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Nationalkomitees Freies Deutschland

All’indomani della disfatta di Stalingrado i sovietici cercano di sfruttare la disillusione dei soldati tedeschi, in particolare gli ufficiali della nobiltà, per creare un organismo politico antifascista. Nasce così nel luglio 1943 a Krasnogork il Comitato Nazionale Libera Germania (Nationalkomitees Freies Deutschland, NKFD).

Le motivazioni e la collocazione politica dei suoi componenti non sono omogeneI: vi convivono uomini del KPD emigrati in URSS con l‘avvento del Nazionalsocialismo, esponenti della nobiltà, e delle chiese protestanti. Aspettativa è quella di suscitare il rovesciamento del regime nazionalsocialista da parte dall’esercito e dalla popolazione tedesca. I membri del Comitato, stretti tra i due totalitarismi, non sono però in grado di realizzare tale aspettativa, sicuramente superiore alle umane possibilità.

Poco conosciuta in Italia la vicenda politica ed umana dell’NFKD viene ricordata dalle pagine di uno dei suoi dirigenti: Heinrich von Einsiedel.(g)

 

 

 Heinrich Graft von Einsiedel

 

Heinrich Graf von Einsiedel (26 luglio 1921 – 18 luglio 2007). Pilota da caccia della Luftwaffe con il grado di tenente Einsiedel combatté sul fronte russo, ove, il 30 agosto 1942, fu costretto a un atterraggio di fortuna entro le linee sovietiche. La sua cattura destò eco, essendo pronipote del cancelliere Otto von Bismarck. Influenzato dal Bündische Jugend e dai funzionari sovietici, ricusò il regime nazionalsocialista, riconoscendone la natura criminale e cominciò a incoraggiare i suoi compagni di prigionia a dichiarare apertamente la loro opposizione a Hitler. Nel luglio 1943 fu nominato vice-presidente del Comitato Nazionale Libera Germania (NKFD). Inorridito da quanto compiuto dai soldati sovietici in Prussia orientale nel 1945, Einsiedel e gli altri membri della NKFD - tra cui Jesco von Puttkamer e Heinrich Gerlach - si rese conto che gli obiettivi politici alla base della fondazione del Comitato erano irraggiungibili. Trasferitosi nella RFT nel 1948, lavorò come traduttore, sceneggiatore e giornalista. Membro dell’SPD dal 1957 al 1992  fu eletto al Bundestag nelle liste del Partito Socialista Democratico (PDS) dal 1994 al 1998.

 

 

 Tentazione dall’oriente (Tagebuch der versuchung)

 

 La copertina dell’edizione tedesca di

Tagebuch der versuchung (Tentazione dall’oriente)

 

 

IL COMITATO NAZIONALE

 

[…]

 

 

13 luglio 1943

 

Il Comitato nazionale è stato fondato. Ieri e oggi da 300 a 400 uomini si sono riuniti nella sala del soviet locale di Krasnogork, addobbata con bandiere nero-bianco-rosse: erano presenti i fuo­rusciti comunisti di Mosca, i futuri membri del Comitato nazio­nale scelti tra le file dei prigionieri di guerra, gli allievi antifascisti, i “delegati” dei campi e i padrini russi del Comitato nazionale prof. Arnold, tenente colonnello professor Janson (capo della scuola antifascista), maggiore Stern e un paio di ufficiali politici; inoltre un gruppo di ufficiali simpatizzanti del campo 27 — il resto del gruppo che aveva preso l'iniziativa e che si era così vergognosamente disperso — rinforzato dal colonnello van Hoo­ven, capo dell'ufficio informazioni della 6 armata, dal colonnello Steidle, aderente dell'Azione cattolica, e dal maggiore von Frankenberg, uno dei più esperti piloti di volo notturno della Germania. Dopo lunghi discorsi inaugurali fu finalmente letto il testo del manifesto del Comitato nazionale, che è del seguente tenore:

 

 

MANIFESTO DEL COMITATO NAZIONALE “LIBERA GERMANIA”
ALL’ESERCITO E AL POPOLO TEDESCO

 

Gli avvenimenti richiedono da noi tedeschi una decisione indero­gabile. In questa ora tragica per l’esistenza e l’avvenire della Germania si è costituito il Comitato nazionale “Libera Germania”. Ne fanno parte operai e scrittori, soldati e ufficiali, industriali e uomini politici, uomini di tutte le correnti e concezioni politiche, che ancora un anno fa non avrebbero ritenuto possibile una simile unione. Il Comitato nazionale esprime il pensiero e la volontà di milioni di tedeschi al fronte e in patria, che hanno a cuore il destino della loro patria.

 

In quest’ora decisiva il Comitato nazionale si considera autoriz­zato e obbligato a parlare in nome del popolo tedesco chiaramente e senza reticenze, come la situazione richiede.

 

Hitler porta la Germania alla rovina.

 

 

Sui fronti:

 

Da sette mesi le disfatte sono senza precedenti nella storia tedesca: Stalingrado, Don, Caucaso, Libia, Tunisi. La responsabilità di queste disfatte ricade soltanto su Hitler. Egli è ancor sempre a capo dell'eser­cito tedesco e del Reich. Le armate tedesche sparpagliate su fronti di migliaia di chilometri si trovano lontane dalla patria, appoggiate ad alleati, il cui valore combattivo e la cui fedeltà erano già a priori dubbi, ed esposte ai colpi massicci di una coalizione che diventa di giorno in giorno più forte. Le armate d’Inghilterra e d’America sono alle porte dell’Europa. Tra non molto la Germania dovrà com­battere contemporaneamente in tutte le direzioni. L’esercito tedesco indebolito, sempre più accerchiato da avversari strapotenti, non può e non potrà resistere a lungo. S’avvicina il giorno del crollo!

 

 

In patria:

 

La Germania stessa è diventata oggi campo di battaglia. Città, centri industriali e cantieri vengono distrutti con un crescendo im­pressionante. Le nostre madri, le nostre donne, i nostri bambini perdono case e averi. I liberi agricoltori sono privati dei loro diritti. La mobilitazione totale manda in rovina artigiani e commercianti e toglie al popolo lavoratore le sue ultime forze.

Hitler ha preparato da anni questa guerra, senza chiedere il parere del popolo. Ha isolato politicamente la Germania. Egli ha sfidato le tre più grandi potenze del mondo e le ha unite in una lotta ineso­rabile contro la sua tracotanza. Ha reso tutta l’Europa nemica del popolo tedesco e ne ha infangato l’onore. Perciò egli è responsabile dell’odio che oggi circonda la Germania.

 

Nessun nemico esterno ha mai ridotto i tedeschi in tanta miseria quanto Hitler. I fatti lo dimostrano: la guerra, è perduta. La Germania può soltanto trascinarla ancora in lungo a prezzo di spaventosi sa­crifici e privazioni. La continuazione della lotta senza speranza signi­ficherebbe per la nazione la fine.

 

Ma la Germania non deve morire! Si tratta ora della vita o della morte della nostra patria.

 

Se il popolo tedesco si lascia trascinare ancora, senza volontà e senza resistenza, nel disastro, allora non soltanto sarà più debole e più impotente con ogni giorno di guerra, ma anche più colpevole. Hitler sarà allora abbattuto soltanto dalle forze della coalizione. Ciò significherebbe la fine della nostra libertà nazionale e del nostro Stato, significherebbe lo spezzettamento della nostra patria. E non potrem­mo incolpare nessuno se non noi stessi.

