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GUERRA DI GRECIA - 4

 

DOCUMENTI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

 

 

DISCORSO DI MUSSOLINI ALLE GERARCHIE DEL FASCISMO ROMANO

Discorso pronunciato il 23 febbraio 1941 alle 17, nel Teatro Adriano in Roma

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Camicie Nere dell'Urbe! Sono venuto tra voi per guardarvi fer­mamente negli occhi, sentire la vostra temperatura, rompere il si­lenzio che pure mi è caro, specie in tempo di guerra. Vi siete mai domandati, nell'ora di meditazione che ognuno di noi deve trovare nella sua giornata, da quanto tempo noi siamo in guerra? Non da soli otto mesi come potrebbero credere i superficiali annotatori della cronaca: non dal settembre del 1939, quando, attraverso il gio­co delle garanzie alla Polonia, la Gran Bretagna scatenò la confla­grazione, con criminale premeditata volontà.

 

Noi siamo in guerra da sei anni; e precisamente da quel feb­braio del 1935 quando uscì il primo comunicato annunciante la mobilitazione della Peloritana.

 

Era appena finita la guerra di Etiopia quando giunse dall'altra riva del Mediterraneo l'appello di Franco che aveva iniziato la sua rivoluzione nazionale. Potevamo noi — Fascisti — lasciare senza risposta questo grido e restare indifferenti dinnanzi al perpetuarsi delle sanguinose ingominie dei fronti cosiddetti popolari? Potevamo, senza rinnegare noi stessi, non accorrere a dare il nostro aiuto a un movimento di riscossa che aveva trovato in Antonio De Rivera, il creatore, l'asceta e il martire...? No. E così la prima squadriglia dei nostri velivoli partì il 27 luglio del 1936, e nella stessa giornata avemmo i primi Caduti.

 

In realtà noi siamo in guerra dal 1922: cioè dal giorno in cui alzammo contro il mondo massonico-democratico-capitalistico la bandiera della nostra Rivoluzione che allora era difesa da un pugno di uomini. Da quel giorno il mondo del liberalismo, della demo­crazia, della plutocrazia ci dichiarò e ci fece la guerra con cam­pagna di stampa, diffusione di calunnie, sabotaggi finanziari, atten­tati e congiure, anche quando eravamo intenti a quel lavoro di ri­costruzione interna che rimarrà nei secoli quale indistruttibile docu­mentazione della nostra volontà creatrice.

 

Lo scoppio delle ostilità nel settembre del 1939, ci trovò all'in­domani di due guerre che avevano imposto sacrifici di vite umane relativamente modesti, ma ci avevano costretto ad uno sforzo lo­gistico e finanziario semplicemente enorme.

 

In altra sede — per non tediarvi con troppe cifre — tutto ciò sarà documentato per quanto riguarda il nostro intervento nella Rivoluzione falangista.

 

Ecco perché avremmo preferito, e fu pubblicamente dichiarato nel dicembre del '39, che se a una resa dei conti si doveva venire tra i due mondi irriducibilmente antagonisti, questa fosse ritardata di quanto era necessario per reintegrare tutto ciò che era stato da noi consumato o ceduto. Ma agli sviluppi, talora accelerati, della storia, non si può dire, come al faustiano attimo fuggente: fermati! La storia vi prende alla gola e vi costringe alla deci­sione. Non è la prima volta che ciò è accaduto nella storia d'Ita­lia! Se fossimo stati pronti al cento per cento, saremmo scesi in campo nel settembre del 1939, non nel giugno del 1940. Durante questo breve lasso di tempo abbiamo affrontato e superato diffi­coltà eccezionali.

