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L RAPPORTO KRUSCIOV AL XX CONGRESSO DEL PCUS

IL RAPPORTO Dl NIKITA KRUSCIOV
AL XX CONGRESSO DEL PCUS

 

 

 

Il 25 febbraio 1956, Nikita Krusciov, Segretario del Partito Comunista dell'Unione Sovie­tica, nel corso si una sessione a porte chiuse dei delegati al XX Congresso del Partito, nel palazzo del Cremlino a Mosca, tenne un lungo rapporto in cui demolì la figura politica di Stalin.

Fu l’inizio ad un processo, comunemente definito “destalinizzazione” in virtù del quale vi fu la definitiva caduta del regime totalitario e una parziale liberalizzazione della vita politica e culturale dell’URSS.

Per alcune settimane questo rapporto rimase segreto. Dopo qualche tempo se ne ebbero varie indiscrezioni da fonti di­verse, finché il 4 giugno 1956, a cura del Dipartimento di Stato degli USA, fu reso noto un testo che risultò però privo di 32 frasi.

Il 9 giugno una agenzia giornalistica italiana rese di pubblicò le frasi mancanti dal testo diramato dal Di­partimento di Stato. Tali frasi vennero rese note sulla base di notizie provenienti da ambienti cecoslovacchi, potendo così rico­struire nella sua interezza e autenticità il documento fondamentale del nuovo corso sovietico. Le brevi frasi mancanti nel primo testo sono state trascritte in carattere corsivo nella loro originaria collocazione.

Pubblichiamo l’apertura e la parte centrale del rapporto, specificamente rivolta all’operato di Stalin nel corso della seconda guerra mondiale.

 

 

 

Donne impegnate nello scavo di trincee anticarro 

 

 

 

Compagni,

 

Nel rapporto del Comitato Centrale del Partito al XX Congresso, in numerosi discorsi dei delegati al Congresso stesso ed anche prima, durante la sessione plenaria del CC-PCUS, si è parlato molto del culto della per­sonalità e delle sue dannose conseguenze.

 

Dopo la morte di Stalin il Comitato Centrale del Partito cominciò ad attuare una politica intesa a spiegare. concisamente e coerentemente che non è lecito ed è estraneo allo spirito del marxismo-leninismo esaltare una sola persona, e trasformarla in un superuomo in possesso di doti sovrane naturali simili a quelle di un Dio.

 

Un simile uomo è ritenuto in grado di sapere tutto, vedere tutto, pen­sare per tutti, fare qualsiasi cosa ed essere infallibile nella propria con­dotta.

 

Un simile culto per un uomo, e precisamente per Stalin, è stato diffuso tra di noi per molti anni.

 

Lo scopo del presente rapporto non è una valutazione esauriente e definitiva della vita di Stalin. Sui meriti di Stalin è stato già scritto durante la sua vita un numero sufficiente di libri, di opuscoli e di saggi. La fun­zione di Stalin nella preparazione e nell'esecuzione della rivoluzione so­cialista, nella guerra civile e nella lotta per l'edificazione del socialismo nel nostro paese è universalmente nota e tutti la conoscono bene. Attual­mente noi ci preoccupiamo di una questione che ha un'immensa impor­tanza per il nostro partito oggi e per il futuro. Ci preoccupiamo cioè di come si sia venuto gradualmente sviluppando il culto della persona di Sta­lin, quel culto che in un certo dato momento è divenuto la fonte di tutta una serie di gravissime perversioni dei principi del partito, della democra­zia del partito e della legalità rivoluzionaria. E poiché non tutti si rendono ancora pienamente conto delle conseguenze pratiche che derivano dal culto della personalità, del grande danno causato dalla violazione del principio della direzione collegiale del partito e in seguito all’accumularsi di un immenso e quasi illimitato potere nelle mani di una sola persona, il Comitato Centrale del partito ritiene assolutamente necessario portare a conoscenza del XX Congresso del PCUS il materiale relativo a tale questione.

 

[ … ]

 

La somma di poteri accumulatasi nelle mani di una sola, persona — Stalin — determinò gravi conseguenze durante la grande guerra patriottica.

