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San Giorgio a Tobruk

Regia Nave incrociatore corazzato San Giorgio Tobruk 1941


RELAZIONE UFFICIALE DEL COMANDANTE DELLA R. NAVE « SAN GIORGIO »,
CAPITANO DI FREGATA STEFANO PUGLIESE,

SULLE ULTIME ORE DELLA NAVE

 

I

PREMESSA

 

Prima di esporre gli avvenimenti verificatisi nei giorni 21 e 22 gennaio 1941, il cui insieme costituisce l'azione di guerra nella quale io venni fatto prigioniero, allo scopo di rendere maggiormente chia­ra la linea di condotta da me tenuta in tali circostanze, ritengo ne­cessario accennare per sommi capi all'impiego che era stato previsto per la Nave San Giorgio in caso di attacco da parte del nemico, dal Comando della Piazzaforte di Tobruk e della Base Navale di To­bruk.

 

a) Funzione principale della R. Nave San Giorgio era quella di Batteria posta a difesa del Fronte a Mare (F.A.M.). Pertanto qual­siasi partecipazione della San Giorgio alla difesa del Fronte a Terra (F.A.T.) doveva essere subordinata al fatto che la predetta, essen­ziale funzione della Nave non avesse a risentirne.

 

b) La San Giorgio per nessuna ragione doveva essere impegnata contemporaneamente nel tiro verso il mare e nel tiro verso terra, sia perché le sistemazioni interne della Nave non permettevano la condotta e la direzione del tiro da ambo i lati, sia perché sulla Nave non si disponeva di personale sufficiente per armare tutta l'artiglie­ria di grosso calibro.

 

c) Il tiro dei cannoni G.C. della San Giorgio verso il F.A.T. doveva essere considerato come tiro d'interdizione lontana. Esso sarebbe stato richiesto solo in caso di assoluta e urgente necessità (e ciò soprattutto perché la dotazione di munizioni di grosso calibro della Nave, specie per il 254, era piuttosto scarsa: 60 granate dirompen­ti e 45 granate perforanti per ogni pezzo. Ne derivava quindi che, essendo le granate perforanti inutilizzabili nel tiro verso terra, un forte consumo di granate dirompenti verso il tiro F.A.T. sarebbe andato a detrimento della disponibilità di munizioni per la difesa del F.A.M.).

 

Alla San Giorgio erano stati assegnati pertanto 7 obiettivi lontani, contraddistinti con le lettere SG 1 - SG 2 - SG 3 - SG 4 - SG 5 -SG 6 - SG 7. Tutti questi obiettivi erano a distanze comprese fra i 16.000 e i 18.000 metri, fuori perciò della cinta fortificata di To­bruk. Il tiro su tali obiettivi doveva essere diretto a mezzo di os­servatori sistemati a terra, dato che la visibilità diretta della Nave verso terra era limitatissima a causa delle alture che sovrastano la rada. Nessun altro concorso era previsto per la San Giorgio verso il F.A.T.

 

d) La San Giorgio partecipava con le sue artiglierie alla difesa con­traerea della Piazzaforte. Negli ultimi tempi però la potenzialità del tiro c.a. della San Giorgio era fortemente diminuita dato che, in seguito allo scoppio di alcuni cannoni, solo tre complessi binati era­no rimasti efficienti su cinque. E di essi, salvo in ristrettissimi set­tori, solo due potevano sparare contemporaneamente.

 

e) Una richiesta di far partire la Nave, fatta negli ultimi giorni, non era stata accolta. Pertanto era stato stabilito che la Nave dovesse rimanere al suo posto per partecipare alla difesa ad oltranza della Piazzaforte.

 

Cosi stando le cose, poiché era stato ritenuto opportuno non far togliere le reti parasiluri che cingevano completamente la Nave, e poiché la manovra di uscita dal porto (dato il modo in cui la San Giorgio era ormeggiata) sarebbe stata laboriosa e complicata, nella deprecata ipotesi che la Piazzaforte e la Base fossero state occupate dal nemico (e la Nave fosse rimasta illesa), si doveva escludere che essa potesse tentare negli estremi momenti di prendere il mare. In tal caso, al fine di non far cadere la Nave intatta in mano al nemico, non rimaneva che farla saltare in modo completo, essendo impos­sibile affondarla dati i bassi fondali sui quali galleggiava. (La Nave aveva in media un metro d'acqua sotto la chiglia.) Né c'era da pen­sare a rimorchiare la Nave in fondali più forti dato che ciò avrebbe presupposto la rimozione delle reti parasiluri e una laboriosa ma­novra di disormeggio, operazioni lunghe e impossibili ad eseguirsi negli ultimi, critici momenti, specie sotto il fuoco nemico.

 

 

 Regia Nave incrociatore corazzato San Giorgio Tobruk 1941

 

 

II

ATTACCO INGLESE ALLA PIAZZAFORTE DI TOBRUK
E DISTRUZIONE DELLA NAVE

 

1) Poco dopo la mezzanotte del 20 gennaio 1941, senza che fosse stato dato alcun allarme né dal Comando F.A.M. né dal Comando della Base M.M., dalla San Giorgio fu scorta un'improvvisa vampata che squarciò le tenebre in direzione nord-nord-ovest. La vam­pata, che era quella caratteristica emessa da una bordata sparata da cannoni navali, fu seguita a qualche decina di secondi dal fragore di una detonazione. Il nemico iniziava un bombardamento navale notturno contro la cinta fortificata di Tobruk, infatti alla prima bor­data altre ne seguirono. Dapprima il ritmo fu piuttosto lento; ben presto però divenne serrato e le bordate si susseguirono a breve intervallo.

 

Il rilevamento vero delle vampate era di circa 310° dalla San Gior­gio; la loro distanza approssimata, giudicata ad occhio, di circa 20.000 metri.

 

Apparentemente l'obiettivo nemico doveva essere il tratto di cinta fortificato nei pressi di Sahel, ma in effetti il tiro, forse per l'oscu­rità, fu mal diretto e tutti i proiettili caddero e scoppiarono al di fuori della cinta fortificata, in una zona alquanto ristretta il cui centro trovavasi pressappoco a 14 km a ponente della Batteria Bellotti. Il predetto bombardamento (che si ebbe l'impressione fosse eseguito dai cannoni da 381 di un monitore tipo « Terror »), prati­camente non fece danni pur essendosi protratto per oltre una qua­rantina di minuti. (Iniziato poco dopo la mezzanotte, ebbe fine poco prima delle ore una del 21 gennaio.) Nessuna delle batterie navali reagì. Alla San Giorgio non venne richiesto alcun intervento né, volendo, essa avrebbe potuto intervenire con i propri cannoni, sia perché le navi nemiche si trovavano in un settore morto, sia perché esse erano fuori portata, e sia infine perché la San Giorgio non aveva alcuna possibilità di eseguire un tiro notturno di una qualsiasi ef­ficacia.

 

All'attacco navale notturno (l'unico che si verificò durante il periodo in cui rimasi a Tobruk), segui poco dopo un violento bombarda­mento aereo, effettuato a ondate successive sulle Opere della cinta fortificata. L'azione durò fino quasi alle ore 3, dopo di che suben­trò una calma quasi assoluta. Tali azioni facevano prevedere qual­che cosa d'insolito nella attività nemica, ma d'altra parte: nulla mi fu segnalato che mi inducesse a pensare che un attacco alla Piazza­forte fosse imminente.

