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Generale Günther Blumentritt da Barbarossa a Mosca

MOSCA

 

Testo del generale

Günther Blumentritt

 

Günther Blumentritt venne nominato capo di stato maggiore della IV Armata nell'autunno del 1940 e con­servò tale incarico fino alla designazione a caposer­vizio operazioni dell'alto comando dell'esercito nel gennaio 1942. Alla fine di quell'anno fu nomi­nato capo di stato maggiore del gruppo di Armate D con il grado di tenente generale. Conservò tale incarico fino al settembre 1944 quando gli venne affidato il comando del XII Corpo SS con il grado di generale delle Waffen SS. Fu nominato comandante della XXV Armata nel gennaio 1945 e assunse il comando della I Armata para­cadutisti nel marzo 1945. È insignito della croce di ca­valiere dell'Ordine della Croce di Ferro.

 

 

Operazione Barbarossa II guerra mondiale

 

 

INTRODUZIONE

 

La battaglia di Mosca fu la prima grave sconfitta terrestre tedesca durante la seconda guerra mondiale. Segnò la fine della tecnica del Blitzkrieg, che aveva procurato a Hitler ed alla Wehrmacht vittorie tanto spettacolari in Polonia, in Francia e nei Balcani. Fu in Russia che vennero prese le prime decisioni fatali. Dal punto, di vista politico, la più fatale di tutte era forse

stata quella di attaccare l'Unione Sovietica. Perché ades­so stavamo combattendo contro un nemico molto più forte di quelli affrontati fino ad ora. Nelle sconfinate pianure orientali non si ottenevano facili vittorie.

 

Molti dei nostri comandanti avevano sottovalutato di molto il nuovo nemico. Questo era dovuto in parte a ignoranza perché alcuni di loro non conoscevano né il popolo russo né i suoi soldati. Parecchi dei nostri uffi­ciali superiori responsabili non avevano mai combattu­to sul fronte orientale, avendo trascorso tutta la prima guerra mondiale su quello occidentale, e non avevano idea delle difficoltà rappresentate dal territorio e dalla tenacia del soldato russo.

 

Le fonti principali alle quali ho attinto per il capitolo che segue sono state le mie memorie e annotazioni per­sonali: fino al gennaio 1942 ero capo di SM del feldma­resciallo von Kluge che comandava la IV Armata nel set­tore centrale del fronte. Ho potuto anche consultare il diario di guerra tenuto dal maggiore von Wienskowski presso la IV Armata durante questo periodo, vera materia prima della storia. Ma prima di discutere la vera e propria battaglia di Mosca, penso sia utile gettare uno sguardo al retroscena e alla campagna che culminò con quella disfatta.

 

 

 Operazione Barbarossa II guerra mondiale

 

 

HITLER E L'ORIENTE

 

Nel gennaio del 1940 l'aiutante di campo di Hitler, generale $chmundt, mi parlò dei colloqui che aveva avuto recentemente col Führer riguardo alla Russia.

Annotai subito quanto mi disse Schmundt. L'atteggiamento di Hitler verso la Russia durante questo primo inverno di guerra, quando quel paese era ancora bene­volmente neutrale, può venire riassunto nel modo se­guente.

 

I bolscevichi controllavano la Russia da una gene­razione, quanto bastava per convertire il popolo e spe­cialmente la gioventù al loro credo. La distruzione dell'impero austro-ungarico nel 1918 significò che lo storico nemico della Russia e il baluardo tradizionale dell'Eu­ropa contro l'Oriente aveva cessato di esistere. Dato che la Wehrmacht costituiva ormai l'unica efficace barriera tra l'Armata Rossa e l'Europa, Hitler considerava missio­ne della Germania stroncare il pericolo orientale e re­spingere le incalzanti forze del bolscevismo. Sorvegliava strettamente quel settore e si teneva pronto ad agire se e quando fosse stato necessario.

 

Questo, come ho detto, era il suo atteggiamento du­rante l'inverno 1939-40. Bisogna tener presente che Hitler non era un uomo di stato dalle vedute realistiche. Non considerava mai la politica come la prudente ri­cerca di una mèta prefissa. La politica era per lui un so­gno e lui era il sognatore, che ignorava ugualmente il tempo, lo spazio e il fatto che la potenza tedesca aveva un limite e la Germania stessa era solo una macchiolina sul globo terrestre. Possiamo desumere che poco dopo la campagna polacca i suoi sogni si rivolgessero all'Est. Forse arrivava a concepire una moderna « germanizza­zione » dei vasti territori orientali come era avvenuto nei secoli precedenti. Ma in questo sogno non figurava­no le pianure sconfinate, le strade cattive o inesistenti, le immense macchie e foreste, i miseri villaggi sperduti e soprattutto il tenace e aspro soldato russo. Egli stesso, come caporale nella prima guerra mondiale, aveva com­battuto soltanto nell'Ovest, Non sapeva nulla del fron­te orientale. Dopo le spettacolari vittorie in Polonia, in Norvegia, in Francia e nei Balcani, Hitler si convinse di poter schiacciare l'Armata Rossa con la stessa facilità con cui aveva sconfitto gli altri nemici. Era sordo a tutti i consigli che gli giungevano numerosi da ogni parte.

Nella primavera del 1941 il feldmaresciallo von Rundstedt, che aveva trascorso la maggior parte della prima guerra mondiale sul fronte orientale, gli chiese se sape­va cosa .significasse invadere la Russia. Anche il comandante in capo, feldmaresciallo von Brauchitsch, e il suo capo di stato maggiore, generale Halder, misero in guar­dia Hitler contro questa campagna. Altrettanto fece il generale Kostring, che aveva vissuto in Russia per anni e conosceva intimamente il paese e anche Stalin. Tutto fu inutile, Hitler rifiutava nettamente di credergli.

 

Pare che Hitler prendesse seriamente in considera­zione un attacco alla Russia nell'estate del 1940. I suoi motivi erano due: sferrare l'offensiva prima che i russi potessero attaccarlo; conquistare spazio vitale per la so­vrabbondante popolazione tedesca. In quel momento solo i più alti esponenti della politica e delle forze arma­te erano al corrente delle sue intenzioni. Il piano dipen­deva in parte dalla pace con l'Inghilterra, che Hitler sperava ancora di riuscire a concludere. Sapeva di poter condurre a termine facilmente l'offensiva a est, soltanto se il fronte occidentale era sicuro. Una guerra su due fronti significava, come sempre, la sconfitta finale della Germania. Ma quando questa condizione essenziale non si realizzò, quando apparve chiaro che la Gran Bretagna non avrebbe mai concluso la pace con la Germania nazista, Hitler non rinunciò all'avventura orientale. Con mano ferma manovrò il timone e diresse la nave dello Stato tedesco dritto sugli scogli della sconfitta.

 

La decisione politica fu presa nell'autunno del 1940 in occasione della visita ufficiale di Molotov a Berlino. Il ministro degli esteri sovietico presentò una serie di richieste al riguardo dei Balcani e di altre regioni che Hitler respinse bruscamente. Nonostante il trattato rus­so-tedesco e la spartizione della Polonia, non esistevano veri legami fra i due governi. Le loro relazioni erano cortesi ma fredde, e si basavano su una reciproca, in­vincibile sfiducia. Tuttavia, le relazioni della Russia con l'Occidente e particolarmente con l'Inghilterra, erano anche peggiori. La Gran Bre agna aveva quasi dichiarato la guerra ai sovietici in uccisione dell'invasione russa della Finlandia un anno prima. Adesso Hitler era deciso a fare ciò che l'Inghilterra si era astenuta dall'intraprendere. Con questa fatale decisione la Germania perse la guerra.

 

 

 Operazione Barbarossa II guerra mondiale

 

 

PREPARATIVI 1940-41

 

Nel 1940, poco dopo la fine della campagna occiden­tale, il quartier generale del gruppo di Armate B, al comando del feldmaresciallo von Bock, venne trasferito a Posen. Poco dopo il quartier generale della IV Armata, al comando del feldmaresciallo von Kluge, fu spostato a Varsavia. Fino a quel momento poche divisioni sol­tanto, compresa la nostra unica divisione di cavalleria, erano state disseminate lungo il confine orientale. Sorve­gliavano vaste zone, quasi come se fossimo in tempo di pace, e lungo la frontiera venivano adottate le normali misure di sicurezza. L'Armata Rossa, oltre la linea di demarcazione che divideva la Polonia, si comportava in modo altrettanto pacifico. Era chiaro che nessuna delle due parti pensava alla guerra. Ma appena cessaro­no le ostilità in Francia, le divisioni tedesche comincia­rono a spostarsi lentamente verso est senza farsi notare.

 

Intanto, durante la primavera del 1941, un numero sempre crescente di divisioni venne spostato a oriente, ma per nascondere la loro presenza ai russi le truppe si arrestarono a notevole distanza dal confine. I prepara­tivi cominciarono a intensificarsi e stati maggiori sche­matici di altri comandi superiori vennero costituiti a est. Ebbero luogo numerose esercitazioni topografiche e discussioni tattiche. Dopo che era ormai evidente che Hitler considerava inevitabile la guerra con i sovietici, i comandi a ogni livello attivarono i preparativi.

 

Durante quei mesi prevalse una strana atmosfera. In primo luogo ci rendevamo conto di quali sarebbero state le conseguenze di questa nuova guerra. Molti di noi ave­vano combattuto in Russia da giovani ufficiali fra il 1914 e il 1918, e sapevano cosa li aspettava. Negli sta­ti maggiori e nelle divisioni regnava l'incertezza. D'altra parte il dovere imponeva un lavoro preciso e minuzioso.