Se ripensiamo a gran parte dei nostri romanzi, dei nostri films e dei nostri " studi scientifici " di carattere storico, il ruolo da essi assegnato a Stalin nella guerra patriottica risulta completamente inattendibile. Stalin aveva previsto tutto. L'esercito sovietico, sulla base di un piano strategico
articolato da Stalin molto tempo prima, impiegò la tattica della cosiddetta “ difesa attiva ", ossia la tattica che — come sappiamo — consentì ai tedeschi di arrivare a Mosca e a Stalingrado. Impiegando questa tattica — si afferma — l'esercito sovietico, in virtù unicamente del genio di Stalin, poté passare all'offensiva e sconfiggere il nemico. L'epica vittoria ottenuta grazie alla potenza armata del paese dei Soviet, grazie all'eroismo del nostro popolo, viene descritta, in questo tipo di romanzi, di film e di " studi scientifici ", come dovuta unicamente al genio di stratega di Stalin.

Dobbiamo esaminare con la massima attenzione questo argomento, perché esso ha una estrema importanza, non soltanto dal punto di vista storico, ma soprattutto da quello politico, educativo e pratico. Quali sono i fatti relativi a questo problema? Prima del conflitto, la nostra stampa e la nostra attività politico - educativa erano caratterizzate da un tono di van­teria: se un nemico violerà i confini dell'amata terra dei Soviet, allora ad ogni colpo dell'avversario noi risponderemo con tre colpi, combatteremo il nemico sul suo territorio nazionale e vinceremo senza neanche subire gravi perdite. Sennonché, queste affermazioni di principio non erano basate, sotto ogni rispetto, su fatti concreti, i quali soltanto avrebbero potuto effet­tivamente garantire l'inviolabilità delle nostre frontiere.

 

Durante e dopo la guerra, Stalin sostenne la tesi che la tragedia vis­suta dalla nostra patria, fu il risultato dell'attacco " inatteso " dei tede­schi contro l'Unione Sovietica. Senonchè, compagni, ciò è assolutamente falso. Appena conquistato il potere in Germania, Hitler si era imposto il compito di liquidare il comunismo. I fascisti lo dichiaravano apertamente, e non facevano mistero dei loro disegni. Per il conseguimento di questo loro fine aggressivo, diedero vita ad ogni sorta di patti e di blocchi, come il famoso asse Berlino - Roma - Tokio. Molti fatti del periodo pre-bellico stavano a dimostrare chiaramente che Hitler si preparava ad iniziare una guerra contro lo Stato sovietico e che aveva ammassato grandi concentra­menti di truppe e di unità corazzate presso i confini dell'URSS.

 

Documenti che sono stati testé pubblicati rivelano che il 3 aprile 1941 Churchill, tramite l'Ambasciatore britannico a Mosca, Cripps, av­vertì personalmente Stalin del fatto che i tedeschi avevano ripreso a schie­rare in ordine di combattimento le loro unità, nell'intento di attaccare l'Unione Sovietica. E' di per sé evidente che Churchill non agiva così soltanto per spirito di amicizia verso la nazione sovietica. Egli perseguiva i suoi fini imperialistici: coinvolgere la Germania e l'URSS in una guerra sanguinosa, e rafforzare in tal modo la posizione dell'impero britannico, a nostre spese, come in modo subdolo, anche gli attuali dirigenti britan­nici cercano di fare. Proprio lo stesso Churchill ebbe ad affermare nei suoi scritti che egli intendeva                " avvertire Stalin e richiamare la sua at­tenzione sul pericolo che lo minacciava ". Churchill ribadì questo avver­timento a più riprese, nei suoi messaggi del 18 aprile e dei giorni seguenti. Tuttavia, Stalin non tenne alcun conto di questi avvertimenti. Non solo, ma ordinò che non si accordasse alcun credito a informazioni di questo genere, allo scopo di non provocare l'inizio di operazioni militari.

 

Va precisato che tali informazioni riguardanti la minaccia di una invasione armata del territorio sovietico da parte tedesca venivano anche dalle nostre fonti diplomatiche e militari; sennonché, dato che il capo su­premo era prevenuto contro tali informazioni, le notizie venivano trasmesse con timore e valutate con riserva.