 

2) Alle 5.30 circa un violentissimo fuoco d'artiglieria si sca­tenò sia nel settore orientale che su quello occidentale della cinta fortificata. Il fuoco, intenso per circa un'ora, accennò a diminuire verso le 6.30.

 

Per telefono feci chiedere al Comando della P.F. se ci fossero no­vità. Mi fu risposto che non c'era nulla di nuovo. Il cannoneggia­mento che si sentiva era solo un fuoco di controbatteria eseguito per mettere a silenzio le batterie nemiche che tiravano sulle nostre linee. Dato che negli ultimi giorni tali azioni di fuoco avvenivano spesso al mattino, non diedi alla comunicazione eccessiva importanza.

 

Nessun'altra notizia mi fu data fino alle 7.50, quando una comunicazione telefonica urgente del Comando Artiglieria della P.F. richiedeva l'apertura immediata del fuoco d'interdizione da parte

della San Giorgio sull'obiettivo SG 3 (zona tra Bir Junes e Dar el-Azazi).

 

Alle 8.05 la San Giorgio apri il fuoco con la torre poppiera da 254 e le due torri da 190 di sinistra (due cannoni da 254 e quattro da 190). Partita la prima salva, come stabilito in precedenza, il Direttore del Tiro della San Giorgio aspettava la comunicazione degli scarti dall'osservatorio della P.F. onde correggere il tiro. Dato che questi scarti tardavano ad arrivare, chiesi personalmente per telefono al Comando Artiglieria della P.F. i motivi del ritardo. All'altro

estremo della linea mi rispose un ufficiale del predetto Comando, con voce alquanto eccitata: « Gli osservatori sono stati travolti! Sparate sparate, il nemico è già al didentro della nostra linea di

difesa! ».

 

Fu questa la prima notizia che io ebbi dell'attacco nemico, e quel ch'è peggio, del fatto che il nemico aveva fatto irruzione attraverso le nostre linee e stava dilagando nell'interno della cinta fortificata.

 

Caduti gli osservatori non c'era possibilità di avere un'idea nemmeno approssimativa dell'andamento del tiro, anche perché mi resi conto che in quel momento al Comando Artiglieria della P.F. regnava una certa preoccupazione e poca attenzione si poteva prestare alla San Giorgio. In tale situazione la direzione del tiro diveniva quasi impossibile, in quanto non si aveva un'idea di dove i colpi andassero a finire. Ordinai pertanto al D.T. signor Del Pin che il tiro venisse effettuato a strisce, e cioè sparando gruppi di salve per una serie di alzi scalati di 200 in 200 metri nella direzione fissa indicatami, in modo da coprire una zona di un migliaio di metri. Si capisce che un tale tiro era di efficacia alquanto dubbia e pertanto, allo scopo di non consumare munizioni di grosso calibro di cui, come ho già detto (specie per il calibro 254) io avevo scarsezza e che dovevo serbare per un eventuale attacco dal mare, dopo le prime quattro salve feci sospendere il fuoco alla torre poppiera da 254 e continuare il fuoco con i quattro pezzi da 190. Furono, cosí sparate una quarantina di salve dalla torre poppiera e una trentina da quella prodiera, dopo di ché, preoccupato per la scarsa disponibilità di munizioni, feci chiedere al Comando della P.F. se l'intervento della San Giorgio era efficace e se l'azione di fuoco dovesse continuare, facendo presente nello stesso tempo che, seguitando a sparare con lo stesso ritmo, la Nave sarebbe rimasta in breve senza munizioni.

 

Dopo le ore 8.30 mi pervenne dal Comando Artiglieria della P.F. l'ordine di sospendere il fuoco.

 

 

3) Verso le ore 9 da bordo si videro i primi incendi elevarsi da qualche edificio della Base Navale. Il primo ad ardere fu il capannone Armi Navali. Poco più tardi il piroscafo Liguria, in secco a qualche migliaio di metri dalla San Giorgio, era in preda alle fiamme. Tale fatto mi colpi poiché non avevo ancora un'idea esatta della situazione. Avevo ormai capito che il nemico era penetrato nella cinta fortificata e che qui si combatteva, ma non pensavo che la situazione della Base fosse diventata già tanto critica da doversi procedere alle distruzioni.

 

Poco più tardi vidi svilupparsi qualche altro incendio e scorsi di­stintamente che si facevano saltare i pontili di approdo. Telefonai al Capo di S.M. della Base per avere notizie, ma dalla risposta avuta non riuscii a dedurre nulla di preciso. Riuscii ad afferrare soltanto che quelle distruzioni erano una misura precauzionale.

 

 

4) Il fuoco effettuato dalla San Giorgio con i suoi cannoni na­vali verso terra provocò su di essa una reazione intensa da parte dell'aviazione nemica. Mentre fino ad allora questa aveva lasciato la San Giorgio quasi indisturbata, verso le ore 9.30 una serie di at­tacchi incalzanti furono portati sulla Nave. La San Giorgio si di­fendeva con soli quattro pezzi da 100 (di cui soltanto due potevano sparare contemporaneamente); d'altra parte notai che dalle ore 8 in poi una parte delle batterie contraeree del settore orientale erano diventate insolitamente inattive. (Più tardi mi resi conto che erano alle prese col nemico, che le aveva investite da terra e dal quale, nel pomeriggio, furono travolte insieme all'intero settore orientale e meridionale.)

 

Tutto ciò faceva sì che gli attacchi aerei nemici venissero portati con alquanta disinvoltura, e mi faceva temere che, data la loro in­sistenza, potessero mettere fuori causa la Nave, infatti le bombe ca­devano numerose nei pressi della San Giorgio e diverse caddero proprio in prossimità degli sbarramenti. Non riuscendo a mettermi in contatto col Comando Dicat, telefonai al Comando Base chie­dendo che le batterie c.a. fossero più attive, dato che l'aviazione nemica aumentava sempre di aggressività. Mi fu risposto che tutte le batterie sparavano al completo. La cosa, a quanto potevo con­statare con i miei occhi, non rispondeva alla realtà, ma capii che in un momento come quello era inutile insistere.

 

(Verso le ore 10.30 gli attacchi aerei sulla San Giorgio cominciarono a diminuire.)

 

 

5) Poco prima delle ore 10 fui chiamato al telefono dall'Ammi­raglio della Base. Mi disse che la situazione stava diventando grave e mi chiese se potevo sbarcare il personale da me ritenuto non in­dispensabile alla difesa della Nave. La richiesta mi sorprese, non afferrandone lo scopo né il senso. Risposi che se la situazione era già talmente critica da dover pensare alla distruzione della Nave, allora bisognava sbarcare tutto l'equipaggio e provvedere subito alla messa in atto delle operazioni di distruzione.

 

Se così non era e la Nave doveva continuare a combattere, allora bisognava che tutti restassero a bordo.

 

In poche parole la Nave costituiva una unità organica di combatti­mento e pertanto, per ovvie ragioni sia di carattere militare che di carattere etico e morale, o dovevo sbarcare tutto il personale o tutti dovevano restare al loro posto. Infatti, per poter materialmente tenere la Nave in condizioni di combattere, io dovevo mantenere la gente al posto di combattimento, e per il funzionamento dei ser­vizi di combattimento avevo bisogno di tutto l'equipaggio.

 

Dal punto di vista etico-morale poi, lo sbarco di una parte dell'equi­paggio avrebbe significato scuotere la fede e l'anima di coloro che restavano sulla Nave, tanto più che a bordo, in quel momento, nessuno tranne me sapeva che la situazione stava diventando cri­tica.

 

In base alla mia risposta l'Ammiraglio decise che nessuno sbarcasse e ognuno restasse al proprio posto.

