla sino a maggio, la brigata dell'Africa occidentale deve partire con la prima serie di tra­sporti vuoti per la costa occidentale, sostituendo il battaglione attual­mente a Freetown.

La proposta di trattenere la brigata e di non combattere è quanto mai deprimente.

 

 

 

 Africa Orientale Italiana incursione aerea sul K.14

 

 

 

DIRETTIVE DEL COMANDO SUPERIORE

n. 335720, datate 24 dicembre 1940, avute il 26 dicembre

 

I. Situazione generale. La situazione generale è caratterizzata:

a) dalla progressiva, lenta diminuzione del nostro potenziale bellico per graduale consumo di risorse, per logorio truppe indigene, per il diffuso malcontento fra la popolazione, per difficoltà economiche;

b) dal rapido aumento, soprattutto in mezzi tecnici, delle forze nemiche e loro morale molto alto per successi su altri fronti, da cui passaggio dall'atteggiamento difensivo a quello offensivo, col vantaggio dell'iniziativa delle operazioni.

 

II. Schieramento nemico. Notizie accertate danno contro di noi una forza valutabile dai 210 ai 230 mila uomini così ripartiti:

— da Mombasa al lago Rodolfo circa 100.000 uomini in condizioni di at­taccare tanto lo scacchiere Giuba quanto quello sud;

— dal lago Rodolfo al Nilo numero imprecisato (forse 5.000) di elementi irregolari e di fuorusciti inquadrati da inglesi;

— dal Nilo a Porto Sudan una massa di forza imprecisabile, perché in con­tinuo aumento, valutabile dai 100.000 ai 110.000 uomini;

— ad Aden una massa dai 10 ai 20 mila uomini in attesa, molto probabil­mente, di tentare uno sbarco nel Somaliland oppure a Gibuti o in en­trambe le regioni.

 

III. Probabili intenzioni avversarie. Dobbiamo perciò aspettarci in un tempo più o meno imminente:

1. Un attacco a fondo dal Nilo a Porto Sudan.

Sulle modalità esecutive si possono fare queste due ipotesi:

a) attacco a fondo sulla direttrice di Gallabat-Gondar (primo obiettivo Gondar) sussidiato da due azioni concomitanti su Gubba-Uomberà a destra su Om Ager a sinistra. Questo attacco sarebbe preceduto o accom­pagnato da una azione dimostrativa sul fronte Om Ager (escluso) - M. Manan (compreso);

b) attacco a fondo contro l'Eritrea sul fronte Tessenei - M. Manan con primo obiettivo Agordat; questo attacco sarebbe sussidiato da quello su Gallabat in direzione Gondar e più tardi potrebbe essere rinforzato da un attacco su Karora-Cheren.

Allo stato attuale delle cose, la prima ipotesi appare più probabile della seconda.

2. Attacco a fondo contro il fronte sud.

È probabile che esso preceda nel tempo l'azione precedente ma non si può neanche escludere che esso si svolga dopo la riuscita vittoriosa di essa.

Dallo schieramento del Kenia non si possono desumere le linee gene­rali del piano avversario.

Come semplice induzione si può credere:

a) un'azione sussidiaria El Uach-Bardera e forse Lugh Ferrandi per creare un fianco difensivo e per interrompere la strada Mogadiscio-Neghelli;

b) in seguito attacco da sud e da ovest su Chisimaio per eliminare la possibilità di una nostra azione controffensiva sul loro fianco destro, nel caso di un attacco della fronte Mandera - lago Rodolfo.

3. Sbarco Somaliland-Gibuti, nel caso di sviluppo vittorioso dei due at­tacchi precedenti, con obiettivo Harar. Non è neanche da escludere un'azio­ne in Migiurtinia a scopo impegnativo.