 

Le fulminee schiaccianti vittorie della Germania ad Occidente eliminavano l'eventualità di una lunga guerra continentale. Da al­lora la guerra terrestre nel continente è finita, non può riaccen­dersi ed è finita colla vittoria della Germania, facilitata dalla non-belligeranza dell'Italia che immobilizzò ingenti forze navali, aeree, terrestri del blocco franco-inglese. Taluni che oggi affettano di pen­sare essere stato l'intervento dell'Italia prematuro, sono probabil­mente gli stessi che allora lo ritenevano tardivo. In realtà, il momento fu tempestivo poiché se è vero che un nemico era in via di liquidazione, restava l'altro, il maggiore, il più potente, il numero « uno » contro il quale abbiamo impegnato e condurremo la lotta « sino all'ultimo sangue ».

 

Liquidati definitivamente gli eserciti della Gran Bretagna sul continente europeo, la guerra non poteva assumere che un carat­tere navale, aereo e per noi anche coloniale. È nell'ordine geo­grafico e storico delle cose che all'Italia siano riservati i teatri di guerra più lontani e difficili: guerra d'oltre mare e guerra nel de­serto. I nostri fronti si allungano per migliaia di chilometri e sono distanti migliaia di chilometri. Taluni acidi e ignoranti commentatori stranieri dovrebbero tenerne conto. Comunque, durante i primi quat­tro mesi di guerra fummo in grado di infliggere gravi colpi navali, aerei, terrestri, alle forze dell'Impero britannico.

 

Sino dal 1935 l'attenzione dei nostri Stati Maggiori fu portata sulla Libia. Tutta l'opera dei Governatori che si. avvicendarono in Libia fu diretta a potenziare economicamente, demograficamente, mi­litarmente quella vasta regione, trasformando zone predesertiche o desertiche in terre feconde. Miracoli! Questa è la parola che può rias­sumere quanto fu fatto laggiù. Con l'aggravarsi della tensione euro­pea e dopo gli eventi del 1935-1936 la Libia, riconquistata dal Fa­scismo, venne considerata uno dei punti più delicati del nostro ge­nerale dispositivo strategico, in quanto poteva essere attaccata su due fronti. Lo sforzo compiuto per potenziare militarmente la Libia risulta da queste cifre:

 

Solo nel periodo che va dal 1° ottobre 1937 al 31 gennaio 1941 sono stati mandati in Libia 14.000 ufficiali e 396.358 soldati e co­stituite due Armate: la 5.a e la 10.a. Questa contava dieci Divisioni fra nazionali e libiche. Nello stesso periodo di tempo sono stati mandati 1924 cannoni di tutti i calibri e molti di essi di costru­zione e modello recente, 15.386 mitragliatrici, 11 milioni di colpi di artiglieria, un miliardo 334 milioni 287 mila 265 colpi per le armi portatili; 127 mila 877 tonnellate di materiali del genio; 24mila tonnellate di vestiario ed equipaggiamento; 779 carri armati con una certa aliquota di pesanti; 9 mila 584 automezzi vari; 4 mila 809 motomezzi. Queste cifre dimostrano che alla « prepara­zione » della difesa della Libia era stato dedicato uno sforzo che si può chiamare imponente.

 

Altrettanto può dirsi per quanto riguarda l'Africa Orientale che abbiamo preparato a resistere malgrado le distanze e l'isola­mento totale, che esalta la volontà e il coraggio dei nostri soldati. I soldati che si battono nell'Impero — senza speranza di aiuti - sono i più lontani, ma perciò i più vicini ai nostri cuori. Comandati da un soldato di razza quale il Vice Re e da un gruppo di generali di alto valore, i nostri soldati nazionali e indigeni daranno molto filo da torcere alle masse nemiche.

 

Fu tra l'ottobre e il novembre che la Gran Bretagna radunò e schierò contro di noi il complesso delle sue forze imperiali re­clutate in tre continenti e armate dal quarto, concentrò in Egitto 15 Divisioni e una massa considerevole di mezzi corazzati e li sca­gliò contro il nostro schieramento in Marmarica, che aveva in prima linea le Divisioni libiche — valorose e fedeli — ma non molto idonee a sostenere l'urto delle macchine nemiche. Ebbe così, il 9 di­cembre, inizio la battaglia in anticipo su quella da noi preparata di cinque o dieci giorni, e che dopo due mesi circa ha condotto il nemico a Bengasi. Ora noi non siamo come gli inglesi. Ci van­tiamo di non esserlo. Non abbiamo fatto della menzogna un'arte di governo e nemmeno un narcotico per il popolo, come i governanti di Londra.