 

Ma se il popolo tedesco si ravvedrà in tempo e dimostrerà coi fatti che vuol essere un popolo libero, deciso a liberare la Germania da Hitler, si conquisterà il diritto di disporre del suo futuro destino e di essere ascoltato dal mondo. Questa è l’unica via per salvare la li­bertà e l’onore della nazione tedesca.

 

Il popolo tedesco ha bisogno della pace e la vuole senza dilazione. Ma nessuno fa la pace con Hitler. Nessuno vuoi trattare con lui. Perciò il nostro popolo deve costituire d’urgenza un Governo vera­mente tedesco. Soltanto questo potrà godere la fiducia del popolo e dei suoi precedenti avversari. Esso solo potrà darci la pace.

 

Un simile Governo deve essere forte e disporre dei mezzi necessari per rendere innocui i nemici del popolo, Hitler e i suoi fautori e fa­voriti, per eliminare senza riguardi i sistemi terroristici e di corruttela, per creare un ordine stabile e rappresentare dignitosamente la Ger­mani all’estero. Esso non può uscire che dalle file del popolo in lotta per la libertà, sostenuto dai gruppi di combattimento costituiti per abbattere Hitler. Le forze dell’esercito fedeli al popolo e alla patria devono avere una funzione decisiva in questa lotta.

 

Un simile Governo deve, por fine immediata alla guerra, riportare le truppe tedesche alle frontiere del Reich e iniziare trattative di pace, rinunziando ai territori conquistati. così otterrà la pace e ricondurrà la Germania nel novero dei popoli a parità di diritti. Soltanto esso darà al popolo tedesco la possibilità di esprimere in pace, la propria volontà nazionale e di darsi la sua costituzione sovrana.

 

Questa meta è: La Libera Germania.

 

 

Ciò significa:

 

Un forte potere statale democratico, che non abbia nulla a che fare con l'impotenza del regime di Weimar, una democrazia che estin­guerà fin dal suo sorgere ogni tentativo di congiura contro la libertà del popolo e contro la pace d’Europa.

 

Eliminazione radicale di tutte le leggi basate sull’odio tra i popoli e di razza, di tutte le istituzioni hitleriane che disonorano il nostro popolo, annullamento di tutte le leggi straordinarie del regime hitle­riano contro la libertà e la dignità dell’uomo.

 

Ripristino ed estensione dei diritti politici e delle conquiste sociali dei produttori, libertà di parola, di stampa, di organizzazione, di coscienza e di religione.

 

Libertà dell’economia, del commercio e dell’industria. Garanzia del diritto al lavoro e della proprietà legittimamente acquistata, resti­tuzione ai loro proprietari dei beni rubati dai capi nazional-socialisti, sequestro degli averi dei colpevoli della guerra e degli arricchiti di guerra, scambi commerciali con gli altri paesi come sana base di un sicuro benessere nazionale. Liberazione immediata di tutte le vittime del regime hitleriano e loro indennizzo. Processi giusti e senza riguardo contro i criminali di guerra, contro i capi, i loro mandanti e i loro coadiutori, che hanno gettato la Germania nella rovina, nella colpa e nella vergogna; amnistia per tutti gli hitleriani che si siano staccati in tempo e di fatto da Hitler e abbiano aderito al movimento della Libera Germania.

 

 

Avanti, o tedeschi, nella lotta per una libera Germania!

 

Sacrifici sono inevitabili, lo sappiamo, ma saranno tanto minori quanto maggiore sarà la decisione nel condurre la lotta contro Hitler. I sacrifici per liberare; la Germania, saranno mille volte minori di quelli insensati che la continuazione della guerra richiede.

 

 

Soldati e ufficiali tedeschi di tutti i fronti!

 

Voi avete le armi! Tenete le armi in pugno! Marciate coraggiosa­mente sotto la guida dei vostri capi responsabili e coscienti, che sono uniti a voi nella lotta contro Hitler, verso la patria; verso la pace.

 

 

Uomini e donne che lavorate in patria!

 

Voi siete la maggioranza! Trasformatevi in una falange d’assalto organizzandovi! Formate gruppi di lotta nelle officine, nei villaggi, nei campi di lavoro, nelle università, dappertutto dove siete riuniti! Non obbedite più a Hitler! Non fatevi più sfruttare per prolungare la guerra. Combattete con tutti i mezzi, ognuno a suo modo, ognuno al suo posto negli enti, statali e, nelle organizzazioni, economiche del paese!

 

Abbiamo nella nostra storia un grande precedente. Cento e trent'an­ni fa, quando truppe tedesche calcavano ancora il suolo russo, i migliori tedeschi,, von Stein, Arndt, Clausewitz, Yorck e altri si rivolsero dalla terra russa, al disopra dei capi traditori, alla coscienza del popolo tedesco e lo incitarono alla lotta per la libertà. Anche noi metteremo a repentaglio, come loro, tutte le nostre forze e anche la nostra vita per incitare il nostro popolo alla libertà e per accelerare la caduta di Hitler. La lotta per la libera Germania richiede coraggio, forza e decisione, soprattutto coraggio. Il tempo stringe. Bisogna agire rapidamente. Chi continua a seguire Hitler per paura, pusilla­nimità o cieca obbedienza, agisce da vile e contribuisce a trascinare la Germania in una catastrofe nazionale. Chi invece mette il comanda­mento della nazione al disopra degli ordini del “Führer”, e rischia vita e onore per il suo popolo, agisce da forte e contribuisce a salvare la patria dalla più grave onta.

 

Per il popolo e la patria!

Contro Hitler e la sua guerra!

Per la pace immediata!

Per la salvezza del popolo tedesco!

Per una Germania libera e indipendente!

 

IL COMITATO NAZIONALE “LIBERA GERMANIA”

 

 

La conferenza era presieduta da Erich Weinert, che i comunisti avevano prescelto come presidente del Comitato nazionale. Poeta politico da cabaret, commissario della brigata Thalmann in Spa­gna, collaboratore della radio di Mosca, traduttore di poesie russe da Lermontov a Maiakovskij e autore di poesie pacifiste senza gusto per manifestini, riunisce in sé una certa bonomia piccolo-borghese con una fanatica dedizione all’Unione Sovie­tica, ciò che gli riesce più facilmente, in quanto egli spazia più nelle sfere della sua fantasia “poetica” e degli ideali comunisti, che non nella realtà, come si capisce fin dai primi colloqui con lui.

 

Per due giorni si tennero discorsi interminabili. Finché si trattò di oratori qualificati come Hadermann, Weinert, Willy Bredel, Homann, Fleischer e Hetz, e non di allievi antifascisti che recita­vano imparaticci, la conferenza fu una implacabile requisitoria contro Hitler, le sue illusioni, i suoi crimini e la terribile sventura nella quale ha travolto la Germania e l'Europa.

 

Anche se i precedenti di queste riunioni sono stati con­traddittori e ambigui, anche se le ragioni e le intenzioni dei partecipanti non erano sempre trasparenti e scevre da calco­lo personale, anche se i comunisti considerarono il tutto come un abile trucco propagandistico, tuttavia la conferenza fu do­minata dall’odio contro il regime, che si era impossessato della Germania, e dalla speranza di dargli il colpo di grazia; odio e speranza che crearono un vero pathos che mi fece dimenticare tutti gli scrupoli e tutto lo scetticismo.