 

IV. Nostre possibilità. Il rapporto numerico assoluto tra le nostre forze e quelle avversarie dà a noi una certa superiorità numerica; ma bisogna tenere conto:

a) che un'aliquota sensibile della nostra forza è impegnata per tenere a freno la rivolta interna;

b) che il nemico avendo l'iniziativa può fare massa dove vuole e pur essen­do complessivamente piú debole può, nel punto voluto, raggiungere una schiacciante superiorità;

c) che il nemico ci soverchia per carri armati, autoblindo, artiglierie auto-portate, per autocarri, per armi antiaeree, per aviazione; cioè proprio là dove noi siamo più deboli per mancanza quasi assoluta di armi anticarro e antiaeree, per grande deficienza di carburante e gomme, per inferiorità quantitativa e qualitativa di apparecchi. Noi possiamo contare sulle mi­gliori capacità combattive delle nostre truppe e sul più alto valore della nostra aviazione;

d) che la quasi totalità delle nostre forze è costituita da truppe indigene, ottime per l'attacco, meno buone per la difesa, irruenti ma non tenaci, facili allo sgomento se le cose si mettono male. Molte di esse sono costi­tuite da elementi di fedeltà tutt'altro che provata, pronte ad abbando­narci se non a rivoltarsi quando vedano che la vittoria è degli inglesi.

 

V. Provvedimenti presi. Convinto che il primo urto sarà a nord del Nilo e che se riuscissimo a rintuzzarlo, anche sugli altri fronti l'offensiva sosterebbe dandoci qualche mese di respiro e forse consentendoci di arri­vare alla stagione delle piogge, ho concentrato nel settore nord tutte le forze che avevo a mia disposizione e credo che vi potranno resistere. Il gene­rale Frusci sa che buona parte delle sorti dell'impero è nelle sue mani. Egli ha fiducia; se terrà duro anche gli altri scacchieri potranno resistere; se egli sarà travolto tutto crollerà.

 

VI Direttive per l'avvenire. Bisogna avere fiducia e sperare bene, ma è anche doveroso prospettarci le ipotesi peggiori; se non si avvereranno tanto meglio, se si realizzeranno saremo preparati ad affrontarle. Se noi fossimo sfondati dall'attacco nemico avremo contro non solo le popolazioni ribelli, ma anche quelle oggi incerte, che si butteranno sulle nostre retrovie rendendole impercorribili; molte delle nostre truppe indigene si sbande­ranno durante la lunga ritirata. Non solo, ma perderemo progressivamente tutto l'impero per ridurci a un unico ridotto centrale nel quale dovremmo concentrare tutta la popolazione bianca che non potremmo alimentare. È pertanto assurdo pensare a un fronte unico semicircolare progressivamente restringentesi sulla capitale. Per evitare i mali di cui sopra è necessario for­mare in ciascuna delle più importanti regioni dell'impero un ridotto nel quale ogni scacchiere dovrà resistere a oltranza con i propri mezzi.

Si allega un lucido (qui omesso) dal quale appare a puro titolo orien­tativo l'andamento generale che potrebbero avere i ridotti in ogni regione: Eritrea, Amhara, Goggiam, Dessiè, Scioa, Galla Sidama, Mogadiscio, Harar.

I comandanti in indirizzo mi diranno entro il 10 gennaio p.v. il loro parere in materia con l'indicazione delle linee esterne e dei capisaldi dei ridotti e l'andamento della cintura del nucleo centrale. È sottinteso che a questi ridotti bisogna venire solo quando ogni difesa più ampia e più conti­nua fosse materialmente impossibile.

 

VII. In caso di attacco nemico le truppe di ciascun scacchiere dovranno impegnarsi a fondo per respingerlo non irrigidendosi nella difesa passiva di posizioni che potrebbero essere sempre accerchiate e sfondate, ma tenendo testa con poche forze per poi attaccare accanitamente sui fianchi. Ciò non è difficile perché risponde allo spirito delle nostre truppe, perché le strade utili sono poche e ben determinate, perché al nemico sono indispensabili molti automezzi e distruggerli vuole dire fermarlo. Il largo uso di interru­zioni stradali e l'impiego su vasta scala dei pezzi da 65 in funzione anti­carro saranno parte eminente della nostra tattica.