 

 

6) Alle ore 10.30 circa, su richiesta del Comando Artiglieria della P.F., ebbi ordine dal Comando della Base di sparare qualche salva sulla rotabile per Derna (obiettivo SG 7). Alle ore 10.40 feci aprire il fuoco con la torre prodiera da 254 e con la torre da 190 di prora sinistra. La torre da 254 sparò quattro salve e venti ne furono sparate dalla torre da 190. Anche questa volta i tiri, per mancanza di osservazione degli scarti, furono eseguiti alla cieca e a zone. Non ho quindi potuto avere mai un'idea della loro ef­ficacia.

 

 

7) Alle ore 11 una bomba d'aereo, caduta a pochissima distanza dalla prora della San Giorgio, ruppe il cavo telefonico con la terra. Da quel momento io rimasi completamente isolato con le comuni­cazioni. È bensì vero che disponevo di un radiosegnalatore il quale, in previsione che il telefono venisse a mancare, nei giorni passati era stato messo in perfetta sintonia con la stazione R.T. della Base, ma al momento opportuno non potei servirmene perché tale stazione R.T., per il disordinato traffico radiotelegrafico del giorno 21, mai rispose alle chiamate del radiosegnalatore, né mai chiamò la San Giorgio. L'unico collegamento R.T. che mi restava era quello col

Comando Artiglieria della P.F., collegamento che io dovevo usare esclusivamente ai fini del tiro. Alle ore 12 feci chiedere al predetto Comando Artiglieria se c'erano novità per la San Giorgio: mi fu risposto che non c'era nulla di nuovo e mi si dava appuntamento R.T. per le ore 14. Ma né alle 14 né alle ore successive il Comando Artiglieria rispose mai. (Supposi che doveva essere caduto in mano nemica.)

 

 

8) Questo isolamento, sebbene prevedibile, era per me fonte di preoccupazione. Nei giorni precedenti l'attacco alla P.F., avevo fatto spesso presente all'Ammiraglio che, qualora tale attacco si fosse verificato, sarebbe stato per me della massima importanza es­sere tenuto, per quanto possibile, al corrente del successivo svi­luppo degli avvenimenti. Ciò perché la posizione della San Giorgio nella rada di Tobruk era, sotto certi aspetti, strana. Agli effetti della difesa e dell'impiego, la San Giorgio era da considerarsi come una qualsiasi batteria fissa, a terra, col grave svantaggio però che es­sendo invece in mare e circondata da alture, il suo raggio di visibilità per quanto si riferiva al F.A.T. veniva ad essere molto limi­tato. Non era perciò possibile seguire quanto avveniva a terra, nem­meno a una distanza relativamente vicina alla Nave. In altri termi­ni, a bordo non ci si poteva formare un'idea neppure approssimata della situazione, e quindi se il Comando della Nave non fosse stato messo a conoscenza degli obiettivi e dei bersagli da battere da parte di qualcuno che seguisse la situazione a terra, difficilmente avrebbe potuto stabilire su chi dirigere il fuoco delle armi di bordo.

 

D'altra parte, agli effetti pratici, la San Giorgio era una nave da guerra che nel caso si fosse manifestato il pericolo estremo di ca­dere in mano nemica, non poteva essere affondata all'ultimo mo­mento per i fondali che non lo permettevano, quindi doveva essere fatta saltare in aria in modo completo.

 

L'operazione di distruzione di una nave non è così facile come quel­la di una batteria terrestre, inoltre richiede un certo numero di operazioni e preparativi per l'esecuzione dei quali necessita di un certo tempo, e se possibile un breve periodo di relativa calma. Men­tre quindi da un lato bisognava che la Nave desse il suo apporto alle operazioni terrestri fino agli estremi momenti, dall'altro occorreva evitare che un ritardo eccessivo nella messa in atto delle operazioni di distruzione facessero correre il rischio che alla fine tali opera­zioni non potessero venire eseguite in modo totale, da mettere cioè la Nave in condizioni di non potere mai più galleggiare. La scelta di tale momento — visto che ormai era stata preclusa alla Nave ogni possibilità di prendere il mare — non era facile. In ogni caso essa presupponeva che, almeno in linea di massima, io fossi tenuto al corrente dell'evolversi della situazione onde potermi regolare nel modo piú giusto, specie data la gravità della decisione che ad un certo momento avrei dovuto assumermi.

 

 

9) Dalle ore 11 fino alle 14 ci fu, per quanto riguarda la San Giorgio, una relativa calma. Gli attacchi alla Nave erano cessati e l'attività aerea nemica fu, nel complesso, meno intensa anche sull'intera area della P.F.

 

Poco dopo le 14 scorsi, da bordo, alcuni carri armati avanzare verso occidente, lungo il costone meridionale della rada. Dietro il costone avanzavano sottili colonne di fanteria. Altre colonne si dirigevano verso levante. Non riuscivo a distinguere se quei carri armati e quelle truppe fossero italiani o inglesi, inoltre il fatto che alcune colonne andassero verso levante mi confondeva ancor più le idee. Nulla sapendo di quanto era successo, stentavo a credere che quel­le truppe potessero essere inglesi, infatti gli inglesi potevano scen­dere con relativa facilità verso il mare nell'interno della rada di Tobruk, ma se così era, le opere del bivio di El Adem e i campi di aviazione T.2 e T.5 dovevano essere già in mano del nemico. (In effetti le cose stavano proprio così: il bivio di El Adem era ca­duto alle 12.30 ed ormai la via diretta su Tobruk era aperta agli inglesi. Alle ore 16 infatti anche la Batteria Tordo cadeva in mano al nemico.)

 

La mia incertezza però non durò a lungo. Verso le ore 15 vidi una parte delle truppe che camminava verso occidente, tentare di scen­dere verso la Batteria Topo (che era circa 1.500 m a sud-ovest della San Giorgio), rimasta completamente isolata, per impadro­nirsene.

 

Non avendo a portata di mano munizioni a granata a percussione per i pezzi da 100 (il munizionamento era stato predisposto per il tiro contraereo, dato che non era affatto prevedibile che io avessi dovuto impiegare i 100 verso terra), diedi ordine di sparare alcune salve con le torri da 190 sulla truppa che scendeva il costone. Ebbi l'impressione che anche la Batteria Topo sparasse sul costone con le mitragliere. L'intervento fu breve ma efficace. Il nemico, dopo aver risposto con raffiche di mitragliatrici verso la Nave, si ritirò in fretta e spari dietro il costone senza più ripetere il tentativo.

 

 

10) Frattanto la situazione restava molto oscura. Non avevo indicazione alcuna su quanto accadeva, ma tutto quanto potevo ve­dere da bordo mi faceva supporre due cose:

a) che la difesa del fronte orientale e meridionale fosse crol­lata o in procinto di crollare;

b) che il nemico si dirigesse ormai senza alcun impedimento su Tobruk.

 

Decisi pertanto verso le ore 15.30 di mandare a terra il Ten. di Vasc. Burattini, 2° Direttore del Tiro, con l'ordine di esporre all'Ammiraglio quanto io avevo osservato da bordo e quali fossero le mie supposizioni in merito. Nello stesso tempo gli ordinavo di chie­dere all'Ammiraglio che mi fossero comunicati la situazione reale ed eventuali ordini in merito.

 

 

11) Alle ore 14.30 erano ricominciati i bombardamenti aerei a ondate, diretti in particolar modo sulla San Giorgio. Io non sono in grado di dire quanti bombardamenti aerei subì la Nave dalle 14.30 alle 17.30. Posso dire che furono molti e condotti con deci­sione e violenza. Ci furono momenti in cui la Nave fu circondata completamente dalle bombe.

