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Dal 25 luglio all'8 settembre - 9

DEPOSIZIONE DI BADOGLIO AL TRIBUNALE MILITARE DI ROMA

11, 15 e 16 gennaio 1947

 

 

Tribunale militare territoriale di Roma

 

Esame di testimonio senza giuramento, reso il giorno 11 gennaio 1947 da: Badoglio Pietro fu Mario di anni 75 - Maresciallo d'Italia - avanti a Ricciardelli Luigi - Consigliere di Cassazione - Istruttore.

 

Data lettura al testimone delle imputazioni a carico dei generali Roatta e Carboni perché possa meglio rendersi conto delle interrogazioni che ver­ranno a lui rivolte ed invitato a dichiarare quanto è a sua conoscenza in ordine ai fatti e circostanze a lui precisate, risponde:

 

 

Dichiaro innanzitutto che parlerò esclusivamente nella qualità che avevo di Capo del Governo; giacché non mi ingerivo nelle questioni e nelle disposizioni di indole strettamente militare, comunque avevo contatto sol­tanto col generale Ambrosio Capo dello Stato Maggiore Generale e non con ufficiali che da lui dipendevano, compresi i due imputati.

Il Roatta fu assunto alla carica di Capo di Stato Maggiore dell'Eser­cito su designazione di Ambrosio. Di lui avevo ottima opinione per la vivacità dell'ingegno e per i suoi precedenti. In Carboni riconoscevo ugual­mente doti eccellenti, ma di lui dubitavo.

 

A D.R.: Dico che dubitavo di Carboni non perché non fossi con­vinto del suo attaccamento al dovere e della sua fedeltà in servizio, come del Roatta, ma perché c'era stato un punto nero in fatto di disciplina a causa di un incidente da lui avuto quando era Comandante di un Reggi­mento a Roma, una diecina di anni or sono, col Com.te della Divisione. Dato il tempo trascorso non sono in grado di precisare lo incidente stesso, nonostante le premesse che mi si facciano al riguardo. Ricordo che allora il Carboni dirigeva la rivista militare.

 

A D.R.: Come ho già detto, non mi occupavo di ciò che rientrava nelle attribuzioni militari e però nulla posso dire in merito al particola­reggiato contenuto delle memorie 44 e 45, tranne che queste erano prima dell'8 settembre 1943 a conoscenza dei Comandanti di grandi unità.

 

A D.R.: Non fu fatta e non era possibile, una preparazione spiri­tuale di orientamento delle truppe contro i tedeschi, perché costoro ci tenevano d'occhio continuamente e bisognava stare attenti. Il Maresciallo Kesselring e l'Ambasciatore Rahn frequentavano quasi quotidianamente il mio ufficio per indagare e vigilare ed indubbiamente sarei stato catturato, e non io solamente, se fosse trapelata qualche cosa di ciò che avevamo in animo di fare per avvicinarci agli alleati. Con questi le trattative, mi sem­bra, cominciarono verso la metà di agosto, subito dopo il convegno di Bologna, con lo invio del Gen. Castellano prescelto da Ambrosio.

 

A D.R.: Non sono in grado di dire se e quale piano fosse stato pre­parato da sottoporre agli alleati per iniziare le trattative e per condurle a termine, tantomeno quale azione sarebbe stata svolta da noi e quale con­corso aspettassimo da loro?

Su ciò potrà essere interrogato Ambrosio. È certo però, giusta quanto mi riferì il maggiore Marchesi, il quale faceva parte della missione Ca­stellano a Cassibile, che la dichiarazione dell'armistizio da parte degli al­leati era con sicurezza prevista fra il 12 e il 15 settembre e non prima.

Gli alleati non fecero quella trasmissione preliminare per radio cui si erano impegnati, per far intendere prossima la dichiarazione dell'armi­stizio. Solo alle ore 17 dell'8 settembre la radio clandestina informò che l'armistizio sarebbe stato annunziato subito e che per le ore 20 avrei dovuto darne comunicazione attraverso la radio.

 

A D.R.: A Roma erano poche forze e, trattandosi di Città Aperta, la difesa avrebbe dovuto aver luogo nel perimetro di essa allorché sarebbero giunte le truppe alleate. Nulla so dell'ordine di spostamento del Corpo d'Armata motocorazzato a Tivoli disposto la mattina del nove settembre, né potrei intuirne il motivo.

 

A D.R.: Nel Consiglio della Corona nella sera del giorno 8 set­tembre, Carboni e Sorice sostennero si dovesse sconfessare l'armistizio, giacché gli alleati anticipandone la dichiarazione, erano venuti meno a quanto si era concluso. Io prospettai al Sovrano che o si dovesse addossare a me ogni responsabilità e dire che io avevo agito di mia iniziativa e per­ciò rimanevano rotte le trattative ed in tal caso avrei lasciato il Governo, oppure bisognava accettare il fatto compiuto. Il Sovrano fu per quest'ulti­ma soluzione.

 

A D.R.: Il Generale Taylor ed un altro ufficiale alleato furono a me condotti, la notte tra il 7 e l'8 settembre da Carboni perché Ambrosio era assente da Roma. Siccome il Taylor disse che l'arrivo della divisione avio-trasportata avrebbe avuto inizio la notte successiva, non potetti fare a meno, d'accordo col Carboni, di prospettare tutte le difficoltà, dato che, ritenendo l'armistizio sarebbe stato dichiarato non prima del 12, non eravamo ancora pronti per garantire la sicurezza degli aeroporti e provvedere a quant'altro esigevano gli alleati.

 

A D.R.: Le truppe della IV Armata non giunsero dalla Francia per­ché i tedeschi non le fecero arrivare ed anche perché il servizio ferroviario era del tutto irregolare a causa dei bombardamenti. Escludo che Roatta abbia comunque impedito ed ostacolato il loro ritorno in Patria dopo il convegno di Bologna.

 

A questo punto il testimonio fa presente che, per infermità conseguen­te ad un ascesso e ad un intervento chirurgico, non può ulteriormente affaticarsi per oggi. Il proseguimento dell'esame é di accordo rinviato alle ore 10,30 del 15 corrente.

 

f.to Ricciardelli - f.to Badoglio - f.to Fantini S.Ten.

 

 

 

Giorno 15 gennaio 1947 - Continuando l'interrogatorio.

 

A D.R.: In Italia nell'agosto e ai primi di settembre 1943 erano sol­tanto 12 divisioni in efficienza, giacché non considero quelle costiere perché non avevano consistenza. Intanto, alle otto e mezzo divisioni che già ave­vano in Italia, i tedeschi dopo il 25 luglio avevano aggiunto altre otto divisioni, tutte bene equipaggiate e fornite di materiale bellico moderno e nuovo e erano tanto guardinghi a mantenere l'efficienza bellica, che io non potetti ottenere da essi nemmeno degli autocarri per il trasporto del grano in Calabria stante la inazione delle ferrovie a causa dei bombardamenti.

In previsione delle trattative cogli alleati avevo già incaricato il gen. Ambrosio di preparare le istruzioni da trasmettere alle grandi unità in caso di armistizio e la stessa raccomandazione feci il 3 settembre, solle­citando che le istruzioni stesse fossero trasmesse e l'Ambrosia mi assicurò che aveva già tutto fatto da alcuni giorni; quanto alla difesa di Roma, mi assicurò di avere reso noto a Carboni che, anche se il Governo e i Capi militari fossero stati costretti a lasciare la capitale, egli avrebbe dovuto assumere la difesa interna della città oltre a quella esterna .

Nella notte tra l'8 e il 9 settembre il Generale Roatta in presenza di Sorice e Ambrosio mi fece un fosco quadro della situazione militare informandomi che le nostre truppe erano attaccate da reparti corazzati e paracadutisti tedeschi e che già si combatteva a Porta S. Paolo. Aggiunse che egli, per evitare danni alla città e che le truppe fossero battute in combattimenti parziali, aveva ordinato a Carboni di concentrare le sue for­ze a Tivoli.

 

A D.R.: Con precisione non ricordo le istruzioni date a Castellano allorquando il 12 agosto parti per Lisbona per intendersi con gli alleati, ma il punto fondamentale delle istruzioni stesse concerneva la nostra ade­sione agli alleati per combattere insieme con loro.

 

Domandato se prima dell'arrivo del Gen. Taylor si sapesse qualche cosa dell'invio da parte degli Alleati della divisione aviotrasportata, ri­sponde: Nulla so al riguardo perché codesta materia concerneva le ope­razioni militari.