 

Il punto sensazionale della conferenza fu la presentazione del primo ufficiale tedesco disertore, fuggito pochi giorni prima sul fronte orientale, il quale fece una relazione impressionante del fallimento della nuova offensiva tedesca presso Kursk e della controffensiva sovietica. Il tenente Frankenfels era stato un cen­turione SA e PG e si trovava sul fronte orientale dal 1941 come ufficiale di fanteria. Non aveva disertato certamente per viltà, ma per il contraccolpo ricevuto dalla distruzione del battaglione da lui comandato. Nella sua relazione analizzò in forma concisa e chiara, e dal punto di vista di un ufficiale combattente, gli infiniti errori del Comando supremo. Il quadro che egli fece delle manchevolezze dell’armamento e delle dotazioni tedesche, e dell’enorme superiorità di mezzi dei russi, soprattutto del loro impiego in massa di carri armati e di artiglieria, era in netto contrapposto con la speranza dei generali in un compromesso militare. Invano ci si domanda come sia mai possibile che com­petenti militari giudichino la situazione così falsamente.

 

Anch'io parlai in questa riunione. Trattai della ripresa della politica bismarckiana verso la Russia. Ecco le mie argomenta­zioni:

 

Bismarck, che mirava a una collaborazione politica della Ger­mania con la Russia, partì sempre dalla premessa di non offrire mai alla Russia la possibilità di ricattare la Germania. Hitler invece ha misconosciuto proprio questa limitazione della poli­tica bismarckiana, quando nel 1939 iniziò la guerra facendo un patto di non aggressione tra la Germania e l'Unione Sovietica. Anche se fosse stato vero che l’Unione Sovietica nel ‘41 non agiva lealmente verso di lui, egli era politicamente responsabile per tutti gli ulteriori sviluppi.

 

Ma oggi che la Germania si trova in una situazione così dispe­rata, non c’è tempo per scegliere. Una Germania comunista al fianco di una Russia comunista avrà sempre una posizione im­portante e sarà sempre un fattore decisivo in Europa. Allora non vi saranno più problemi, come le crisi dello smercio e della disoccupazione; non vi sarà soprattutto il pericolo di una guerra su due, fronti. Chi oserebbe fare una guerra contro un simile blocco? Invece un orientamento verso gli stati capitalisti non risolverebbe nessuno di questi problemi e la Germania si trove­rebbe tra l’incudine e il martello in tutti i conflitti tra il mondo capitalista e quello socialista. Vi può essere poi un’altra via di uscita dalla crisi generale degli ultimi trent’anni, se non quella della trasformazione socialista della società? E vi può essere un’altra specie di questa trasformazione socialista, se non quella rivoluzionaria, quella cioè della dittatura del proletariato? Si è mai ottenuto qualche cosa senza mezzi rivoluzionari, senza l’im­piego della violenza? I nazisti non hanno forse usurpato il posto che non era stato occupato nel 1918 dal partito socialdemocra­tico, posto che in Russia si conquistarono i bolscevichi: quello cioè di una élite rivoluzionaria? Certamente è molto più como­do, più bello e più civile vivere in uno stato a democratico, che non in uno stato dove tutto si basa sull’influenza personale come nell’Unione Sovietica; a patto però che ci sia danaro e lavoro e che questo stato democratico sia in grado di prov­vedere al normale svolgimento della vita sociale. Ma è chiaro che tutto ciò non si verifica più in questi ultimi trent’anni. Il laisser faire sarà una gran bella cosa, finché non abbandona l’uomo all’azione caotica e distruttrice di cieche forze sociali, finché, non nasconde semplicemente la mancanza di un’idea e di una morale e finché non dà carta bianca a venditori di fumo, come quello di Braunau. È veramente un controsenso sdegnarsi della mancanza di libertà nell’Unione Sovietica di fronte alla effettiva mancanza di libertà delle masse, lavoratrici inchiodate al loro posto di i lavoro e dominate dalla preoccupazione del pane quotidiano, di fronte alla loro ignoranza e alla loro inca­pacità di decidere del proprio destino. Le vittime che avrebbe richiesto una rivoluzione comunista in Germania sarebbero state ben poca cosa di fronte alle vittime e alle distruzioni di questa guerra.

 

Conclusi così : « Una collaborazione con una Russia rivolu­zionaria e socialista, sarà per la Germania; molto più positiva che non l’amicizia bismarckiana col “gendarme dell'Europa” ».

 

Quando a mezzogiorno della seconda giornata i discorsi fu­rono finiti, si alzò Weinert e lesse i nomi dei candidati per il Co­mitato. Erano 32, un terzo di fuorusciti comunisti, un terzo di ufficiali, un terzo di soldati. Weinert mise la lista ai voti: « Chi vo­ta per questa lista, alzi la mano »; si ebbe l’unanimità. I membri neoeletti del Comitato nazionale firmarono il manifesto. In se­guito il Comitato nazionale elesse un consiglio di presidenza, di cui facevano parte Weinert, il maggiore Hetz e io. Un pranzo in comune e alcuni sorsi di vodka seguiti da una rappresenta­zione di una compagnia teatrale di Mosca, chiusero i lavori. D’ora in poi le nostre radiotrasmissioni per la Germania saranno emesse su varie onde. Scegliemmo come segnale per gli inter­valli le prime battute del canto della libertà di Arndt “Dio che creò il ferro”. Il giornale Libera Germania con la testata a strisce nero-bianco-rosse sostituirà nei campi la Parola Libera e sarà lanciato anche come manifestino al di là delle linee. Un plenipotenziario del Comitato nazionale sarà distaccato presso ogni gruppo di armate sovietiche, chiamato fronte, per provve­dere all’immediata propaganda sul fronte per mezzo di manife­stini, altoparlanti, ed emissari mandati al di là delle linee. Questi uomini raccoglieranno inoltre materiale d’informazione per il Comitato.

Ove è possibile, un allievo antifascista assisterà il plenipotenzia­rio pressò ogni divisione sovietica.

 

Il Comitato nazionale si riunirà per ora nell’aula della scuola antifascista, una grande e bassa cantina. Nelle prossime setti­mane si trasferirà in un edificio industriale sulla strada di Lenin­grado, a 50 chilometri da Mosca. I fuorusciti rimarranno a Mo­sca e verranno da noi per le sedute, e per i lavori correnti della radio e dei giornali. A Mosca ci sarà un ufficio del Comitato, che si terrà in contatto coi Sovieti per risolvere le questioni di orga­nizzazione: stampa del giornale, attività  della stazione radio­trasmittente, viaggi dei delegati ai fronti e ai campi, e simili.

 

 

costituzione del Comitato Nazionale Libera Germania (Nationalkomitees Freies Deutschland, NKFD) 

 

Un momento della costituzione del Comitato Nazionale Libera Germania

(Nationalkomitees Freies Deutschland, NKFD)

 

 

[…]

 

 

 

28 ottobre 1943

 

La situazione delle truppe tedesche è disastrosa, la superiorità russa in artiglieria, carri armati e aerei è travolgente. Per di più il fronte invece di accorciarsi si allunga sempre più, perché Hitler proibisce ogni ritirata tattica o strategica. I russi sono già da­vanti a Kiev e noi combattiamo qui per un buco come Melitopol.

 

Sono appena di ritorno dal fronte. Per ore e ore son passato accanto a batterie e katiuscie che sparavano ininterrottamente. L’artiglieria tedesca rispondeva appena appena. Finalmente ho rivisto aerei tedeschi: otto Ju 88 che bombardavano le posizioni da 6000 metri di altezza: un controsenso.