 

Lo sbarramento retale che ancora la cingeva, fu in molti punti di­velto e vari tratti di rete affondati. Le sovrastrutture della Nave fu­rono addirittura crivellate dalle schegge. Come già ho detto, l'avia­zione nemica poteva ormai agire con una certa libertà di azione in quanto la reazione c.a. da parte delle Batterie della difesa era al­quanto ridotta. Debbo confessare che ad un certo momento ebbi la sensazione che la Nave non sarebbe sfuggita alla distruzione.

 

Debbo altresí dichiarare che mai come in quel momento potei ap­prezzare appieno le qualità dell'equipaggio della San Giorgio. A terra incendi e colonne di fumo si scorgevano ovunque. L'equipag­gio aveva ormai capito che il nemico, rotte le linee di difesa, avan­zava verso la rada: in altri termini che la situazione era critica. L'aviazione nemica si accaniva particolarmente sulla San Giorgio nell'intenzione chiara di farla finita una buona volta con questa Nave che, nonostante tutti gli attacchi sferrati contro di essa, con­tinuava a far fuoco rabbiosamente. Eppure mai come in quei mo­menti vidi l'ardore dei miei marinai, mai come in quei momenti vidi l'accanimento col quale essi cercavano di moltiplicarsi negli sforzi affinché il fuoco fosse sempre più celere e sempre più nutrito, ad onta della scarsità dell'armamento.

 

Io non so a che cosa attribuire il fatto che la Nave, in quella fase della giornata, non sia stata colpita in pieno. Sono portato a con­cludere che essa fu particolarmente fortunata. Poco dopo le 17 però una bomba cadeva e scoppiava fra gli sbarramenti e lo scafo di prora a sinistra. Nessuna falla si verificò ma alcune lamiere dell'ope­ra viva in corrispondenza del bagnasciuga s'ingobbirono e si scu­cirono. Di ciò ci si rese conto in quanto si verificò una via d'acqua che portò all'allagamento del locale cambusa e di altri piccoli locali di prora. La via d'acqua però non era apparentemente grave. Una decina di marinai e un sottufficiale furono feriti più o meno gravemente dalle schegge di questa bomba.

 

Poco dopo un cannone del complesso di prora, che dalle ore 9 del mattino aveva sparato centinaia e centinaia di colpi, per la rottura del torchio recuperatore restava al rinculo. L'avaria era irreparabile e inutilizzava tutto il complesso. La difesa c.a. della San Giorgio si riduceva cosí a soli quattro pezzi da 100 (un complesso a dritta e un complesso a sinistra, con la possibilità quindi di far fuoco sol­tanto con due pezzi contemporaneamente), ad otto mitragliere da 13,2 e due da 20. Alle ore 17.30 l'attività aerea del nemico comin­ciò a scemare fino a cessare quasi completamente verso le ore 18.

 

 

12) Dopo le ore 18 l'attività aerea cessò del tutto. Ebbi l'im­pressione che anche l'attività sul fronte terrestre andasse scemando. Ho già detto che dalle ore 11 del mattino io ero completamente all'oscuro di quanto stava succedendo. Avevo perduto i contatti con chicchessia. Il Ten. di Vasc. Burattini, mandato a terra alle ore 15.30 non era ancora ritornato a bordo, né era ritornata la « Diesel » che lo aveva portato a terra. Cadde la notte e una calma quasi completa scese sulla rada mentre vasti incendi divampavano nella parte meridionale della cinta della P.F. e sul Liguria che ancora bruciava.

 

Al calar della notte la mia posizione era la seguente:

a) Non sapevo dove fossero arrivati gli inglesi né su quali forze e quale difesa si potesse contare prima che essi penetrassero nella Base Navale. Era chiaro che una volta il nemico fosse entrato nella Base, io non avrei potuto ulteriormente dilazionare la distruzione della Nave.

 

b) Se di giorno una vaga idea di come andassero le cose potevo farmela con quanto vedevo direttamente con i miei occhi, di notte non avrei visto né avrei potuto rendermi conto di nulla.

 

c) Non avevo un'idea qualsiasi di quali bersagli dovessi bat­tere né da chi potessero venirmi indicati perché nessuno più comu­nicava con me. In breve, non sapevo dove stessero gli italiani e dove stessero gli inglesi.

 

d) Da quel poco che avevo potuto scorgere nelle ultime ore del giorno, avevo l'impressione che ormai gli inglesi stessero per en­trare nell'abitato di Tobruk. Ora, da quel che sapevo, se le difese del fronte orientale e meridionale fossero crollate, e tutto m'indu­ceva a pensare che .ciò era già avvenuto, poco o nulla sarebbe ri­masto a difesa della Base Navale e della lingua di terra che si pro­tende verso Tobruk, salvo le poche ed isolate Batterie della R. Marina. L'occupazione di tale lingua di terra e della Base era ormai questione di ore.

 

e) Anche ammesso che io fossi riuscito ad accorgermi quando gli inglesi stavano entrando nella Base, avrei potuto sparare sulla Base stessa che sapevo rigurgitante di nostri uomini?

 

f) Io non ero in condizioni di eseguire, in alcun modo, il tiro notturno con nessun pezzo di grosso calibro, ma anche se avessi saputo dove sparare, qualunque cosa succedesse durante la notte, io avrei dovuto restare inattivo, a meno di non sparare alla cieca.

 

g) La mia difesa c.a. si limitava ormai a quattro pezzi da 100 e a poche mitragliere, d'altra parte ho già detto che, ad eccezione della Topo, sulle Batterie a sud della rada non si poteva piú con­tare. Inoltre, col sorgere della luna, mi attendevo un'intensa ri­presa degli attacchi aerei nemici.

 

 

 Regia Nave incrociatore corazzato San Giorgio Tobruk 1941

 

Regia Nave incrociatore corazzato San Giorgio Tobruk 1941

 

 

13) Poco dopo le ore 19 il Ten. di Vasc. Burattini ritornò fi­nalmente a bordo con una lettera dell'Ammiraglio. Tale lettera, di due facciate, diceva in sintesi quanto segue:

 

a) Il Comando della Piazzaforte era caduto. La situazione della Base era critica.

 

b) Si faceva appello ai sentimenti di tutti perché facessero fino all'ultimo il proprio dovere.

 

c) Poiché egli prevedeva di trovarsi in condizioni tali da non essere in grado di inviarmi ulteriori ordini, lasciava a me, in rela­zione allo svilupparsi degli avvenimenti, la scelta del momento ritenuto indispensabile per la distruzione della Nave.

 

Questa lettera mi lasciò in una grande perplessità. In essa non mi si dava, nemmeno vagamente, indicazioni sui seguenti punti:

a) Quale era la situazione delle nostre forze e di quelle nemi­che? Per quanto mi constava, la caduta della P.F. significava che tutte le forze dei settori meridionale e centrale erano state eliminate.

 

b) In relazione alla situazione creatasi, quali erano gli obiet­tivi assegnati ,alla Nave? L'unica funzione che le restava era quella d'infliggere le massime perdite al nemico. Ma dov'era esattamente il nemico? Intorno alla Nave non c'era che il buio, salvo verso oriente dove divampavano vasti incendi. A parte tutto ciò, era ben noto all'Ammiraglio che io non avevo nessuna possibilità di ese­guire il tiro notturno da bordo.