 

A D.R.: Io, subito dopo il colloquio con Taylor, nella stessa notte telegrafai a Eisenhower chiedendo la proroga dell'armistizio così come pensavamo sarebbe stato dichiarato verso il 12 ed a tale mio messaggio fu risposto nei termini che o si accettava l'armistizio o avrebbero pubbli­cato tutti i documenti. Non é esatto che la mattina dell'8 settembre io abbia inviato altro telegramma per dire che avrei inviato un generale per chiarire la situazione, giacché un telegramma in tali sensi fu invece fatto da Ambrosio appena tornato da Torino.

 

A D.R.: Dopo la notte dal 7 all'8 settembre io vidi il Carboni nel Consiglio della Corona nella sera del giorno 8: sicché ignoro quanto egli abbia stabilito con Taylor e se abbia potuto riportare la certezza o l'im­pressione del rinvio della dichiarazione dell'armistizio. Preciso che il tele­gramma durante la notte fu spedito da Taylor per quanto da me suggerito.

Io ignoro se ci sia stato altro telegramma di esclusiva opera del Taylor, nel quale costui abbia dichiarato che non era più il caso dell'in­vio della divisione aviotrasportata. Quella notte il Carboni, tra l'altro, disse che mancavano in parte le munizioni nella piazza di Roma. Ripeto che io non ricordo se la mattina del giorno 8 il Generale Ambrosio venne da me anche col Carboni, comunque non posso escluderlo, trattandosi di cir­costanza di dettaglio.

 

A D.R.: Io so dell'esistenza della memoria 44 e della sua comunica­zione alle grandi unità, ma ignoro se sia mai stato chiesto dal Roatta e dal Carboni di ordinarne l'applicazione; né risponde a verità che un'auto­rizzazione in proposito sia mai stata chiesta a me.

 

A D.R.: Io non so se l'arrivo del Generale Taylor fosse stato prean­nunziato.

 

A D.R.: Io ebbi l'ordine di partire con lui dal Re ed a mia volta diedi ordine ad Ambrosio di seguirmi. Si intende che Ambrosio avrebbe dovuto trasferire il suo ufficio per poter funzionare. Dissi anche ai ministri militari di seguirmi ed infatti vennero Sandalli e De Courten. Il Sorice non segui pur avendone avuto l'ordine.

L'ordine ai vari Stati Maggiori delle Forze Armate di partire o re­stare doveva essere dato dal Capo di Stato Maggiore Generale, perciò io ignoro chi abbia ordinato a Roatta di partire.

 

Chiesto al testimone se il Roatta sarebbe dovuto partire o restare, ri­sponde: Ciò esorbita dal mio compito di Capo del Governo; ad ogni modo dico che il Roatta doveva partire, a meno che egli non avesse rite­nuto di farsene dispensare dal Capo di Stato Maggiore Generale nel caso di situazione particolarmente grave. Comunque, a Roma rimaneva un Com.te di Corpo d'Armata, il quale aveva competenza di dare ordini in proposito.

 

A questo punto il testimone fa presente che, per infermità ecc... (come avanti). Il proseguimento dell'esame di accordo è rinviato alle ore 10,30 del 16 corrente.

 

f.to Pietro Badoglio - f.to Ricciardelli - f.to S.Ten. Fantini.

 

 

 

Giorno 16 gennaio 1947 - Continuando l'interrogatorio.

 

A D.R.: Con la partenza di Roatta, il Carboni rimaneva investito a Roma dei pieni poteri e perciò aveva competenza per la difesa di Roma di dare qualsiasi disposizione.

 

A D.R.: Circa la dipendenza o meno di altri com.ti militari resi­denti a Roma da Carboni nulla posso dire con precisione, ma mi sembra che Ambrosio me ne abbia parlato. So che il Carboni era minutamente tenuto al corrente di quanto si svolgeva specialmente nei confronti degli alleati.

 

A D.R.: Soltanto la notte tra il 7 e l'8 settembre in presenza del Generale Taylor il Carboni mi disse che mancava il carburante e muni­zioni; mai prima di allora me ne aveva parlato per l'evidente motivo che io non entravo affatto in quella faccenda.

 

A D.R.: So bene che il 5 settembre tornò da Cassibile il Maggiore Marchesi con le note degli alleati, ma egli non parlò mai con me.

Io ignoro completamente la nota in data 6 settembre 1943 che sarebbe stata consegnata dal Comando Supremo a Carboni per farla giungere agli alleati ed in conseguenza nulla posso dire sul contenuto della nota stessa riportata nel libro del Carboni a pagine 59 e 60, della quale in questo numero V.S. mi dà lettura.

 

A D.R.: Io ho parlato col Generale Castellano verso la fine di agosto quando egli tornò da Lisbona; ma non ricordo il contenuto del colloquio. Non posso dire, perché non ricordo, se in un primo tempo gli alleati ab­biano lasciato intravedere uno sbarco prossimo a Roma oppure no. Del resto la cosa era talmente d'indole riservata che sarebbe stato puerile pre­tendere una confidenza del genere.

 

A D.R.: Prima delle dichiarazioni di armistizio non si era mai pen­sato all'eventualità o opportunità di trasferire da Roma il Capo dello Stato ed il Governo, appunto perché non si sapesse, dico meglio, il giorno in cui ci sarebbe stato dichiarato l'armistizio. D'altra parte per il detto trasferimento, secondo i calcoli circa la data di dichiarazione dell'armistizio ci sarebbero stati ancora altri giorni per poterci pensare. Io ribadisco che mai prima della notte dall'8 settembre al 9 si era pensato ad allontanare da Roma il Re ed il Governo.

 

A D.R.: Il Re ed il Governo partendo da Roma, non avevano una meta predestinata; sapevano però, che era libera la via Tiburtina e per quella si incamminarono per arrivare al mare, salvo a desistere lungo il viaggio secondo le circostanze. Soltanto a Crecchio dove fummo ospitati dal Duca di Bovino con il Re fu stabilito di dirigersi verso Pescara. A Crecchio non vi era Roatta, che poi vidi nella notte quando ci im­barcammo.

La notte dall'8 al 9 settembre il Gen. Roatta in mia presenza, fece presente l'opportunità che la famiglia reale e il Governo si allontanassero ed annunziò che egli, per evitare danni alla città e vittime, aveva ordinato al Generale Carboni di ripiegare su Tivoli. Io ed Ambrosia approvammo quanto era stato disposto da Roatta. Il Generale Ambrosio ci segui per mia disposizione, come ho già dichiarato; gli Stati Maggiori non ebbero e non potevano avere ordini da parte mia.

 

A D.R.: Nulla so della proposta del Generale Carboni per la sosti­tuzione del Generale Calvi. Questi del resto non è mai stato alle mie dipendenze e con lui non ho mai avuto rapporti ufficiali; lo conosco di vista e nulla posso dire sul suo conto.

 

L.C. e S. f.to Pietro Badoglio - f.to Ricciardelli - f.to Fantini.

 

 

 

 

 

L’INTERROGATORIO DEL GEN. AMBROSIO

SULLA MANCATA DIFESA DI ROMA

(Gennaio 1945)

 

La Commissione d'inchiesta per la mancata difesa di Roma interrogò, fra gli altri, ai primi di gennaio del 1945, il gen. Vit­torio Ambrosio e il Ministro della Real Casa duca Pietro Ac­quarone. Il primo, al corrente della successiva convocazione del secondo, gli diede un appunto scritto per informarlo degli argomenti escussi durante la sua deposizione inedita.

 

— Opera svolta sul Re a fianco di quella di Acquarone: prima preparare i fatti (accordi, truppa, ecc.) e poi cacciare Mussolini.

— Perché improvvisamente il Re decide il 20-21 di mandar via fra una settimana Mussolini?

— Perché lei non gli ha detto che non eravamo pronti?

— Perché Ambrosio non fu chiamato dal Re fra il 20 e il 25 luglio?

— Perché Badoglio non fu preavvisato in tempo, che diventava Capo del Governo?

— Perché e come il Re si decise a partire da Roma?

— È vero che il Principe a Pescara voleva tornare indietro? Dissuaso dalla Regina?

— Il Re, sapendo di dover far guerra al tedesco, non ha mai pensato ad abdicare?