 

Quando nell’oscurità della notte ci spingiamo coi nostri pe­santi autocarri muniti di altoparlante verso le prime linee e lan­ciamo il nostro segnale attraverso la steppa e al di sopra dei buchi e dei fortini nei quali si trovano i combattenti dei due eser­citi, passiamo ore di ansiosa tensione:

« Attenzione, attenzione, qui parla il Comitato Nazionale Libera Germania... ».

 

Normalmente un dicitore dà prima le notizie militari e poli­tiche e annuncia poi un discorso di Friedrich Wolf o mio. Noi cerchiamo di chiarire nella forma più concreta possibile la reale situazione della guerra e di scuotere i soldati tedeschi dalla loro rassegnazione e dal loro letargo.

 

« Ufficiali e soldati tedeschi! La sorte della nazione è nelle vostre mani. Rendetevi conto che con ogni ulteriore giorno di guerra Hitler porta la Germania sempre più verso la catastrofe. Non fatevi imbonire il cervello da vuote promesse di avventurieri senza scrupoli. Anche conti­nuando la guerra non si può cambiare la sorte del regime hitle­riano, ormai segnata. La guerra però avvia la nostra patria alla distruzione. Camerati! Voi conoscete la situazione, ma vi chie­dete che cosa possa fare il singolo per cambiarla. Camerati, a uno a uno voi formate un esercito di milioni! Ma non potete battere le tre più grandi potenze del mondo. Tuttavia rappre­senterete una forza potente se vi organizzate per abbattere Hitler, il vero nemico della Germania. Create l'organizzazione dei com­battenti! Un’organizzazione contro Hitler in ogni unità, in tutti i ranghi dell'esercito. Contro Hitler! In molte divisioni camerati coraggiosi e chiaroveggenti hanno già formato gruppi illegali del movimento "Libera Germania" e hanno preso contatto con noi attraverso le linee. Seguite il loro esempio! Organizzatevi in piccoli gruppi e combattete per le nostre finalità: Abbattere Hitler con le forze dell’esercito! Ritirata ordinata fino ai confini della Germania! Conclusione di un immediato armistizio. Tal­volta si possono aprire gli occhi a un camerata con una sola pa­rola, con un’abile critica. Agite illegalmente, finché avrete convinto il vostro reparto. Dal singolo al gruppo. Dal gruppo al reparto di truppa. Cosi si deve preparare la sollevazione contro Hitler. Siate certi che fra i vostri generali si trovano uomini abbastanza decisi, che agiranno come voi quando sapranno di poter contare sui combattenti. Ognuno di voi può e deve agire fin da oggi! Camerati! Avanti per una libera e pacifica Ger­mania! »

 

Le reazioni a questi discorsi sono le più disparate. In mol­ti punti il fronte piomba in un silenzio profondo e rimane in ascolto.

 

Noi invitammo i soldati a sparare tre volte in aria come segno di consenso e lo fecero. Presso altre unità invece si scatena un furibondo fuoco di mitragliatrici e di mortai e talvolta interviene anche l’artiglieria per tentare di indurci al silenzio. Si impiegano anche reparti d’assalto per prelevarci. In tali casi è interessante anche la reazione dei comandanti russi. Alcuni ci danno tutto l’appoggio immaginabile e dimostrano i loro sentimenti di ca­meratismo e simpatia per noi antifascisti tedeschi. Altri all'op­posto, sono esasperati perché cagioniamo alle loro truppe nuovi disagi: « Granate a mano, katiuscie, carri armati ci vogliono per vincere la guerra! ». Uccidere i fascisti tedeschi, ecco l’unica propaganda che capiscono. In questi casi ogni nostra obiezione è vana. Non giova neppure citare Lenin, secondo il quale la guerra pone il semplice soldato nella necessità di difendersi co­stantemente senza poter cambiare nulla. La citazione colpisce nel segno proprio la situazione sul fronte orientale.

 

L’attività illegale nelle file dell'esercito tedesco è molto più pericolosa della lotta in linea.

I tedeschi non sentono nessun impulso a darsi prigionieri. Troppo spesso in contrattacchi si sono imbattuti in prigionieri uccisi e proprio recentemente è accaduto a un nostro propagandista del fronte di vedere che tre soldati, disertati in base ai nostri richiami, vennero fucilati da un russo ubriaco. Non ho parlato ancora con nessun prigio­niero che non abbia assistito a maltrattamenti di prigionieri. Le uccisioni in massa preordinate dai nazisti sono certamente riprovevoli; ma la brutalità e la crudeltà dei russi sul fronte è altrettanto spaventosa. Dio abbia pietà di noi, se la guerra non finisce prima che i russi tocchino il suolo tedesco, prima che entrino combattendo in Germania!

 

 

derenti al Comitato Nazionale Libera Germania (Nationalkomitees Freies Deutschland, NKFD) con il giornale Freies Deutchland 


Foto propagandistica di militari tedeschi aderenti al Comitato Nazionale Libera Germania
(Nationalkomitees Freies Deutschland, NKFD) con il giornale Freies Deutchland

 

 

[…]

 

 

 

 

22 luglio 1944

 

Or ora è stata comunicata la notizia dell’attentato contro Hitler e del fallimento della rivolta generale. Alle prime notizie dell’attentato, non potevamo contenere la gioia. Io non potevo dominarmi per l’eccitazione e la soddisfazione. Poi si seppe che Hitler viveva e che parte dei congiurati erano già stati liquidati, che la Gestapo continuava a essere padrona della situazione. Non posso descrivere il mio stato d’animo. Sono tramontate tutte le speranze che la patria si possa liberare con le nostre forze!

 

Anche i comunisti sono molto abbattuti. Tutti soffrono di nostalgia, anche se nessuno voglia ammetterlo. Soltanto i comu­nisti al cento per cento si trovano a loro agio nel paese del so­cialismo e non desiderano di ritornare in Germania. Ma si legge loro in faccia che ingannano se stessi.

 

 

 Il bracciale dei membri del Nazionale Libera Germania (Nationalkomitees Freies Deutschland, NKFD)

 

Il bracciale dei membri del Nazionale Libera Germania

(Nationalkomitees Freies Deutschland, NKFD)

 

 

[…]

 

 

 

SCIOGLIMENTO DEL COMITATO NAZIONALE

 

9 maggio 1946

 

È passato un anno dall’armistizio. Quanto avevamo desidera­to la fine della guerra e che delusione infinita ci ha portato! Non abbiamo ottenuto nulla di quello che desideravamo. Il Terzo Reich è finito proprio nelle condizioni che noi volevamo evitare. E questa fine non ci ha portato neppure il rimpatrio.

 

Il Comitato nazionale ha vivacchiato ancora tutta l'estate 1945. Nel giugno ritornarono in Germania i suoi primi due mem­bri, Reyher e Willms. Poco dopo parti buona parte dei fuorusciti comunisti e con essi tutti quelli che come Bechler erano disposti a eseguire gli ordini di Mosca senza discutere. Si dovrebbe dire anzi meglio che erano disposti a eseguire senza discutere quello che apparentemente Mosca ordinava. Poiché ora è molto più difficile seguire l’indirizzo ufficiale del partito che non nei corsi teorici della scuola antifascista, con tutte le disposizioni ambigue emanate per le soluzioni pratiche del dopoguerra. Quello che ancora ieri era l’indirizzo del partito, potrebbe essere oggi una deviazione o viceversa. Così le opinioni ufficiali comunicateci sulla federalizzazione della Germania o sulla quota d’acciaio, sul confine orientale, sugli smontaggi e sulle riparazioni, sono state cambiate tre e anche quattro volte. Ma è un bolscevico disciplinato soltanto colui che è in grado di esaltare con tutto il pathos possibile e senza esitazione ogni cambiamento di rotta come verità sacrosanta e impegnativa.