 

c) In mancanza di un elemento qualsiasi, avrei dovuto atten­dere il far del giorno per cercare di rendermi conto della situa­zione?

 

Per contro io giudicavo che:

a) La situazione precipitava. (Gli inglesi infatti non entrarono a Tobruk la sera stessa perché alle ore 18.30 sospesero l'azione di loro iniziativa. Ripresero l'attacco all'alba del giorno dopo e in poche ore penetravano nella Base.)

 

b) L'azione che la San Giorgio avrebbe ormai potuto svolgere era incerta e forse nulla, quindi bisognava cominciare a considerare la posizione nella quale la Nave si sarebbe trovata qualora la situazione fosse precipitata, quanto stava appunto per accadere.

 

c) Qualora durante la notte si fosse verificata anche l'occupa­zione del costone nord da parte del nemico, la Nave si sarebbe tro­vata circondata e quindi esposta al fuoco concentrato delle batte­rie e dell'aviazione nemica. In tali condizioni la messa in atto delle operazioni di distruzione sarebbe risultata molto difficile se non impossibile.

 

Pertanto, date le precedenti considerazioni e dato che l'Ammiraglio aveva lasciato a me la scelta del momento in cui la Nave avrebbe dovuto essere distrutta, dato che a mio parere la situazione diven­tava più critica di ora in ora, alle ore 20.15 decisi di cominciare i preparativi per la distruzione della Nave.

 

 

14) In relazione a ciò io scrissi una breve lettera all'Ammiraglio nella quale:

a) Comunicavo che, data la situazione, non ritenevo opportuno rimandare oltre la distruzione della Nave.

 

b) Accennavo per sommi capi alle ragioni che mi avevano in­dotto a formarmi tale convinzione.

 

c) Che in base alla facoltà da lui lasciatami e dato che il tempo stringeva, io decidevo di far sgombrare la Nave e di prepararne la distruzione.

 

Tale lettera fu da me rimessa all'Ammiraglio alle ore 20.30 circa. Nello stesso tempo diedi ordine al Comandante in 2a di far pro­cedere allo sbarco dell'equipaggio. Lo sgombro della Nave doveva avvenire a gruppi secondo l'ordine da me stabilito e servendosi di due pescherecci che il Comando della Base Navale aveva lasciato ormeggiati a terra nella eventualità che fosse stato necessario sbar­care l'equipaggio.

 

Lo sbarco del primo gruppo avvenne alle ore 22 circa. I gruppi era­no inquadrati da Ufficiali che avevano ricevuto ordini, precisi dove condurre la gente. Successivamente avrebbero dovuto attenersi agli ordini del Comando Base.

 

 

15) Alle ore 21.30, in risposta alla lettera da me inviata, rice­vetti una lettera dell'Ammiraglio nella quale, pur senza darmi pre­cise istruzioni e manifestarmi in modo qualsiasi i suoi intendimenti, esprimeva il giudizio che lo sgombro della Nave e la sua conse­guente distruzione fossero per il momento prematuri.

 

Mandai allora a terra il Comandante in 2a per spiegare bene quale fosse il mio parere in merito e quali i motivi che mi avevano in­dotto a predisporre la distruzione della Nave. Chiedevo inoltre che mi facesse sapere a che ora egli riteneva che la Nave dovesse sal­tare. Il Comandante in 2 ritornò dicendo che l'Ammiraglio de­siderava parlare con me.

 

Verso le ore 22.30 andai a terra. Esposi all'Ammiraglio il mio pun­to di vista, aggiungendo che la decisione da me presa era motivata dalle due seguenti considerazioni:

a) Che egli aveva lasciato a me la libertà di decidere quale fosse il momento in cui era indispensabile distruggere la Nave.

 

b) Che era mia netta convinzione non dover rimandare ulte­riormente detta distruzione se non si voleva correre il rischio che la Nave cadesse in mano al nemico, se non intatta ancora in con­dizioni di galleggiare.

 

In base a quanto da me esposto, l'Ammiraglio ordinò che la Nave fosse fatta saltare in aria alle ore 1 del giorno 22.

 

 

16) Poco dopo le ore 23 feci ritorno a bordo. La calma era or­mai assoluta in tutta la rada. Incendi divampavano dappertutto ma non si sentiva più sparare né un colpo di cannone né un colpo di fucile.

 

Giunto a bordo diedi ordine di iniziare le operazioni di distruzione. Ormai il grosso dell'equipaggio era sbarcato. Rimaneva un gruppo di oltre un centinaio di persone costituito: dagli addetti alle armi c.a., dai fuochisti destinati alle caldaie accese, dagli elettricisti indispensabili per i servizi in funzione, da un certo numero di ma­rinai e dalle squadre di distruzione a suo tempo fatte da me istruire e preparare.

 

Per distruggere la Nave avevo ritenuto che il mezzo più radicale fosse quello di far saltare tre depositi di munizioni, e precisamente: il deposito da 254 prodiero, quello dà 254 poppiero e il deposito da 190 di sinistra.

 

Non esistendo a bordo della San Giorgio le bombe-mine distruttive appositamente preparate e sistemate nei depositi munizioni (bombe-mine regolamentari e distribuite a tutte le navi allo scoppio della guerra), si era provveduto all'innescamento dei depositi munizioni sistemando in ognuno una testa carica di siluro, munita dell'appo­sito detonatore e innescata con una serie rinforzata di cilindretti di polvere nera. In mezzo a questi cilindretti era posto un estremo della miccia a tempo, la cui estremità opposta veniva a trovarsi presso i portelli dei depositi, sul ponte di batteria, che avrebbero dovuto ri­manere aperti e opportunamente assicurati.

 

Per provocare l'esplosione bastava quindi accendere l'estremità della miccia in prossimità di detti portelli. La durata della miccia era previsto fosse di trenta minuti.

 

I materiali, salvo le teste cariche, mi erano stati tutti forniti dal locale « Marigenimil ». Le numerosissime prove da me eseguite in precedenza, mi avevano reso sicuro della bontà dei materiali e del sistema.

 

A mezzanotte le squadre di distruzione dirette dal Comandante in 2a, dal 1° Direttore del Tiro e dall'Ufficiale ai depositi, avevano ter­minato i preparativi e l'innescamento era compiuto. Il Comandan­te in 2a venne ad avvertirmi che tutto era pronto. Diedi pertanto l'ordine che anche il resto dell'equipaggio sbarcasse e solo un nucleo di Ufficiali restasse a bordo. Ordinai quindi al Comandante in 2a che venisse dato fuoco alle micce, e alle ore 0.30 del giorno 22, dopo aver avuto assicurazione che il mio ordine era stato eseguito, lasciavo la Nave insieme agli Ufficiali predetti. Sbarcando avevo fatto lasciare in moto tutti i macchinari e le caldaie accese. Ciò per far si che la distruzione fosse la massima possibile. Giunto a terra mi recai con gli Ufficiali sbarcati con me al locale distillatori, dove l'equipaggio della San Giorgio era tutto riunito.

 

 

17) Alle ore 1 la Nave avrebbe dovuto saltare. Essa invece non saltò. Dopo avere atteso una quarantina di minuti, decisi che biso­gnava ritornare a bordo.

 

Non riuscivo a spiegarmi come mai, nonostante i preparativi meti­colosamente fatti, la Nave non fosse saltata. Cominciai a dubitare che le micce si fossero spente, sebbene, avendone sistemate tre dop­pie in tre depositi diversi, cioè in totale sei, questo mi sembrasse alquanto strano.