 

VIII. Mentre verificandosi l'ipotesi che si considera, le truppa di terra saranno costrette a frazionarsi nei singoli ridotti e svolgervi azione isolata, l'aviazione continuerà ad avere un impiego accentrato in base agli ordini che darà l'ecc. Pinna di volta in volta. Decentrati invece resteranno i mezzi attuali sia per avere un maggiore contatto con i comandanti di scacchiere che continueranno a impiegare la rispettiva aviazione con le norme attuali sia per non dovere agglomerare i mezzi su pochi campi. Ciò non toglie che di volta in volta si possa fare massa a favore di questo o di quell'altro.

 

IX. Alla marina oltre al compito attuale, molestare il traffico del Mar Rosso, competerà la difesa di Massaua.

 

X. Ove per assoluta prevalenza numerica dell'avversario non si potesse fermarlo al confine e se anche i successivi contrattacchi durante la sua avan­zata non riuscissero, ciascun comandante di scacchiere provvederà a racco­gliere tutte le forze utili nei ridotti di cui al n. VI e in essi resisterà a oltran­za anche se completamente circondato e isolato.

In questi ridotti si raccoglieranno tutte le truppe regolari: le bande di sicura fedeltà resteranno fuori per agire sulle retrovie nemiche e per orga­nizzare e appoggiare l'azione analoga delle popolazioni restate fedeli.

Tutta la popolazione nazionale dovrà essere raccolta nei ridotti. I coman­danti di scacchiere provvedano fin d'ora e con le dovute cautele, per non destare panico prematuro, a raccogliere nell'ambito del rispettivo ridotto tutte le risorse per vivere e combattere.

 

XI. Per conto suo questo comando provvede a organizzare un ridotto centrale costituito da:

— una serie di capisaldi avanzati all'incirca nelle regioni di Dessiè, Broran, Ambò, Colisò, Moggio;

— una serie di capisaldi arretrati nelle. regioni di Sendafà, Saluttà, Olettà, Sabatà, Acachi, Ciaffedenza; un ultimo ridotto costituito dall'attuale cinta di sicurezza di Addis Abeba.

 

XII. Nel dettare queste direttive ho voluto di partito considerare la ipotesi per noi più sfavorevole, ma ciò non significa affatto che io la con­sideri fra le più probabili; semplicemente essa non è impossibile. Ma quan­d'anche avesse una sola possibilità su mille di verificarsi, dobbiamo ,consi­derarla e disporre tutto quanto è predisponibile perché, se per sciagura dovesse verificarsi, animi e mezzi siano pronti a fronteggiarla.

 

XIII. Queste direttive si rivolgono esclusivamente ai comandanti in indirizzo. Proibito darne comunicazione anche solo parziale a qualsiasi uffi­ciale o ente dipendente.

Esse servono esclusivamente per loro orientamento, perché studino fin d'ora le decisioni che dovranno prendere, perché possano attuare i provve­dimenti esecutivi possibili senza gettare nelle truppe e nella popolazione il panico e senza che essi indeboliscano la resistenza che dobbiamo opporre al nemico sul confine lottandovi con tutta l'energia e tutta la fede.

 

 

 

Africa Orientale Italiana incursione aerea inglese 

 

 

 

LETTERA DEL COMANDANTE DELLO SCACCHIERE SUD

Foglio n. 021137 del 6 gennaio 1941

 

Ho attentamente studiato le direttive per la difesa dell'Impero, conte­nute nel foglio del Comando Superiore - Ufficio Operazioni n. 335270 in data 24 dicembre 1940, e riferendomi al colloquio concessomi da V.A.R. il giorno 26 dello stesso mese e a quanto richiesto nel foglio stesso esporrò integralmente il mio pensiero.

È lontano da me ogni intendimento di critica negativa, così come ogni lontana pretesa d'insegnamento; come pure, se i concetti che esporrò non venissero accettati, si voglia sempre considerare l'espressione del mio pen­siero come semplice desiderio, e dovere, della maggiore possibile collabo­razione.