Tutti i libri e le carte geografiche riguardanti la Russia scomparvero ben presto dalle librerie. La campagna napoleonica del 1812 fu studiata nei minimi particolari. Kluge lesse molto attentamente la relazione di quella campagna compilata dal generale de Caulaincourt, che

metteva in luce la difficoltà di combattere, o semplicemente di vivere in Russia. I luoghi dove la Grande Armata aveva sostenuto le sue battaglie e scaramucce erano segnati sulle carte che avevamo davanti agli occhi. Sapevamo che avremmo ben presto seguito le orme di Napoleone.

 

In primavera i preparativi per l'operazione « Barbarossa », che era il nome convenuto per la campagna in Russia, furono parzialmente interrotti dall'incidente nei Balcani. Ricordando Gallipoli, Hitler temeva che l'Inghilterra tentasse un'altra azione diversiva in quell'angolo d'Europa. Considerava un possibile sbarco nemico in Grecia che avrebbe permesso agli inglesi di spingersi a nord attraverso la Bulgaria e di attaccare alle spalle il gruppo di armate Sud del feldmaresciallo von Rundstedt, mentre avanzava verso est. Per evitare ciò e inoltre per assicurarsi il petrolio rumeno, Hitler era ansioso di rafforzare i legami politici e militari che univano gli Stati balcanici alla Germania.

 

Per quanto riguardava la Rumenia, il generale Antonescu si dichiarò pronto ad accettare i piani di Hitler e venne inviata a Bucarest una missione militare tedesca per riorganizzare l'esercito rumeno. Antonescu era ansioso di riconquistare la Bessarabia, occupata dai

russi l'anno prima, e sperava anche di annettersi una parte dell'Ucraina. In vista di tali scopi, la Rumenia firmò un patto di completa alleanza con la Germania.

 

L'atteggiamento dei bulgari era molto più riservato, poiché non desideravano inimicarsi né l'Inghilterra né la Germania. Come esca, Hitler offrì loro Salonicco e i perduti territori della Tracia. Dopo una serie di laboriose trattative, la Bulgaria acconsentì finalmente che le truppe tedesche attraversassero il paese per attaccare gl'inglesi in Grecia.

 

In Albania la guerra greco-italiana si era stabilizzata con un certo vantaggio dalla parte dei greci. La Jugosla­via riservava a Hitler una brutta sorpresa. Fin dal 1939, il reggente di quel paese, principe Paolo, era stato rice­vuto a Berlino con grandi onori. Hitler contava che il reggente mantenesse la sua nazione almeno benevol­mente neutrale. Ma improvvisamente si sviluppò in Ju­goslavia una situazione rivoluzionaria, apparentemente ispirata da Londra e da Mosca, il governo del principe Paolo venne rovesciato e il paese cessò di essere un al­leato potenziale. Questo voltafaccia mise subito in peri­colo le linee di comunicazione con le armate tedesche in Rumenia e in Bulgaria. Hitler agì rapidamente. La Jugoslavia fu invasa e il suo valoroso esercito venne battuto in pochi giorni. La reciproca ostilità fra serbi e croati contribuì alla sconfitta.

Non rientra nell'argomento di questo capitolo discu­tere particolareggiatamente la breve campagna balcanica. Per quanto riguarda l'operazione « Barbarossa », ebbe importanza per il ritardo che causò all'inizio della nostra offensiva in Russia. Benché la« campagna fosse straordinariamente breve e fortunata, le divisioni spostate nel­la penisola dovettero essere riportate sulle posizioni di attacco. Parecchie unità importanti, in particolare quelle corazzate, richiesero un'accurata revisione e un parziale riequipaggiamento dopo la lunga marcia attra­verso le montagne della Grecia.

 

La data iniziale dell'operazione « Barbarossa » era stata fissata per il 5 maggio. Non si poteva sferrare l'offensiva prima di tale data perché bisognava atten­dere che il fango si asciugasse dopo il disgelo primave­rile. L'incidente balcanico ritardò l'inizio della campa­gna di oltre cinque settimane.

 

È vero che probabilmente avremmo dovuto posporre l'offensiva in ogni caso perché nel 1941 la primavera giunse tardi e il fiume Bug, nel settore della IV Armata, straripò all'inizio di giugno. Il giorno D venne final­mente fissato per il 22 giugno, che coincideva quasi esat­tamente con l'inizio dell'offensiva napoleonica del 1812.

 

La campagna nei Balcani e la primavera ritardata ci fecero perdere settimane preziose. Restavano solo pochi mesi per le operazioni motorizzate. Da giugno alla fine di settembre, le condizioni del suolo russo sono parti­colarmente adatte alla guerra di movimento. Dispone­vamo, cioè, di circa quattro mesi in tutto. In ottobre comincia la rasputitza, o periodo fangoso autunnale, e diventa estremamente difficile avanzare perché gli automezzi pesanti tendono a impantanarsi. Il periodo del gelo, da novembre a febbraio, è di nuovo favorevole alle operazioni militari, ma soltanto se l'equipaggiamen­to, le armi e i mezzi sono progettati appositamente per sostenere una guerra nel freddo intenso e le truppe sono vestite e addestrate per combattere in tali condi­zioni, come l'esercito russo.

 

Nonostante i nostri attenti studi del clima russo, fum­mo sorpresi dall'intensità dei due periodi fangosi di primavera e d'autunno. In questo caso le esperienze fatte nella prima guerra mondiale, non solo non ci fu­rono di alcun aiuto, ma contribuirono a sviarci. In quel­la guerra avevamo combattuto contro l'esercito dello zar principalmente in territorio polacco e non nel cuore della Russia, dove gli ostacoli sono maggiori.

 

 

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INTENZIONI STRATEGICHE

 

Nel 1941 l'esercito tedesco era costituito principal­mente da divisioni di fanteria che avanzavano a piedi, seguite dai carri a cavalli con rifornimenti. Le divisioni corazzate e motorizzate erano ancora una minoranza. Perciò, il problema principale consisteva nel percorrere le immense distanze nel tempo limitato a nostra disposi­zione. Anche il fronte era molto vasto, poiché si stendeva dai Carpazi alla costa baltica presso Memel. Il confine era così esteso che per il momento qualunque genere di accerchiamento o di attacco sul fianco nemico si presentava impossibile.` Non restava altra alternativa che un'offensiva frontale.

 

Secondo i nostri calcoli, nel giugno 1941 le forze rus­se comprendevano 160 divisioni di fanteria, 30 divisioni di cavalleria e 35brigate motorizzate e corazzate. Di queste, una parte era dislocata sull'estrema frontiera orientale della Russia. Il numero totale di uomini abili per la mobilitazione veniva calcolato sui dodici milioni. Ritenevamo i carri armati sovietici più numerosi dei nostri, ma di potenza inferiore. L'altro materiale era con­siderato buono. Né l'aviazione né la marina russa veni­vano giudicate temibili. Sapevamo ben poco della strut­tura interna dell'Armata Rossa.

 

Il nostro principale problema strategico, come ho già detto, era sconfiggere il nemico in quello sconfinato tea­tro d'operazione nel breve tempo disponibile. Potevamo contare su pochi mesi appena per annientare le massic­ce armate russe a ovest del Dnieper e della Dvina. Se il nemico fosse riuscito a ritirarsi dietro quelle barriere liquide senza subire perdite, avremmo dovuto affron­tare lo stesso problema di Napoleone nel 1812. In quel caso nessuno avrebbe potuto prevedere la fine della guer­ra sul fronte orientale.

 

I principali obiettivi di Hitler erano dettati da ragio­ni economiche. Egli voleva le ricche distese di grano dell'Ucraina, la zona industriale nel bacino del Don e in seguito i pozzi petroliferi del Caucaso.

 

Brauchitsch e Halder consideravano la campagna da un altro punto di vista. Volevano prima di tutto elimi­nare l'Armata Rossa e procedere alle conquiste economiche solo quando il primo obiettivo fosse stato rag­giunto. Tuttavia, sia i piani di Hitler sia quelli dei suoi principali consiglieri militari richiedevano che il grosso delle forze tedesche venisse spostato a nord delle paludi del Pripet. In quel momento avrebbero attaccato due corpi d'armata e quello di destra sarebbe stato il più forte. Il loro compito consisteva nel lanciare avanti le truppe corazzate sui due fianchi per accerchiare il ne­mico a ovest dell'alto Dnieper e della Dvina e chiuder­gli la ritirata verso est. Intanto altri elementi del grup­po di Armate Nord dovevano espugnare Leningrado, unirsi ai finlandesi ed eliminare così tutte le forze russe dal Baltico. Soltanto allora si doveva attaccare Mosca dall'ovest e dal nord.

 

Il gruppo di Armate Sud doveva sferrare un attacco frontale a sud delle paludi del Pripet e avanzare a est.

 

Era inutile fare ulteriori piani poiché lo sviluppo della campagna dipendeva evidentemente dall'esito di queste prime operazioni. Così, all'inizio dell'offensiva, le di­vergenze fra il punto di vista di Hitler e quello dell'alto comando dell'esercito non erano ancora state risolte. Questo fatto doveva causare molte frizioni nei seguenti mesi estivi, con gravissime conseguenze.

 

Intanto, prima di descrivere con i particolari l'ordine d'attacco e i piani operativi, potrebbe essere interessan­te riportare le opinioni espresse in quel momento da al­cuni dei nostri alti ufficiali.