 

Mi recai quindi nel locale distillatori al Comando Base, sia per av­vertire il Capo di S.M. che io, con un gruppo di Ufficiali, ritornavo a bordo per vedere che cosa fosse accaduto, sia per provvedermi di nuove micce da sostituire a quelle che eventualmente non avevano funzionato.

 

Al Comando Base dovetti perdere tempo perché per preparare le nuove micce occorsero una quarantina di minuti, cosicché giungem­mo a bordo poco dopo le ore 3 del mattino, due ore dopo, cioè, dell'ora stabilita per l'esplosione della Nave.

 

La squadra ritornata a bordo era costituita da me, dal Comandante in 2a Capitano di Corvetta Pane, dal Direttore del Tiro Ten. di Vascello Del Pin, dal Capitano del Genio Navale La Rocca, dal­l'Ufficiale ai depositi S.Ten. Buciuni, dal Capo Silurista Montagna e da un Caporal maggiore minatore, pratico di micce, che il Co­mando Base mi aveva aggregato.

 

La squadra era numerosa dato che, prevedendo di dover innescare tre depositi, era necessario dividersi in tre gruppi onde non perdere tempo.

 

 

18) Giunti a bordo constatammo che le micce si erano spente tutte dopo che un tratto di esse era bruciato. Non avemmo tempo di constatarne il perché. Inoltre, nel recarci a visitare il deposito di centro, io e il Comandante in 2a constatammo che non era più possibile inoltrarsi nei locali centrali della Nave a causa dell'enorme calore che si era sviluppato e di un acre, intenso fumo diffuso ovun­que che attaccava gli occhi e la gola rendendo impossibile la respi­razione. Mi resi subito conto che qualche incendio doveva essersi sviluppato in qualche zona della Nave, probabilmente in caldaia, e che ormai esso andava diffondendosi rapidamente minacciando di far saltare il deposito centrale. Pur tuttavia io volevo essere sicuro che la Nave saltasse in aria al completo, e pertanto ordinai al Co­mandante in 2a e al 1° D.T. di provvedere, aiutati da altri, all'in­nescamento del deposito munizioni poppiero da 254, mentre io col Capo Silurista Montagna e il Marò Fanciulli Salvatore (facente parte dell'armamento della « Diesel » che ci aveva portati a bordo e che volontariamente si era offerto di venire ad aiutarci), mi diressi al deposito di prora per provvedere all'innescamento. Sapevo che bi­sognava fare presto perché il deposito centrale poteva saltare da un momento all'altro, pertanto raccomandai a tutti di fare le cose bene ma di sbrigarsi.

 

Eravamo così nel deposito di prora io, il Capo Sil. Montagna e il Marò Fanciulli. Gli altri erano a poppa.

 

Dopo circa una ventina di minuti ci raggiunse il Comandante in 2a Cap. di Corv. Pane. In quel momento io venivo su dal deposito di prora. Il Comandante in 2a mi disse che ormai a poppa era tutto pronto e che gli altri aspettavano noi. Risposi che in pochi minuti anche noi saremmo stati pronti. Lo pregai, anzi, di andare nel frat­tempo a prendere un bidone di benzina che sapevo trovarsi in plan­cia, dato che volevo cospargere il locale di prora attiguo al de­posito onde essere sicuro che si sviluppasse un incendio. Il Coman­dante Pane andò in plancia ed era appena ritornato quando, ad un tratto, una fiammata che veniva dai locali di centro c'investi. Udim­mo un boato, la Nave sussultò sbandando sul fianco sinistro. Capii che quel che temevo era avvenuto: il deposito di centro era saltato in aria.

 

Erano circa le ore 4.15.

 

 

19) Il Capo Sil. Montagna e il marinaio Fanciulli al momento dell'esplosione stavano venendo su dal deposito. Tutti insieme allora salimmo dalle scale di prora in coperta. Ci trovammo così sulla co­perta, a prora, in quattro: io, il Comandante in 2a, il Capo Sil. Mon­tagna e il Marò Fanciulli. Lo spettacolo che si presentò ai nostri occhi fu il seguente: tutto il centro della Nave era un rogo dal quale, altissime, le fiamme si levavano al cielo. A poco a poco queste fiamme lambivano le varie sovrastrutture le quali, a loro volta incendiandosi, stavano trasformando tutta la nave in un immenso braciere. Qualsiasi via di scampo a poppa era ormai a noi preclusa. Una serie di esplosioni, provocate dallo scoppio delle munizioni si­stemate in coperta, cominciava a verificarsi. Intorno allo scafo il mare era anch'esso in fiamme. La nafta che si era sprigionata dai depositi sventrati, aveva preso fuoco e si espandeva rapidamente sulla superficie dell'acqua. Nel momento in cui sboccavamo in co­perta, vedemmo la « Diesel », che era rimasta al barcarizzo di poppa, defilare rapidamente lungo il bordo destro e allontanarsi ver­so la Base. Eravamo ormai completamente abbandonati a noi stessi sulla Nave in fiamme. Ad un tratto udii delle grida venire dal centro chiedenti aiuto. Mi parve riconoscere in esse la voce del S.Ten. Buciuni, che faceva parte del gruppo rimasto a lavorare al deposito poppiero. Io avevo al mio fianco il Marò Fanciulli. Con lui tentai di farmi strada verso il centro. Invano cercammo di avan­zare. Le fiamme erano ormai troppo alte, troppo compatte. Alimen­tate dal vento teso, attaccarono tutte le sovrastrutture della plan­cia, che cominciarono ad ardere facendo saltare le riservette muni­zioni delle mitragliere. Successivamente le fiamme avanzarono verso prora avvicinandosi alle riservette da 100. Allora ordinai ai miei uomini di buttarsi in mare. Rimasi così solo a prua. Stavo tentando ancora di portarmi al centro quando la riservetta di dritta da 100 saltò, a pochi metri da me. Non c'era più nulla da fare. Anche la prua bruciava. In tal momento mi buttai in mare.

 

 

20) Io mi ero buttato in acqua da prora estrema lungo la ca­tena dell'ancora. Ho già detto che il mare nei dintorni della Nave era in fiamme, pur tuttavia, dato che il vento soffiava da sinistra della Nave stessa, le fiamme venivano spinte sottovento, verso drit­ta. Ancora l'estrema prua non ardeva per cui c'era un piccolo set­tore di acqua libera aperto dalla prua sopravento. In tale zona io mi buttai. In acqua non trovai alcuno dei miei compagni.

 

Confesso che ero stanco e sfinito. Con le poche forze che mi rima­nevano riuscii a raggiungere una boa terminale prodiera degli sbar­ramenti retali della Nave, che stava a una trentina di metri dalla prua della San Giorgio.

 

Su questa boa trovai il Comandante in 2a, anch'egli all'estremo, e di là assistemmo alla tragica agonia della nostra Nave, la quale era ormai un unico immenso rogo, nel centro del quale ogni poco av­venivano esplosioni.

 

Anche noi attendevamo ormai la nostra fine. Il deposito munizioni, di prora non era ancora saltato, ma avrebbe dovuto esplodere da un momento all'altro e noi saremmo stati inesorabilmente travolti.

 

 

21) Non sono in grado di dire quanto tempo restammo in tali condizioni. Ad un certo momento le idee mi si confusero perciò non posso ricostruire i fatti che seguirono. Ho l'impressione che restammo a lungo su quella boa, certo alcune ore. Ricordo che ad un certo punto una « Diesel » venne ìn nostro soccorso e che in essa si trovava il marinaio Fanciulli, che fu il primo ad assistermi e al quale credo di dovere, in buona parte, la vita.