 

Noi diciamo pane al pane, vino al vino e quando il nemico vince una battaglia è inutile e ridicolo cercare, come fanno appunto nella loro incommensurabile ipocrisia, gli inglesi, di negarla o minimizzarla. Un'intera Armata, la 10.a, è stata travolta quasi al completo con uo­mini e relativi cannoni. La V Squadra Aerea si è quasi letteral­mente sacrificata. Dove possibile, si è resistito con accanimento e talvolta con furore. Poiché noi facciamo questo riconoscimento, è inutile che il nemico gonfi le cifre del suo bottino.

 

Gli è perché ci sentiamo sicuri circa il grado di maturità na­zionale raggiunto dal popolo italiano e circa lo sviluppo futuro degli eventi, che noi continuiamo a praticare il culto della verità e a ripudiare ogni falsificazione.

 

Gli eventi vissuti in questi mesi esasperano la nostra volontà e devono accentuare contro il nemico quell'odio freddo, cosciente, implacabile, odio radicato in ogni cuore, diffuso in ogni casa, che è un elemento indispensabile per la vittoria.

 

L'ultimo appoggio della Gran Bretagna sul continente era ed è la Grecia, l'unica nazione che non ha voluto rinunciare alla « ga­ranzia » britannica. Era necessario affrontarla e su questo punto l'ac­cordo di tutti i fattori militari responsabili fu assoluto. Aggiungo che anche il piano operativo, preparato dal Comando Superiore delle Forze Armate di Albania, fu unanimemente approvato, senza riserve di sorta e non fu chiesto, nell'intervallo tra la decisione e l'inizio dell'azione, che un ritardo di due giorni. Sia detto una volta per tutte che i soldati italiani in Albania hanno superbamente combattuto; sia detto, in particolare, che gli alpini hanno scritto pagine di sangue e di gloria che onorerebbero qualsiasi esercito. Quando si potrà raccontare nelle sue vicende la marcia della Julia sino quasi a Metzkovo, tutto apparirà leggendario.

 

I « neutrali » di ogni continente, che fanno da spettatori al sanguinoso urto delle masse armate, devono avere il pudore di ta­cere e di non avventare giudizi temerari e diffamatori. I prigionieri italiani caduti nelle mani dei greci sono poche migliaia ed in gran parte feriti; i successi ellenici non esorbitano dal campo tattico e solo la megalomane rettorica levantina li ha iperbolizzati; le per­dite greche sono altissime, mentre fra poco sarà primavera e come vuole la stagione, la nostra stagione, verrà il bello. Vi dico che verrà il bello e verrà in ognuno dei quattro punti cardinali.

Non meno forti sono le perdite che abbiamo inflitte agli inglesi. Dire, com'essi fanno, che le loro perdite nella battaglia dei 60 giorni in Cirenaica non superano i 2000 tra morti e feriti, è voler aggiungere una nota di grottesco al dramma: è voler superare se stessi in materia di sfrontata menzogna, il che parrebbe difficile per gli inglesi: essi devono aggiungere per lo meno uno zero alla cifra dei loro comunicati.

 

Dall'11 novembre, da quando gli aero-siluranti inglesi partiti non da basi greche, ma da una nave porta-aerei, fecero il colpo che noi, del resto, abbiamo accusato, a Taranto, le vicende della guerra ci sono state avverse. Bisogna riconoscerlo. Abbiamo avuto delle giornate grigie. È la vicenda di tutte le guerre. In tutti i tempi. Pensate alle Puniche. Canne sembrava schiantare Roma. Ma a Zama Roma distrugge Cartagine e la cancella dalla geografia e dalla storia, per sempre. La nostra capacità di recupero nel campo morale e materiale è semplicemente formidabile e costituisce una delle pe­culiari caratteristiche della nostra razza.

