Uomini

Mario De Bernardi

La copertina e buona metà delle pagine interne di “Volo mensile di vita aeronautica”dell’aprile 1959 sono dedicate alla memoria di Mario De Bernardi,improvvisamente venuto a morte. Tra gli articoli più espressivi quello del Generale Ugo Rampelli che ripercorre le tappe di una vita interamente dedicata al volo.

 

Mario De Bernardi 

LA VITA EROICA DEL GRANDE AVIATORE MARIO DE BERNARDI E’ UN CAPITOLO GLORIOSO DELLA NOSTRA AERONAUTICA

 

L’ULTIMO PILOTA ROMANTICO

 

Valoroso soldato, recordman, acrobata, inventore e costruttore, De Bernardi aveva innato il senso del volo, come un sub cosciente: e il volo scaturiva come un’arte dalle sue qualità

 

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uando Mario De Bernardi fece il suo ingresso al Campo Scuola di Aviano, presso Udine, verso la metà dell’anno 1913, aveva appena venti anni; ma era già esperto di cimenti sportivi e di guerra. A 16 anni s’era iscritto ciclista dilet­tante ad una corsa per professionisti, e la vinse; a 18 anni era andato volontario in Libia per la guerra italo-turca scoppiata nel novembre 1911. Per la pri­ma volta nella storia dell’umanità l’aeroplano par­tecipava ad un conflitto armato con un reparto for­mato da ufficiali, già noti come piloti esperti, in Ita­lia e all’estero — Moizo, Piazza, Gavottì — e da vo­lontari civili militarizzati, anch’essi piloti, Volare, al­lora — come oggi del resto — era azione audace ma stupenda, e chi aveva animo forte e la mente al futuro, s’accendeva di quella passione facilmente; fu in Libia appunto che De Bernardi ne rimase con­tagiato. Ad Aviano la scuola era dura e lunga. Ma De Bernardi la ridusse facile e breve; decollò, una mattina, senza averne avuto autorizzazione, appro­fittando di un momento di disattenzione generale. Il volo andò liscio; ma non gli andò liscio l’atto di indisciplina. Però era andata, e continuò a volare da solo. Il 15 gennaio ottenne il brevetto n. 259: erano ancora in pochi, a quei tempi, ma le file ingrossa­vano rapidamente. Nell’ottobre dello stesso anno fu destinato alla 1.a Squadriglia Aeroplani.

Nell’aprile 1915 divenne allievo della Scuola Mi­litare di Modena; in piena guerra, a gennaio del 1916, Sottotenente effettivo nell’Arma del Genio, fu destinato al Battaglione Aviatori; il 20 marzo dello stesso anno conseguì il brevetto militare su apparec­chio da caccia Nieuport e assegnato alla 75.a Squa­driglia, a difesa dì Verona, che era stata ripetuta­mente offesa dal cielo da aeroplani austriaci. Si comportò benissimo: ebbe dei combattimenti aerei e si guadagnò la medaglia di bronzo al v.m. per ave­re attaccato un apparecchio nemico, colpendolo in parti vitali e costringendolo all’atterraggio in terri­torio italiano, sicché andava distrutto: era il terzo nell’elenco che sarebbe divenuto lunghissimo in quattro anni di guerra; i primi due li aveva ab­battuti Baracca, alla difesa di Udine.

A parte i voli di guerra, era del resto sempre in aria a far acrobazie. S’era fatto notare, sicché fu scelto come pilota collaudatore degli aeroplani Pomilio.

Nel maggio 1917 effettuò il primo collegamen­to postale fra Torino e Roma con un volo di 3 ore e 15 minuti alla media, allora da primato, di 170 Km. All’ora. Questa impresa, ripetuta due volte in andata e ritorno, cui era interessato il Ministero delle Poste (che aveva istituito una Commissione apposita per lo studio delle aviolinee) ebbe larga risonanza e fu ampiamente descritta dallo stesso De Bernardi che faceva, nella sua relazione, previsioni assennate e positive, sullo sviluppo tecnico dell’avia­zione e della velocità degli aerei; previsioni che si sono tutte verificate.

 

 Mario De Bernardi

1913, Mario De Bernardi entra nella Scuola Volontari Piloti di Aviano. Si brevetta a vent’anni su un Bleriot il 23 aprile 1914.