 

Così, per esempio, una comunicazione inviata il 6 maggio 1941 dall'Addetto militare sovietico a Berlino, cap. Vorontsov, diceva: " Il cittadino sovietico Bozer... ha informato il vice addetto navale che, secondo una dichiarazione fatta da un ufficiale tedesco appartenente al quartier generale di Hitler, la Germania si prepara ad invadere l'URSS il 14 mag­gio attraverso la Finlandia, i Paesi Baltici e la Lettonia. Contemporanea­mente, Mosca e Leningrado saranno sottoposte a bombardamenti massicci, e truppe paracadutiste saranno lanciate nella città di confine... ".

 

Nella sua relazione del 22 maggio 1941, poi, il vice addetto militare a Berlino, Khlopov, comunicava che " ... L'attacco dell'esercito tedesco è presumibilmente fissato per il 15 giugno, ma non è da escludere che possa avere inizio ai primi di giugno... ”.

 

Un cablogramma della nostra Ambasciata di Londra in data 18 giu­gno 1941 diceva: "Cripps è ormai profondamente convinto dell'inevita­bilità di un conflitto armato fra la Germania e l'URSS che avrà inizio non più tardi della metà di giugno. Secondo Cripps, i tedeschi hanno attual­mente concentrato lungo i confini sovietici 147 divisioni (comprese le unità aeree e quelle addette ai servizi logistici)... ".

 

Nonostante questi avvertimenti di particolare gravità, non furono compiuti i passi necessari a preparare adeguatamente il paese alla difesa e ad impedire che venisse colto alla sprovvista.

 

Avevamo il tempo e la capacità di fare questi preparativi? Si, avrem­mo avuto tempo e capacità. Lo sviluppo della nostra industria era già tale che avrebbe potuto fornire all'esercito sovietico tutto ciò di cui aveva bi­sogno. E ciò è provato dal fatto che, sebbene durante la guerra avessimo perduto quasi la metà delle nostre industrie e alcune regioni particolar­mente importanti per la produzione alimentare e industriale (in conse­guenza dell'occupazione nemica dell'Ucraina, del Caucaso settentrionale e di altre zone occidentali del paese), la nazione sovietica poté tuttavia organizzare la produzione degli equipaggiamenti militari nelle regioni orien­tali del paese, installandovi le attrezzature trasportate dalle zone indu­striali dell'ovest, e poté altresì fornire alle nostre forze armate tutto quelle che era loro necessario per distruggere il nemico.

 

Se la nostra industria fosse stata mobilitata adeguatamente e tem­pestivamente per assicurare all'esercito i materiali necessari, le nostre per­dite del periodo bellico sarebbero state decisamente inferiori. Questa mobi­litazione, peraltro, non ebbe un inizio tempestivo. E già nei primi giorni di guerra risultò evidente che l'armamento del nostro esercito era scadente e che non disponevamo di artiglierie, carri armati e aeroplani sufficienti per respingere il nemico.

 

La scienza e la tecnologia sovietica avevano prodotto, prima della guerra, eccellenti tipi di carri armati e di pezzi di artiglieria. Ma la loro produzione in massa non era stata organizzata, e in definitiva noi incomin­ciammo a modernizzare il nostro equipaggiamento militare soltanto in tempo di guerra. Di conseguenza, al momento dell'invasione nemica del paese dei Soviet, non disponevamo di quantitativi sufficienti né dei vecchi armamenti, né dei nuovi macchinari che si era progettato di impiegare in detta produzione. La situazione per quanto riguardava l'artiglieria antiae­rea era particolarmente grave; non avevamo organizzato la produzione di munizioni anticarro. Molte regioni dotate di fortificazioni si erano rivelate indifendibili non appena attaccate, perché le vecchie armi erano state ri­tirate, e le nuove non erano ancora a disposizione dei difensori.

 

Ciò riguardava, purtroppo, non soltanto i carri armati, le artiglierie e gli aeroplani. Allo scoppio della guerra non avevamo neppure un nu­mero sufficiente di fucili per armare il personale mobilitato. Ricordo che in quei giorni telefonai da Kiev al compagno Malenkov e gli dissi: " La gente si presenta volontaria per il nuovo esercito, e chiede armi. Dovete mandarci armi ". Ma Malenkov mi rispose :" Non possiamo mandarvi armi. Stiamo mandando tutti i nostri fucili a Leningrado e voi dovrete armarvi come potete ".

 

(Reazioni in aula).

 

Questa dunque era la situazione degli armamenti.