 

Questo stato di cose raggiunse il colmo nel problema della linea Oder-Neisse. Per quanto io cerchi di ripetermi continua­mente il ragionamento col quale giustificare questa politica e la aderenza ai principi dell'internazionalismo, del diritto di auto­decisione dei popoli e dell'intesa tra popolo e popolo, tuttavia il cuore mi dice no, anche quando la ragione si piega.

 

Ma non lasciamoci influenzare dal sentimento. Deve trionfare la logica dialettica. È ormai un principio tradizionale del comu­nismo che le questioni nazionali debbano essere subordinate alla rivoluzione sociale e che un convinto rivoluzionario debba rinunciare ai postulati della propria nazionalità, se la strategia e la tattica della lotta di classe internazionale lo richiedano.

 

Partendo dunque dalla premessa che l’Unione Sovietica è il primo e unico Stato socialista del mondo, che esso costituisce la spina dorsale del movimento rivoluzionario, e che l’esistenza e il successo di quest’ultimo dipendono dall’esistenza e dalla potenza di quello, un buon comunista tedesco deve rinunciare al postulato della propria nazione nella questione del confine tedesco-polacco.

 

L’annessione delle tre province orientali tedesche da parte del­la Polonia, o meglio la loro consegna alla Polonia da parte delle grandi potenze, ha risolto inequivocabilmente in favore della Unione Sovietica la lotta tra Occidente e Oriente per il pre­dominio in Polonia. Se i polacchi in esilio a Londra ritengono di poter contestare ai comunisti il merito di essere gli unici pro­pugnatori della secolare aspirazione di una grande Polonia col confine sull’Oder, appropriandosene il postulato, e se vengono appoggiati dagli inglesi in questo atteggiamento nell’intento di impedire che la Polonia si trasformi in una democrazia popolare filo-moscovita, allora a Londra non si è capito che la Polonia, proprio accettando questi doni, è costretta a seguire la politica di Mosca. Come potrebbe la Polonia difendere questo confine contro pretese revisionistiche senza l'appoggio dell’Unione So­vietica? Il settembre 1939 ha dimostrato quanto valgano le garanzie degli occidentali per una Polonia anti-sovietica, che viva in inimicizia con la Germania.

 

Questo dono alla Polonia è doppiamente prezioso per l’Unio­ne Sovietica, perché così essa può sperare di attenuare l'inimi­cizia del popolo polacco per la Russia, cosí profondamente radicata e rinata dopo la soluzione adottata dalla Russia per il confine orientale. Guadagnare la Polonia significa d’altron­de per la Russia assicurarsi non solo il confine occidenta­le, ma anche l’influenza in tutti i territori da essa ora occu­pati, anche dopo la partenza delle truppe di occupazione.

 

I comunisti tedeschi si trovano oggi in una posizione analoga a quella dei polacchi nel 1939, quando l’Unione Sovietica parte­cipò alla divisione della Polonia di Pilsudski. La Germania è oggi divisa in due come allora la Polonia. Chi trae profitto da questa posizione è in ogni caso l’Unione Sovietica. I comuni­sti di tutt’e due i paesi possono considerarsi fino a un certo punto innocenti, perché hanno sempre osteggiato le mire espan­sionistiche, mascherate di antisovietismo, che hanno portato in entrambi i casi a queste conseguenze.

 

Tutta questa combinazione però ha subito un forte contrac­colpo quando si seppe che oltre 12 milioni di tedeschi venivano scacciati dalla nuova Polonia e dagli altri paesi orientali dell’Europa. Chi di voi avrebbe mai pensato che la Russia si sarebbe resa colpevole di una simile lesione dei secolari diritti nazionali delle minoranze etniche, invece di approfittare dell’occasione per dare al mondo un esempio di soluzione socialista di questo problema, e una prova di internazionalismo in atto? L’espulsio­ne di milioni di uomini, unica nella storia, deve creare per forza in Germania e in tutta l’Europa una inimicizia irriducibile con­tro il comunismo e contro l’Unione Sovietica. Tuttavia anche per questo i comunisti di Mosca hanno pronta la loro spiegazione, che, se non è troppo lusinghiera per l’Unione Sovietica, ha una base senza dubbio molto realistica: una delle cause fondamen­tali, per cui l’Unione Sovietica non fu schiacciata dal mondo capitalista occidentale già molto tempo prima di questa guerra, risiederebbe nelle contraddizioni e nei conflitti che impediscono a questo mondo di agire concordemente, nei conflitti sociali all’interno dei paesi capitalistici e nella loro reciproca concorrenza. Tutta la concezione di Lenin sulla possibilità che il socialismo si affermi anche in un solo paese si basa sullo sfruttamento di queste contraddizioni del mondo capitalistico. Con la disfatta dell’Asse e del Giappone in questa guerra sarebbe venuto ora meno uno dei più importanti di questi conflitti; inoltre si è venuta affermando una nuova potente forza a tener unito il mondo capitalistico, quella incontrastabile del dollaro sul merca­to mondiale, cioè la potenza dominatrice degli Stati Uniti d’America. D’altro canto ci vorranno anni e anni prima che l’Unione Sovietica si sia rifatta degli enormi sacrifici di sangue e delle distruzioni di questa guerra. Più lontano ancora è il termine nel quale l’Unione Sovietica avrà ricuperato il notevole anticipo che l’Occidente ha su di essa nel campo tecnico e scientifico. L’Unione Sovietica ha perciò tutte le ragioni di limitarsi e di badare per ora che la Polonia e gli Stati balcanici si sviluppino tranquillamente secondo le loro possibilità e senza essere osta­colati da elementi etnici stranieri, prima di abbandonarsi alla vaga speranza che, dopo lunghe e gravi lotte politiche, il comu­nismo arrivi al potere in Germania. Naturalmente deve adat­tarsi al fatto inevitabile che le annessioni e le emigrazioni for­zate rendono per ora impopolare il comunismo in Germania. Ma a lungo andare sarebbero proprio questi due provvedimenti quelli che provocherebbero nella Germania occidentale un tale contrasto fra le necessità di importazione e le possibilità di esportazione; un tale rincrudimento della disoccupazione e del deficit nel commercio estero, che questi problemi non si potrebbero risolvere coi mezzi democratici-borghesi. L’inevi­tabile miseria delle masse costituirebbe il substrato per l’agi­tazione comunista e gli stessi ceti medi e in parte anche i grossi capitalisti sarebbero costretti a volgersi ai mercati orientali, a un’economia pianificata, cioè a Mosca.

 

Questa strategia è senza dubbio così cinica e fredda da fare inorridire. Ma non si può misconoscere che è logica e lungi­mirante. Rivoluzionari sentimentali non dovrebbero neppur ten­tare di attuare le loro idee. Chi crede all’esperimento sovietico, cioè al comunismo, deve avere anche il coraggio di accettare simili conseguenze. Questo è il nocciolo della questione. Noi però non dobbiamo abbandonarci a simili argomentazioni. Per noi vale la dichiarazione di Molotov che giustifica la so­luzione della linea Oder-Neisse, asserendo che le tre province orientali tedesche erano “la culla dello stato polacco”, a suo tempo rubate dagli aggressori tedeschi, oggi restituite dalla ge­nerosità dell’Unione Sovietica al legittimo proprietario. In tutta la stampa sovietica e naturalmente anche nella Libera Germania si svisa la storia per dare un fondamento “scientifico” a questa dichiarazione.