 

Ricordo anche che fui portato all'infermeria della Base, dove rice­vetti assistenza, dopo di che suppongo di aver perduto la conoscen­za, dato che non ricordo assolutamente piú nulla.

 

 

22) Rinvenni diverse ore dopo. Mi trovavo al posto di Pronto Soccorso della Base Navale. In un letto accanto al mio giaceva il Comandante in 2a. Potevano essere le 11 del mattino. Chiesi che cosa fosse accaduto nel frattempo: mi fu risposto che la Base era caduta e che l'Ammiraglio e il suo Stato Maggiore erano stati fatti prigionieri. Ciò doveva essere avvenuto verso le ore 9.30 del mattino.

 

Ero prigioniero di guerra.

 

 

23) Prima di passare a descrivere l'inizio della mia prigionia, ho il dovere, quale Comandante, di segnalare in modo particolare il comportamento dell'equipaggio della San Giorgio. Per sette mesi questi uomini, con spirito indomabile, morale altissimo e forte sen­so del dovere, sostennero aspre lotte e sopportarono duri sacrifici. In questi mesi mai venne meno la serenità e la fede nella vittoria. Eppure fu proprio quando la situazione appariva a tutti irrimedia­bilmente disperata, quando a terra gli incendi divampavano ovun­que, quando il nemico stava già dilagando verso la rada di Tobruk e gli aerei nemici si accanivano sulla Nave scaricando bombe su bombe, che io potei apprezzare in pieno le magnifiche doti di cui questo equipaggio era dotato. Non vidi, in quei momenti, nessuno tentennare, nessuno abbattersi. Tenevano duro perché così voleva l'onore, perché sapevano che non si difendeva ormai più che l'onore. Nessuno abbandonò il posto finché non gli venne dato l'ordine, E quando questo triste ordine fu dato, esso fu eseguito in silenzio e mestamente ma con disciplina esemplare. Nel momento in cui il peschereccio che portava a terra il primo gruppo di uomini stava per allontanarsi dalla Nave, unanime grido da essi si levò spontaneo: « Viva il Re! Viva il San Giorgio! » e da bordo l'equipaggio rispose: « Viva il Re, viva il San Giorgio! ».

 

Non sono in grado, a tanta distanza di tempo e dati gli avvenimenti successivi, di citare i nomi di coloro che più particolarmente si di­stinsero, e di ciò molto mi dolgo. Delle sei persone che mi accom­pagnarono a bordo per far saltare la Nave, due hanno lasciato la vita nell'adempimento del loro dovere: il S.Ten. Cann. Buciuni Giuseppe e il Capo Sil. Montagna Alessandro. Entrambi mi furono in ogni circostanza di aiuto inestimabile per il loro attaccamento al dovere, per la loro serenità, per la loro capacità. Qui li segnalo per­ché la loro memoria merita un giusto riconoscimento per quanto essi hanno fatto.

 

È mio dovere inoltre citare il nome del Cap. di Corv. Pane, Comandante in 2a, che durante i sette mesi continui di guerra diede sempre tutto se stesso per curare il benessere dell'equipaggio e per assicurare l'efficienza della Nave. In qualsiasi circostanza egli si prodigò sempre per il primo. L'alto spirito di cui l'equipaggio era animato e le ottime qualità morali di cui esso era fornito si dovet­tero, in buona parte, a questo Ufficiale che seppe farsi amare dai suoi dipendenti ed ottenere da essi il più alto rendimento.

 

Cito infine il marinaio Fanciulli Salvatore che, venuto a bordo « vo­lontariamente » per aiutarci a stendere le micce, mi restò vicino fino all'ultimo momento.

 

Buttatosi in acqua e non appena raccolto, egli non pensò che a ve­nire in soccorso mio e del Comandante in 2a, e dato che il pilota della « Diesel » aveva dimostrato una certa riluttanza ad avvicinar­si troppo alla San Giorgio per raccoglierci, egli pilotò personalmen­te la « Diesel » verso la boa sulla quale eravamo. E fu lui che da questa boa mi raccolse e per primo mi assistette.

A questo marinaio, ritengo di dovere in buona parte la vita.

 

F.to Il Capitano di Fregata
Stefano Pugliese

 

Taranto, 23 settembre 1944

 

 

 Regia Nave incrociatore corazzato San Giorgio Tobruk 1941

 

Regia Nave incrociatore corazzato San Giorgio Tobruk 1941 

 

Regia Nave incrociatore corazzato San Giorgio Tobruk 1941

 

 

MOTIVAZIONI DELL’ATTRIBUZIONE DELLA MOVM

ALLA NAVE ED AI COMPONENTI DELL’EQUIPAGGIO

 

Veterano di tre guerre, fu nell'attuale per sette mesi baluardo della difesa di Tobruk, sempre pronto a intervenire per ricac­ciare con l'infallibile tiro dei suoi cannoni le incursioni degli aerei nemici, sempre incrollabile nel sostenere l'offesa che si abbatteva su di lui.

Investita la piazzaforte da soverchianti forze nemiche, profuse tutte le sue energie nella difesa e, piuttosto che cercare scampo sulle vie del mare, si offerse come ultima trincea di resistenza. Quando le colonne avversarie soverchiarono gli ultimi ripari, l'indomita Nave venne fatta saltare e sprofondare nelle acque, mentre la bandiera che aveva animato e alimentato la fiera re­sistenza, raccolta e riportata in Patria, restava fulgida testimo­nianza dello spirito di combattività, di

resistenza, di dedizione dei marinai d'Italia.

 

Rada di Tobruk 10 giugno 1940-22 gennaio 1941

 

 

 

Capitano di Fregata

STEFANO PU­GLIESE

da Catanzaro

 

Comandante, di incrociatore corazzato di tipo antiquato, asse­gnato alla difesa fissa antinave e contraerea di Piazzaforte marit­tima oltremare, continuamente sottoposta all'offesa aerea delle vicine basi dell'avversario, sosteneva con incrollabile fermezza e valorosa azione di comando l'ardua missione.

Investita la Piazzaforte da forze soverchianti, interveniva effi­cacemente anche contro obiettivi terrestri e, ricevuto l'ordine, faceva abbandonare ordinatamente la Nave dopo averne predi­sposto la distruzione.

Tornato a bordo con pochi animosi, nell'imminenza dell'invasione della località, per accertare e accelerare la combustione delle micce di accensione, pur avendo constatato che l'incendio sviluppatosi presso il deposito munizioni centrale ne rendeva imminente la deflagrazione, con eroica perseveranza assicurava l'innescamento degli altri depositi per rendere totale la distru­zione della Nave, finché sorpreso dalla sopravvenuta deflagra­zione dava, nella tormentosa situazione creata da successive esplosioni e dalla nafta incendiata, prove mirabili di serenità e forza d'animo.

 

Tobruk 26 novembre 1940-22 gennaio 1941

 

 

 

 

Sottotenente C.R.E.M.

GIUSEPPE BUCIUNI

da Taormina (Messina)

 

Ufficiale assegnato ai depositi munizioni di incrociatore dislo­cato oltremare per la difesa fissa antinave e contraerea di Piaz­zaforte marittima continuamente sottoposta ad azioni offensive dalle vicine basi avversarie, partecipava dall'inizio alle sue azio­ni di guerra.

Destinato al rifornimento delle armi durante i quotidiani attac­chi, era fra i principali artefici della efficace vittoriosa reazione, sereno nel pericolo e fermo nei propositi.