 

A questo riguardo, non possiamo dimenticare, per esempio, il fatto che ora vi dirò. Poco tempo prima dell'invasione dell'Unione Sovietica da parte dell'esercito hitleriano, Korponos. che era capo del distretto mi­litare speciale di Kiev (egli morì in seguito al fronte), scrisse a Stalin che gli eserciti tedeschi erano sul fiume Bug. che si preparavano per un attacco e che in futuro assai vicino avrebbero probabilmente iniziato l'offensiva. A questo proposito, Korponos proponeva l'organizzazione di una forte difesa, e suggeriva che 300.000 persone venissero evacuate dalle zone di confine e che ivi fossero apprestati parecchi strumenti di resistenza: dighe anti­carro, trincee per i soldati, ecc.

 

Mosca rispose a questo suggerimento con l'affermazione che ciò avrebbe costituito una provocazione, che nessun preparativo a carattere difensivo doveva essere intrapreso alle frontiere, e che ai tedeschi non do­veva essere offerto alcun pretesto per intraprendere un'azione militare con­tro di noi. Pertanto, le nostre frontiere non erano sufficientemente munite, per respingere il nemico.

 

Quando gli eserciti fascisti invasero effettivamente il territorio sovietico, e le operazioni militari ebbero inizio, Mosca impartì l'ordine di non rispondere al fuoco dei tedeschi. Perché? Perché Stalin, nonostante l'evidenza dei fatti, riteneva che la guerra non era ancora cominciata, che si trattava soltanto di un atto di provocazione da parte di alcuni reparti indisciplinati dell'esercito tedesco e che una nostra reazione avrebbe po­tuto servire come pretesto ai tedeschi per iniziare la guerra.

 

Il fatto che ora vi dirò è anch'esso noto. All'epoca dell'invasione del territorio dell'Unione Sovietica da parte dell'esercito hitleriano, un « com­pagno » tedesco attraversò la nostra frontiera e disse che l'armata nazista aveva ricevuto l'ordine di iniziare l'offensiva contro L'URSS nella notte del 22 giugno alle ore 3. Stalin fu informato di ciò immediatamente, ma anche questo avvertimento restò ignorato. Come vedete, tutto restava igno­rato; gli avvertimenti di taluni capi militari, le dichiarazioni di disertori dell'esercito nemico, e perfino l'apertura delle ostilità da parte del ne­mico. Era forse una prova di responsabilità questa che veniva fornita dal

capo del partito e dello Stato in un momento di così grande importanza storica?

 

Quali furono i risultati di questo atteggiamento di indifferenza, di questo disprezzo per fatti evidenti? Ne risultò che fin dalle prime ore e dai primi giorni il nemico aveva distrutto nelle regioni di frontiera gran parte della nostra aeronautica, dell'artiglieria e di altre attrezzature mi­litari, annientato gran parte dei nostri quadri militari e disorganizzato i nostri comandi.       Non potemmo quindi impedire al nemico di avanzare in profondità nel paese .

 

Conseguenze molto penose, specialmente per quanto riguarda l’inizio della guerra, furono il risultato dell'eliminazione di molti comandanti militari e lavoratori politici compiuta da Stalin nel periodo 1937-1941, a causa dei sospetti da lui nutriti e attraverso calunniose accuse. Durante questi anni vennero esercitate repressioni nei confronti di alcuni settori dei quadri militari, partendo letteralmente dal livello dei comandanti di compagnia e battaglione per giungere ai comandi più elevati; durante questo periodo il quadro dei comandanti che avevano acquistato tanta esperienza militare in Spagna e nell'Estremo Oriente fu quasi completa­mente distrutto.

 

La direttiva delle repressioni su vasta scala negli ambienti militari minò anche la disciplina militare in quanto per molti anni si insegnò ai sottufficiali di ogni grado e anche ai soldati, nelle cellule del Partito e dei Konsomol, a " smascherare " i superiori se nemici nascosti.

 

(Movimenti nell'aula).