 

Mentre Ulbricht, spregiudicato ad onta della sua ingenuità di primitivo, liquidava tale questione nella zona occupata dai sovie­tici, dichiarando che “le regioni orientali della Prussia erano state perdute al gioco da Hitler”, noi del Comitato nazionale dovemmo accettare il punto di vista dei più assurdi falsi storici che lo sciovinismo polacco e il più fanatico panslavismo potes­sero escogitare.

 

Una politica dunque che si è resa colpevole delle più grossolane menomazioni del diritto di autodecisione dei popoli dovrebbe per lo meno nelle sue finalità rimanere fedele ai principi dell’in­ternazionalismo. Bisogna invece difenderla con gli slogans triti e ritriti del più smaccato nazionalismo e razzismo e con le argo­mentazioni di una orrenda falsificazione storica. Poi, quando si è inghiottito il primo rospo, si è costretti a inghiottire anche il secondo e accettare incondizionatamente e fanaticamente la seconda tesi per non essere immediatamente sospettati di devia­zionismo nazionalista e di fascismo. I comunisti della casa come Zippel, Emmendorfer, Grandy e Klement si sono prefissi anzi di provocare gli altri componenti del Comitato a opporsi a questi articoli insensati per denunziarli subito alla NKVD. Grandy, un ex sottufficiale del personale volante, che nel frattempo è diventato redattore dell’organo centrale del partito comunista in Germania, rimpatriato al principio dell’agosto 1945 ha lasciato indietro, o per sbadataggine o per un gesto di scherno e di cinismo, un libriccino nel quale i suoi camerati scoprirono simili espressioni eretiche accuratamente registrate. L’ultimo resto di solidarietà in seno al Comitato nazionale è andato perduto in questa atmosfera. Una dichiarazione di Ulbricht che sarebbero stati rimpatriati soltanto gli antifascisti, perché di fascisti in Germania ce n’era a iosa, scatenò ancora in piena estate la “lotta per il biglietto di ritorno”, come noi qualifichiamo questa situazione. Perché ognuno capiva troppo bene che era considerato fascista chi si permetteva di avere una propria opinione.

 

Nei primi mesi dopo il mio ritorno dal Narev io ero troppo depresso per preoccuparmi dei rimproveri ricevuti. Ma a poco a poco mi resi conto che questi rimproveri non miravano sol­tanto a farmi tacere su ciò che avevo veduto al fronte, ma che ero caduto effettivamente in disgrazia. Il giudizio ufficiale del partito sul mio conto diceva che non ci si poteva fidare politicamente di me, che ero demoralizzato. Vivevo in un ambiente asfissiante. A prescindere da poche eccezioni, i camerati dell’ala sinistra del Comitato per modo di dire della frazione comunista coi quali ero stato fino allora solidale, si affrettarono ad allen­tare le loro relazioni personali con me.

 

Il nucleo centrale di questa frazione comunista nella casa era formato dal triumvirato Homann, Vincenz Müller e Arno von Lenski. I due generali avevano frequentato nell'inverno 1944 la scuola antifascista ed erano ritornati a Lunovo comunisti con­vinti. Hoffmeister non poté prendere parte a questo corso, per­ché le sue condizioni di salute erano molto peggiorate. Nell’in­verno una paralisi lo mise completamente fuori combattimento.

Müller si era adattato alla mentalità comunista con una rapi­dità che sorprese perfino quelli di noi che avevano personalmente provato quale attrattiva possa esercitare questa teoria su uomini che per la loro origine e la loro educazione appartenevano all’altra sponda.

 

Müller era considerato uno dei più capaci generali di stato maggiore dell’esercito. Assomigliava esteriormente a Vlassov. Sapeva essere altrettanto cortese e arrendevole, obbligante come energico e deciso. Una volta era stato cattolico e ardente monar­chico. Come ex aiutante di Schleicher, il 20 luglio 1932 aveva provveduto alla destituzione del governo social-democratico della Prussia nel terzo distretto. Accanto a Hoffmeister era l'unico generale prigioniero che avesse una esperienza politica. Era l’esperienza politica di quel partito militare tedesco che il suo amico Hoffmeister aveva così aspramente attaccato nei suoi ar­ticoli. Essa culminava nelle teorie machiavelliche, nella fred­dezza e nella spregiudicatezza di una politica realistica di pre­dominio, che distingueva la scuola di Seeckt. Müller sapeva come Hoffmeister che i successi ottenuti dal partito militare, dietro le quinte della Repubblica di Weimar, erano indissolubilmente legati con la combinazione politico-militare che aveva unito gli ex ufficiali dell’Imperatore e nemici mortali della rivoluzione coi comandanti dell'armata rossa sui campi di esercitazione sovietici, sui campi di aviazione dell'arma aerea rossa e nelle fabbriche d'armi di Charkov e di Tula. Conosceva altresì il punto debole di questa politica, cioè la mancanza di una ideologia che facesse presa sulle masse. Sicché dopo un ultimo tentativo di Schleicher di rinnovare attraverso i sindacati il matrimonio d’interesse tra la democrazia sociale e la casta militare, concluso nell’anno 1919 ma ben presto rotto, essa dovette capitolare di fronte ai successi demagogici di Hitler.

 

Non v’è perciò da meravigliarsi che anche Müller di fronte all’attuale catastrofe intraveda l’unica possibilità politica per la Germania in una ripresa della politica filorussa da parte della casta militare appoggiata questa volta sulle masse comuniste.

 

Il più semplice e rettilineo di questo triumvirato è Arno von Lenski. Egli personifica la tradizione della cavalleria prussiana per origine ed educazione. L’elegante e cavalleresco sportivo dalla capigliatura brizzolata, che avrebbe fatto una bellissima figura sotto il tricorno federiciano, era caduto in prigionia a Stalingrado quale comandante della 24 divisione carristi, la quale, avendo fra gli ufficiali prevalentemente nomi di antica nobiltà, era considerata dai nazisti reazionaria. Ma soltanto nella primavera 1944 era passato al Comitato come indipendente. Egli seppe però giustificare dignitosamente il suo passo con una dichiarazione sincera e virile. Tuttavia non trovò nessuna eco tra gli ufficiali già da lui dipendenti, internati nel campo di Jelabuga.

 

È possibile che l’influenza che aveva su di lui il suo ufficiale d’ordinanza Jesco von Puttkamer abbia pesato sulla sua deci­sione, come pure il fatto che probabilmente i russi tentarono con lui un esperimento, trattandolo non soltanto con abilità psicologica e correttezza ricercata, ma isolandolo per alcune settimane in una villa lussuosa insieme con Puttkamer. La spe­ranza di una rinascita nazionale della Germania al fianco dell’Unione Sovietica lo aveva portato nel nostro campo. Un altro motivo che influì sulla sua decisione fu quello di sentirsi colpevole di appartenere a una casta che considerava come suo pri­vilegio avere la direzione militare e politico-sociale del paese, ma che non era più in grado di mantenerla.