 

Specie in questa guerra, che ha per teatro il mondo e mette direttamente o indirettamente alle prese i continenti, sugli oceani, sulla terra, nei cieli, è la battaglia finale che conta. Che si dovrà combattere duramente è certo, che si dovrà combattere a lungo, è anche molto probabile, ma il risultato finale è la vittoria dell'Asse. La Gran Bretagna non può vincere la guerra. Ve lo dimostrerò con un rigore strettamente logico. Qui l'atto di fede è suffragato dal fatto. Questa dimostrazione parte da una premessa dogmatica e cioè che l'Italia, qualunque cosa accada, marcerà con la Germania, fianco a fianco, sino alla fine. Coloro che fossero tentati di supporre qualche cosa di diverso, dimenticano che l'alleanza fra la Germania e l'Italia non è soltanto fra due Stati o due eserciti o due diplo­mazie, ma fra due Popoli e due Rivoluzioni; destinate a dare l'im­pronta al secolo.

 

La cooperazione offerta dal Führer, che reparti aerei e coraz­zati germanici attuano nel Mediterraneo, non è che la riprova che tutti i fronti sono comuni e che lo sforzo è comune. I germanici sanno che l'Italia regge, oggi, sulle sue spalle il peso di un mi­lione di soldati fra britannici e greci; di 1500-2000 velivoli; di al­trettanti carri armati; di migliaia di cannoni; di almeno 500 mila ton­nellate di naviglio militare. La cooperazione fra le due forze ar­mate si svolge sopra un piano di cameratesca, leale, spontanea soli­darietà. Sia detto per gli stranieri pronti sempre alla malvagia diffamazione, che il contegno dei soldati germanici in Sicilia e in Libia è sotto ogni riguardo perfetto, degno di un forte esercito e di un forte popolo educato a una severa disciplina.

 

 

Guerra di Grecia

 

 

Seguitemi ora, vi prego:

1) Il potenziale bellico della Germania non solo non è di­minuito dopo 17 mesi di guerra, ma è aumentato in proporzioni gigantesche.

Dal punto di vista delle perdite umane esse sono state con­tenute in cifre minime tenuto conto delle masse entrate in azione. Le perdite di mezzi, più che compensate dall'immenso bottino, sono state assolutamente insignificanti.

L'unità del comando politico-militare nelle salde mani del Füh­rer — di colui che fu un tempo il soldato semplice volontario Adolfo Hitler — imprime alle operazioni un ritmo entusiastico, irre­sistibile, « rivoluzionario » cioè nazional-socialista che muove tutti dai sommi generali agli ultimi soldati. La Gran Bretagna se ne ac­corgerà ancora una volta fra poco.

 

2) Gli armamenti germanici sono, per qualità e quantità, in­finitamente superiori a quelli dell'inizio della guerra. La Germania non ha ancora portato al limite l'impiego dei suoi effettivi umani. Come, del resto, l'Italia. Noi abbiamo ora alle armi oltre due mi­lioni di uomini, ma entro l'anno prossimo possiamo, se necessario, arrivare a quattro.

 

3) Mentre nella guerra mondiale la Germania era isolata in Europa e nel mondo, oggi l'Asse è arbitro del continente ed è alleato col Giappone. Il mondo scandinavo (Finlandia, Svezia, Norvegia, Danimarca) è direttamente o indirettamente nell'orbita tedesca. Il mondo danubiano e balcanico non può ignorare e non ignora l'Asse. Ungheria e Romania hanno aderito al Tripartito. La Francia occu­pata, il Belgio, l'Olanda, il Lussemburgo sono, come il mondo scan­dinavo e danubiano, nell'orbita della Germania. Nel Mediterraneo l'Italia è alleata, la Spagna amica. Resta la Russia, ma i suoi inte­ressi fondamentali le consigliano di seguire anche per il futuro una politica di buon vicinato con la Germania. L'Europa quindi, fatta eccezione del Portogallo, della Svizzera, e per qualche tempo an­cora della Grecia, è tutta al di fuori della Gran Bretagna e contro la Gran Bretagna.