 

Il feldmaresciallo von Rundstedt, comandante del gruppo di Armate Sud e il nostro più abile generale dopo Manstein durante la seconda guerra mondiale, mi comunicò le sue vedute sulla prossima campagna nel maggio 1941. Si possono riassumere come segue:

 

« Questa guerra con la Russia è un'idea assurda che avrà certamente un esito disastroso. Ma se per ragioni politiche il conflitto è inevitabile, allora dobbiamo con­vincerci che non vinceremo mai in una semplice campa­gna estiva. Pensate alle distanze da percorrere. Non pos­siamo assolutamente sconfiggere il nemico e occupare l'intera Russia occidentale, dal Baltico al mar Nero, in pochi mesi. Dovremmo prepararci a una lunga guerra e procedere con avvedutezza. Prima di tutto, un forte gruppo di Armate Nord dovrebbe conquistare Leningra­do e il territorio circostante. Questo ci permetterebbe di unirci ai finlandesi, di eliminare la Flotta Rossa dal Baltico e di accrescere la nostra influenza sulla Scandina­via. Per il momento le armate del centro-sud dovrebbero avanzare solo fino a una linea che colleghi Odessa-Kiev­-Orsha-Lago Ilmen. Allora, se rimanesse tempo sufficien­te il gruppo di Armate Nord potrebbe avanzare per sud­est da Leningrado verso Mosca, mentre il gruppo di Ar­mate Centro muoverebbe a est sulla capitale. Tutte le ul­teriori operazioni dovrebbero essere rimandate al 1942, quando dovremo elaborare nuovi piani basati sulla si­tuazione quale sarà in quel momento ».

 

Il mio superiore immediato alla IV Armata era il feldmaresciallo von Kluge, che più tardi comandò la IV Armata corazzata nella grande offensiva contro Mo­sca. Egli si espresse in questi termini:

 

« Mosca rappresenta allo stesso tempo il cuore e la testa del regime sovietico. Oltre a essere la capitale, co­stituisce anche un importante centro militare. Per di più, è il nodo principale della rete ferroviaria russa, spe­cialmente riguardo alle linee che collegano l'ovest con la Siberia. I russi impiegheranno certamente forze mas­sicce per impedirci di espugnare la capitale. Perciò ri­tengo che dovremmo puntare su Mosca con tutte le trup­pe disponibili, via Minsk, Orsha e Smolensk. Se riuscis­simo a conquistare questa zona prima dell'inverno, avremmo fatto più che abbastanza per quest'anno. Al­lora dovremmo pensare ai piani per il 1942».

 

La mia opinione personale sulla campagna di Russia era la seguente.

 

Dovevamo conquistare Mosca, Leningrado e il terri­torio circostante nel 1941. Allora avremmo avuto in mano la capitale nemica, il principale nodo ferroviario e le due città più importanti. Tale conquista poteva riu­scire se il grosso delle nostre forze veniva spiegato nei settori dei gruppi di Armate Nord e Centro. In tal caso il principale compito del gruppo di Armate Sud durante l'offensiva del 1941 si sarebbe limitato ad avanzare a sud delle paludi del Pripet per coprire il fianco destro del gruppo di Armate Centro. Qualsiasi tentativo di conqui­stare tutta la Russia meridionale in quell'anno sarebbe stato assolutamente fuori questione.

 

Ognuno di questi piani ha i suoi vantaggi e svantag­gi. La strategia è un'arte difficile anche nelle condizioni più favorevoli: il fatto che le decisioni militari siano influenzate da considerazioni politiche ed economiche non contribuisce a semplificarla.

 

 

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SCHIERAMENTO TEDESCO GIUGNO 1941

 

Gruppo di Armate Sud: Il feldmaresciallo von Run­dstedt aveva al suo comando quattro armate e il I Grup­po corazzato del generale von Kleist.

 

Il gruppo di Armate Sud aveva il compito di avan­zare verso est, a sud delle paludi del Pripet, concentran­do gli sforzi nell'ala sinistra con obiettivo Kiev.

 

Gruppo di Armate Centro: La composizione e lo schieramento del gruppo di Armate del feldmaresciallo von Bock verranno descritti in seguito. Le sue forze era­no allineate a nord delle paludi del Pripet e dovevano avanzare verso Mosca.

 

Gruppo di Armate Nord: Dal feldmaresciallo Ritter von Leeb dipendevano la XVI Armata del generale Buch e la XVIII Armata del generale Kuchler, oltre al IV Gruppo corazzato di Hoepner. Tali forze erano schierate fra Suwalki e Memel, donde dovevano marciare su Leningrado e poi volgere a sud.

 

Aviazione: A ogni gruppo di armate era assegnata una flotta aerea come appoggio.

 

Forze: Il 21 giugno 1941 l'alto comando germanico disponeva di circa 135 divisioni. La maggior parte di queste si trovavano già, o stavano per giungere, sul fronte orientale, e precisamente: 80 divisioni di fante­ria, 15 divisioni di fanteria motorizzata, 17 divisioni co­razzate e una divisione di cavalleria; c'erano anche alcu­ne divisioni di riserva, destinate a presidiare il territorio che prevedevamo di occupare.

 

Il gruppo di Armate Sud comprendeva 25 divisioni di fanteria, 4 divisioni motorizzate, 5 divisioni coraz­zate e 4 divisioni di fanteria da montagna. A queste uni­tà tedesche si aggiunsero un corpo d'armata ungherese, una divisione slovacca e, in seguito, un corpo d'armata italiano. Anche l'armata rumena del maresciallo Antonescu dipendeva dal feldmaresciallo von Rundstedt. Que­sto gruppo di armate aveva di fronte forze russe nume­ricamente superiori, comandate dal maresciallo Budenny.

 

Il gruppo di Armate Centro, il più forte dei tre, com­prendeva 30 divisioni di fanteria, 15 divisioni co­razzate o motorizzate e la divisione di cavalleria. Di fronte a questo gruppo erano schierate le truppe del ma­resciallo Timoscenko, leggermente superiori di numero.

 

Il gruppo di Armate Nord comprendeva soltanto 21 divisioni di fanteria e 6 divisioni corazzate o motorizza­te. Le forze russe in quel settore, al comando del mare­sciallo Voroscilov, erano molto superiori di numero.

 

Le nostre 3 flotte aeree disponevano in totale di circa 1200 apparecchi.

 

 

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PIANO DI BATTAGLIA
GRUPPO DI ARMATE CENTRO

 

Pochi giorni prima del 21 giugno, i comandi in capo si erano trasferiti nei rispettivi quartieri generali di bat­taglia. Il gruppo di Armate Centro, che comprendeva la IV e la IX Armata, e il II e III Gruppo corazzato (formazioni superiori a un corpo d'armata, ma prive dell'ordinamento di un'armata), doveva attaccare e con­quistare la capitale sovietica. É di questo gruppo e par­ticolarmente della IV Armata e dei due gruppi corazzati che c'interesseremo da ora in poi.

 

L'ora zero era fissata per le tre e trenta del 22 giugno. Il comandante in capo del gruppo Armate Centro si era ormai trasferito a Varsavia con il suo stato mag­giore, mentre Kluge e lo stato maggiore della IV Arma­ta, avevano lasciato l'ex capitale polacca e si trovavano adesso un poco a ovest di Brest-Litovsk. Guderian e Hoth con i loro stati maggiori erano più vicini alla linea di demarcazione.

 

Kluge, esaminando gli ordini, osservò:

 

« Il nostro schieramento appare molto debole e, come vedete, non esistono le massicce riserve di cui dispone­vamo nella campagna occidentale. Più avanzeremo verso est, più si allargherà il fronte e più s'indebolirà il no­stro schieramento. Perciò, è essénziale che le nostre trup­pe rimangano strettamente unite, anche a rischio di provocare brecce fra noi e le altre armate ».

 

Questo era un riassunto esatto della situazione. La Russia europea ha una forma tale che l'avanzata ci avrebbe costretti ad aprirci a ventaglio lungo un corri­doio sempre più ampio fra il Baltico e il mar Nero.

 

Il piano strategico dell'operazione era il seguente: i due gruppi corazzati si trovavano ai fianchi delle due armate, quello di Guderian a destra della IV Armata, nella zona Brest-Litovsk; quello di Hoth a sinistra del­la IX Armata, a ovest di Suwalki. I due gruppi corazzati dovevano sfondare le linee nemiche e avanzare a tutta velocità su Minsk, dove si dovevano incontrare in un gigantesco movimento a tenaglia, accerchiando quante più truppe russe potevano. Intanto le divisioni di fanteria della IV e IX Armata dovevano compiere aggiramenti più limitati, allo scopo di distruggere le unità russe vicine alla frontiera. Forze piuttosto deboli vennero asse­gnate alla difesa del fianco destro, già protetto dalle pa­ludi del Pripet. Questo era il nostro piano di massima.

 

 

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L'ORA ZERO

 

Dalla parte tedesca la tensione andò sempre più cre­scendo. La sera del 21 ci parve impossibile che i russi non avessero compreso cosa stava accadendo, eppure oltre il fiume Bug, nel settore della IV Armata e del Il Gruppo corazzato, cioè fra Brest-Litovsk e Lomza, era tutto tranquillo. Gli avamposti sovietici non davano alcun segno di agitazione. Poco dopo mezzanotte, quan­do tutta l'artiglieria delle divisioni in prima e in seconda linea era già puntata sugli obiettivi, il treno internazio­nale Berlino-Mosca passò senza incidenti da Brest-Lito­vsk. Fu un momento atroce.