 

E' naturale che ciò esercitasse, nel primo periodo della guerra, un'influenza negativa sull'efficienza della disciplina militare. Prima della guerra, come ben sapete, noi possedevamo degli eccellenti quadri militari che erano, senza possibilità di dubbio, fedeli al partito e alla patria. Ba­sterà dire che quelli che riuscirono a sopravvivere, nonostante le tremende torture loro inflitte nelle prigioni, si sono dimostrati fin dai primi giorni della guerra veri patrioti ed hanno combattuto eroicamente per la gloria della patria; penso a camerati come Rokossovsky, che, come ben sapete, era stato imprigionato, come Gorbatov, Martskov, oggi delegato al nostro congresso, Podlas, comandante di prim'ordine che perì al fronte, e molti altri. Molti di essi però perirono in campi di concentramento e in prigione, e l'esercito non li vide nelle sue file.

 

Tutto ciò provocò la situazione esistente al principio della guerra, così grave di minacce per la patria.

 

Sarebbe un errore dimenticare che dopo i primi gravi disastri e dopo le disfatte al fronte Stalin pensò che fosse giunta la fine. In uno dei discorsi tenuti in quei giorni egli disse: " Abbiamo perduto per sempre tutto quello che Lenin aveva creato ". Successivamente, per un lungo pe­riodo, Stalin non diresse più operazioni militari e cessò da qualsiasi atti­vità. Egli riprese una direzione attiva solo quando alcuni membri del Po­litburo si recarono da lui per dirgli che era necessario prendere alcune mi­sure immediate per migliorare la situazione sul fronte.

 

Il minaccioso pericolo che sovrastò la patria nel primo periodo della guerra fu quindi dovuto in gran parte agli errati metodi direttivi esercitati da Stalin nei confronti del paese e del partito.

 

Non parliamo, comunque, soltanto di quel momento in cui ebbe ini­zio la guerra e che provocò una grave disgregazione nell'esercito e gravi perdite al paese. Anche dopo che la guerra era già incominciata, il nervosismo e l'isterismo dimostrato da Stalin nell'interferire nelle operazioni militari causò gravi danni al nostro esercito.

 

Stalin era ben lungi dal comprendere la vera situazione che si era creata sul fronte e ciò era naturale perché, durante l'intera guerra patriot­tica, egli non visitò mai un settore del fronte o una città liberata, se si ec­cettua una breve passeggiata in macchina sull'autostrada Mozhaisk, in un periodo in cui la situazione sul fronte si era stabilizzata. A questo episodio accidentale furono dedicate molte opere letterarie piene di fantastici rac­conti di ogni genere e un numero infinito di quadri. Contemporaneamente, Stalin interferiva nelle operazioni militari e diramava ordini che non te­nevano affatto conto della vera situazione su un determinato settore del fronte e che non solo non potevano migliorarla ma provocavano enormi perdite umane .

 

Mi permetterò, a tale proposito, di ricordare un fatto caratteristico che dimostra come Stalin dirigesse le operazioni sul fronte. Partecipa al nostro Congresso il Maresciallo Bagramyan che, nella sua qualità di ex capo delle operazioni al Quartiere Generale del fronte sud-occidentale, po­trà confermare quanto sto per dirvi.

 

Essendosi nel 1942 creata una situazione eccezionalmente grave per il nostro esercito nella regione di Kharkov, avevamo opportunamente de­ciso di rinunciare ad un'operazione che si proponeva come obiettivo l'ac­cerchiamento di Kharkov, in quanto la situazione esistente in quel momento minacciava per il nostro esercito conseguenze fatali qualora l'opera­zione fosse stata proseguita.

 

Comunicammo ciò a Stalin, precisando che la situazione richiedeva dei mutamenti nei piani operativi onde impedire al nemico di eliminare un importante settore del nostro esercito. Contrariamente al buonsenso, Stalin respinse il nostro suggerimento e ordinò che fosse eseguita l'opera­zione per l'accerchiamento di Kharkov, nonostante molti gruppi dell'eser­cito fossero in quel momento essi stessi minacciati di accerchiamento e quindi di eliminazione.

 

Telefonai a Vasilevsky e gli chiesi: " Alexander Mikhailovish, pren­di una carta (Vasilevsky è oggi presente) e spiega al compagno Stalin la situazione che si è venuta creando ". Bisogna ricordare che Stalin pre­parava le operazioni su un mappamondo.

 

(Animazione nell'aula).

 

Sì, compagni, egli si serviva di un mappamondo e su di esso segnava la linea del fronte. Dissi allora al compagno Vasilevsky: " Spiegagli la situazione sulla carta; data l'attuale situazione non possiamo attuare l'ope­razione progettata. La decisione già presa deve essere modificata per il bene della patria ".