So bene che il contenuto del foglio 335270 vuole riferirsi soltanto a una deprecatissima ipotesi; esaminandola cercherò di tenermi sullo stesso piano ipotetico, considerato soltanto nell'intento di una doverosa ma estrema preveggenza.

Prima di entrare in argomento, devo però fare rilevare che i nativi più intelligenti sono alquanto perplessi dinanzi al contegno strategicamente inattivo che noi teniamo da qualche mese a questa parte, in così vivo con­trasto con l'immagine formatasi nella loro mente di un governo italiano potente e dinamico.

Essi hanno la percezione che l'impero è diventato come una grande for­tezza assediata, la cui guarnigione non si oppone per terra ai lavori di ap­proccio del nemico e la cui aviazione (riferendomi a quanto essi vedono qui) è scarsa e poco attiva, mentre la difesa contraerea è quasi inesistente.

 

I. Il contenuto del foglio 335270 può, a mio avviso, essere idealmente
diviso in due parti.

 

a) La prima parte consiste in un mutamento profondo delle direttive ini­ziali pel nostro contegno. Infatti, all'ordine di « mantenere l'integrità territoriale dell'impero » è sostituito ora quello (militarmente più age­vole) di cercare di battere il nemico, indipendentemente da frontiere e

da « posizioni ». Criterio che agevolerà l'abbandono di qualche località tenuta, a titolo molto oneroso, per semplice questione di nomi molto noti, a danno del buon impiego dei mezzi.

Ho disposto subito per l'attuazione di tali direttive sul fronte del Kenia, dove il nemico ha forze più che quadruple delle mie e dispone di mezzi meccanizzati che io non ho ed al quale non posso opporre alcuna arma specificatamente idonea. Dei provvedimenti presi ho già riferito con foglio 02/8758 in data 30 dicembre 1940.

Nei riguardi del fronte del Kenia, è doveroso rilevare come il Co­mando Superiore ammetta ora (sia pure per solo inciso al capo III, let­tera b, ultima frase) che sul fronte del Kenia l'attacco principale possa essere condotto tra Mandera e il lago Rodolfo.

E allora riesce difficile a spiegarsi perché, ammesso che il nemico abbia nel Kenia 100.000 uomini, ammesso che possa attaccarci a fondo, ammesso pure che, « se noi fossimo sfondati dall'attacco nemico… per­deremmo progressivamente tutto l'impero », lo scacchiere sud sia
la­sciato in tanta inferiorità di forze e di mezzi, a tutto vantaggio (a mio avviso sproporzionato) dello scacchiere nord.

Sorge così spontaneo il dubbio che il Comando Superiore non abbia tenuto conto delle possibilità che, con l'inferiorità tanto marcata delle forze nostre a sud, lo sfondamento tanto temuto a nord possa invece avvenire, con maggiori ragionevoli probabilità, proprio a sud. Dubbio tanto più fondato se ha consistenza l'ipotesi del Comando Superiore che l'attacco alla fronte sud possa precedere nel tempo l'attacco nord. Sulla fronte Sudan invece non ho ancora introdotto sostanziali muta­menti nello schieramento, sia perché tra lago Rodolfo e Nilo Azzurro più che il nemico esterno occorre ora fare fronte alla rivolta interna che quale scaltra avanguardia nemica tende, sia pure con non grandi forze, a interromperci la comunicazione vitale Bonga-Magi; sia perché su tutta la fronte siamo in condizioni di terreno vantaggioso rispetto alla possi­bilità di impiego di mezzi meccanizzati.

Richiamo però l'attenzione sul fatto che, mentre il Comando Superiore valuta che tra lago Rodolfo e Nilo Azzurro il nemico abbia circa 5.000 uomini qui ne risultano almeno 13.000 (e cioè 1.000 regolari del IV btg. K.A.R. a Lokintang, 5.000 irregolari e fuorusciti amhara lungo il confine, 7.000 più indietro fra Kosti e Sennar).