 

Un’altra frazione della casa era chiamata "cristiano-sociale", sotto la guida di Martin Lattmann. Appartenevano a essa Korfes, Steidle, von Frankenberg, van Hooven e il dott. Czimatis. Anche Lewes Litzmann si spacciava per socialista-cristiano. Si dichia­ravano volentieri e in ogni occasione non marxisti o addirit­tura anti-marxisti, per seguire poi con maggior sicurezza la falsariga comunista. Lattmann sperava probabilmente di essere più prezioso ai russi come non-marxista. E questa speculazione lo aveva portato a continue incertezze e contraddizioni con se stesso. Questo gruppo si distingueva in genere per una sorpren­dente mancanza di sincerità con se stessi. Tutti li chiamavano gli “strofinatori”, perché si dimenavano sui loro sedili ogni qual­volta nelle discussioni le richieste comuniste li mettevano in imbarazzo, sia interiore che esteriore. Si potevano considerare di questa frazione anche i pastori evangelici, sebbene come cap­pellani avessero una posizione speciale e ritornassero in Ger­mania già nel 1945. I sacerdoti cattolici invece erano gli unici della casa che, a onta dei vari compromessi tattici da essi ope­rati, dicevano di no, quando si pretendeva da loro ciò che coz­zava contro i principi della fede cattolica.

 

C'erano inoltre di quelli che propendevano per la democrazia sociale. A questi appartenevano il capitano Fleischer e i suoi amici, e con qualche tentennamento anche il maggiore Hetz. Tuttavia essi dovevano essere ancora più cauti dei comunisti all’opposizione. Poiché essere social-democratici dichiarati, dun­que “contrari all’unità della classe operaia”, era la più ripro­vevole eresia di cui ci si potesse rendere colpevoli, anche se soltanto in teoria, come avveniva qui.

 

Finora non abbiamo potuto capire perché il Comitato nazio­nale non sia stato sciolto subito dopo il 9 maggio, sebbene fosse completamente campato in aria. Probabilmente i sovietici volevano tenerlo ancora in riserva, finché non si fossero since­rati se le potenze occidentali intendevano formare un Governo tedesco. Pieck e Weinert ci avevano promesso l’imminente rim­patrio di settimana in settimana, di mese in mese; il rimpatrio dei generali non era per il momento possibile per ragioni di politica estera. Ma quando anche la conferenza di Potsdam, alla fine della quale era stata rimandata la partenza, non portò alcun cambiamento nella nostra posizione, e la radio trasmittente e il giornale parlavano a vuoto poiché non avevano nessun con­tatto coi campi prigionieri e neppure con la Germania, sei di noi fecero un ultimo tentativo di ricostituire la solidarietà della casa e di ottenere con un passo comune presso i sovietici e i fuo­rusciti, che la nostra posizione venisse chiarita. Presentammo una proposta a Weinert chiedendo la convocazione di una seduta plenaria nella quale speravamo di venire a conoscenza delle in­tenzioni sovietiche in merito al Comitato nazionale. Inoltre chie­devamo che il Comitato discutesse le proposte e le richieste da avanzare ai russi, qualora il Comitato nazionale dovesse conti­nuare a esistere.

 

Proponemmo i seguenti punti nell'ordine del giorno:

 

a) Esposizione esauriente da parte del signor presidente della situazione politica della Germania e delle intenzioni dei russi in merito al Comitato nazionale (eventualmente con l'aggrega­zione di un referente adatto).

 

b) Discussione sulla situazione politica in Germania e sulle possibilità da parte del Comitato nazionale di svolgere nelle attuali condizioni una attività politica.

 

c) Determinazione della posizione da prendere nei riguardi del programma del fronte unitario in Germania e di quello dei partiti, chiarendo il quesito se i membri del Comitato nazionale potessero aderire a un partito e se ciò poteva essere reso di pubblica ragione.

 

d) Possibilità di procurarsi materiale recente in Germania e nei campi di prigionieri per scopi politici. Esame di una pro­posta d’urgenza per ottenere il permesso di conoscere e di stu­diare più da vicino la vita dell’Unione Sovietica (come ci era stato ripetutamente promesso per il dopoguerra).

 

e) Discussione sulla composizione del Comitato nazionale e sull'aggregazione di nuovi collaboratori, chiarendo:

 

1) se i membri del Comitato nazionale distaccati nei vari campi di prigionieri per ulteriori lavori potevano essere chiamati nuovamente nella casa di Lunovo per completare il Comitato nazionale;

 

2) quali relazioni e collegamenti esistessero attualmente tra il Comitato nazionale e i suoi componenti mandati in Germania e se questi potevano essere perfezionati;

 

3) se era possibile riprendere il lavoro delle monografie ideologiche (del tipo in uso nella scuola) scegliendo collaboratori adatti nei campi prigionieri e nel settore civile.

 

Per quanto nelle attuali condizioni fossero comprensibili i calcoli e le considerazioni personali, ci sembrava venuto il momento di dedicarci nuovamente e più intensamente alle nostre specifiche mansioni e di prendere più seriamente in considerazione le re­sponsabilità da noi assunte verso i seguaci del nostro movimento. I proponenti erano della opinione che una seduta plenaria non potesse pregiudicare le decisioni delle autorità sovietiche. Rite­nevano che un chiarimento delle questioni insolute secondo il punto di vista tedesco sarebbe stato senza dubbio ben accetto anche alle autorità russe e avrebbe facilitato loro una presa di posizione di fronte al Comitato nazionale o di un eventuale suc­cessore dello stesso. Firmati: Conte Einsiedel, Fleischer, Gerlach, Hetz, Kaiser, Steidle.

 

In fin dei conti noi desideravamo una decisione chiara e ine­quivocabile. Sciogliere il Comitato garantendo il rimpatrio ai suoi membri e collaboratori (decisioni che dovevano essere pub­blicate contemporaneamente) o precisare i suoi diritti e i suoi doveri come rappresentanza ufficiale dei prigionieri di guerra nell'Unione Sovietica. Ma avevamo fatto bene a formulare que­ste intenzioni con grande cautela. Gli iniziatori della proposta erano riusciti a ottenere facilmente la firma di Kaiser, come rap­presentante dei cappellani cattolici, e quella di Steidie, un po’ fantastico ma sempre corretto e pieno di coraggio civile. Ma quando ci rivolgemmo al cappellano Schroder, come rappresen­tante dei pastori evangelici, per pregarlo di aderire alla nostra proposta, egli impallidì dal terrore. Abbandonò la stanza tre­mando e balbettando per l’eccitazione e corse subito dal mag­giore Homann per consultarsi con lui sul modo di tenersi quanto più lontano possibile dalla nostra azione. Temeva di poter essere sospettato per il solo fatto che noi avevamo rite­nuto possibile che egli firmasse una simile proposta. Pochi minuti dopo questo colloquio con Homann si diffuse la voce di un nuovo affare Huber, di un tentativo di dividere il Comitato, di una provocazione e di un ricatto all’Unione Sovietica in una complicata situazione di politica estera. Naturalmente la nostra situazione divenne pericolosa. Se i russi avessero fatto propria questa denunzia indiretta, dovevamo essere preparati a tutto. Grazie al cielo avevamo informato Schróìoder delle nostre inten­zioni soltanto il giorno prima della seduta dell’esecutivo, sicché forti della nostra proposta scritta potemmo protestare indignati presso Weinert contro questo tentativo, prima che l'ufficiale po­litico della casa o Weinert stesso potessero ricevere istruzioni da Mosca sul modo di contenersi in questa faccenda. Cosí Wei­nert non poté far altro che salutare la nostra proposta come “la tanto attesa iniziativa democratica di alcuni membri del Comitato nazionale” e di concedere la convocazione di una se­duta plenaria del Comitato. Naturalmente questa seduta fu ri­mandata in seguito di settimana in settimana. Soltanto al prin­cipio di novembre comparve improvvisamente Weinert nella ca­sa e mi venne incontro a braccia aperte: « Heinrich, fra tre giorni sarete a casa. Domani sarà sciolto il Comitato nazionale ». Que­sto balordo inganno bastò per eliminare ogni discussione sulle condizioni dello scioglimento del Comitato. Né un singolo né un gruppo osò chiedere o incominciare una discussione in merito. La possibilità che la promessa di Weinert di rimpatriarci entro tre giorni fosse vera tolse alla maggioranza della casa il coraggio di pregiudicare il proprio ritorno con un’opposizione intempestiva. Cosi il Comitato si sciolse all’unanimità e i suoi membri esposero sé e i loro aderenti dei campi - praticamente tutti i prigionieri - spontaneamente e senza condizioni all’arbitrio dei russi. I sei firmatari della proposta vennero a sapere in seguito con una certa amarezza che Weinert aveva ottenuto lo sciogli­mento della casa richiamandosi espressamente alla loro proposta.