 

Tre ore dopo osservammo i caccia tedeschi alzarsi e ben presto solo le luci di coda furono visibili verso est. Il feldmaresciallo von Kluge e il suo stato maggiore si trovavano nel settore della XXXI Divisione fanteria, a nord-ovest di Brest-Litovsk e a pochi chilometri da Bug. Quando si avvicinarono le tre e trenta, l'ora zero, il cielo cominciò a schiarirsi, prendendo uno strano colore giallo. Tutto era ancora tranquillo. Alle tre e trenta la nostra artiglieria aprì il fuoco. E allora accad­de un fatto miracoloso. L'artiglieria russa non rispose. Si udì appena qualche fucilata isolata proveniente dalla riva opposta. In poche ore le truppe d'assalto avevano attraversato il Bug, i carri armati venivano traghettati sull'altra sponda, si costruivano ponti di barche e tutto questo praticamente senza contrasto da parte del nemico. Senza dubbio la IV Armata e il II Gruppo corazzato avevano realizzato in pieno la sorpresa.

 

Lo sfondamento tattico ebbe un esito ugualmente feli­ce e le nostre truppe corazzate penetrarono quasi subi­to in territorio russo attraverso le difese di confine e si diressero a est in aperta campagna. Solo la cittadella di Brest-Litovsk, che ospitava una scuola della GPU, oppo­se una fanatica resistenza per parecchi giorni.

 

Per arrivare al più presto possibile alla battaglia di Mosca, mi limiterò a descrivere molto brevemente le operazioni di movimento dei mesi successivi.

 

 

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LA SACCA DI BIALYSTOK-SLONIM

 

Come ho detto, i sovietici vennero evidentemente col­ti di sorpresa sul nostro fronte. Quasi subito il servizio d'intercettazione radio captò un messaggio russo: « Ci stanno sparando addosso. Cosa dobbiamo fare? » Inter­cettammo anche la risposta del quartier generale a cui era diretta questa richiesta di ordini. « Dovete essere impazziti. E perché non trasmettete in codice? ». D'altra parte, il gruppo di Armate Sud incontrò subito una forte resistenza e in quel settore si accesero immediatamente aspri combattimenti.

 

Tuttavia, nella nostra zona le operazioni si svolsero secondo i piani prestabiliti. I due gruppi corazzati si diressero a est, quindi piegarono in dentro, benché il generale Guderian proseguisse verso est con una parte delle sue truppe, senza curarsi della battaglia di accer­chiamento che infuriava alle sue spalle. Si spinse a tutta velocità verso Minsk, poiché era essenziale per noi impedire al nemico di rifugiarsi oltre le successive linee di di­fesa apprestate lungo la Beresina, il Dnieper e la Dvina.

 

La fanteria forzava al massimo il passo. Marce di una quarantina di chilometri al giorno, su strade in condi­zioni spaventose, erano tutt'altro che eccezionali.

 

Il 2 luglio la prima battaglia era vinta da tutti i punti di vista. Il risultato fu stupefacente: 150.000 prigio­nieri, circa 1200 carri armati e 600 cannoni presi o di­strutti. Fin dal primo momento i soldati russi si dimo­strarono più duri che mai. Tuttavia, i carri armati so­vietici non apparivano particolarmente temibili e l'avia­zione, per quanto potevamo giudicare, non esisteva.

 

La rapidità della nostra avanzata è dimostrata dal fatto che il quartier generale della IV Armata dovette spostarsi due volte nei primi quattro giorni dell'offen­siva per mantenersi a distanza ragionevole dalla zona di operazioni. Il 24 ci trasferimmo a Kamenets-Litevski e il 26 a Pruzana.

 

 

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LA BATTAGLIA DI MINSK

LA ROTTURA DELLA LINEA STALIN

 

Prima della grande battaglia di Minsk e dello sfonda­mento della Linea Stalin, il gruppo di Armate Centro aveva subìto un radicale riordinamento.

 

Come nei tempi passati masse di cavalleria precedevano di molto la fanteria per compiere uno sfondamen­to, così venne deciso di unire i gruppi corazzati di Hoth e Guderian e spingerli il più a est possibile. Fu creato un nuovo quartier generale per dirigere questa massa di mezzi corazzati e il feldmaresciallo von Kluge ebbe il comando dell'intera operazione. Ci spostammo a Minsk, dove giungemmo il 3 luglio per assumere i nostri nuovi incarichi. Infuriava l'aspra battaglia di Minsk, ma la­sciammo che la fanteria concludesse il grande accerchia­mento e ci spingemmo avanti verso il Dnieper e la Dvi­na. Fu durante questa avanzata, fra il 2 e l'11 luglio che il terreno mise per la prima volta in difficoltà i nostri carri armati. La Beresina si dimostrò un fiume difficile da attraversare. Il terreno circostante era paludoso, i russi avevano fatto saltare i ponti principali e quelli ri­masti non erano che deboli passerelle di legno.

 

Ma Hoth e Guderian non erano tipi da lasciarsi sco­raggiare. Nonostante le difficoltà enumerate prima, Gu­derian raggiunse il Dnieper ai due lati di Mogilev e Orsha con notevole rapidità, mentre a nord Hoth compi­va in tempo ugualmente breve la sua corsa verso la Dvi­na e Vitebsk e Polotsk. In tal modo le truppe corazzate avevano raggiunto la così detta Linea Stalin, che era la principale posizione difensiva russa.

 

Tuttavia, questa linea non era fortificata per tutta la sua lunghezza e le truppe sovietiche non bastavano a guarnirla adeguatamente, nonostante i rincalzi mandati dall'est. Guderian e Hoth si trovarono ben presto oltre il Dnieper e la Dvina. E la strada per la Russia fu aperta.

 

L'8 luglio lo stato maggiore della IV Armata corazza­ta si trasferì a Borisov sulla Beresina.

 

 

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LA BATTAGLIA DI SMOLENSK

 

Quando il II Gruppo corazzato ebbe attraversato il Dnieper e il III la Dvina, la resistenza russa si fece più accanita. I sovietici spostarono massicci rinforzi dall'est e tentarono di riconquistare la Linea Stalin. È impossibi­le descrivere particolareggiatamente la battaglia in que­sta sede. Basti dire che i russi adottavano quasi sempre la tattica di attaccare i fianchi delle nostre colonne co­razzate. Questi scontri si ripeterono dal 12 al 30 luglio e anche in agosto si ebbe ancora qualche scaramuccia iso­lata nella zona.

 

La più importante di queste battaglie fu il grande accerchiamento di Smolensk. Mentre il grosso dei due gruppi corazzati procedeva verso est e alcune unità re­spingevano gli attacchi laterali russi, forze minori ven­nero distaccate per chiudere il lato orientale della sacca di Smolensk. Le due armate di fanteria avevano infine raggiunto i gruppi corazzati dopo una serie di marce estenuanti, e tenevano gli altri tre lati della sacca, men­tre i carri armati bloccavano l'uscita presso Yartsevo. Anche questa volta l'operazione non riuscì completamen­te. Forze nemiche, attaccando di notte, sfondarono la sacca a est. Le truppe corazzate non erano adatte a que­sto tipo di operazioni, specialmente nel territorio palu­doso lungo il Dnieper.

 

Il 10 luglio la XXIX Divisione motorizzata conquistò Smolensk, la più importante città russa che avessimo occupato fino a quel momento. Il 24 ci spostammo an­cora una volta e stabilimmo il nostro quartier generale sotto una tenda nella foresta a sud-ovest di Smolensk, a poche miglia dal fronte. La vecchia strada maestra, che Napoleone aveva percorso fino a Mosca, non era lon­tana.

 

Fra la fine di luglio e i primi d'agosto vennero spreca­te settimane preziose mentre il nostro comando supremo discuteva sulla strategia più opportuna in quel momento. Abbiamo già detto che Hitler teneva molto ad assicurarsi i grandi obiettivi economici; l'Ucraina, il bacino del Donetz e infine il Caucaso. Tutti questi obiettivi si trova­vano nel settore del gruppo di Armate Sud. La mèta se­condaria era Leningrado, che in questa fase della cam­pagna sembrava sul punto di capitolare e avrebbe pro­babilmente capitolato, se Hitler non avesse ripetuto l'errore commesso l'anno precedente a Dunkerque, e non avesse ordinato al feldmaresciallo von Leeb di arrestare i suoi carri armati giunti alle porte della città.

 

Mosca lo interessava molto meno. Anzi, il piano ori­ginale prevedeva che il gruppo di Armate Centro si fer­masse al nord e lungo la linea della Desna, una buona parte di quelle forze venissero trasferite nel gruppo di Armate Sud e non si tentasse più di marciare su Mo­sca, almeno per quell'anno.

 

A tale scopo, la IV Armata corazzata venne sciolta. Lo stato maggiore del feldmaresciallo von Kluge fu riassorbito nelle riserve e i due gruppi corazzati ricevet­tero di nuovo gli ordini direttamente dal gruppo di Armate Centro. Venne proposto di affidare a Kluge il co­mando del corpo corazzato di Guderian e di una nuova armata di fanteria. Queste forze dovevano avanzare ver­so sud-est nel settore del gruppo di Armate Sud e distruggere le forze nemiche ammassate in quella zona.

 

Il comandante in capo, feldmaresciallo von Brau­chitsch, e il suo capo di stato maggiore, generale Halder, erano entrambi nettamente contrari a questo piano. Brauchitsch avrebbe preferito vedere il gruppo di Ar­mate Centro procedere dritto su Mosca, che considera­va l'obiettivo principale dell'intera campagna. Il feld­maresciallo von Bock e lo stato maggiore del gruppo di Armate Centro condividevano questo punto di vista. D'altro canto, il feldmaresciallo von Kluge era più por­tato verso il concetto strategico di Hitler. Vi furono vi­vaci scambi di opinioni e passarono settimane prima di giungere a una decisione.