— Quale parte ebbe il Re nelle trattative d'armistizio?

— Fu il Re a dare gli ordini ad Ambrosio di far partire i Ministri militari e gli Stati Maggiori?

— “La guerra continua” di Vittorio Emanuele Orlando: chi ha fatto il proclama del 25 luglio?

— Cosa fatto dopo d'aver detto che il Re mandava via Mussolini tra sette giorni? “Fatto molte cose, nei limiti del possibile”.

— Non pensa che il Re, cacciando via Mussolini, pensasse di ottenere un rialzo nel morale della Nazione, per poter meglio continuare la guerra a fianco del tedesco?

— Pensa che i Tedeschi potessero avvantaggiarsi dalla cacciata di Mussolini, avendo cioè a fianco un popolo fortificato moralmente? (No, anzi, il Fuhrer vi vide un'offesa personale).

 

 

 

 

 

RESOCONTO AUTOGRAFO AL RE DI ACQUARONE SULLA DEPOSIZIONE

RESA ALLA COMMISSIONE D'INCHIESTA PER LA MANCATA DIFESA DI ROMA

 

Il 9 gennaio 1945, tenendo conto della deposizione di Ambrosio, il Ministro della Real Casa rispose per tre ore all'in­terrogatorio. Il duca Acquarone, all'uscita dall'udienza, si af­frettò a stenderne un resoconto autografo per Vittorio Emanue­le III. La minuta autografa è scritta sulle due facciate di tre fogli e sulla prima del quarto. Tutti e 4 i fogli recano l’intestazione: « Ro­ma - Via Antonio Salandra 34-4 - Telef. 480.575 ».

 

Roma

Via Antonio Salandra 34-4

Telef. 480.575

 

Martedí, 9 Gennaio 1945

 

Maestà,

 

ritorno ora dall'essere stato sentito dalla Commissione per la mancata Difesa di Roma presieduta dal Sottosegretario alla Guer­ra Palermo. Il mio interrogatorio è durato tre ore precise, verbalizzato e firmato.

 

Mi è stato possibile precisare qualche punto, correggere qual­che inesattezza e smentire qualche errata deposizione.

 

A parte qualche accenno rettorico del Sottosegretario, attor­niato da una forma perfetta, l'interrogatorio si è mantenuto qua­si sempre nel campo militare anche per l'intervento intelligente e fedele del Generale Amantea, S.E. Ago è stato quasi sem­pre spettatore ed uditore passivo.

 

25 Luglio. - Ho potuto stabilire: che Vostra Maestà aveva deciso di porre fine al regime fascista e di revocare Mussolini sin dal gennaio 1943, ho sottolineato la gravità del provvedimento e la neces­sità dell'assoluto segreto voluto da V.M. Fu verso il 20 luglio che per ordine di Vostra Maestà avevo informato le Autorità militari e per esse il Gen. Ambrosio che entro pochi giorni, Vo­stra Maestà avrebbe revocato il Capo del Governo di allora, e ciò prima e indipendentemente dalla successiva seduta e dal voto del Gran Consiglio. Che l'ordine di arresto di Mussolini fu dato da Vostra Maestà personalmente, che la seduta del Gran Con­siglio non ebbe altro riflesso all'infuori di quello formale di far anticipare di due o tre giorni la già presa decisione e di far mu­tare il luogo dell'arresto che avrebbe dovuto essere eseguito all’interno del Quirinale, che S.E. Orlando aveva consigliato il go­verno militare e di funzionari non politico, governo che avrebbe dovuto avere breve durata ed essere presto sostituito da un go­verno politico, che la frase: « La guerra continua » fu stesa dallo stesso On. Orlando, che Vostra Maestà preoccupata alla con­dotta del governo Badoglio aveva invitato S.E. Orlando di stare vicino al Presidente per ben consigliarlo, che aveva anche pen­sato ad una vice Presidenza Soleri.

 

Armistizio. - Ho potuto precisare che Vostra Maestà fu sol­tanto saltuariamente informata della trattativa, ho detto dell'in­tervento di Vostra Maestà per impedire il rilascio del documento firmato con la data in bianco.

 

8 settembre. - Si è precisato che contro il desiderio di Vostra Maestà, a seguito della decisione del Maresciallo Badoglio, Vo­stra Maestà ha consentito a seguire il Governo non senza aver insistito perché tutti i ministri venissero informati; si è accer­tato che le navi e gli aeroplani furono ordinati dai rispettivi Mi­nistri militari per ordine del Maresciallo Badoglio nelle ore precedenti la partenza da Roma, per resistere alle eventuali offen­sive dei tedeschi non per partire da Roma.

 

Ho dovuto correggere qualche inesattezza: sembra che il Gen. Ambrosio, per alleggerire le proprie responsabilità, abbia detto di avermi fatto presente l'opportunità o meglio la necessità di far precedere alla cacciata di Mussolini, trattati e con gli Al­leati etc.: ho escluso la cosa dimostrandone l'assurdità e l'im­possibilità dell'attuazione. Il Maresciallo Badoglio che pure si è accollata la responsabilità della decisione della partenza da Roma, ha dichiarato che Vostra Maestà per rispetto alla prassi costi­tuzionale, si è deciso a disfarsi di Mussolini soltanto dopo il voto del Gran Consiglio: ho dimostrato il contrario. Il Mare­sciallo Badoglio ha detto di non aver veduto Vostra Maestà dal marzo 1943, ho ricordato l'udienza concessagli il 25 luglio, le mie frequenti visite e la sua accettazione a presiedere un governo mi­litare e di funzionari. Ho smentito una affermazione del Gene­rale Castellano che si attribuiva un intervento in una seduta precedente l'armistizio.

 

Mi onoro accludere qualche appunto che avevo in precedenza steso per me e che ha formato la base della mia deposizione.

 

Mi lusingo di essere riuscito a chiarire ed a precisare qualche punto assegnato in omaggio alla verità.

 

Dal complesso dell'interrogatorio diretto esclusivamente da S. E. Palermo, ho tratto l'amara impressione che tutti gli inter­rogati abbiano in modo contraddittorio deposto nel loro esclu­sivo interesse e per difendere esclusivamente la propria persona ed il proprio operato: ho fatto del mio meglio per porre nella vera luce quanto Vostra Maestà ha fatto nel supremo interesse del Paese, non senza far rilevare la colpevole passività generale. Il Presidente ed i membri della Commissione mi hanno autoriz­zato a far loro pervenire quegli ulteriori schiarimenti che ritenes­si utile alla verità dei fatti, entro dieci giorni: tanto mi onoro riferire a Vostra Maestà se del caso la interessi dar ordini in pro­posito. Domani, come da ordine di Vostra Maestà, chiederò di essere ricevuto da Sua Altezza Reale il Principe di Piemonte per metterlo al corrente del subito interrogatorio di quanto potrà interessarGli.

 

 

Voglia Vostra Maestà credere alla mia affez. devozione. Di Vostra Maestà obb.

 

D'A.

 

 

 

Alcune domande, per la loro delicatezza, non furono verba­lizzate. Il Ministro della Real Casa riferì a Vittorio Emanuele III anche le risposte date ad esse, nei termini dai quali risulta con tutta chiarezza che fu il Sovrano a « dare personalmente l'or­dine d'arresto di Mussolini ». Il documento è composto da cinque fogli scritti sulle due facciate; l'ultimo solo per quat­tro righe della decima facciata. La carta reca l’emblema aral­dico degli Acquarone ad eccezione del secondo foglio sulla stessa carta intestata servita per la minuta della lettera del 9 gen­naio 1945 a Vittorio Emanuele recante l’intestazione: « Roma - Via Antonio Salan­dra 34-4 - Telef. 480.575 ».

 

Domande riflettenti l'opera di S.M. il Re non verbalizzate, e alle quali pur facendo precedere le dovute riserve, ho ritenuto op­portuno non rifiutarmi di rispondere.

 

 

1 Domanda: perché S.M. pur avendo deciso dal gennaio 1943 di porre fine al fascismo e di mandare via Mussolini ha atteso sette mesi per attuare il suo proposito?