 

4) Con questa situazione si è determinato un capovolgimento nettissimo di quanto accadde nel 1914-18. Allora il blocco era un'ar­ma terribile nelle mani della Gran Bretagna, oggi è un'arma spun­tata poiché da bloccante la Gran Bretagna è diventata bloccata dalle forze aeree e navali dell'Asse e sarà sempre più bloccata sino alla catastrofe.

 

5) Il morale dei popoli dell'Asse è infinitamente superiore al morale del popolo inglese. L'Asse lotta nella certezza della vittoria, la Gran Bretagna lotta perché, come ha detto Halifax, « non ha altra scelta ».

 

È supremamente ridicolo speculare su un eventuale cedimento morale del popolo italiano. Questo non accadrà mai. Parlare di paci separate, è da deficienti. Churchill non ha la minima idea delle forze spirituali del popolo italiano e di quello che può il Fascismo. Che Churchill ordini di bombardare gli impianti industriali di Ge­nova per interromperne le lavorazioni, si comprende; ma bombardare la città per fiaccarne il morale, è una puerile illusione. Significa non conoscere neppure vagamente la razza, il temperamento, il co­stume dei liguri in genere e dei genovesi in particolare: significa ignorare la virtù civica, il fierissimo patriottismo di un popolo che, nell'arco del suo mare, ha dato alla Patria Colombo, Garibaldi, Maz­zini.

 

6) La Gran Bretagna è sola. Questo isolamento la spinge ver­so gli Stati Uniti, dai quali invoca disperatamente e urgentemente soccorso. Il potenziale industriale degli Stati Uniti è certamente grandioso, ma perché l'aiuto giovi, i rifornimenti devono: a) giungere tranquillamente in Inghilterra; b) essere di tale mole non solo da compensare le distruzioni avvenute e quelle che avverranno degli impianti industriali della Gran Bretagna, ma da determinare una superiorità sulla Germania, il che è impossibile perché colla Ger­mania lavora ormai in uomini, macchine, materie prime, l'intero continente europeo.

 

7) Quando la Gran Bretagna cadrà, allora la guerra sarà finita, anche se per avventura continuasse ad agonizzare nei paesi dell'Im­pero britannico. A meno che — ed è probabile — tali paesi dove già qualche cosa fermenta, non realizzino, vinta la metropoli, la loro indipendenza. Il che porterebbe, non solo ad un cambiamento della carta politica dell'Europa, ma di quella del mondo.

 

8) L'Italia ha in questa gigantesca vicenda una parte di primo piano. Anche il nostro potenziale bellico migliora quotidianamente in qualità e quantità. Due delle tre grandi navi ferite a Taranto sono già in via di prossima completa guarigione. Tecnici ed operai hanno lavorato giorno e notte fornendo una convincente dimostra­zione non solo della loro capacità professionale, ma del loro patriot­tismo. A guerra finita, nel rivolgimento sociale mondiale che ne conseguirà con una più giusta distribuzione delle ricchezze della terra, dovrà essere tenuto e sarà tenuto conto dei sacrifici sostenuti e della disciplina mantenuta dalle masse lavoratrici italiane: la Ri­voluzione Fascista farà un altro passo decisivo in tema di accorcia­mento delle distanze sociali.

 

9) Che l'Italia Fascista abbia osato misurarsi con la Gran Bretagna è un titolo di orgoglio che varrà nei secoli. È stato un atto di consapevole audacia. I popoli diventano grandi osando, ri­schiando, soffrendo, non mettendosi ai margini della strada in una attesa parassitaria e vile. I protagonisti della storia possono ri­vendicare dei diritti, i semplici spettatori, mai.