 

Vasilevsky rispose che Stalin aveva già studiato il problema e che non intendeva rivederlo per parlargli della cosa in quanto questi non voleva ascoltare argomenti in proposito.

 

Dopo aver parlato con Vasilevskv, telefonai a Stalin nella sua villa; Stalin però non rispose e venne al telefono Malenkov. Dissi al compagno Malenkov che chiamavo dal fronte e che volevo parlare personalmente con Stalin. Stalin fece dire da Malenkov che dovevo parlare con quest'ultimo. Ribattei per la seconda volta che desideravo informare personalmente Stalin della grave situazione che si era andata creando sul fronte; Stalin però non ritenne opportuno sollevare il microfono e confermò che dovevo parlare con lui attraverso Malenkov, per quanto distasse dall'apparecchio solo pochi passi.

 

Dopo avere " ascoltato " in tal modo il nostro appello, Stalin disse: “ Tutto deve restare immutato! ".

 

Quale fu il risultato di questa decisione? Quanto di peggio si po­tesse prevedere. I tedeschi circondarono i nostri raggruppamenti militari e perdemmo quindi centinaia di migliaia di soldati. Questo fu il " genio " militare di Stalin e questo il prezzo che tale " genio " ci costò.

 

(Movimenti nell'aula).

 

Un giorno, dopo questo, durante una riunione di Stalin con i membri del Politburo, Anastas Ivanovich Mikoyan ebbe a dire che Krusciov aveva ragione quando telefonò a proposito della situazione di Kharkov e che era un peccato che i suoi suggerimenti non fossero stati accettati.

 

Avreste dovuto vedere come si infurio Stalin! Come si poteva ammettere che Lui, Stalin, avesse avuto torto! Egli era dopotutto un " ge­nio" ed un " genio " non può che aver ragione! Tutti possono sbagliare, ma Stalin riteneva di non aver mai sbagliato e di aver avuto sempre ra­gione. Egli non ammise mai con alcuno di avere errato, né poco né molto, nonostante avesse commesso non pochi errori sia nel campo teorico che in quello pratico. Dopo il Congresso dovremo probabilmente riesaminare numerose operazioni militari del tempo di guerra e presentarle nella giu­sta luce.

 

La tattica nella quale Stalin insisteva, ignorando i rudimenti della strategia bellica, ci costò molto spargimento di sangue, fino a quando non riuscimmo ad arrestare il nemico e a passare all'offensiva.

 

I militari sanno che già verso la fine del 1941, invece di svolgere vaste manovre atte ad accerchiare il nemico onde colpirlo alle spalle, Stalin insisteva sugli attacchi frontali e la conquista successiva di villaggi. Ciò ci costò enormi perdite fino a quando i nostri generali, sulle cui spalle ricadeva tutto il peso dello svolgimento della guerra, non riuscirono a rovesciare la situazione e a passare a operazioni più flessibili, le quali pro­vocarono immediatamente sul fronte importanti mutamenti in nostre favore.

 

Ancor più deprecabile fu il fatto che, dopo la grande vittoria sul nemico conquistata a così caro prezzo, Stalin cominciò a diffamare molti dei comandanti che tanto avevano contribuito alla vittoria sul nemico, poiché egli non ammetteva la possibilità che servizi resi sul fronte potes­sero essere attribuiti se non a lui.

 

Stalin era profondamente interessato alla valutazione del compagno Zhukov quale capo militare e mi chiedeva spesso cosa pensassi di lui. Io gli dissi allora: " Conosco Zhukov da lungo tempo e lo ritengo un bravo generale e un buon capo militare".

 

Dopo la guerra Stalin cominciò a raccontare un mondo di sciocchezze su Zhukov dicendo tra l'altro: " Voi lodate Zhukov, ma egli non lo me­rita. Si dice che prima di ogni azione sul fronte Zhukov avesse l'abitudine di prendere una manciata di terra, annusarla e dichiarare: " Possiamo dare inizio all'attacco ", o viceversa, " il piano operativo stabilito non può essere attuato ". Io dichiarai allora: " Compagno Stalin non so chi abbia inventato questa storia ma essa non risponde a verità ".

 

È possibile che Stalin stesso abbia inventato questa storia allo sco­po di minimizzare la parte svolta dal maresciallo Zhukov ed i suoi talenti militari.

