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I perchè di Hiroshima

L’utilizzo da parte degli USA di due bombe atomiche contro il Giappone nell’agosto del 1945 costituisce, ancor oggi, fonte di accese controversie. Quanto scritto dal critico militare inglese B.H. Liddell Hart nel suo vastissimo saggio “Storia militare della seconda guerra mondiale”, qui parzialmente riportato, fornisce un qualificato parere sull’argomento. (g)

 

 

 Il Boeing B-29-45SMO “Enola Gay” (serial 44-86292), 393° squadron (509° Composite Group)

 

Il Boeing B-29-45SMO “Enola Gay” (serial 44-86292), 393° squadron (509° Composite Group)

 

 

Due fattori cumulativi che decisero la disfatta del Giappone furono, per loro intrinseca natura e per le ripercussioni che ebbero, forme di attrito, di pressione spinta al punto di soffocamento. Una fu esercitata dal cielo, l'altra sul mare (o meglio, sotto il mare). Fu appunto que­st'ultima che fece sentire per prima i suoi effetti determinanti.

 

L'Impero giapponese era fondamentalmente un impero marittimo, che ancor più di quello inglese dipendeva dalle importazioni da paesi d'ol­tremare. La sopravvivenza stessa del suo potenziale bellico dipendeva dalle importazioni di petrolio, ferro, bauxite, carbone da cokeria, ni­chel, manganese, alluminio, stagno, cobalto, piombo, fosfati, grafite, potassa, cotone, sale e gomma. Per far fronte al suo fabbisogno di ge­neri alimentari doveva inoltre importare quasi tutto lo zucchero e i semi di soia, nonché il 20 per cento del grano e il 17 per cento del riso.

 

[…]

 

In breve, il contributo della forza sottomarina americana fu di valore incalcolabile, non da ultimo nel porre fine agli sforzi giapponesi di inviare rinforzi di truppe e rifornimenti alle guarnigioni insulari iso­late. Ma il suo merito maggiore fu l'affondamento del 6o per cento degli 8.000.000 di tonnellate di naviglio mercantile persi dai giappo­nesi durante la guerra. Questo fu il fattore che più di ogni altro con­tribuì a provocare il crollo finale del Giappone, in quanto lo colpì proprio nel suo punto più debole: la dipendenza dalle importazioni da paesi d'oltremare.

 

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Churchill accenna anche che a Potsdam, tre settimane prima del lan­cio della bomba, Stalin gli aveva parlato di un messaggio nel quale l'ambasciatore giapponese a Mosca esprimeva il desiderio di pace del Giappone; e aggiunge che, informando della cosa il presidente Tru­man, egli aveva suggerito che gli Alleati attenuassero in qualche mi­sura la loro richiesta di una « resa incondizionata » per spianare la via alla capitolazione del Giappone.

 

In realtà, approcci giapponesi di questo genere erano iniziati già mol­to tempo prima, e le autorità americane ne erano a conoscenza assai più di quanto Churchill dicesse o forse credesse. Poco prima del Natale del 1944 un agente diplomatico in Giappone, solitamente bene infor­mato, aveva segnalato al servizio segreto americano a Washington che nel paese erano emerse forze favorevoli alla pace, e che esse stavano guadagnando ampi consensi. L'agente affermava che il governo del generale Koiso — subentrato in luglio al governo del generale Tojo, che aveva portato il paese in guerra — sarebbe stato sostituito quanto prima da un governo presieduto dall'ammiraglio Suzuki che, con l'ap­poggio dell'imperatore, avrebbe avviato negoziati di pace. La previsio­ne si avverò in aprile.

 

Il I aprile gli americani sbarcarono su Okinawa, un'isola dell'arcipe­lago delle Ryukyu situata a metà strada tra Formosa e il Giappone. Lo choc provocato da questa notizia e l'infausta nota diplomatica con cui il governo russo annunciava di considerare decaduto il suo patto di neutralità con il Giappone precipitarono la caduta di Koiso (5 apri­le) e la nomina a primo ministro di Suzuki.