 

10) Per vincere l'Asse, gli eserciti della Gran Bretagna do­vrebbero sbarcare nel continente, invadere Germania e Italia, sconfiggerne gli eserciti e questo nessun inglese per quanto squilibrato e delirante dall'uso e dall'abuso degli stupefacenti e degli alcoolici, può nemmeno sognarlo.

 

Lasciatemi dire, ora, che quanto accade negli Stati Uniti è una delle più colossali mistificazioni che la storia ricordi. Una illusione e una menzogna stanno alle basi dell'interventismo americano: la illusione che gli Stati Uniti siano ancora una democrazia, mentre sono di fatto una oligarchia politico-finanziaria dominata dall'ebraismo attraverso una forma personale di dittatura; la menzogna che le po­tenze dell'Asse vogliano attaccare, dopo la Gran Bretagna, l'America.

Né a Roma, né a Berlino si covano fantastici progetti del genere. Tali progetti non potrebbero partire che da una inclinazione ma­nicomiale. Totalitari, certo lo siamo e lo saremo; ma coi piedi sulla dura terra.

 

Gli americani che mi leggeranno stiano tranquilli e non credano, per quanto li riguarda, alla esistenza del « grosso cattivo lupo » che li vuol divorare. In ogni caso è più verosimile che gli Stati Uniti siano invasi prima che dai soldati dell'Asse, dagli abitanti non molto conosciuti, ma pare assai bellicosi, del pianeta Marte, che scende­ranno dagli spazi siderali su inimmaginabili « fortezze volanti ».

 

Camerati di Roma! Attraverso voi ho voluto parlare al popolo italiano, all'autentico vero grande popolo italiano, quello che com­batte leoninamente sui fronti di terra, di mare, di cielo, quello che di buon mattino è in piedi per andare a lavorare nei campi, nelle officine, negli uffici, quello che non si permette lussi, nemmeno innocenti. Non bisogna assolutamente confonderlo o contaminarlo con una esigua trascurabile minoranza di ben identificati poltroni, piagnoni e asociali che gemono sui razionamenti o rimpiangono le sospese « comodità » o con qualche rettile, rottame di loggia, che noi schiacceremo senza difficoltà quando e come vorremo.

 

Il popolo italiano, il popolo fascista merita e avrà la vittoria.

 

Le privazioni, le sofferenze, i sacrifici che dalla quasi unanimità degli italiani e delle italiane vengono affrontati con coraggio e con dignità che può dirsi veramente esemplare, avranno il loro compenso, il giorno in cui, stroncata sui campi di battaglia, dall'eroismo dei nostri soldati, ogni forza nemica, un triplice immenso grido attra­verserà fulmineo le montagne e gli oceani ed accenderà di nuove speranze e consolerà di nuove certezze l'anima delle moltitudini: vittoria, Italia, pace con giustizia fra i popoli.

 

 

Guerra di Grecia

 

 

Il contributo dell'Italia fascista alla guerra di Spagna

 

In un punto del discorso del DUCE si accenna allo sforzo com­piuto dall'Italia per aiutare la Spagna negli anni 1936, '37, '38. Ora che, questo capitolo della storia spagnola e italiana è con­cluso, vale la pena di fare conoscere le cifre.

 

Imponenti cifre anche se il materiale ceduto e lasciato in Spa­gna non era tutta modernissimo.

Aggiungiamo che queste cifre non sono dirette agli spagnoli, ma agli italiani e sono incontro- vertibili.

 

ESERCITO.

Servizio artiglieria:

a) artiglierie: Bocche da fuoco: 1930, di cui 1574 di piccolo calibro — per la massima parte pezzi da 65 (pezzi 343) e da 75 (pezzi 330); 442 di medio calibro — prevalentemente pezzi da 105 (pezzi 230); 14 di grosso calibro da 305 pezzi 5), da 269 (pezzi 9).

b) armi automatiche: 10.135 di cui 1426 mortai d'assalto; 2449 mitragliatrici Fiat 14 e 14/35; 1005 mtr. St. Etienne; 5255 fucili mitragliatori;

e) armi portatili: 240.747, di cui 219.305 fucili mod. '91;

d) munizioni: per artiglierie: 7.514.537 colpi completi, oltre i 91.500 proietti senza carica di lancio e 11.172 quintali di esplosivi di lancio ed incendivi; per armi portatili: 324.900.000 colpi, di cui: 319.000.000 di cartucce per fucili e mitragliatrici.