 

Intanto si continuava a combattere fra il Dnieper e la Desna e anche fra la Dvina e l'alto Dnieper. A poco a poco venne stabilita una linea abbastanza netta, che correva lungo il corso della Desna a est di Roslavl e Yel­nya e a ovest di Dorogobuzh. Questa linea era presidiata dalle truppe della vecchia IV Armata e si univa a quella presidiata dalla IX Amata più a nord. La IV Armata venne ricostituita e il comando fu affidato nuova­mente al feldmaresciallo von Kluge, che portò con sé il proprio stato maggiore. Così ci trovammo sulla linea della Desna.

 

Quando dico che le nostre linee erano deboli, uso un termine eufemistico. Alle divisioni venivano affidati set­tori larghi almeno trenta chilometri. Per di più, a causa delle gravi perdite subìte durante la campagna, queste unità non disponevano generalmente di tutti gli uomini in quadro e le riserve tattiche non esistevano. Nei com­battimenti, specialmente intorno a Yelnya, le nostre divisioni subirono altre gravi perdite.

 

Alle divergenze di opinioni in materia di strategia fra Hitler e i suoi principali consiglieri militari, si ag­giungevano i disaccordi riguardo alle operazioni tattiche. Il grande accerchiamento aveva portato alla cattura di un enorme numero di prigionieri e di un immenso bottino. Ma i risultati non erano soddisfacenti, come potevano apparire a prima vista. Innanzi tutto queste grandi sacche pesavano molto sulle nostre forze corazzale. Inol­tre, di rado riuscivano completamente e notevoli gruppi di nemici fuggivano spesso verso est. Perciò Hitler desi­derava che queste manovre aggiranti venissero attuate in scala ridotta, ritenendo che in tal modo l'accerchia­mento sarebbe riuscito al cento per cento.

 

In settembre la nostra strategia futura venne infine decisa secondo la teoria sostenuta dal feldmaresciallo von Brauchitsch. Dovevamo marciare su Mosca. La que­stione che si poneva adesso, era se ci restasse tempo suf­ficiente per conquistare la lontana capitale sovietica con le forze disponibili, stanche e indebolite, prima che arrivasse il terribile inverno russo. Dovevamo scontare duramente le settimane sprecate in futili discussioni durante il mese di agosto e all'inizio di settembre.

 

Finalmente giunse l'ordine definitivo. Il gruppo di Ar­mate Centro doveva muovere verso Mosca e l'opera­zione doveva aver inizio il 2 ottobre. Le carte erano in tavola, la grande battaglia stava per cominciare. Il pre­ludio fu il classico scontro di Vyasma.

 

 

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LA BATTAGLIA DI VYASMA

 

Mentre il comando supremo germanico discuteva sul da farsi, i russi apprestavano una nuova linea difen­siva lungo l'alto Dnieper e la Desna di fronte al gruppo di Armate Centro. Questa linea rappresentava l'anello più esterno degli sbarramenti che proteggevano Mosca. Nostro compito adesso era sfondare questo anello, ese­guire un doppio accerchiamento del nemico e poi entra­re a Mosca prima dell'inverno.

 

Le nostre truppe erano disposte come segue: la II Ar­mata con il II Gruppo corazzato di Guderian era con­centrata a Bryansk e a sud per puntare su Orel e quindi a nord. Sul suo fianco sinistro si teneva pronta la IV Ar­mata di Kluge con il IV Gruppo corazzato di Hoepner, che a sua volta aveva il fianco sinistro sull'alto Dnieper a est di Smolensk. Questa armata rinforzata doveva

aprire la strada verso Mosca. La IX Armata di Strauss, appoggiata dal III Gruppo corazzato di Hoth, si trova­va a nord dell'alto Dnieper. Come nelle prime battaglie a est del Bug, i gruppi corazzati di Hoepner e Hoth era­no ammassati sui fianchi esterni delle rispettive armate di fanteria. I carri armati dovevano puntare nuovamen­te a est e quindi volgere in dentro per accerchiare Vya­sma. La fanteria doveva ripetere la manovra che aveva dato risultati così felici nelle azioni precedenti e attuare piccoli aggiramenti all'interno del grande movimento a tenaglia delle forze corazzate. Appena le due pinze della tenaglia si chiudevano, i gruppi corazzati dovevano igno­rare, per quanto era possibile, la battaglia di accerchia­mento, che avrebbe divampato alle loro spalle intorno a Vyasma, e puntare direttamente su Mosca con il mas­simo impeto e velocità.

 

L'offensiva venne sferrata all'alba del 2 ottobre. Le armate rinforzate di Kluge e di Strauss attaccarono con precisione veramente encomiabile. Tutte le operazioni si svolsero esattamente secondo i calcoli dello stato mag­giore generale. Il risultato di questa battaglia da libro di testo, combattuta fra il 2 e il 13 ottobre, fu che il gruppo di Armate Centro catturò 650.000 prigionieri e i russi persero 5000 cannoni e 1200 carri armati. Il numero di prigionieri catturati e la quantità di materiale, preso o distrutto dal gruppo di Armate Centro dall'inizio delle ostilità, stava assumendo proporzioni astronomiche. Lo stesso accadeva nei settori dei gruppi di Armate Nord e Sud. Non c'è da meravigliarsi, quindi, che Hitler, i suoi comandanti e le stesse truppe ritenessero che l'Ar­mata Rossa fosse ormai giunta praticamente al termine delle sue risorse di uomini e di mezzi. I prigionieri ci dissero che questo nuovo attacco, sferrato in una stagio­ne così avanzata, aveva colto i sovietici completamente di sorpresa. Mosca sembrava sul punto di cadere in nostre mani. Nel gruppo di Armate Centro regnava un grande ottimismo e tutti, dal feldmaresciallo von Bock ai soldati semplici in prima linea, credevano e speravano che ben presto avremmo sfilato per le strade della capita­le russa. Anzi Hitler aveva già istituito uno special comando del genio che aveva il compito di demolire il Cremlino. Tuttavia, fu un peccato che il ministero della propaganda ritenesse opportuno emettere un comuni­cato altisonante, dove annunciava che la guerra in orien­te era vinta e l'Armata Rossa praticamente annientata.

 

Per comprendere a pieno il dramma che si avvicinava, occorre rendersi conto delle condizioni mentali dei co­mandanti e delle truppe in quel momento. Dal 22 giu­gno, le armate avevano riportato una vittoria dopo l'al­tra ed erano giunte dal Bug alle vicinanze di Mosca per­correndo strade spaventose con qualunque tempo. Dato che la maggior parte delle truppe procedeva a piedi, se­guita dai carri a cavalli con i rifornimenti, il solo fatto di aver percorso una distanza simile aveva del meravi­glioso. E l'intera operazione si era svolta in tre mesi, comprese le numerose settimane sprecate mentre l'alto comando discuteva sulla strategia più opportuna.

Il 2 ot­tobre, quando la battaglia di Vyasma era finita, a parte piccoli scontri sporadici, potevamo ben guardare alle nostre imprese passate con orgoglio e a quelle future con fiducia.

 

A metà ottobre tutte le armate mossero verso Mosca. Pochi giorni dopo, l'intero gruppo di Armate Centro si mise in marcia verso est. Fra noi e la capitale sovietica s'interponeva solo la così detta Postazione Difensiva di Mosca. Non avevamo ragione di credere che si sarebbe dimostrata una noce particolarmente dura da rompere, Una volta traversata la Postazione, pensavamo, la strada sarebbe stata sgombra.

 

 

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UN MUTAMENTO DI UMORE

 

E adesso che Mosca era quasi in vista, l'umore dei comandanti e delle truppe cambiò. Alla fine di ottobre e ai primi di novembre ci accorgemmo con stupore e disappunto che i russi sconfitti sembravano del tutto ignari del fatto di non esistere praticamente più come entità militare.

 

Durante queste settimane la resistenza si accrebbe e i combattimenti divennero ogni giorno

più aspri. Il maresciallo Zukov aveva assunto il coman­do delle truppe che difendevano Mosca. Per settimane i suoi uomini avevano apprestato una posizione difen­siva in profondità, attraverso le foreste che fiancheggia­no il Nara da Serpukhov a sud fino a Naro-Fominsk a nord. Capisaldi abilmente mascherati, sbarramenti di filo spinato e numerosi campi minati riempivano ormai i boschi che coprono il territorio a ovest di Mosca.

 

Armate cospicue erano state costituite con i resti di quelle sconfitte più a ovest e con formazioni fresche. Gli operai di Mosca erano stati mobilitati. Dalla Si­beria giungevano nuove unità. Quasi tutte le ambascia­te e legazioni, come pure parte del governo russo, era­no state evacuate a est di Mosca. Ma Stalin e i suoi im­mediati collaboratori erano rimasti nella capitale che il dittatore era deciso a difendere fino all'ultimo sangue. Tutto ciò ci giunse completamente inaspettato: non riuscivamo a credere che la situazione potesse mutare così radicalmente dopo tutti i nostri sforzi, quando la preda sembrava ormai a portata di mano.

 

I soldati erano esausti, le unità incomplete. Questo accadeva specialmente nella fanteria, dove molte compa­gnie erano ridotte ad appena sessanta o settanta uomini.

 

Anche i cavalli avevano sofferto notevolmente e l'arti­glieria incontrava notevole difficoltà a trasportare i can­noni. Il numero di carri armati efficienti nelle divisioni corazzate era di molto inferiore a quello stabilito.

 

Hitler, giudicando la campagna ormai finita, aveva ordinato alle industrie in patria di ridurre la produzione di munizioni. Solo un numero trascurabile di rimpiaz­zi giungeva alle unità in prima linea. L'inverno stava per cominciare, ma non si vedeva traccia d'indumenti pe­santi.