 

Risposta: ho fatto presente la gravità del provvedimento reso più difficile per lo stato di guerra, pericoli ai quali si sarebbe an­dati incontro con una non perfetta preparazione, la mancanza di uomini di carattere dei quali potersi fidare, pochissimi hanno par­lato al Sovrano e quasi tutti in forma debole, sino alla caduta di Mussolini tutti ne erano impauriti, il Paese era totalmente sog­giogato dal regime di terrore e di sospetto ad arte sostenuto da Mussolini e dai suoi più vicini collaboratori. Ultima prova ne è stata la necessità per il Re di dare personalmente l'ordine d'ar­resto di Mussolini, al che tutti si erano rifiutati. Gli eroi sono venuti fuori dopo l'arresto.

 

La presenza nel Paese di tedeschi, sospettosi e diffidenti, ren­deva più difficile ogni passo ed ogni provvedimento e consiglia­va la massima prudenza.

 

Su ordine del Re, si è fatto tutto il possibile, nei limiti con­sentiti dal supremo interesse del Paese; sono stati intensificati i rapporti coi rappresentanti delle correnti antifasciste che si era­no svelati: Bonomi, Soleri, Orlando, Casati e sia perché il Paese trovasse subito una classe di dirigenti pronta ad assumere il po­tere, subito dopo che il Governo Militare avesse assunto il suo compito del trapasso del regime senza scosse e senza spargimen­to di sangue: il che è avvenuto.

 

Sono stati intensificati e perfezionati, pur col dovuto riserbo, i contatti con le Autorità Militari (Gen. Ambrosio) per dar mo­do a questi di orientarsi nella nuova situazione che si sarebbe creata e far concretare il piano tecnico dell'arresto di Mussolini che ha presentato sino all'ultimo momento delle gravi incognite che non bisognava sottovalutare.

 

 

2 Domanda: perché il Re dopo il 20, pur avendo fissato la data approssimativa della caduta di Mussolini non ha chiamato Ambrosio che pur gli aveva fatto pervenire numerosi memoriali atti a dimostrare l'urgenza del provvedimento e la necessità di staccarsi dai tedeschi? Sua Maestà non pensava forse di poter con­tinuare anche dopo la caduta del fascismo la guerra contro gli alleati?

 

Risposta: Sua Maestà è sempre stato contrario alla Germania e ai tedeschi, anche Ciano lo ha esplicitamente dichiarato in una sua lettera diretta al Sovrano nel momento di affrontare la mor­te: qualsiasi induzione contraria è assurda e ridicola. S.M. sa­peva esattamente dei colloqui che per ordine suo io avevo con Ambrosio; e questi non ignorava che io non ero nella delicata faccenda che il portavoce del Re. Una chiamata, fuori program­ma, del Gen. Ambrosio o di altri, non avrebbe potuto che su­scitare sospetti e compromettere l'esito del grave provvedimento.

 

Ognuno avrebbe dovuto assumersi la propria parte di respon­sabilità. Il segreto doveva essere mantenuto per tutti: anche nell’ambiente di Ambrosio si minacciava di parlare, presso Mussolini si diffidava di lui, il Re dovette intervenire per evitarne la so­stituzione. Gli avvenimenti hanno dimostrato e dimostrano che malgrado le amare esperienze tutti hanno parlato e parlano trop­po ed inesattamente su documenti ed avvenimenti militari e po­litici sui quali anche ora nell'interesse del Paese, il più scrupo­loso riserbo sarebbe necessario. (Da quanto ho potuto compren­dere anche molte delle personalità interrogate dalla Commissio­ne non hanno saputo o voluto resistere a questo grave difetto nel­la vana speranza di salvare se stessi facendo ricadere su altri responsabilità o biasimi).

 

 

3 Domanda: perché il Re, dopo il 25 luglio, vedendo che il Governo di Badoglio deludeva le aspettative e le speranze non è intervenuto malgrado che Badoglio non aveva l'aureola e la forza di Mussolini?

 

Risposta: non è esatto: il Re è intervenuto: come già detto. Ha chiamato ripetutamente Orlando, lo ha esortato ad affian­care l'opera di Badoglio, ha piú volte [ingranditi] B., ha pen­sato ad una vice presidenza Soleri, etc. Non si sarebbe, a mio av­viso, potuto immediatamente e seriamente pensare ad un im­mediato scambio di Governo, dopo pochi mesi dalla caduta di un regime e di un Governo come quello di Mussolini, tanto piú che Badoglio ed il suo Governo erano ormai impegnati nelle tratta­tive con gli Alleati. Un repentino cambiamento poteva prestarsi a pericolose interpretazioni ed accrescere quella diffidenza negli Alleati verso di noi che si è rivelata in seguito la principale cau­sa delle nostre passate e presenti disavventure.

 

 

4 Domanda: in tutto questo periodo il Re non fa nessuna bella figura; dimostra di essere indeciso, il fatto che nessuno ave­va il coraggio di parlare a lui chiaramente dimostra che egli non sapeva o non voleva accattivarsi la confidenza delle persone, avreb­be potuto, prima di cacciare Mussolini mandare qualche suo ambasciatore di fiducia a parlare con gli Alleati per predisporre l'ar­mistizio etc., avrebbe potuto far cercare da persone della sua Corte uomini dei partiti che come quelli del [.....] erano ca­paci etc.

 

Risposta: Premesso che non questa era la sede per parlare dell’opera del Re, dato che tutta la Commissione, compreso il Pre­sidente, ha subito convenuto, mi è stato facile dimostrare l'assur­dità della tesi, non come ex Ministro, ma come semplice persona che ha avuto l'onore di servire per qualche anno il Sovrano, pos­so testimoniare che nessuno avrebbe potuto far meglio e di più: nessuno poteva perché nessuno ne aveva il coraggio, la prova di debolezza e di supina acquiescenza che dava il Paese e quella che si ritiene la parte dirigente di esso, non valeva ad incorag­giare provvedimenti energici né ad incutere fiducia per una so­luzione migliore. Tutti, Paese, uomini politici, partiti, sono stati al di sotto del loro compito; anche quei pochi che venivano a par­lare con me erano dominati dal terrore delle conseguenze. Non vi erano uomini. Malgrado ciò, il Re solo ha osato. La non buo­na prova del Governo Badoglio, gli errori commessi, hanno am­piamente e dolorosamente dimostrato quanto la prudenza ed il riserbo del Sovrano erano più che mai necessari, e quanto il Pae­se ed i suoi uomini cosiddetti migliori erano impreparati ed im­pari ad ogni compito direttivo, [ ..... ] tutta la lamentata pru­denza ed il lamentato eccessivo indugio del Sovrano.

 

 

 

 

 

Le vicende che dal gennaio 1943 portarono alla caduta del Regime e ai successivi avvenimenti svoltisi durante il primo Go­verno Badoglio (compreso l'armistizio dell'8 settembre e il pro­blema della ventilata abdicazione di Vittorio Emanuele III) co­stituiscono l'argomento di alcuni appunti scritti dal duca Acquarone. Vi si ribadisce che Badoglio — il quale aveva già contro firmato il Decreto di nomina a Capo del Governo in sostituzione di Mussolini fin dalla prima mattina del 25 luglio — « non volle dare l'ordine di arresto ». Tale ordine « venne esclusivamente dal Re ».

 

25 LUGLIO

 

Il Re, dal 1° gennaio 1943, aveva deciso. L'esecuzione era resa più difficile per lo stato di guerra e per la diffidenza e i sospetti di Mussolini e delle gerarchie del Partito.

 

Il Generale Hazon, che il Re volle al comando dei Carabinie­ri, ebbe ad avvertirmi di aver avuto da Mussolini l'ordine di sor­vegliarmi come sospetto di complotto contro di lui in accordo con Ciano.

 

Agli ordini del Re che mi onorava della sua fiducia e dopo aver esplicitamente dichiarato che Egli avrebbe potuto sacrificarmi nel caso il segreto si fosse svelato, pronto ad affrontare e subire da solo tutte le conseguenze ed ogni responsabilità, incominciai il mio lavoro.

Ho la coscienza di non aver compromessa nessuna delle per­sonalità che in quei mesi ho avvicinato: i nove mesi di occupa­zione nazista lo hanno confermato.

 

Vidi ripetutamente Orlando, Bonomi, Soleri, Casati, ecc. Ol­tre ad intensificare i contatti con gli esponenti dei partiti di op­posizione che si facevano vivi, bisognava assicurarsi l'Esercito che Mussolini vantava di avere a sé fedele, il che non era da esclu­dersi per il Maresciallo Cavallero. Ambrosio, persona retta e di carattere, aveva presentato vari memoriali, lamentando lo stato

 

morale e materiale dell'Esercito e l'impossibilità di continuare la guerra. Tale sua disposizione d'animo mi venne da più parti con­fermata da persone che avevano contatti con Ambrosio (Cini, ecc.).