 

[…]

 

Che la situazione fosse disperata appariva evidente a chiunque avesse almeno una pallida idea della realtà strategica — tanto più evidente doveva apparire a un uomo della marina come Suzuki, le cui tendenze pacifiste lo avevano reso inviso ai militaristi più fanatici, che già nel 1936 avevano attentato alla sua vita. Ma Suzuki e gli altri membri del Gabinetto favorevoli alla pace erano alle prese con un problema assai arduo. Per quanto ansiosi di porre fine alla guerra, essi dovevano tenere conto che l'accettazione della richiesta di una resa incondizionata sa­rebbe apparsa un vero tradimento alle forze armate impegnate sui campi di battaglia e così pronte a battersi fino alla morte; queste for­ze, che tenevano ancora in pugno la vita di migliaia di prigionieri al­leati, civili e militari, quasi morti di fame, probabilmente si sarebbero rifiutate di obbedire all'ordine di cessare il fuoco qualora le condizioni fossero state troppo umilianti, in particolare, qualora tra le richieste vi fosse stata quella di detronizzare l'imperatore, che agli occhi dei giap­ponesi era non solo un sovrano ma anche una divinità.

 

 

 L’equipaggio del Boeing B-29-45SMO “Enola Gay”

 

L’equipaggio del Boeing B-29-45SMO “Enola Gay”

 

 

Fu l'imperatore stesso a compiere il primo passo per tagliare questo «nodo gordiano ». Il 20 giugno egli convocò i sei membri del suo Ga­binetto ristretto, il Consiglio supremo per la Direzione della guerra, e disse loro: «Esaminate la questione di porre termine alla guerra il più presto possibile ». In quanto a questo tutti e sei i membri del Con­siglio erano d'accordo. Ma mentre il primo ministro, il ministro degli Esteri e quello della Marina erano disposti ad accogliere la richiesta al­leata di una resa incondizionata, gli altri tre membri - il ministro dell'Esercito e i capi di stato maggiore dell'esercito e della marina - so­stennero l'opportunità di protrarre la resistenza finché non si fosse riu­sciti a strappare agli Alleati condizioni meno severe. Alla fine il Con­siglio decise di affidare l'incarico di recarsi a Mosca per negoziare le condizioni di pace al principe Konoye — al quale, segretamente, l'impe­ratore diede istruzioni di ottenere la pace a qualsiasi costo. In via pre­liminare, il 13 luglio il Ministero degli Esteri giapponese notificò uf­ficialmente a Mosca che e l'imperatore è desideroso di pace».

 

Stalin ricevette il messaggio proprio mentre si apprestava a partire per partecipare alla conferenza di Potsdam, e rispose in tono alquanto fred­do che la proposta non era formulata in termini abbastanza chiari da permettergli di prendere qualche iniziativa o di acconsentire ad acco­gliere la missione di Konoye. Questa volta, tuttavia, egli informò Chur­chill dell'approccio giapponese, e Churchill, a sua volta, ne informò Truman, suggerendo che forse sarebbe stato saggio modificare la rigida richiesta di una « resa incondizionata ».

Due settimane dopo per rendere ancora più chiaro lo scopo della missione il governo giapponese inviò a Stalin un ulteriore messaggio, rice­vendone però una risposta negativa del tutto simile alla precedente. Intanto nelle elezioni politiche svoltesi in Gran Bretagna il governo di Churchill era stato battuto, e Attlee e Bevin avevano già sostituito Churchill e Eden a Potsdam quando, il 28 luglio, Stalin informò i par­tecipanti alla conferenza di questo ulteriore approccio.

In realtà gli americani erano già al corrente del desiderio del Giappo­ne di porre fine alla guerra, in quanto il loro servizio segreto aveva in­tercettato i messaggi inviati dal ministro degli Esteri giapponese all'am­basciatore giapponese a Mosca.

 

Tuttavia il presidente Truman e quasi tutti i suoi consiglieri — in par­ticolare, Stimson e il generale Marshall, capo di stato maggiore del­l'esercito USA — erano ora tanto decisi a usare la bomba atomica per accelerare il crollo del Giappone quanto lo era Stalin a scendere in campo contro il Giappone prima che la guerra finisse, al fine di assicu­rarsi una posizione di preminenza in Estremo Oriente.

 

Contrariamente a quanto mostra di credere Churchill, non mancava però chi nutrisse dei dubbi. Tra questi era l'ammiraglio Leahy, addet­to militare prima presso Roosevelt e poi presso Truman, al quale ripu­gnava l'idea di impiegare una simile arma contro la popolazione civile:

«Personalmente ero convinto che usarla per primi significasse adottare uno standard etico non dissimile da quello dei barbari del Medioevo. Non mi avevano insegnato a fare la guerra in quella maniera, e pensa­vo che non si possono vincere le guerre sterminando donne e bambi­ni». L'anno prima egli aveva espresso a Roosevelt la sua profonda di­sapprovazione per la proposta avanzata da alcuni di ricorrere all'im­piego di armi batteriologiche.