 

In questo campo Stalin invece cercava molto energicamente di ren­dersi popolare come un grande capo e in varie occasioni cercò di incul­care nel popolo l'idea che tutte le vittorie conquistate dall'Unione Sovie­tica durante la grande guerra patriottica erano dovute al coraggio, all'ini­ziativa audace e al genio di Stalin e non di altri. Al pari di Kryushkov (il famoso cosacco che compì contemporaneamente a sette persone lo stesso abito).

 

(Animazione nell'aula).

 

Sempre a questo proposito, prendiamo ad esempio, i nostri films storici e militari ed alcune opere letterarie; essi ci provocano la nausea in quanto il loro vero obiettivo è la diffusione di un solo tema: " l'elogio di Stalin come genio militare ". Pensiamo al film " La caduta di Berli­no ".

In esso il protagonista è soltanto Stalin: egli emana ordini in una sala in cui le molte sedie sono vuote ed un uomo soltanto si avvicina a lui per riferirgli qualcosa: si tratta di Poskrebyshev, la sua fedele guardia del corpo.

 

(Risate nell'aula).

 

Dove è il comando militare? Dove il Politburo? Dov'è il governo? Cosa mai stanno facendo? Cosa li tiene occupati? Nel film essi non esistono e Stalin agisce al posto di tutti: egli non riconosce alcuno, non si consulta con alcuno. Ogni cosa viene mostrata alla nazione in questa falsa luce. Perché? Per circondare Stalin di gloria, contrariamente alla realtà o alla verità storica.

 

Sorge una domanda: dove sono i militari sulle cui spalle ricadeva il peso della guerra? Essi non sono presenti nel film; accanto a Stalin non vi è posto per loro.

 

Non fu Stalin, ma furono il partito nel suo complesso, il governo sovietico, il nostro eroico esercito, i suoi intelligenti capi e valorosi soldati, l'intera nazione sovietica ad assicurare la vittoria nella grande guerra pa­triottica .

 

(Applausi scroscianti e prolungati nell'aula).

 

I membri del Comitato Centrale, i ministri, i nostri esperti economici, gli esponenti della cultura sovietica, i direttori delle organizzazioni sovie­tiche e delle sedi locali del partito e del governo, gli ingegneri ed i tec­nici, ognuno al suo posto di lavoro, contribuirono generosamente con la loro energia e con la loro competenza ad assicurare la vittoria sul nemico.

 

Un eccezionale eroismo fu dimostrato dal nucleo vitale del nostro popolo. La gloria avvolge tutta la nostra classe lavoratrice: dai contadini dei kolkos all'intelligentzia sovietica che, sotto la direzione degli organi del partito, seppe superare indicibili ostacoli sopportando i disagi della guer­ra, dedicando tutte le sue energie alla causa della difesa della patria.

 

Imprese coraggiose ed importanti furono compiute dalle donne sovietiche che sopportarono sulle loro spalle il pesante onere della produ­zione negli stabilimenti, nei kolkos e nei vari settori economici e culturali; molte donne parteciparono direttamente alla guerra patriottica sui vari fronti. La nostra valorosa gioventù diede un contributo incommensurabile, sia sul fronte che nelle retrovie, difendendo la patria sovietica e stermi­nando il nemico.

 

Degni di gloria immortale sono i servizi resi dai soldati sovietici e dai loro comandanti, dai lavoratori politici di ogni rango; dopo l'annien­tamento di notevole parte dell'esercito, nei primi mesi di guerra, non per­sero la testa e seppero riorganizzarsi mentre i combattimenti proseguivano. Essi crearono a rafforzarono, mentre la guerra continuava, un esercito forte ed eroico che non solo seppe resistere alla pressione di un nemico forte ed astuto ma anche annientarlo.

 

Le magnifiche imprese di centinaia di milioni di persone, in oriente ed occidente, durante la lotta contro la minaccia di un dominio fascista che pendeva su di noi, rimarranno per secoli e millenni nella memoria dell'umanità grata.

 

(Applausi scroscianti).

 

La parte principale e il merito maggiore della vittoriosa conclusione della guerra spettano al partito comunista, alle forze armate dell'Unione Sovietica e a decine di milioni di cittadini sovietici educati dal partito.

 

(Applausi scroscianti e prolungati).

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