 

Servizio della motorizzazione.

Automezzi: 7668 di cui: 369 autovetture, 4264 autocarri; 149 carri veloci; 801 trattori e trattrici; 1189 motocicli; 896 auto­mezzi ausiliari, oltre 6105 fusti di benzina.

 

Servizio del genio.

Apparati R. T. 931; apparati telefonici e centralini 3871; Km. di cordoncino telefonico 25.281; oltre stazioni ottiche e mezzi vari di collegamento, autofficine E. T. e materiale da ponte e di rafforzamento.

 

Servizio commissariato.

Comprende la cessione di circa 500.000 serie complete di ve­stiario, oltre materiali d'uso generale e viveri.

 

Servizio ippico e veterinario.

Comprende la cessione di soli 110 muli.

Valore di quanto sopra 4 miliardi 446 milioni.

 

AVIAZIONE: Per quanto riguarda l'Arma Aerea furono forniti all'Aviazione legionaria e a quella di Franco: apparecchi 763; motori 1.414; bombe tonn. 16.720; cartucce 9.520.000; materiale vario 76.500.

Con tale materiale furono costituite le seguenti unità.: 4 stor­mi, 4 gruppi autonomi, una squadriglia autonoma, due se­zioni allarme, con un totale di 29 squadriglie. Le azioni di bombardamento furono 5.318; le ore di volo 135.265; le bombe lanciate superano i 12 milioni dì chilogrammi. Gli apparecchi da noi abbattuti furono 903.

 

MARINA: La Marina ha dato anch'essa il suo contributo, al­trettanto silenzioso quanto efficace. Il trasporto delle truppe e dei materiali avvenne grazie alla precisa e completa organizzazione delle basi e dei mezzi, in modo perfetto. Per tali trasporti furono adibiti 92 piroscafi che compirono ben 220 viaggi. Il numero delle nostre unità di superficie che hanno preso parte ad azioni di guerra e di scorta è stato di 91. Sono stati eseguiti 870 servizi di vigilanza e di scorta. Le azioni di guerra compiute dalle nostre unità sono state 101.

Com'è noto, allorquando il rifornimento di materiali e di uo­mini ha assunto nell'estate del 1937 un ritmo che si poté definire provocante, noi non abbiamo esitato a cedere al Governo di Franco numerosi nostri sottomarini, che hanno operato con risultati oltremodo concreti. In pochi giorni d'azione sono stati affondati 18 piroscafi per un tonnellaggio complessivo di 72.800 tonnellate circa.

Le unità navali sono state tutte restituite all'Italia, tranne 2 sommergibili, 4 cacciatorpediniere e 4 mas regolarmente ce­duti al Governo spagnolo.

Lo sforzo compiuto dalle Amministrazioni della Guerra, Ma­rina ed Aeronautica ascende ad un complesso di 7 miliardi e mezzo.

Nell'accordo commerciale concluso con la Spagna lo scorso anno, il debito spagnolo verso l'Italia è stato ridotto a 5 mi­liardi e mezzo che verranno pagati in 24 annualità crescenti.

 

 

Guerra di Grecia 

 

Lettera di Hitler a Mussolini

 

Obersalzberg, 28 febbraio 1941.