 

Per ordine del Re intensificai i contatti con lui in modo da preavvertirlo delle superiori intenzioni e da preordinare il pia­no per l'arresto di Mussolini: il che fu fatto. Anche con lui il Re tenne assoluto riserbo perché, sia pure larvatamente, si comin­ciava a parlare di qualche cosa.

 

Mi erano giunte all'orecchio voci di diverse iniziative, di un pronunciamento militare, ecc., voci che avrebbero potuto com­promettere l'esecuzione del piano.

 

Il Re, al corrente di tutti questi fatti e più che mai convinto della urgente necessità di staccarsi dall'alleanza tedesca, decise di affrettare: da qui la mia comunicazione di affrettare i prepa­rativi.

 

Il Gran Consiglio, poi, fece precipitare gli eventi: e quello che avrebbe dovuto verificarsi dopo la firma del lunedì successivo in Piazza del Quirinale, fu dovuto eseguire subito per ovvie ra­gioni.

 

Nessun rapporto col Gran Consiglio. Ero al corrente dei pro­positi contrari a Mussolini, ma non ero stato informato che Grandi avrebbe presentato il noto ordine del giorno, né si era nemmeno lontanamente accennato alla possibilità di un Gover­no fascista con Grandi, Federzoni, ecc.

 

Il 25 nel pomeriggio vi fu un attimo di indecisione: Badoglio che pure era già Capo del Governo, avendo il Re firmato il De­creto fin dalla prima mattina, non volle dar l'ordine di arresto: così pure Ambrosio. Dovetti io personalmente chiedere al Re l'ordine e trasmetterlo poi al gen. Cerica che me lo aveva tassa­tivamente richiesto. Questo per la verità. L'ordine venne esclu­sivamente dal Re.

 

 

PROCLAMA

 

S.E. Orlando, da me invitato a nome di Sua Maestà aveva steso una bozza di proclama molto lunga sia per il Re che per il futuro Capo del Governo, dove era contenuta la frase: « la guer­ra continua ».

 

S.M. il Re vi apportò alcune correzioni ed il testo definitivo fu approvato anche da S.E. Orlando.

Tutte le minute furono subito distrutte, secondo le direttive del Re che non voleva si fossero conservati documenti o carte che comunque potessero danneggiare altri.

 

 

GOVERNO BADOGLIO

 

Per ordine del Re avvicinai ripetutamente S.E. Orlando per chiedere il suo parere e ciò sempre prima del 25 luglio e della seduta del Gran Consiglio, ritenendo non prudente per S.E. Or­lando di

recarsi al Quirinale dal Re.

 

Per consiglio dello stesso Orlando, il Re si decise per un Go­verno militare non politico e composto esclusivamente di fun­zionari, che in un primo tempo avrebbe avuto soltanto Commis­sari e non Ministri.

 

Il Re obiettò che per ragioni costituzionali doveva invece es­sere composto di Ministri ed Orlando disse che la cosa aveva un'importanza puramente formale ed accondiscese.

 

Badoglio interrogato accettò, anche prima del 25 luglio, di co­stituire e presiedere un Governo esclusivamente militare, non politico e composto di funzionari. In un immediato secondo tem­po si sarebbe addivenuti ad un Governo politico che presumibil­mente sarebbe stato affidato a S.E. Orlando. Una delle ragioni per le quali, anche per consiglio di Orlando, si era preferito il gover­no militare, era che non si poteva neppur lontanamente suppor­re che la caduta di Mussolini sarebbe stata così liscia come av­venne ed occorreva predisporre quanto necessario per fronteg­giare l'eventuale situazione interna, e sembrava che Badoglio avesse intorno al suo nome e nel Paese un seguito da giustificare la sua scelta.

 

 

ARMISTIZIO

 

Il Re, per quanto mi risulta, fu solo e saltuariamente infor­mato dal Maresciallo Badoglio. Questi iniziò subito trattative, sia direttamente, sia per mezzo del figlio, sia a mezzo dell'Am­basciatore Guariglia, del Vaticano e dell'Autorità militare (Am­brosio, ecc.)

 

Ma il Re mi risulta, in qualche caso ebbe a non approvare i me­todi seguiti (rilascio di accettazione in bianco, per la data, ecces­siva superficialità, ecc.).

 

E con l'armistizio il Governo e le Autorità militari avrebbero dovuto provvedere per il conseguente cambio di fronte che si ren­deva inevitabile ed urgente data la presenza di truppe tedesche in Italia e là crescente diffidenza di queste.

 

Il Re dopo il 25 luglio, avendo subito rilevato una certa irre­solutezza e deficienza politica nel Capo del Governo, più volte si rivolse all'on. Orlando sia per mio tramite, sia direttamente, perché lo assistesse ed aveva anche pensato a modificare la com­pagine del Governo pensando a una vice presidenza affidata al­l'on. Soleri che si era dimostrato il più energico degli oppositori antifascisti.

 

Risulterebbe che, per iniziativa dello Stato Maggiore, fossero state richiamate dalla Francia delle Divisioni colà inviate e si pen­sasse anche a far rientrare dalla Dalmazia altre truppe per fronteggiare, se non superare, le truppe tedesche allora in Italia e per poterne fronteggiare il prevedibile atteggiamento offensivo.

 

 

8 SETTEMBRE

 

Il Re, per invito del Governo si recò nei locali del Mini­stero della guerra per rimanervi durante il periodo della difesa di Roma che si prevedeva dovesse durare due o tre giorni al mas­simo. Si era scelto il Ministero della Guerra perché dotato di co­municazioni telefoniche sicure coi comandi di truppa, ecc. e per­ché più facilmente difensibile. Tanto è vero che una partenza non era prevista, che tanto i Reali che il loro limitato seguito, non avevano pensato di portare il minimo indispensabile corredo. Io stesso, che non seguivo mai il Re, andai col solo necessario per la notte, tanto che partii senza cappello e senza cappotto e senza avvertire i miei familiari, con le conseguenze a tutti ben note.

 

Il Re non si era mai posto il problema di partire da Roma.

 

Appena se ne fece qualche cenno, oppose un reciso rifiuto. Si decise a seguire il Governo dopo avere ripetutamente chiesto al Maresciallo Badoglio se aveva provveduto ad avvertire gli altri Ministri, Guariglia, Sorice, ecc. Questo ho sentito all'atto di sa­lire in auto. Non ero presente ai colloqui.

 

Ritiratomi alle 12 dopo il colloquio Carboni, ero stato chia­mato soltanto alle 4,30 quando Sua Maestà si disponeva a salire in auto, ed invitato a seguirlo, come era mio dovere. All'ultimo momento ho sentito dire da Badoglio: « Appuntamento a Pe­scara ». Per via ho avuto conferma della destinazione.

 

Badoglio era seriamente preoccupato. Riteneva di andare in­contro a sicura fine in mano dei tedeschi: alla mia domanda per­ché non aveva preso il figlio con sé, mi rispose che avendo già perduto un figlio non si sentiva di far correre all'ultimo figlio ri­mastogli il pericolo di cadere in mano ai tedeschi.

 

Da quanto mi venne subito raccontato, nella notte dell'8 set­tembre si sarebbero svolti i seguenti colloqui:

 

1) Roatta-Ambrosio.

2) Ambrosio-Roatta-Badoglio e Ministro Sorice.

3) Il Maresciallo Badoglio si recò dal Re per comunicargli la decisione presa dal Governo di allontanarsi da Roma e per in­vitarlo a seguirlo.

 

Il Ministro della Marina che sino al mattino restò sempre con me, dichiarò che egli avrebbe seguito il Governo nel solo caso che il Re si fosse imbarcato su una nave da guerra per una località libera, condizione senz'altro imposta e voluta da Sua Maestà. In caso diverso sarebbe rientrato al suo posto nella Flotta.

 

Mi risulta che gli ordini dati sia alle corvette provenienti dal Nord e dal Sud sia agli aereoplani di raggiungere Pescara venne­ro dati dai competenti Ministri militari nella stessa notte prima di lasciare Roma per ordine del Maresciallo Badoglio.