 

 

 “Little Boy”, la prima bomba atomica ad avere uso operativo

 

“Little Boy”, la prima bomba atomica ad avere uso operativo

 

 

Gli stessi scienziati atomici avevano in proposito opinioni contrastan­ti. Il dottor Vannevar Bush aveva svolto un ruolo di primo piano nel convincere Roosevelt e Stimson ad appoggiare l'idea dell'arma atomi­ca, e anche lord Cherwell (già professor Lindemann), consigliere per­sonale di Churchill sulle questioni scientifiche, era un suo fervente so­stenitore. Non stupisce quindi che il comitato, presieduto da Bush, che Stimson costituì nella primavera del 1945 con il compito di studia­re la questione dell'impiego dell'arma contro il Giappone, raccomandasse che la bomba fosse utilizzata il più presto possibile, e senza nessun preavviso sulla sua natura, per timore che la bomba potesse rivelarsi un « bidone », come spiegò più tardi Stimson. Conclusioni ben diverse erano invece contenute nel rapporto che un al­tro gruppo di scienziati atomici, capeggiato dal professor James Franck, presentò a Stimson poco dopo, verso la fine di giugno: «I vantaggi mi­litari e il risparmio di vite umane conseguibili mediante l'impiego im­provviso di bombe atomiche contro il Giappone potrebbero essere più che annullati dall'ondata di orrore e di sdegno che esso susciterebbe del resto del mondo... Qualora fossero i primi a utilizzare questo nuovo mezzo di distruzione indiscriminata dell'umanità, gli Stati Uniti si alienerebbero l'appoggio dell'opinione pubblica di tutto il mondo, accrescerebbero la corsa agli armamenti e pregiudicherebbero la possibilità di raggiungere un accordo internazionale sul futuro controllo di simili armi... Noi riteniamo che queste considerazioni rendano sconsigliabile l'impiego di bombe nucleari per un immediato attacco contro il Giap­pone».

 

[…]

 

A quanto sembra, due fattori che contribuirono ad accelerare la fine, non meno delle bombe atomiche americane, furono la dichiarazione di guerra della Russia l'8 agosto, subito seguita da una dilagante avan­zata in Manciuria, e l'influenza personale dell'imperatore. Infatti nel corso di una riunione del Consiglio dei Sei svoltasi il 9 alla sua presen­za egli mise in rilievo con tale chiarezza l'irreparabilità della situazio­ne e si dichiarò così caldamente favorevole a una pace immediata, che i tre membri del Consiglio contrari alla resa incondizionata finirono col dimostrarsi meno intransigenti e con l'accogliere l'idea di convoca­re un Gozenkaigi: un incontro degli «statisti anziani» nel quale l'imperatore aveva la facoltà di prendere la decisione finale. Intanto il governo aveva annunciato per radio che il Giappone era disposto ad arrendersi purché fosse rispettata la sovranità dell'imperatore, punto questo sul quale la dichiarazione alleata di Potsdam del 26 luglio ave­va mantenuto un inquietante silenzio. Dopo qualche discussione Tru­man decise di accettare questa clausola, compiendo un notevole passo avanti rispetto alle rigide tesi della «resa incondizionata».

 

 

Il comandante Paul W. Tibbets si sporge dal posto di pilotaggio dell’Enola Gay in procinto di decollare per la missione su Hiroshima 

 

Il comandante Paul W. Tibbets si sporge dal posto di pilotaggio dell’Enola Gay
in procinto di decollare per la missione su Hiroshima

 

 

Ciononostante al Gozenkaigi che si svolse il 14 agosto si levarono voci molto contrastanti, e fu ancora l'imperatore a risolvere la questione af­fermando in tono conclusivo: «Se nessun altro ha opinioni da esprime­re, noi desidereremmo esprimere la nostra. Noi vi chiediamo di condivi­derla. A noi sembra che per il Giappone esista ormai un'unica via. di scampo. Questa è la ragione per cui abbiamo preso la decisione di tollerare l'intollerabile e di sopportare l'insopportabile». Poco dopo la radio diede l'annuncio della resa del Giappone.