 

I membri e i collaboratori del Comitato venivano ora prelevati ogni notte dalla NKVD nei loro letti e, qualora figurassero sulla lista degli aspiranti al rimpatrio, esaminati con minuziosi inter­rogatori per vedere se erano adatti al rimpatrio. Anche uomini come Homann, il quale ancora nell’estate aveva altezzosamente osservato al signor Ulbricht di pretendere un alto prezzo per la sua collaborazione politica nella zona occupata dai russi, per­dettero la calma dei nervi.

 

La tensione raggiunse il colmo quando un giorno fui chiamato anch'io dal commissario Saveliev, che per una parziale paralisi era chiamato comunemente lo zoppo, e che era uno degli specia­listi della NKVD per gli interrogatori degli ufficiali appartenenti alla nobiltà conservatrice e ai ceti sociali prossimi all’esercito. Negli anni precedenti aveva persuaso più di uno di loro a orien­tarsi verso la Russia. Saveliev mi accolse alla presenza di Lewes Litzmann, del maggiore von Frankenberg e di Jesco von Putt­kamer.

 

« Dunque è molto malcontento, signor Einsiedel? » mi chiese calcando ogni parola, ma senza guardarmi in faccia. Io non lo negai.

 

« Signor von Einsiedel, si ricordi che vi sono treni in partenza anche per l’Oriente! »

 

I suoi occhi tondi dalle palpebre carnose si volsero lentamente verso di me e un sorriso appena percettibile sfiorò le sue labbra. Io guardai Puttkamer che stava osservando Saveliev con l'im­passibilità di un giocatore di poker. Frankenberg arrossi per poi impallidire come un cencio. Lewes Litzmann non po­té nascondere la sua gioia maligna. Io ne fui atterrito. Non mi constava che una minaccia così aperta fosse stata fatta a qual­che altro membro della casa alla presenza di testimoni. Soltanto a stento potei conservare la mia calma. « Non ne ho mai dubi­tato, signor Saveliev » gli risposi più disinvolto che potei. « Cha­rasciò » rispose Saveliev e abbandonò la stanza.

 

« È stato chiaro » esclamò Frankenberg eccitato. « Le ho sem­pre detto, Einsiedel, che lei parla troppo. Con la sua proposta si è messo in un bel pasticcio. » E se ne andò. Frankenberg provvide a diffondere la notizia nella casa. La sua soddisfazione più grande era quella di correre da una stanza all'altra e di go­dersi l’effetto che facevano le novità che poteva raccontare, si trattasse di una notizia sensazionale come questa, oppure dell’ultimo scontro fra due ospiti della casa, che diventavano sempre più isterici.

 

Litzmann si diverti a parlarmi bonariamente: « Ciò non ha nessuna importanza. È stato solo per spaventarti, ma non la pensa così ». « Lei saprà certamente quello che pensa » gli ri­sposi ambiguamente. Il suo compagno di camera Puttkamer, l'unico della casa col quale osavo ancora parlare apertamente, mi aveva da tempo informato che Litzmann aveva ogni notte abboccamenti con la NKVD.

 

La minaccia pubblica che mi era stata fatta non mancò al suo scopo. Da allora in poi regnò la calma nella casa. Ognuno cercò di evitare le discussioni politiche o di intrattenersi sulla nostra sorte o quella dei prigionieri di guerra. Giocavamo a bridge, studiavamo il russo e passeggiavamo sul Kliasma gelato lasciando le orme dei nostri passi sulla neve.

 

Un ultimo trasporto parti per la Germania. Partirono con esso oltre ai cappellani evangelici il sovraintendente Krumma­cher, Schröder e Sönnichsen, anche Lewes Litzmann e con sor­presa generale perfino due firmatari della proposta, il cappel­lano Kaiser e il colonnello Steidle.

 

Ci venne tolto l’apparecchio radio, l’unico mezzo di collega­mento col mondo oltre le Isvestia. Anche i giornali che riceve­vamo di quando in quando dalla zona sovietica della Germania furono soppressi. Weinert si congedò e parti per la Germania. Il Comitato nazionale era definitivamente morto.

 

 

25 maggio 1946

 

Stamane ci viene improvvisamente comunicato che la casa del Comitato nazionale deve essere abbandonata. Il Governo dell’Unione Sovietica ha sospeso le leggi speciali del periodo della guerra e l’edificio deve essere restituito al Sindacato, che prima del­la guerra se ne era servito come casa di soggiorno e ricreazione.

 

Gli inquilini della casa vengono divisi in due gruppi. Vana­mente cerchiamo di renderci conto del punto di vista seguito in questa divisione. Ma non si riesce a capire se la divisione sia dovuta alla fiducia e alla benevolenza o alla diffidenza che ogni singolo gode presso la NKVD. Io faccio parte del gruppo dei generali Seydlitz, Korfes e Lenski, di Homann, Stósslein, Fran­kenberg, Fleischer, Puttkamer, l’aiutante di Paulus colon­nello Adam e alcuni altri ufficiali.

 

Siamo destinati al campo n. 48, a 300 chilometri a nord-est di Mosca in vicinanza di Ivanovo.

Due autocarri si fermano davanti alla casa, sui quali veniamo stipati come aringhe. «I salvatori della Germania vengono au­tocarrati » bisbiglio a Puttkamer, giacché ormai non ci resta che far dell’ironia su noi stessi. Gli eterni incorreggibili però, capeggiati da Homann, avrebbero preferito rivolgere anche in questa occasione un ringraziamento ai sovietici, perché con tan­ta generosità e gratuitamente « ci avevano messo a disposizione la casa per la nostra lotta di liberazione nazionale ». Ma anche essi tacciono e fanno buon viso a cattivo giuoco.

 

Soltanto uno perde le staffe: il mancato padre della patria; il generale di artiglieria Walter von Seydlitz-Kurzbach. Quando il comandante russo della casa, un bonaccione veramente inno­cente in tutta questa faccenda, si rivolge a lui con la solita do­manda russa: « Come sta? », Seydlitz mormora « Ocen » e poi si mette a gridare sempre più forte con quanto fiato ha in gola: « Ocen, ocen, ocen charasciò... molto, molto, molto bene ».

 

 

CREDITO
Heinrich Graf von Einsiedel, Tentazione dall’oriente (Tagebuch der versuchung), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1953

 

 

 Comitato Nazionale Libera Germania (Nationalkomitees Freies Deutschland, NKFD)

 

 

 

 

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