 

 

ABDICAZIONE

 

Sua Maestà il Re non me ne ha mai esplicitamente parlato. Penso che egli aspirasse a cedere il Trono al figlio a situazione migliorata e passato il primo periodo che presentava pericoli e dubbi che la sua esperienza avrebbe pi ú facilmente potuto supe­rare.

 

PIETRO D'ACQUARONE

 

 

 

 

 

Fin dai primi mesi del 1945, per dare maggior forza alle sue parole, il duca Acquarone incaricò il Segretario del Senato comm. Galante di compiere una precisa e veridica inchiesta sulle opinio­ni prevalenti in seno alla Camera Alta, di decisa avversione alla politica di Mussolini e del Fascismo. Gli richiese di esporre sen­za reticenze quanto a lui risultava circa l'atteggiamento assunto dalla maggior parte dei Senatori nel lunghissimo periodo durante il quale — da epoca anteriore alla stessa dichiarazione di guerra — il Senato era rimasto chiuso. Gli raccomandò di non nascondere nulla, contrariamente al sistema con cui a quel tempo si redigevano le relazioni ufficiali; facendogli intendere, altresì, che quella relazione egli l'avrebbe sottoposta alla attenzione del Sovrano per sollecitarne le invocate determinazioni. Il comm. Galante redasse una relazione chiara e cruda. E tale significativo documento il duca Acquarone presentò al Re. Lo conferma il comm. Galante nel seguente documento.

 

SENATO DEL REGNO

Il segretario Generale

 

Roma, 2 maggio 1945

 

Dichiaro che nel periodo dal gennaio al 25 luglio 1943, ho avuto diversi colloqui — di carattere assolutamente riservato — con il Ministro della Real Casa, Senatore Duca Pietro d'Acqua­rone.

 

Questi colloqui — iniziati e continuati a richiesta e per pre­ghiera del Sen. d'Acquarone — avevano come scopo essenziale quello di rendere edotto il Ministro della Real Casa sul vero e reale stato d'animo del Senato relativamente alla guerra, all'an­damento di essa, ed alla situazione generale determinatasi nel Paese.

 

Le informazioni avevano carattere strettamente confidenziale, poiché esse — come il Senatore d'Acquarone ripetutamente mi dichiarò — venivano riferite soltanto a S.M. il Re.

 

In uno di tali colloqui, per il progressivo peggioramento delle vicende di guerra, feci una esposizione — più dettagliata e più preoccupante delle precedenti — sulla gravità della situazione, così com’essa era giudicata negli ambienti di Palazzo Madama, concludendo che era quasi unanimemente diffuso in Senato la convinzione che si andasse verso il disastro e che fosse non sol­tanto, ma urgente, impedire una catastrofe irreparabile; ed il Se­natore d'Acquarone mi pregò di riassumere in un memoriale la esposizione che gli avevo fatto a voce. Mi suggerì, anzi e mi raccomandò, di redigere il memoriale con la maggiore fedeltà e chiarezza possibile, senza sottintesi ed eufemismi, in termini espli­citi e magari crudi, affinché esso riuscisse della maggiore efficacia, dovendo essere sottoposto a S.M. il Re.

 

Quando, il giorno dopo, consegnai il memoriale, il Senatore d'Acquarone mi assicurò che lo stesso giorno egli lo avrebbe pre­sentato a S.M. il Re.

 

D. GALANTE

 

 

 

 

 

DOCUMENTI SULLA CONSULENZA INGLESE

PER LA LUOGOTENENZA ED IL PROGETTO MONARCHICO

DI UNA NUOVA COSTITUZIONE

 

I due documenti testimoniano l'opera del rappresentante inglese presso la Commissione alleata di Controllo, ten. col. Guy Hannaford, in favore di Casa Savoia. Il primo, pubblicato integralmente è una memoria sull'abdicazione e la luogotenenza che servi di orientamento per quanto effettivamente si fece, nell'aprile 1944. L'altro, riprodotto nelle parti essenziali, è un commento dello stesso Hannaford a un progetto di nuova Costituzione – che poi non venne promulgata – elaborato per conto della monarchia nell'autunno 1945, eviden­temente per influire sull'imminente referendum istituzionale.

 

 

Memorandum sull'abdicazione del Re

e l'istituto italiano della "Luogotenenza"

 

 

I. Oggetto del Memorandum

 

I Governi Alleati, dopo aver concluso un armistizio con il Governo del Re d'Italia, Vittorio Emanuele III, hanno dovuto constatare l'esistenza di una crescente opposizione al Sovrano e alla sua famiglia di una larga parte del popolo italiano.

 

Il Quartier Generale delle Forze Alleate desidera essere informato delle questioni legali relative all'abdicazione del Re, sia che lo desideri lo stesso Sovrano, sia che possa esservi persuaso da uno o piú partiti politici; e, in tal caso, sapere se dal punto di vista costituzionale è possibile conseguire i seguenti risultati:

 

1. Può il Re abdicare a favore di suo nipote, scavalcando cosí i diritti dell'erede legittimo, il principe di Piemonte?

 

2. Esiste un meccanismo costituzionale per il quale possa essere nomi­nato Reggente, per un re minorenne, persona non facente parte della Casa Reale, ammesso che il Re e il principe di Piemonte possano essere persuasi ad abdicare?

 

3. Si può costituire un Consiglio di Reggenza e chi ne potrebbero essere i componenti? La Regina Madre, il Primo Ministro, un rappre­sentante del Papa: l'arcivescovo di Bari? [Il corsivo è a mano nel testo]

 

Tali questioni sono regolate dalla Costituzione del 1848 (di cui si allega copia) e, sebbene un partito forte potrebbe con un colpo di Stato ignorare le sue clausole, costringere il Re a abdicare e costituire un Consiglio di Reg­genza senza alcun riguardo all'autorità della Costituzione, in questo memo­randum si darà per scontato che nessun partito vorrà agire in modo anticostituzionale o che, nel caso lo facesse, la politica alleata gli precluderebbe ogni passo in tal senso.

 

 

II. La “Costituzione del 1848” (9 marzo 1848)

 

Lo Statuto del Regno di Sardegna (Savoia, Piemonte e Sardegna) li­beramente concesso al suo popolo da un monarca assoluto, Carlo Alberto, divenne la Costituzione del Regno d'Italia quando il successore Vittorio Emanuele II consegui la completa unificazione del Paese con la presa di Roma del 1870.

 

Modellato sulla Costituzione francese del 1830, originariamente redatto in francese, il suo principale oggetto dinastico era di assicurare la conti­nuità di Casa Savoia su un trono che i suoi membri avevano occupato come Conti, Duchi e Re, a partire dal XIII secolo (legge Salica). Per converso, lo "Statuto" non era “une Constitution rigide” [in francese nel testo] e le sue clausole furono di quando in quando emendate dall'atti­vità legislativa del Parlamento. Il governo fascista sfruttò tale concezione introducendo, per mezzo di atti del Parlamento, il Gran Consiglio del Fascismo, le Corporazioni, ecc., nella vita costituzionale del Paese. Esperti costituzionalisti, fascisti e antifascisti, tuttavia, concordano nel rilevare che, pur se le clausole dello Statuto possono essere emendate, ogni emendamento può effettuarsi solo quando vi sia pieno accordo tra i vari corpi costituzio­nali (Re, Consiglio dei Ministri e Parlamento) e non per decisione di uno o persino di due di essi, specialmente nelle condizioni dell'attuale guerra. (Vedi: Crosa, Diritto Costituzionale pp. 235-246; Chimienti, Diritto Costi­tuzionale, pp. 110-159; Orlando, Principi di Diritto Costituzionale.)

 

 

III. La Reggenza

 

Poiché è chiaro che non è possibile convocare il Parlamento per emen­dare lo Statuto fino a quando i tedeschi non siano stati cacciati dall'Italia, è necessario considerare se le sue clausole possono essere interpretate tanto ampiamente da permettere al Re di abdicare a favore di suo nipote e da giustificare la nomina di un Reggente o di un Consiglio di Reggenza al di fuori di Casa Savoia.

 

a) Abdicazione. — Il Re può abdicare, anche se lo Statuto non ne parla espressamente, e la sua abdicazione non ha bisogno di essere accettata dal Gabinetto o dal Parlamento per diventare effettiva; ma deve abdicare senza condizioni e definitivamente; in tal caso gli succede automaticamente l'erede legittimo. Vi sono parecchi casi di abdicazione di membri della Casa, il più noto e recente dei quali è l'abdicazione di Carlo Alberto (cui successe Vittorio Emanuele II, il fondatore dell'Italia, dopo la sconfitta di Novara del 1849).