 

Duce,

 

Accogliete anzitutto i miei ringraziamenti per la vostra lettera, come pure per l'invio del verbale sul colloquio con Franco. Poiché io stesso attendo uno scritto da Franco vorrei rinviare fino a tanto la mia presa di posizione, ma comunque sia in breve il senso dei lunghi discorsi spagnoli e delle loro spiegazioni scritte è che la Spagna non vuole entrare e non entrerà in guerra. Ciò è assai spiacevole poiché così è per ora eliminata la più semplice possibilità di colpire l'Inghilterra nella sua posizione mediterranea, ma la de­cisione spagnola è da deplorare anche perché toglie la migliore occa­sione di porre fine alla oscillante politica francese. Posso definire la dichiarazione di Franco, che l'attacco su Gibilterra sarebbe condotto da truppe spagnole, solo come una ingenua sopravvalutazione della forza e della potenza offensiva dell'esercito spagnolo.

 

A parte questo io pure vedo ora la situazione in generale sensi­bilmente migliorata.

 

1) Anch'io credo che ormai la situazione in Albania può es­sere considerata come stabilizzata.

 

2) Nell'Africa Settentrionale, se ci rimangono a disposizione ancora 51 giorni di tempo, sono certo che un nuovo tentativo britan­nico di avanzare verso Tripoli, fallirà. Vi sono assai grato, Duce, per il fatto che mettete a disposizione del generale Rommel le vostre truppe motorizzate di Tripoli. Egli non deluderà di certo la vostra fiducia. Ma egli si guadagnerà anche — è la mia convinzione — in breve la fiducia e, spero, anche l'affetto dei vostri soldati. Il giudizio datomi dal colonnello Schmidt, che è stato pure a Tripoli, sui soldati italiani, è stato oltremodo tranquillizzante. Egli ha ripor­tato la convinzione che con tali uomini si riuscirà senz'altro a rista­bilire la situazione. Che sia concesso anche a noi di aiutarvi, e che lo possiamo fare, è oggetto per me di una gioia sincera. Io credo che il solo giungere del primo reggimento corazzato costituirà un rafforzamento straordinario della situazione a vostro favore.

L'arrivo della divisione corazzata può poi servire di base per ulteriori riflessioni che io spero, Duce, di poter discutere personal­mente con voi.

 

3) La Grecia, la liberazione del Danubio dal pericolo del ghiaccio, ormai probabilmente definitiva, mi ha fornito la possibilità di ordinare, per il 28 febbraio, l'inizio della costruzione del ponte, così pure a partire da stamattina devono mettersi in marcia un numero di reparti corazzati, per rinforzare la protezione antiaerea della Bulgaria. Con il completo schieramento sino alla frontiera greca, si realizzerà subito un sensibile alleggerimento alla frontiera albanese. Ora ho ancora una preoccupazione, Duce, essa riguarda le vostre isole nel Dodecanneso. Sarebbe certo di straordinario aiu­to, per la condotta della guerra aerea nel Mediterraneo orientale, se queste isole potessero essere tenute. Un forte apprestamento di Rodi probabilmente chiuderebbe in modo definitivo il canale di Suez per l'Inghilterra. In ogni caso la perdita di Rodi allungherebbe di molto il volo per raggiungere Suez. Ma la cosa decisiva, Duce, è la certezza che ora, finalmente, l'inverno passa, e che con ciò fi­nisce la paralisi delle nostre operazioni causata dalla natura.

 

Concludendo la mia lettera odierna, desidero ancora comuni­carvi che scrivo una lettera al presidente dello Stato turco Ismet Ineonu, nella quale comunico che l'entrata delle truppe germaniche in Bulgaria non è diretta contro la Turchia e che al contrario io sono convinto che sarebbe anche nell'interesse della Turchia stabilire con noi buone relazioni. Che la Germania non ha interessi territoriali né in Bulgaria né in Romania e sgombrerà quanto prima, tanto pri­ma tanto meglio, quei territori, immediatamente dopo aver allonta­nato il pericolo britannico. A meno che il signor Eden sia riuscito a togliere agli uomini di Stato e ai militari turchi la capacità di giudicare spassionatamente i loro propri interessi, non vedo anche qui alcun pericolo.  Del resto, ci siamo naturalmente preparati a tutto.

Accogliete i miei più cordiali e più camerateschi saluti.

 

A. HITLER

 

 

Guerra di Grecia

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