A conclusione di questo primo argomento, rinnovo la richiesta già fatta con foglio 02/8576 in data 24 dicembre u.s. della urgente necessità di avere l'assegnazione o di due brigate coloniali o di almeno 6 batta­glioni CC.NN.

Il provvedere sotto pressione degli avvenimenti sarà più oneroso, più pericoloso, forse tardivo.

 

b) La seconda parte invece del foglio 335270 consiste nella valutazione della situazione presente, delle previsioni per l'avvenire, del conse­guente progetto di contegno nostro.

 

II. Questa seconda parte mi sembra informata talora a eccessivo pessi­mismo, tal'altra a eccessivo ottimismo; tutto subordinato a due preoccu­pazioni, che vincolano sensibilmente l'azione militare e anche politica. Cer­cherò di esporre in particolare questa mia interpretazione.

 

a) Non riesco anzitutto a condividere la convinzione espressa nelle diret­tive che qualora il nostro fronte, e specialmente quello nord, sia sfon­dato, tutto sia perduto e destinato a crollare. Abbiamo anche sugli altri fronti buoni comandanti e buone truppe da battaglia. Ci sono nell'im­pero estese prospere regioni, nelle quali vivono popolazioni numerose, laboriose e tranquille perché ricche, abbastanza legate a noi, sia .pure in parte da poco tempo, perché abbiamo assicurato loro benessere e tran­quillità; popolazioni che ben sanno quanto dovrebbero attendersi da un ritorno del Negus. Tali sono le popolazioni della vecchia Eritrea e della vecchia Somalia e credo parte di quelle dell'Harar: tali ritengo le genti del Galla. Sidama (Sidama, Ometo, Gimma, Gore, Uollega, Beni, Sciangul, Leica). Perché non avere in esse alcuna fiducia ed essere invece disposti a abbandonarle senz'altro per autoassediarsi In ridotti più o meno estesi, simili ai tanto deprecati presidi?

 

b) Trovo invece eccessivo ottimismo allorquando, ammesso che molte trup­pe siano così poco fidate come le ritiene il foglio 335270 (capo IV, let­tera d, ultime righe); ammesso che le popolazioni siano così poco sicure come è detto al capo VI, comma 20; previsto che le truppe, come viene prescritto, debbano impegnarsi a fondo, si ritiene possibile che queste truppe possano poi raccogliersi nei ridotti di ciascun scacchiere, ridotti che per lo scacchiere sud sono previsti dal foglio 335720 a non meno di 250-300 km dal presumibile terreno della battaglia a fondo: e che le bande irregolari (di popolazioni di cui non ci si fida) possano restare a battagliare per noi fuori dai ridotti. L'esperienza di tutte le guerre passate e fors'anche di quella presente in Francia, in Albania e in Africa settentrionale, dice che le truppe che ripiegano dopo combattimento in campo aperto non sono in grado di fermarsi e svolgere efficace difesa, specialmente contro un nemico più celere, se non esiste già una sistema­zione difensiva almeno embrionale in atto, ma soprattutto se non vi sono altre truppe fresche già in posto, attorno alle quali le prime pos­sano riannodarsi.

Ora queste condizioni non possono, in quelle attuali, ottenersi per questo scacchiere, che dispone di pochissime forze per la battaglia e per l'ordine interno, e che non dispone di truppe per i ridotti.

 

c) Prima preoccupazione delle direttive in argomento, benché non espressa esplicitamente, appare quella della sorte della popolazione nazionale.

Questa preoccupazione è da tutti noi naturalmente e perfettamente compresa: però mi sembra che sia da chiarirsi bene che la popolazione nazionale non sotto le armi è divisa nettamente in due categorie:

— uomini che tutti indistintamente, opportunamente raccolti, possono e debbono concorrere alla difesa mobile e in posto: li abbiamo tutti appositamente dotati di un'arma ed è stata creata una apposita orga­nizzazione, la milizia speciale;

— donne e bambini che devono essere raccolti in zone dove sicuramente nulla abbiano a temere dalle popolazioni locali (cioè zone dove il nemico se vi giungesse, giungerebbe da « nemico regolare » e non quale selvaggio ribelle) ed abbiano possibilità di ricovero e di nutrimento.