 

b) Reggenza. — Il problema del Reggente è attentamente e esaurien­temente contemplato nello Statuto. Si può nominare un Reggente solo se il Re è minore di 18 anni o si trova in condizioni tali da non poter fisica­mente essere idoneo a regnare (articoli 12 e 16). L'ordine in cui viene stabilita la Reggenza è il seguente: il più prossimo parente maschio (art. 12) se maggiore di 21 anni; altro parente maschio, se il più prossimo è minore di 21 anni (art. 13); la regina madre (art. 14), in assenza di parenti maschi; l'erede presuntivo, in caso di inidoneità fisica del Re, se ha rag­giunto i 18 anni (art. 16).

 

In nessun caso il Reggente può esser scelto al di fuori della Casa Reale. Un Consiglio di Reggenza non viene mai menzionato e non vi sono precedenti per giustificare la nomina di un Reggente se non secondo le clausole summenzionate, o una qualche prospettiva per l'istituzione di un Consiglio di Reggenza. Ne discende, perciò, che le risposte alle tre domande formulate al par. I di questo memorandum debbano essere tutte e tre negative e, in queste circostanze, la vostra attenzione viene attirata su una possibile soluzione del problema, e precisamente sulla Luogote­nenza.

 

 

IV. La Luogotenenza

 

La Luogotenenza è una antica consuetudine dinastica. Lo Statuto non vi fa riferimento ma parecchi capi di Casa Savoia hanno nominato un “Locumtenens” o “Luogotenente”, “per esercitare gli stessi poteri dello stesso Conte, foss'anche questi presente e nel pieno possesso dei suoi do­mini”.

 

Dall'esistenza dello Statuto, furono nominati Luogotenenti nel 1849-Appendici

50-55-60-66 e ultimamente nel 1915. Pur non esistendo nessun fondamento costituzionale per questa istituzione, essa viene considerata senza contesta­zione come uno dei privilegi del sovrano regnante.

 

Il Re nomina un Luogotenente quando prende il comando dell'esercito in battaglia o quando si deve assentare dal Paese per un periodo di tempo indeterminato.

 

Il Luogotenente è in genere scelto tra i membri della Famiglia Reale, ma esistono precedenti ed è fuor di dubbio che possa esser scelto al di fuori.

 

I poteri del Luogotenente son quelli contenuti nel Decreto reale che lo nomina. Non vi è alcun limite.

 

Il Decreto reale è in genere controfirmato dal Primo Ministro (Sa­landra nel 1915).

 

In breve, non vi è ragione di dubitare che il Re potrebbe investire il Luogotenente di tutti o di parte dei poteri che egli detiene secondo la Costituzione, in relazione agli Statuti e alla consuetudine.

 

 

V. Conclusione

 

Per garantire la nomina di un Luogotenente non facente parte della Famiglia Reale, sono essenziali due condizioni.

 

a) L'assenza del Re dal Regno, per un periodo di tempo illimitato. Ciò significa Umberto dopo suo padre. [Il corsivo è a mano nel testo]

“Caro Gerald, questo può salvare la Monarchia. Se il principino di Napoli dive­nisse re sotto un reggente (suo padre) e vi fosse un referendum, nessuna donna italiana, comunista o no, voterebbe per togliere il regno a quest'incantevole ‘bambino’ [in italiano nel testo - N.d.T.]. Ma tutto dipende dal vecchio Vittorio”. [post-scriptum vergato interamente a mano, indirizzato al brigadiere generale Gerald Uppolm]

 

b) Il Decreto reale firmato da lui prima della sua partenza. Si, sí.[Il corsivo è a mano nel testo]

 

In entrambi i casi non può eludersi il “gradimento” del Re.

 

Senza voler pregiudicare quelli che sarebbero i poteri del Luogote­nente, nel caso abbia luogo la sua nomina, le clausole del Decreto reale dovrebbero limitare la sua durata in carica fino alla liberazione del terri­torio italiano dal nemico e alla possibilità per il popolo italiano di espri­mere liberamente la sua volontà quanto alla forma di governo che intende avere.

 

Inoltre lo stesso Re dovrebbe acconsentire ad attenersi al volere del popolo; dichiarazione che, in pratica, egli ha già. fatto.

 

Infine, se i poteri del Luogotenente fossero limitati dal Decreto alle attività amministrative, legali e non-politiche, la sua nomina potrebbe essere il modo di uscir fuori dal presente impasse, dal momento che nessun’altra soluzione appare attuabile, se non violando insieme la Costitu­zione e i basilari Statuti del Regno.

 

21/12/'43

 

 

 

 

Progetto di Costituzione del Ministero della Real Casa

Novembre 1945

 

 

Abbozzo della Carta Costituzionale

 

1. Ho letto attentamente l'abbozzo di costituzione sottopostomi per un giudizio. Contiene parecchie interessanti innovazioni ma anche inaspettate reminiscenze dell'immediato passato politico del Paese oltre a un certo nu­mero di deplorevoli lacune. Lo schema generale è di assommare nella per­sona del Re poteri e funzioni simili a quelli esercitati dal Presidente degli Stati Uniti secondo la Costituzione del 1787.

 

2. Per formulare una critica il più possibile obiettiva del progetto, si dà qui una breve relazione della storia costituzionale del Regno prima di discutere il documento capitolo per capitolo.

 

[Seguono i punti da 3 a 11, nei quali si fa la storia della concessione dello Statuto albertino, lo si caratterizza come una costituzione “aperta”, si rileva come nella prassi l'esercizio del potere esecutivo, che pure spettava al re, viene delegato al gabinetto dei ministri, e infine si rilevano i cam­biamenti apportati dal fascismo].

 

 

Critica dell'abbozzo di una nuova Costituzione monarchica

 

12. Il documento sottoposto a questa sotto-commissione è diviso in due parti:

a) un rapporto o "relazione" [in italiano nel testo] al Re;

b) la Carta medesima.

 

13. Il rapporto pone l'accento sui quattro principali oggetti della Car­ta: la costituzione di una Corte Suprema, la riforma del Senato, Guerra e Pace, diritti e doveri dei cittadini.

 

14. La Carta è divisa in 10 capitoli e 83 articoli (di cui uno manca). Uno meno dello Statuto.

 

 

Religione e Sovranità

 

15. Il primo capitolo tratta della religione di Stato e della sovranità. È molto simile nella forma al corrispondente capitolo dello Statuto del 1848.

 

Appendici

Se alcune clausole sono mantenute altre sono del tutto nuove. L'op­portunità di quest'ultimo può esser messa in discussione.

L'art. 1 riafferma che la religione cattolica romana è la religione della Nazione. Le altre religioni hanno garantite libertà e protezione. Il rap­porto mette in evidenza che, poiché il Cattolicesimo è la religione del­la maggioranza degli italiani e gode di speciali privilegi secondo il Concordato, è logico che una tale posizione di privilegio debba essere ri­conosciuta dallo Stato. Si può rilevare che ciò che è vero oggi, può non esserlo domani ed è possibile considerare una situazione de facto per cui l'articolo 1 possa cadere in disuso.

L'art. 2 abroga la legge salica e consente l'accesso al trono a eredi maschi o femmine pari passa.

L'art. 3 differisce dall'articolo 3 dello Statuto inquantoché del potere legislativo viene investito il solo Parlamento, e non il Re; il Senato e la Camera, collettivamente.

L'art. 5 dello Statuto viene soppresso, ma in nessuna parte della nuova Carta viene specificato chi, persona o corpo, viene investito del potere ese­cutivo. L'intenzione è senza dubbio che ne sia investito il Re, ma ciò non vien detto.

L'art. 6 stabilisce la procedura per la dichiarazione di guerra o di pace. In vista dell'attesa Carta delle Nazioni. Unite, che tratterà questo argomen­to da un punto di vista internazionale, è probabilmente prematuro stabilire regole che possono trovarsi in contraddizione con un organismo del quale è augurabile che l'Italia farà parte. Lo scopo dell'articolo è di togliere al Sovrano ogni responsabilità personale.

Gli art. 7-10 parlano della procedura interna e non differiscono so­stanzialmente dalla pratica stabilita in altre monarchie costituzionali.

Gli art. 11-14 trattano della successione al trono e confermano l'ac­cessibilità delle donne alla Reggenza.