Investita la Piazzaforte da forze soverchianti, tornava con po­chi animosi sulla Nave da poco sgombrata per accelerarne la distruzione già predisposta. Benché l'incendio sviluppatosi pres­so la santabarbara centrale ne rendesse imminente l'esplosione, con eroica perseveranza assicurava l'innescamento del deposito munizioni di poppa per rendere totale la distruzione. Sentiti i campanelli d'allarme del depositò centrale, con generoso slancio vi accorreva per assicurare tempestivamente l'ultimazione del lavoro degli altri valorosi e scompariva nell'improvvisa esplosione accomunando il proprio al tragico destino della Nave cui la Patria dedicò il più alto riconoscimento.

 

Tobruk 10 giugno 1940-22 gennaio 1941

 

 

 

Capo Silurista di 1a classe

ALESSANDRO MONTAGNA

da La Spezia

 

Capo carico di incrociatore dislocato per la difesa fissa antinave e contraerea di Piazzaforte marittima, continuamente battuta con ogni mezzo offensivo dalle vicine basi avversarie, parteci­pava a tutte le azioni di guerra svolte dalla Nave nelle acque della rada, esempio e sprone ai dipendenti per il determinato coraggio, il profondo senso del dovere e la manifesta fermezza di propositi.

Investita la Piazzaforte da forze soverchianti, tornava con pochi animosi sulla Nave da poco sgombrata per accelerarne la di­struzione già predisposta. Benché l'incendio sviluppatosi presso la santabarbara centrale ne rendesse imminente l'esplosione, con eroica perseveranza assicurava l'innescamento del deposito mu­nizioni anteriore per rendere totale la distruzione.

Sorpreso al lavoro dall'esplosione che trasformava la Nave in un immane rogo, si attardava per compiere le ultime operazioni e riuscito ancora a salire in coperta, scompariva fra le esplosioni e le fiamme che ormai si distendevano sul mare intorno al re­litto.

Esempio di leggendario eroismo.

 

Tobruk 10 giugno 1940-22 gennaio 1941

 

 

 Regia Nave incrociatore corazzato San Giorgio Tobruk 1941

 

 

NOTE TECNICHE E STORICHE SUGLI INCROCIATORI

DELLA CLASSE SAN GIORGIO

 

Contemporaneamente alla progettazione da parte dell'ing. Orlando degli incrociatori della classe Pisa, la Marina incaricò il generale del Genio Navale Edoardo Masdea, di procedere a uno studio tendente a miglio­rare le caratteristiche degli incrociatori coraz­zati già in costruzione. Nacquero così il San Giorgio e il San Marco, concepiti come un miglioramento dei precedenti Pisa.

Volendo mantenere il loro dislocamento quasi nello stesso ordine di grandezza, le migliorie furono limitate, più che alla protezione e alla velocità, ad alcuni progressi attinenti le armi e le siste­mazioni.

 

Il San Giorgio e il San Marco furono impostati, nel cantiere di Castellammare di Stabia, il 4

luglio 1905 e il 12 gennaio1907, ed entrarono rispettivamente in servizio il 1° luglio 1910 e il 7 febbraio 1911. Poiché la velocità doveva ri­manere uno dei loro dati distintivi, e non po­tendosi ancora considerare completamente affidabili le nuove turbine, ebbero ciascuno un diverso apparato motore. Il San Giorgio fu do­tato di due motrici alternative verticali a triplice espansione alimentate da 14 caldaie tipo Ble­chynden a combustione mista (potenza di 18 000 HP su 2 assi); il San Marco, prima unità italiana a essere dotata di un simile apparato motore, imbarcò 4 turbine ad accoppiamento diretto tipo Parsons alimentate da 14 caldaie Babcock & Wilcox a combustione mista (po­tenza di 23 000 HP su 4 assi). La velocità alle prove fu di 23,2 nodi per il San Giorgio e di 23,7 nodi per il San Marco. Questi valori furo­no raggiunti con un dislocamento rispettivo di 9.760 e 10.175 tonnellate, con delle potenze di 19.595 e 23.080 HP e con un numero di giri di eliche al minuto di 146,9 e 428: assai evi­dente il comportamento e la resa dei due ap­parati motori. Lo scafo dei San Giorgio era a 4 ponti: coperta, batteria, corridoio e ponte paraschegge. Lo scafo era provvisto di doppio fondo; cofferdams a murata a copertini stagni. Le unità erano corazzate in cintura, alle mu­rate e trasversalmente, fra i ponti principali.

La protezione era assicurata, oltre che dal ponte paraschegge, anche da parziali rivestimenti protettivi sui ponti superiori. II doppio fondo era diviso in 48 compartimenti stagni e il ma­teriale dello scafo era in acciaio a elevata re­sistenza.

 

Le caratteristiche delle artiglierie, cioè dei pezzi da 254/45, 190/45 e 76/40, erano analoghe a quelle delle armi imbarcate sulla classe Pisa.

 

A fine allestimento, rispetto al dislocamento normale, la corazzatura rappresentava il 19,4%, l'apparato motore il 12,2%, l'arma­mento l'11,7%, lo scafo, con accessori fissi e complementari e meccanismi ausiliari, il 41,3%. Il restante del peso era devoluto alle dotazioni, altre sistemazioni, attrezzature ecc. Anche per i San Giorgio, come già per i Pisa, si può dire che anch'esse giunsero troppo tardi, pur essendo ottime navi, quando ormai la corazzata monocalibra veloce e l'incrociatore da battaglia avevano tolto all'in­crociatore corazzato gran parte della loro importanza.

 

Entrambe queste unità parteciparono alla guerra italo-turca e al primo conflitto mondiale, ma successivamente ebbero vita diversa. Il San Giorgio, nel 1937-38, subì notevoli lavori di modifica e ammodernamento. Sbarcati tutti i pezzi minori e i tubi lanciasiluri, vennero istallati 4 complessi antiaerei binati da 100 mm, successivamente portati a 5, e 4 mitragliere, anch'esse binate, da 13,2 mm. Nel 1940, prima dell'entrata in guerra dell'Italia, il San Giorgio venne inviato a Tobruk come nave destinata alla difesa contraerea e navale di quella località.

In quest'occasione, l'arma­mento antiaereo leggero fu ulteriormente raf­forzato coll'aggiunta di altri impianti doppi (3 da 37/54 mm, 6 da 20/65 e 3 da 13,2 mm). La parte avuta dal San Giorgio nella difesa di To­bruk, dal 10 giugno 1940 al 22 gennaio 1941, gli valse il titolo di Leonessa di Tobruk e la concessione della medaglia d'oro al valor militare. Dopo aver resistito agli attacchi britan­nici, il San Giorgio, avvicinandosi la caduta della piazzaforte, fu fatto saltare dal suo co­mandante e da un gruppo di uomini del suo equipaggio.

 

Recuperato nel 1951, affondò, mentre veniva rimorchiato per essere portato in Italia, a circa 100 miglia da Tobruk.

 

Il San Marco, trasformato nel 1931-35 in nave bersaglio radiocomandata, fu intensamente

impiegato in esercitazioni. Catturato a La Spezia dai tedeschi dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, fu trovato poi affondato alla fine delle ostilità.

 

 

Regia Nave incrociatore corazzato San Giorgio Tobruk 1941 

 

 

CREDITI
Ubaldo V. Rossi Arremba San Zorzo Ugo Mursia Editore, Milano 1976
Autori Vari Storia della marina – profili vol.8 Fratelli Fabbri Editori, Milano 1978
Archivio Centrale dello Stato – Istituto Luce

http://www.squadratlantica.it/