 

Per arrivare a questo risultato gli Alleati non avrebbero avuto alcun bisogno di impiegare la bomba atomica. Con i nove decimi del naviglio mercantile affondato o messo fuori uso, le forze aeree e navali paraliz­zate, le industrie distrutte e le scorte di viveri in rapida diminuzione, il Giappone era già condannato, come lo stesso Winston Churchill ha ammesso.

 

Il rapporto dello US Strategic Bombing Survey sottolinea questo pun­to, aggiungendo:

«Il lasso di tempo tra impotenza militare e accetta­zione politica dell'inevitabile avrebbe potuto essere più breve se la struttura politica del Giappone fosse stata tale da consentire una più rapida e decisiva determinazione della linea politica del paese. Nono­stante ciò sembra assodato che anche senza il lancio delle due bombe atomiche la supremazia aerea alleata avrebbe potuto esercitare una pressione sufficiente a costringere il Giappone a una resa incondiziona­ta e a eliminare la necessità di un'invasione».

L'ammiraglio King, co­mandante in capo della marina da guerra USA, affermò in seguito che, privandoli delle indispensabili forniture di petrolio, riso e altri vive­ri e materie prime, il blocco navale sarebbe bastato da solo «a costrin­gere i giapponesi ad arrendersi per fame, se solo fossimo stati disposti ad aspettare».

Ancora più drastico è il giudizio dell'ammiraglio Leahy sulla super­fluità della bomba atomica:

«L'impiego di questa barbara arma a Hi­roshima e Nagasaki non ci fu di alcun concreto aiuto nella guerra con­tro il Giappone. I giapponesi erano già sconfitti e pronti ad arrendersi a causa dell'efficacia del blocco navale e dei bombardamenti con armi convenzionali».

 

Perché, allora, la bomba fu impiegata? C'erano altri impellenti motivi dietro l'istintivo desiderio di far cessare quanto prima le perdite di vi­te americane e inglesi? Due ragioni, in realtà, sono venute alla luce. Una è rivelata dallo stesso Churchill nel resoconto del colloquio da lui avuto con Truman il 18 luglio, dopo la notizia del successo dell'esperi­mento atomico e dei pensieri che subito vennero alla loro mente. Dice tra l'altro Churchill:

« ... non avremmo avuto bisogno dei russi. La fine della guerra giapponese non dipen­deva più dall'immissione delle loro armate... Noi non avevamo bisogno di chieder loro favori. Pochi giorni dopo mandai a Eden questo promemoria: È chiarissimo che gli Stati Uniti non desiderano attualmente una partecipazione russa alla guer­ra contro il Giappone ».

 

La richiesta avanzata da Stalin a Potsdam di partecipare all'occupazio­ne del Giappone era molto imbarazzante, e il governo americano era ansioso di trovare un modo per evitare che ciò accadesse. La bomba atomica poteva aiutare a risolvere il problema. L'entrata in guerra dei russi contro il Giappone era prevista per il 6 agosto, due giorni prima. La seconda ragione del precipitoso impiego della bomba a Hiroshima e a Nagasaki fu rivelata dall'ammiraglio Leahy:

«Gli scienziati e altri volevano fare questa prova perché alla realizzazione della bomba erano state devolute somme immense: 2 miliardi di dollari».

 

Una delle più eminenti personalità che avevano avuto a che fare con l'operazione atomica, il cui nome convenzionale era Manhattan District Project , espose questo punto in modo ancora più esplicito:

«La bomba non poteva fare fiasco: troppo danaro era stato speso per realizzarla. Se l'esperimento fosse fallito, come avremmo giustificato quell'enorme spesa? Si pensi alle grida d'indignazione che tutta l'opinione pubblica avrebbe levato... Quando il momento fatidico si fece più vicino, a Washington certuni cercarono di convincere il generale Groves, direttore del Progetto Manhattan, ad uscirne fuori prima che fosse troppo tardi, perché se la cosa fosse andata male le maggiori responsabilità sarebbero ricadute sulle sue spalle. Il sollievo con cui quanti avevano avuto a che fare con la bomba ne salutarono il completamento e il lancio fu enorme».

 

A una generazione di distanza, però, è anche troppo chiaro che l'avven­tato lancio della bomba atomica non è stato un sollievo per il resto dell'umanità.

 

 

Hiroshima  

 

Hiroshima

 

 

 Il Boeing B-29-45SMO “Enola Gay” conservato presso lo Steven F. Udvar-Hazy Center

 

Il Boeing B-29-45SMO “Enola Gay” conservato presso lo Steven F. Udvar-Hazy Center

 

 

 

Credito
B.H. Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1970

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