[Gli art. 15 e 16 riguardano le proprietà private del re - N.d.T.]

L'art. 17 comporta l'obbligo per il Re di laurearsi in un'Università e di tenere una serie di conferenze ogni anno in un'Università di sua scelta. Questa pratica, che può essere apprezzabile in Svezia, appare pericolosa in un Paese in cui i caratteri sono turbolenti e gli individui sono usi a in­dulgere a una critica aspra e personale dei loro governanti. Il Re può es­sere un sovrano eccezionale e non un buon conferenziere. Appare poco saggio infine esporre la sua persona e la sua dignità al ridicolo di una magra figura.

L'art. 18 non si capisce e non ha nulla a che fare con la Costituzione.
L'art. 19: vi sono scarse o addirittura nessuna ragione per privare il
Re del suo diritto d'indossare la sua uniforme quando e dove ritiene op‑

portuno.

L'art. 20 riguarda il giuramento reale ed è simile all'art. 22 del pre­sente Statuto.

 

 

Diritti e doveri dei cittadini

 

16. La filosofia del diritto insegna che gli uomini che vivono in una società nascono con dei doveri e acquistano dei diritti. Politicamente ciò non è mai vero, almeno fino a quando si ha a che fare con un elettorato, cosicché sarebbe forse più saggio mettere insieme i diritti del cittadino pri­ma di enumerare i suoi doveri.

 

17. Questo capitolo è di gran lunga il più progressivo. Costituisce un serio sforzo verso un modo di vita democratico. Le nuove clausole che tendono a portare la democrazia italiana al livello dei regimi anglo-sassoni o scandinavi sono le seguenti:

a) istituzione di una tassa sul reddito e sulla successione come ob­bligo costituzionale (gli art. 29 e 30 sono tuttavia redatti poco rigorosa­mente e possono portare ad una cattiva interpretazione);

b) uguaglianza politica e sociale per le donne;

c) completa libertà di stampa;

d) diritto al lavoro e alle ferie;

e) istruzione obbligatoria;

f) pensioni di vecchiaia e assistenza obbligatoria.

 

18. Due articoli limitano tuttavia la libertà individuale. L'art. 21 sul servizio militare e l'art. 32 che limita il diritto d'asilo.

 

19. Le clausole fondamentali dello Statuto del '48 sono altrimenti confermate.

 

 

Suprema Corte Costituzionale

 

20. Si tratta di un ardito esperimento. Si può essere tutti d'accordo che un tale corpo, modellato sul precedente americano, conseguirà l'utile scopo di assicurare la continuità dell'esecutivo e la supervisione della le­gislazione proposta.

 

D'altra parte, si può sostenere che la Corte diventerà un mero stru­mento dell'esecutivo attraverso la scelta dei suoi membri.

 

I due membri osservatori vengono scelti in modo forse poco saggio. Essi dovrebbero essere il Presidente della Organizzazione Generale del Lavoro e il Presidente della Federazione Nazionale degli Imprenditori. Una scelta probabilmente infelice. Le due cariche furono create in rela­zione alla ultra-fascista Carta del Lavoro. La Carta è stata sospesa, per il momento, dall'azione alleata e, con ogni probabilità, verrà abrogata e rimpiazzata da qualche altro strumento. Conseguentemente i due corpi creati da queste clausole possono benissimo cessare di esistere. Non credo che questa clausola sarà vista di buon occhio nei paesi democratici. Vi possono inoltre essere opposizioni locali alla presenza nella Corte del Ve­scovo di Roma che è obbligato a due obbedienze temporali.

 

I poteri e le funzioni della Corte Suprema sono vaghi. Secondo la Carta, la Corte sembra avere poteri non solo per interferire nell'attività dei corpi costituzionali, ma persino per controllare la nomina dei Ministri. È auspicabile ciò?

 

 

Il Senato

 

21. La riforma del Senato è ovviamente necessaria, ma è probabil­mente pericoloso, dal punto di vista politico, al momento presente cercare di accoppiare la soppressione del vecchio Senato con quella della fascista “Camera delle Corporazioni”. Se la Federazione del Lavoro e degli Im­prenditori dovessero rimanere, in una forma o nell'altra, l'amalgama nella Camera Alta dei rappresentanti qualificati di ogni branca della vita na­zionale costituirebbe una soluzione ingegnosa e pratica alla sempre delicata questione della rappresentanza popolare.

 

 

Camera dei deputati

 

22.Vi è appena qualche differenza tra il testo della Carta e quello dello Statuto del 1848. La questione della rappresentanza proporzionale è lasciata da parte.

 

 

Regolamento delle due Camere

 

23. Questi nuovi regolamenti sono più ampi e chiari di quelli del 1848. Il giuramento si fa ora alla Costituzione e non al Re. Alcuni articoli, tuttavia, trattano questioni di minore importanza e non trovano posto in un tale strumento. Che cosa c'entra, ad esempio, col futuro dell'Italia, se una petizione può essere presentata personalmente o no alla Camera? È questa materia di un regolamento interno e dovrebbe essere trattata dalla legislazione ordinaria.

 

 

Dei Ministeri

 

24. L'abbozzo di questo capitolo è insoddisfacente. L'art. 69 dispone che il Re nomini i Ministri su raccomandazione del Presidente delle due Camere “in relazione con la situazione politica”. Cosa implica ciò? L'am­biguità della formula è deplorevole. Per l'art. 70, il Re deve consultare la Corte Suprema prima di nominare i Ministri. Fino a che punto arrivano i poteri della Corte Suprema? Può il Re nominare Ministri contro il parere della Corte Suprema o una tale nomina non sarebbe valida?

 

L'art. 71 dice: "I Ministri sono responsabili." Nei confronti di chi e fino a che punto? Cosa succede quando il Ministero è battuto nell'una o nell'altra Camera? Quando un voto è considerato di fiducia? Quando im­plica le dimissioni del Ministero in carica?

 

La Carta tace su questi punti essenziali.

 

 

Ordinamento giudiziario

 

25. Non c'è alcun dubbio che lo status dell'ordinamento giudiziario deve essere definito da speciali statuti. Tuttavia, gli articoli 72, 73, 74 (il 75 manca) e 77 danno delle garanzie iniziali all'amministrazione della giu­stizia. L'art. 74 sull'abrogazione del Tribunale Speciale è fuor di luogo nella Costituzione. Una tale disposizione deve avere effetto immediato e, non appena tale scopo viene raggiunto, l'articolo cade in disuso e non ha altro senso.

 

 

Ordini cavallereschi e Regolamenti generali

 

26. Non riguardano questioni costituzionali o politiche.

 

 

Conclusioni

 

27. In conclusione, non v'è alcun dubbio che l'abbozzo di Carta Co­stituzionale costituisce un valoroso tentativo per il raggiungimento di una più stabile forma di democrazia in Italia, nello sforzo di salvaguardare la continuità dell'esecutivo attraverso una restrizione del campo d'azione del potere.

 

Sfortunatamente, alcune disposizioni che traggono la loro origine in una delle più note istituzioni fasciste saranno severamente criticate e pos­sono portare al fallimento l'intero schema. Pur se si può concordare sul fatto che la Carta del Lavoro ha assolto e può ancora assolvere ad un utile scopo, è senza dubbio politicamente sbagliato, nel momento presente, in­corporare in uno strumento qual è la Costituzione una delle più discusse innovazioni sociali del fascismo: la Confederazione del Lavoro e degli Im­prenditori. Inoltre, alcune disposizioni non sono tanto importanti da dover trovar posto nella Carta, altre sono certamente non necessarie e persino pericolose. D'altra parte, non vengono neppure menzionate questioni della massima importanza, come la responsabilità del Ministero nei confronti del Parlamento.

 

Nel complesso, la maggior parte delle obiezioni alla Carta vertono più sulla forma che sulla sostanza. Se il documento fosse attentamente revi­sionato, in modo da renderlo più convincente e talvolta redatto più ac­curatamente, potrebbe molto bene venire incontro a quello che sembra essere il più riposto, ma spesso non consapevole, desiderio di una larga parte del popolo italiano. In ogni caso [...] i Demo-Cristiani neppure quelli tolleranti [...] potrebbero muovere obiezioni.

 

1° novembre 1945

 

G. G. Hannaford, Lt. Col.,

Deputy Chief Legal Advisor

http://www.squadratlantica.it/