 

A me pare che siano adatte le zone: per la parte nord dell'impero, l'Eritrea, ove del resto già sono; per la parte centrale e meridionale, la Somalia tra il villaggio Duca degli Abruzzi e il mare, dove (a quanto mi ha accennato l'ecc. alto commissario Gasparini) il nutrimento sostan­ziale non mancherebbe e dove, per dati altrove uditi, non riuscirebbe difficile un alloggiamento di « guerra ».

Se si viene in tale ordine d'idee, il provvedimento è da attuarsi, a mio avviso, subito; attuato ora, il concentramento potrebbe essere compiuto con calma ed ordine; imposto dall'urgenza potrebbe diventare tragico.

Per quanto riguarda questo scacchiere, riterrei molto più utile anche per esso l'adozione di un tale provvedimento: se non vi si addivenisse, provvederei io stesso a un graduale concentramento di donne, bambini e invalidi a Uondo, Soddu, Gimma, Ghimbi, dove la popolazione locale è da ritenersi non farebbe del male anche in caso di rovesci militari. Resterebbe però sempre il pericolo delle infiltrazioni di altri elementi più sanguinari e il « peso », influenzante in modo sfavorevole le opera­zioni e il morale dei combattenti padri, mariti, figli, fratelli, di queste donne e di questi fanciulli lasciati in zone non perfettamente sicure.

 

d) L'altra evidente preoccupazione è quella di conservare nella sua attrez­zatura attuale, a ogni costo, Addis Abeba. È essa che deve avere sugge­rito il concetto di una difesa dell'impero « frazionata ».

In applicazione di questo concetto, a un accentramento strettissimo di tutto, quale è tuttora in vigore e contro il quale da tempo ho subor­dinatamente spezzato molte lance, vedendone ogni giorno tutto il danno militare, politico, economico, si verrebbe a sostituire improvvisamente, nel momento del maggiore pericolo, quando più utile sarebbe una azione unitaria di comando, quasi un (absit iniuria verbis) « si .salvi chi può ».

Ciò mentre tutti sappiamo che nessuna delle regioni dell'impero (neanche questa, che è notoriamente la più ricca di risorse) può vivere, combattere, resistere da sola.

Ora Addis Abeba — centro di figura geometrica, centrale di co­mando, ma anche centro di una regione che ora poco produce e che è permanentemente minacciata da una popolazione poco fidata, esterna e interna, agglomerato urbano che racchiude un eccesso di donne e bam­bini — una volta sistemata a ridotto avrebbe i giorni della sua soprav­vivenza stabiliti dal numero di razioni accantonate in precedenza. Men­tre da altre parti sottrae un rilevante numero di battaglioni, di armi e di mezzi, che a mio avviso potrebbero piú utilmente venire impiegati nel complessivo sistema militare dell'impero; se non erro, oggi per Addis Abeba sono impegnate forze pari alla metà di quelle dello scac­chiere sud, che deve difendere un territorio piú grande dell'Italia, con 1.800 km di frontiera, con 120.000 nemici di fronte a sé, che ha an­ch'esso le sue agitazioni interne.

Non mi sfuggono le considerazioni politiche, ma se si avverassero le previsioni disperate del foglio 335720, si sarebbe obbligati a superare queste e altre considerazioni non strettamente militari.

Stando così le cose, mi pare convenga esaminare la possibilità di prevedere lo spostamento tempestivo e ordinato da Addis Abeba di quanto si penserebbe di tenere custodito nell'ultimo ridotto, costituito dall'attuale cinta di sicurezza, in località meno minacciata e mantenendo soprattutto il Comando Superiore libero da ridotti e da cinta. Addis Abeba potrebbe allora, come anello del piú vasto ed unitario sistema militare, essere tenuta a difesa da ben minori truppe, e cioè senza essere di peso eccessivo pel resto delle difese dell'impero.