 

Le linee di comunicazione con la Germania, di una lunghezza fantastica e di un'estrema esilità, erano as­solutamente inadeguate ad assicurare alle truppe i rifor­nimenti di munizioni e di generi indispensabili. Le li­nee ferroviarie russe, di scartamento maggiore, dovettero essere adattate per le nostre locomotive europee, prima che potessimo usarle. Nelle retrovie, a grande distanza dal fronte, i gruppi partigiani cominciavano a far sentire la loro presenza nelle immense foreste e acquitrini. In generale mancavamo di mezzi per combatterli. Le colon- ne dei rifornimenti cadevano spesso in imboscate e di conseguenza le truppe in prima linea soffrivano continue privazioni.

 

Adesso i fantasmi della Grande Armata e il ricordo del destino di Napoleone cominciavano a turbare i nostri sonni. Ma tutti questi tristi presagi, ancora vaghi, im­pallidirono in confronto al periodo fangoso, o rasputit­za, che presto sopraggiunse ad accrescere le nostre pene.

 

Naturalmente l'avevamo previsto, perché ne parla­vano tutti i testi che avevamo consultato studiando il clima russo. Ma la realtà superò di gran lunga le no­stre peggiori previsioni. Nella zona di Vyasma comin­ciò abbastanza lentamente a metà ottobre e andò inten­sificandosi senza posa fino alla metà di novembre. É difficile dare un'idea del periodo fangoso a chi non lo ha sperimentato di persona. Esistono solo poche strade asfaltate da quelle parti. Tutte le altre, come pure l'aper­ta campagna, diventano un pantano vischioso. Il fante scivola sul fango e occorrono molte mute di cavalli peri trainare ogni cannone. Tutti i veicoli a ruote affondano nella mota fino ai mozzi. Perfino i trattori si muovono con grande difficoltà. Buona parte della nostra artiglie­ria pesante si trovò ben presto immobilizzata e non fu quindi disponibile per la battaglia di Mosca. Si può com­prendere di che tipo di fango si tratti quando si pensi che anche i carri armati e gli altri mezzi cingolati proce­devano a mala pena e spesso e volentieri si trovavano impantanati. È facile immaginare l'effetto disastroso di tale situazione sul morale delle nostre truppe già esauste.

 

A questo punto ci trovammo di fronte a un'altra sor­presa non meno spiacevole. Durante la battaglia di Vya­sma comparvero i primi T 34 russi. Nel 1941 questo era un nuovo tipo di carro armato, che poteva essere affron­tato solo da altri carri armati e dall'artiglieria pesante. Le armi anticarro della fanteria non riuscivano a perforarne la corazza, perché a quel tempo la nostra fanteria aveva in dotazione solo cannoni anticarro da 37 e 50 millimetri. Tali armi potevano mettere fuori combatti­mento i carri armati russi che avevamo incontrato fino allora, ma non producevano alcun effetto sui T 34. Ne derivò un grave stato di cose per la fanteria che si sen­tiva nuda e indifesa contro il nuovo carro armato. Oc­correva un cannone del calibro di almeno 75 millimetri, ma bisognava ancora fabbricarlo. A Vereya i carri armati russi attraversarono la VII Divisione di fanteria e, giun­ti alle postazioni dell'artiglieria, passarono letteral­mente sopra i cannoni. L'effetto disastroso sul morale dei soldati è più che comprensibile. Questo episodio segnò l'inizio di ciò che venne poi chiamato il « terrore dei carri armati ».

 

La nostra aviazione aveva combattuto in modo splen­dido. Ma adesso il numero di apparecchi efficienti era molto diminuito e i campi d'atterraggio vicino al fronte scarseggiavano, specialmente durante il periodo fangoso. Date le condizioni del terreno, si verificavano molti incidenti nei decolli e negli atterraggi. Per il momento l'aviazione russa non era quasi comparsa sulla scena.

 

Alla fine di ottobre, il nostro settore dell'indebolito fronte germanico seguiva il corso del fiume Oka da Alek­sin verso nord, poi quello del Nara fino a Naro-Fominsk, quindi volgeva a nord-ovest attraverso la strada maestra e la Moscova, verso Ruza e Volokolamsk. E questo se­gnò, almeno per il momento, il limite della nostra avan­zata perché avevamo esaurito ogni capacità offensiva. Le truppe erano stanche e indebolite. Di fronte a noi, i rus­si mantenevano le loro posizioni in profondità nelle fore­ste intorno a Mosca. Parte della nostra artiglieria e mez­zi pesanti erano impantanati senza rimedio, spesso a grande distanza dal fronte fra Vyasma e il Nara. Ma Mosca sembrava a portata di mano. Di notte scorgevamo i proiettili antiaerei russi scoppiare nel cielo della capi­tale. Che sarebbe accaduto adesso?

 

 

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LA CONFERENZA DI ORSHA

 

In novembre il capo di stato maggiore generale con­vocò i capi di stato maggiore dei tre gruppi di armate e delle singole armate, impegnate sul fronte orientale, a una conferenza tenuta a Orsha sul Dnieper. L'argomen­to capitale delle discussioni era se adesso le truppe te­desche all'Est dovessero fermarsi lungo l'attuale linea del fronte e attendere il ritorno di condizioni meteoro­logiche più clementi in primavera, oppure se i tre gruppi di armate dovessero continuare l'offensiva du­rante i mesi invernali.

 

Il rappresentante del gruppo di Armate Sud di von Rundstedt si dichiarò contrario a ulteriori azioni offen­sive e favorevole alla prima alternativa. Il gruppo di Armate Nord era così debole che non era il caso di par­lare di nuovi attacchi in quel settore. Viceversa, il grup­po di Armate Centro appoggiò l'idea di tentare ancora una volta di espugnare Mosca. Infatti, una volta conqui­stata la capitale sovietica, singole divisioni corazzate, operando a est della città avrebbero potuto tagliare le principali linee di comunicazione ferroviarie con la Siberia.

 

I comandanti in capo discussero la situazione per ore e ore. In conclusione decisero di fare un ultimo tenta­tivo, di sferrare un ultimo attacco con Mosca come obiet­tivo. Il comando supremo si rendeva conto perfettamen­te .che l'offensiva non poteva avere inizio che al termine del periodo fangoso, quando il gelo avrebbe nuovamen­te indurito il terreno.

 

 

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DISPOSIZIONI

 

L'armata designata ad attaccare la vera e propria zo­na di Mosca era la IV Armata del feldmaresciallo von Kluge, che venne rinforzata a tale scopo. Il nostro fian­co destro, dall'Oka al Nara, era tenuto da semplici forze di protezione.

 

A sud dell'Oka, il II Gruppo corazzato del generale Guderian, che operava con la II Armata, doveva avan­zare attraverso Tula diretto a nord-est. Il grosso della IV Armata era ammassato lungo il Nara, fra la strada Podolsk-Maloyaroslavets e l'autostrada Mosca-Smolensk.

Il IV Gruppo corazzato del generale Hoepner era concentrato fra Ruza e Volokolamsk, a nord dell'auto­strada e del fiume di Mosca. Hoepner dipendeva dal feldmaresciallo von Kluge, ma gli erano state assegnate anche un certo numero di unità di fanteria, poiché l'esperienza aveva dimostrato che in queste circostanze le azioni combinate dei carri armati e della fanteria da­vano i migliori risultati.

 

Secondo il nostro piano di operazioni, il IV Gruppo corazzato, attaccando a nord sulla sinistra dell'autostra­da, doveva volgere a est e puntare su Mosca da ovest a nord-est, mentre la I Armata, attaccando attraverso il Nara, impegnava strettamente il nemico su questo fronte.

 

 

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L'ULTIMA OFFENSIVA

 

Alla metà di novembre il periodo fangoso era finito e il gelo annunciava l'arrivo dell'inverno. Adesso le stra­de e l'aperta campagna erano praticabili per ogni tipo di mezzi. Lontano dal fronte, i trattori liberarono la pesante artiglieria dal fango e trascinarono avanti un cannone dopo l'altro. Tuttavia, in alcuni casi, questi cannoni, che il gelo aveva letteralmente saldato al terreno, furono ri­dotti a pezzi nel tentativo di liberarli.

 

Nei primi giorni l'attacco del IV Gruppo corazzato diede risultati soddisfacenti. Il nemico venne respinto inesorabilmente verso est nel corso di aspri combatti­menti.

 

Poi, verso il 20 novembre, il tempo cambiò all'im­provviso e praticamente in una notte ci piombò addosso l'inverno russo in tutta la sua furia. Il termometro sce­se di colpo a 30° sottozero. A questo si aggiunsero pe­santi nevicate. In pochi giorni il paesaggio assunse l'aspetto tradizionale dell'inverno russo. Con impeto sempre minore e difficoltà sempre crescenti, i due gruppi corazzati continuarono ad aprirsi combattendo la strada verso Mosca. Gettando nella lotta le ultime forze, riu­scirono a superare Klin e l'avanguardia corazzata rag­giunse il canale Moscova-Volga. A questo punto il loro fianco settentrionale venne attaccato improvvisamente da unità sovietiche fresche che provenivano dalla riva est del canale. Avanzando direttamente su Mosca le no­stre unità di testa raggiunsero Oseretkoye negli ultimi giorni di novembre, e forze corazzate di ricognizione pe­netrarono perfino nei primi sobborghi occidentali della capitale sovietica. Con ciò l'ultima spinta offensiva dei due gruppi corazzati si arenò definitivamente in mezzo al ghiaccio e alla neve.

 

Allora il feldmaresciallo von Kluge decise di sospen­dere l'attacco, ormai senza speranza e causa solo di inu­tili perdite. E ordinò a tutti i reparti della IV Armata, che si trovavano a sud della strada maestra, di ripiegare sulle loro primitive posizioni dietro il Nara. Il nemico si limitò a un cauto inseguimento e il disimpegno poté effettuarsi con pieno successo.