 

III. Dopo tutto quanto sopra, mi si chiederà forse come io veda invece la soluzione del problema.

Sono decisioni queste da lasciarsi a chi ha tutti gli elementi e le respon­sabilità e che conosce a fondo le direttive impartite o sanzionate dallo Stato Maggiore Generale: io non posso che adombrare concetti, non definirli pienamente.

A mio parere insomma — e so di non dire nulla di nuovo — che geogra­fia, storia, politica, etnografia, stiano a indicare che l'impero ha due grandi centri di gravità, due grandi fronti: uno settentrionale (Eritrea e Amhara settentrionale); uno meridionale (Harar, Galla Sidama, Somalia). Lo Scioa resta un po' a sé, ma tutto considerato gravita in buona parte verso il blocco meridionale. Ammesso questo, anziché prevedere un impiego delle forze frazionato, all'estremo ed una difesa fratturata in otto o dieci ridotti iso­lati, io vedrei tutte le forze e i mezzi disponibili articolati in due grandi frazioni di esercito, una settentrionale e una meridionale, ambedue col com­pito di combattere a oltranza il nemico esterno, soprattutto con il movi­mento e con la manovra, sfruttando al massimo il terreno e gli ostacoli natu­rali, senza abbandonare (e senza cioè fare passare dalla parte del nemico esterno o interno) le popolazioni che ci sono fedeli. L'idea di abbandonare volontariamente territori ricchi e fedeli apparve già in passato: ho avuto occasione di dimostrare i piú gravi inconvenienti in un promemoria al Capo di Stato Maggiore del Governo Generale.

 

IV. Non posso nascondere, con mia grande preoccupazione, che col foglio 335720 si dichiara che, anche nella migliore delle ipotesi, avremo soltanto « qualche mese di respiro » in modo « di arrivare forse alla sta­gione delle piogge ». Ma che avverrà dopo?

Se cosí fosse, l'impero sarebbe in uno stato « preagonico », lasciandone passivamente e fatalmente determinare la durata dai quantitativi di derrate da raccogliersi nei ridotti e dalla iniziativa del nemico esterno ed interno.

Ma questa passività, che non mi sembra ammissibile, abbrevierebbe anche la fine. Chiudersi nei ridotti significherebbe rinunciare ai raccolti della prossima stagione, rinunciare a mantenere efficiente una preziosa rete di comunicazioni, rinunciare quindi fin d'ora ai rifornimenti dall'una all'altra regione perché ciascuno dovrà provvedere subito ad ammassare per proprio conto quanto più possibile di derrate e di altri mezzi.

 

V. Nella situazione attuale, salvo nuove direttive, mi proporrei di at­tuare nello Scacchiere Sud quanto segue:

 

a) Predisposizione a Uondo, Gimma, Ghimbi e forse anche a Soddu — com­patibilmente con i mezzi, col personale e col tempo disponibile — di qualche sistemazione difensiva che dia qualche sicurezza contro i colpi di mano alle principali scorte di derrate, carburanti, munizioni, mezzi di ogni genere: tali lavori hanno già avuto inizio.

b) Graduale concentramento di donne e bambini se non venissero inviati in Somalia: anche questo provvedimento ha avuto un qualche inizio e attuazione con lo sgombero di Neghelli.

c) Combattere il nemico il più a lungo in campo aperto, cedendo volonta­riamente il meno possibile di territorio.

d) Resistenza manovrata fino all'ultimo, con l'appoggio delle popolazioni fedeli, delle foreste, della guerriglia.

e) Ad ogni modo, se la sorte delle armi dovesse esserci avversa, piuttosto pieno sbaraglio in campo aperto che non mortificante ricovero e inevi­tabile capitolazione in un ridotto, senza alcuna speranza di ripresa e di soccorso.

 

Ed in questo credo di essere fedele interprete del sentimento di queste truppe, che conservano intatta la fiducia nella vittoria finale delle armi nostre, dell'impero agli ordini dell'Altezza Reale il Duca d'Aosta e dovun­que sventoli la nostra bandiera.

 

 

 

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