 

Date le circostanze, la decisione del feldmaresciallo von Kluge giunse quanto mai opportuna. Pochi giorni dopo, il maresciallo Zukov lanciò la grande controffen­siva russa, che cominciò il 6 dicembre e fu diretta ini­zialmente contro i due gruppi corazzati a nord-ovest di Mosca. Avevamo raggiunto il punto critico sul fronte orientale: le nostre speranze di metter fuori combatti­mento la Russia entro il 1941 erano state spazzate via, proprio all'ultimo momento.

 

Bisognava assolutamente che i capi politici della Ger­mania si rendessero conto che i giorni della guerra-lampo erano passati. Stavamo affrontando un esercito che doveva essere valutato a un livello ben più alto di tutti quelli incontrati finora. D'altra parte, bisogna anche osservare che l'esercito tedesco, sia le truppe sia i coman­danti, dimostrava una pari fortezza d'animo nel fronteg­giare i disastri e i pericoli che ci stavano dinanzi.

 

 

Operazione Barbarossa II guerra mondiale 

 

 

CONDIZIONI DELLE ARMATE

 

Prima di esporre brevemente gli eventi che seguirono, e essenziale fare un quadro delle truppe tedesche e russe, che combatterono sotto Mosca nel dicembre 1941, e delle condizioni in cui la battaglia infuriò.

 

La visibilità sul fronte, sia pure limitata, durava po­che ore al giorno. Fino alle nove del mattino, il paesag­gio invernale era avvolto in una fitta nebbia. Poi il disco rosso del sole saliva gradatamente nel cielo orientale e verso le undici si riusciva a distinguere qualcosa. Alle tre del pomeriggio cominciava a imbrunire e un'ora do­po era quasi completamente buio di nuovo.

 

A Maloyaroslavets esisteva un utile campo di atter­raggio dove arrivavano occasionalmente aerei da tra­sporto, provenienti da Smolensk, Orsha o Varsavia. Trasportarono pochi rimpiazzi, insufficienti a compen­sare le nostre perdite giornaliere e spesso vestiti con sem­plici pantaloni lunghi e scarpe allacciate, senza neppure un cappotto o una coperta.

 

Quando nella tarda estate il feldmaresciallo von Brau­chitsch si era reso conto che la guerra ad Est sarebbe continuata nell'inverno, aveva sollecitato da Hitler tem­pestive disposizioni per assicurare un adeguato rifornimento di vestiti ed equipaggiamento invernale alle trup­pe in Russia. Hitler aveva rifiutato di provvedere, perché fermamente convinto che i russi sarebbero stati sconfitti prima che iniziasse la stagione fredda. Ora perfino il suo quartier generale aveva compreso a un tratto che la guer­ra all'Est era, in effetti, appena cominciata e che, per quanto orribile fosse, le truppe tedesche avrebbero do­vuto combattere le feroci battaglie future senza vestiti adatti per l'inverno. Hitler emanò ordini drastici per­ché fossero spediti all'Est gl'indumenti necessari. In Germania furono organizzate raccolte di pellicce e simili con ottimi risultati e notevole prontezza, ma era troppo tardi. Dovettero passare mesi prima che gl'indumenti raccolti potessero finalmente raggiungere le truppe. Così i soldati furono obbligati a trascorrere il primo inverno in Russia combattendo, duramente ed equipaggiati soltanto della loro divisa estiva, cappotto e coperta. Ge­neralmente i rifornimenti scarseggiavano. I  poche li­nee ferroviarie che percorrevano la zona dingo il fron­te, erano spesso interrotte dai partigiani. L'acqua gelava nelle caldaie delle locomotive, che non erano costruite per affrontare il clima russo. Ogni macchina poteva trai­nare appena metà del normale numero di vagoni. Mol­te rimanevano bloccate per giorni e giorni nella neve e nel ghiaccio.

 

Praticamente non esistevano posizioni difensive che offrissero un riparo agli occupanti. Ciò era la conse­guenza della tattica di combattersi aspramente a vicenda per il possesso di qualche villaggio sperduto dove si potesse almeno trovare un po' di protezione contro il freddo crudele. Ne risultava che ambo le parti bombar­davano i villaggi, appiccando il fuoco alle case di legno e paglia, per privare l'avversario del ridosso che pote­va offrirgli. Non c'era neanche da pensare a scavarsi un riparo sotto terra: il suolo gelato era durissimo.

 

Anche le armi subivano le conseguenze del freddo. Il lubrificante dei congegni dell'artiglieria gelava, il meccanismo delle mitragliere gelava. Spesso era impos­sibile aprire l'otturatore. Non esisteva glicerina, non esi­steva liquido da potersi usare con quel freddo. La notte bisognava accendere focherelli sotto gli automezzi per evitare che i motori gelassero e scoppiassero. I carri ar­mati slittavano facilmente sul terreno ghiacciato e scivo­lavano sui pendii.

 

Forse questa breve descrizione varrà a dare al let­tore un'idea delle condizioni in cui l'esercito germanico visse e si batté in Russia durante l'inverno 1941-42.

 

I russi, invece, si trovavano molto meglio. Prima di tutto, per loro il freddo intenso non costituiva una no­vità: vi erano abituati. Inoltre avevano Mosca subito al­le spalle e quindi le linee di rifornimento del fronte rus­so erano brevi. Molte unità sovietiche erano fornite di giacche foderate di pelliccia, scarpe imbottite e berretti di pelo con ampi copriorecchie. Portavano guanti felpati e calde sottovesti. I loro treni di rifornimenti erano trai­nati da locomotive siberiane, costruite apposta per sop­portare temperature estremamente basse. Certo gli auto­mezzi e i carri armati sovietici andavano soggetti agli stessi inconvenienti dei nostri, ma con minore gra­vità. Anche questi erano stati progettati per affrontare il clima.

 

Per il momento, non si vedeva gran che dell'aviazione sovietica, benché il fronte si trovasse ormai a pochi mi­nuti di volo dai campi di Mosca.

 

Questa era la situazione quando, il 6 dicembre, il ma­resciallo Zukov lanciò la fatale e massiccia controffen­siva sul fronte di Mosca.

 

 

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LA CONTROFFENSIVA RUSSA

 

Le violente azioni che rischiarono di annientare gran parte della linea difensiva tedesca, costituiscono una serie cronologica di battaglie. Ci vorrebbe un intero li­bro per descriverle nei loro particolari. Tuttavia, per poter comprendere la battaglia di Mosca nel suo insieme, è necessario tratteggiarle almeno, a grandi linee. Si può dire che la battaglia di Mosca si sia prolungata fino alla metà di aprile del 1942.

 

All'inizio della controffensiva russa, ingenti forze so­vietiche attaccarono a nord di Mosca, traversando il ca­nale Moscova-Volga dall'est in direzione di Klin e inve­stendo il fianco sinistro del III Gruppo corazzato del generale Reinhardt nella zona a sud dei laghi del Volga. Allo stesso tempo i russi attaccarono il fronte del IV Gruppo corazzato più a sud, mentre una puntata di grande vigore veniva diretta da Mosca verso ovest, lun­go la grande strada Mosca-Smolensk. Questa puntata col­piva la giunzione del IV Gruppo corazzato con la IV Ar­mata. Le forze corazzate tedesche, nello stato di debolez­za in cui si trovavano, non potevano sostenere una simile pressione e furono costrette a indietreggiare a poco a poco, combattendo duramente nella neve e nel ghiaccio, per riformare un fronte unico più a ovest. Questa ritirata rese necessario l'abbandono di gran parte dei materiali pesanti.

 

Il punto veramente pericoloso si trovava a sud della IV Armata, dove la II Armata corazzata di Guderian (già II Gruppo corazzato) che disponeva solo di unità corazzate debolissime, fu attaccato da forze schiaccianti. Il nemico iniziò una vigorosa avanzata su Tula, che la II Armata corazzata non era in grado di difendere. Raggiunto questo primo obiettivo, una parte delle forze sovietiche continuò ad avanzare verso ovest, mentre le rimanenti forze volsero a nord-est verso Kaluga. Un altro attacco fu sferrato nel settore di Oka, nella zona Tarusa-Aleksin: anche qui parte delle forze russe si spinsero verso ovest e parte girarono a nord-ovest, cioè verso Maloyaroslavets e Medin. Le intenzioni sovietiche erano evidenti. Stavano progettando un ampio doppio accerchiamento della IV Armata di Kluge per mezzo di attacchi al nord e al sud, con lo scopo finale di circondare e distruggere quell'armata nelle sue attuali posizioni a ovest di Mosca. I comandanti tedeschi potevano appena sperare, senza parlare di sconfitta, di sfuggire alla grossa tenaglia meridionale. Fra la IV Armata e la II Armata corazzata esisteva ormai una breccia che i russi allargavano continuamente e il feldmaresciallo von Kluge non disponeva di riserve sufficienti a ristabilire una situazione che al suo fianco meridionale si faceva sempre più pericolosa. E peggio ancora, la IV Armata aveva una sola via di rifornimento: la grande strada Yukhnov‑Medin-Maloyaroslavets-Podolsk. Ogni altra strada in

tutto il settore dell'armata era scomparsa sotto la coltre di neve. Se i sovietici, avanzando da sud, fossero riuscìti a tagliare la nostra unica linea di rifornimento, sarebbe stata la fine per la IV Armata.

 

 

Operazione Barbarossa II guerra mondiale 

 

 

» LA IV ARMATA RESISTERÀ E COMBATTERÀ! «

 

In tale situazione, non deve sorprendere che il gruppo di Armate Centro decidesse di ordinare un arretramento preorganizzato. verso ovest dell'intera IV Armata rinforzata. Niente di, più logico, dal momento che a sud la II Armata corazzata era stata costretta a ritirarsi dietro I'Oka ai due lati di Velev. Venne quindi tracciata sulla carta una linea che univa Velev, Yukhnov sull'Ugra e Gzhatsk, per poi piegare a nord. La IV Armata si do­veva ritirare dietro tale linea. Furono ordinate ricognizioni lungo il nuovo fronte. Tutto sembrava perfetta­mente chiaro.

 

Ma a metà dicembre giunse una chiamata telefonica del generale von Greiffenberg, capo di stato maggiore del gruppo di Armate Centro; voleva parlare con il capo di stato maggiore della IV Armata. Andai al telefono: Greiffenberg era un mio intimo amico. Mi disse: « Sarà meglio che vi sistemiate il più comodamente possibile dove siete. Sono arrivati proprio ora nuovi ordini di Hitler. La IV Armata non deve arretrare neppure di un metro ».

 

Il lettore che mi ha seguìto fin qui comprenderà l'ef­fetto prodotto da questa notizia. Secondo ogni previ­sione, non poteva significare altro che la distruzione del­la IV Armata. Tuttavia, l'ordine venne eseguito. Unità già in movimento verso ovest invertirono la marcia e tor­narono in prima linea. La IV Armata si preparò a combattere le sue ultime battaglie. Ormai solo un miracolo avrebbe potuto salvarla.

 

E non era tutto. Proprio in quel momento critico av­venne un profondo rivolgimento negli alti comandi.

 

 

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CAMBIAMENTI DI COMANDO

 

Il comandante in capo del gruppo di Armate Centro, feldmaresciallo von Bock, soffriva da lungo tempo di forti dolori di stomaco. Le sue condizioni fisiche erano peggiorate in seguito alla sconfitta del suo gruppo di armate sotto Mosca. Fu costretto a cedere il comando, almeno temporaneamente, e venne sostituito dal feldma­resciallo von Kluge, quell'uomo di ferro, che lasciò la IV Armata il 18 dicembre e assunse il comando del gruppo di armate con quartier generale nella foresta a ovest di Smolensk.

 

Così, proprio nel momento di maggior pericolo, la IV Armata si trovò senza comandante. Si comprenderà facilmente quali innumerevoli complicazioni comportasse questa confusa e incerta organizzazione di comando.

 

Ma a più alto livello si stavano effettuando mutamenti ancor più significativi. Il comandante in capo dell'esercito, feldmaresciallo von Brauchitsch, aveva da lungo tempo cessato di avere le stesse, identiche vedute di Hitler. Per di più soffriva di cuore da anni. La situazione a ovest di Mosca lo esaurì. Fu esonerato dal servizio e Hitler assunse il comando in capo dell'esercito, assegnandosi i pieni poteri di quella suprema carica. L'unico consigliere che mantenne il proprio incarico, ma senza alcuna autorità, fu il generale Halder, capo di stato maggiore generale. Hitler giudicava di essere il solo capace d'impedire la catastrofe che incombeva davanti a Mosca. E bisogna ammettere francamente che in effetti vi riuscì.

 

Il fanatico ordine, impartito alle truppe, di resistere a ogni costo su tutto il fronte e nelle condizioni più avverse era senza dubbio corretto. Hitler si rese conto istintivamente che qualsiasi ritirata attraverso la neve e il ghiaccio avrebbe provocato in pochi giorni la dissoluzione del fronte e se ciò fosse avvenuto, la Wehrmacht avrebbe subìto la stessa sorte della Grande Armée. Nelle condizioni che prevalevano in quel momento, le divisioni non avrebbero potuto arretrare più di otto nove chilometri per notte. Non era possibile ottenere di più dalle truppe e dai cavalli nelle attuali condizioni di esaurimento. La ritirata poteva effettuarsi solo attraverso l'aperta campagna, dal momento che le strade e le piste erano bloccate dalla neve. Dopo poche notti le truppe non avrebbero più retto e sarebbero piombate a terra per morire ovunque si trovassero. Nelle retrovie non esistevano posizioni predisposte dove ritirarsi, né alcuna sorta di linee difensive sulle quali si potesse resistere.

 

Così, nelle settimane che seguirono, la battaglia si spostò lentamente verso ovest. Le nostre armate, pur combattendo aspramente, vennero respinte passo per passo. Ma infine la fortuna arrise a Hitler. Benché il nemico fosse di gran lunga più forte di noi, le sue azioni offensive cominciarono a indebolirsi. Era senza dubbio deluso di non essere ancora riuscito a distruggere il fron­te tedesco a ovest di Mosca e stupito della ferma resi­stenza opposta dalle decimate divisioni germaniche, che si battevano senza protezione alcuna in un clima così

aspro.

 

Sul fianco meridionale della IV Armata avvenne una specie di miracolo. Inesplicabilmente i russi, nonostante la superiorità locale, non riuscirono a occupare la strada Yukhnov-Maloyaroslavets e a tagliare così l'unica li­nea di rifornimento della IV Armata. Una notte dopo l'altra, il corpo di cavalleria di Below, causa per noi di grande ansietà nella seconda metà di dicembre, penetrò profondamente nelle nostre retrovie verso Yukhnov. Al­la fine raggiunse quella strada vitale, ma fatto veramen­te strano, non la bloccò. Il corpo di cavalleria continuò ad avanzare verso ovest e disparve nelle grandi paludi di Bogoroditskoie.

 

Dal 22 dicembre tanto il IV quanto il III Gruppo co­razzato risultavano separati dalla IV Armata. Questa faceva ora parte completamente a sé, e non poteva eser­citare alcuna azione di comando sui due gruppi coraz­zati a nord della grande strada Mosca-Smolensk.

 

 

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LA BATTAGLIA ALL'INIZIO DEL 1942

 

Nonostante la grande superiorità di forze, i russi non erano riusciti a distruggere il fronte germanico a ovest di Mosca entro la fine del 1941. Ma questo non significa affatto che la crisi acuta fosse superata. Duran­te i primi tre mesi del 1942, la IV Armata venne ripetu­tamente a trovarsi in circostanze oltremodo critiche.

 

In gennaio il termometro precipitò a 42° sotto zero. Durò solo pochi minuti dopo di che la temperatura eb­be delle oscillazioni. In un'esposizione del genere è impossibile descrivere nei particolari tutti gli scontri che seguirono, per quanto facciano parte della grande bat­taglia di Mosca. Furono mesi terribili. Più tardi Hitler ordinò di coniare l’Ostmedaille (Medaglia del Fronte Orientale), per quanti che avevano preso parte agli aspri combattimenti su quel fronte durante l'inverno 1941-42. Il possesso di questa medaglia era ed è considerato un grande onore.

 

Il 26 dicembre il generale di truppe da montagna Kübler, solido combattente, aveva assunto il comando della IV Armata, ma in pochi giorni si rese conto di non essere all'altezza della situazione. Nella seconda metà di gennaio fu sostituito dal generale Heinrici, che comandò con successo la IV Armata per parecchio tempo.

 

 

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CONCLUSIONE

 

La campagna di Russia, e particolarmente la crisi davanti a Mosca, segnò il primo grosso rovescio tedesco, tanto in campo politico quanto militare. Nell'Ovest, cioè alle nostre spalle, non vi era più alcuna speranza di concludere la desiderata pace con l'Inghilterra e anche nel Nord Africa avevamo subìto una grave sconfitta. Esistevano fronti germanici lungo le coste della Norvegia, della Danimarca, dell'Olanda, del Belgio e della Francia. La situazione nel Mediterraneo era grave. Truppe tedesche si trovavano nei Balcani e in Grecia. Un'occhiata alla carta del mondo mostrerà che la piccola area nell'Europa centrale segnata « Germania » non poteva assolutamente generare una forza sufficiente a dominare, l'intero continente europeo. Un passo dopo l'altro, la politica di Hitler aveva immerso sempre più profondamente il popolo tedesco e le sue forze armate nel regno

dell'assurdo.

 

Ci chiediamo, intanto, se i tedeschi avrebbero riportato la vittoria qualora fossero riusciti a conquistare Mosca. Si tratta di una domanda puramente accademica, perché nessuno potrebbe rispondere con certezza. La mia opinione personale è che anche se avessimo occupato Mosca, la guerra sarebbe stata ben lungi dall'essere vinta. La Russia è così vasta e il governo russo si dimostrava così deciso che la guerra sarebbe semplicemente continuata, prendendo magari nuove forme, nelle sterminate distese di quel paese. Nella migliore ipotesi potevamo aspettarci una guerriglia partigiana in grandi sproporzioni nella Russia europea, del tutto separata dalle grandi estensioni asiatiche, che fanno parte anch’esse del territorio russo.

 

Un fatto è fuori discussione: i capi militari germanici e soprattutto le truppe tedesche riuscirono a compiere quasi l'impossibile, eppure queste imprese furono su­perate negli anni a venire. La guerra nell'Est era il ter­reno di prova dei nostri soldati: in due guerre mondiali le truppe tedesche hanno dimostrato di possedere quella compattezza d'acciaio necessaria per affrontare le terri­bili condizioni di quel paese.

 

 

Operazione Barbarossa II guerra mondiale

 

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Credito
Siegfried Westphal (a cura di), Decisioni Fatali, Longanesi & C., Milano 1975
Il titolo originale del contributo di Günther Blumentritt era “Mosca”, sono state inoltre apprtate delle piccole correzioni su termini tecnici e parole tedesche.

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