 

 

Fra gli assi

Nel gennaio 1918 tornò al fronte, nella Squadri­glia del « cavallo rampante » la celebre 91.a comanda­ta da Francesco Baracca, e vi rimase fino alla fine della guerra. Fu compagno di volo del grande avia­tore generoso, e degli altri che andarono famosi: Ruffo di Calabria, Ranza, Novelli, Bacula, Magistrel­li, Osnago, Keller, Costantini, Parvis, Nardini, Ali­perta: una squadriglia di assi, e Mario De Bernardi ci stette degnamente perché ebbe modo di abbattere quattro apparecchi nemici in combattimenti aerei e cinque ne distrusse al suolo, insieme a . due com­pagni di volo, sul campo della Comina, allora in possesso del nemico, guadagnandosi la medaglia di argento al v.m..

Terminata la guerra, mentre nelle altre nazioni, specialmente in Francia, in Germania, in Inghilterra e negli Stati Uniti, l'aviazione veniva decisamente volta ad usi civili, specie per trasporto di posta ae­rea, in Italia, che per prima aveva effettuato, per merito di De Bernardi, esperimenti siffatti, si veri­ficò una vera e propria distruzione sistematica di quanto con tenace lavoro e con sacrificio di vite era stato creato.. Tuttavia qualcuno cercava di tener ancora alto il nostro prestigio aeronautico, e fra questi era De Bernardi. Nel marzo 1919, nella ceri­monia d'inaugurazione dell'aeroporto di Centocelle intitolato a Francesco Baracca, uscì come per mi­racolo incolume da un grave incidente occorsogli con uno « Spad » da caccia che andò completamente distrutto. Fu poi mandato a... « liquidare » il cam­po di Zaule presso Trieste. Nel 1920 partecipò al circuito aereo istituito per onorare la memoria di Baracca; era primo, ma non ottenne la vittoria per­ché non fu individuato ad un traguardo che era coperto dalla nebbia. Dal 1921 in avanti ebbe di volta in volta il comando di reparti e campi spe­rimentali a Montecelio e Furbara. Nel 1923 prese il brevetto su idrovolanti, divenendo così pilota completo. Essendo stato promosso, nella fase di ri­costituzione dell'Aeronautica a seguito degli avve­nimenti fascisti dell'ottobre 1922, capitano e mag­gîore nello stesso anno 1923, prese il comando dei Gruppo Sperimentale, con sede a Montecelio (og­gi Guidonia), composto di reparti dislocati a Fur­bara, per esperienze di aeroplani pesanti da bom­bardamento; a Montecelio, per l’esperimentazione dei nuovi tipi che l'industria nazionale andava pre­parando per la risorta Aeronautica, e a Vigna di Val­le, sul lago di Bracciano, dove venivano collaudati e provati i nuovi idrovolanti e le armi per il tiro di lancio in combattimento aereo.

L'Aeronautica italiana si andava rapidamente e saldamente organizzando; tecnici, industriali, orga­nizzatori, volatori si prodigavano per riacquistare il tempo perduto in quattro anni di assenteismo, du­rante i quali l'Italia s'era trovata abulica ed assente da ogni forma di attività aerea, in campo nazionale e internazionale.

Il 5 maggio 1925 su Fiat c.r. (caccia Rosatelli) De Bernardi conquista all'Italia il primato mondiale di velocità su 500 chilometri con 250 Kg. di carico, alla media di Km/ora 254,123; il primato era dete­nuto dalla Francia (Dorét su Dewoitine) con 222 chilometri.

 

 Mario De Bernardi

1917, Mario De Bernardi acclamato al termine del primo esperimento di trasporto di posta con mezzo aereo sul percorso Torino – Roma – Torino per conto del Ministero delle poste.

 

 Mario De Bernardi

1918, Mario De Bernardi Tenente d’aviazione presso la 91.a Squadriglia.

 

Mario De Bernardi

1925, Mario De Bernardi viene promosso Maggiore ed assume la carica di Comandante del Gruppo Sperimentale comprendente i Reparti di Montecelio, Furbara, Vigna di Valle. Eccolo su un idrovolante S.16 ter.

 

 

La « Coppa Schneider »

A novembre dello stesso anno 1925 partecipa con un Macchi 20 ad una gara internazionale per aero­plani da turismo biposti, disputata da undici concor­renti che rappresentano cinque nazioni, ottenendo un successo strepitoso, dovuto in gran parte alla sua abilità, stante le prove di perizia professionale. inserite nella competizione e la presenza di aeroplani stranieri, specialmente cecoslovacchi, che si erano già affermati in precedenti competizioni estere.

In un rinnovato e intenso fervore di nuove co­struzioni, di gare, di transvolate che ebbero, come; il celebre volo di 55.000 chilometri di Francesco De Pinedo, risonanza mondiale, fervore che dimostrava la volontà dell'Aviazione italiana di inserirsi nuova­mente e stabilmente nelle competizioni prestigiose per la supremazia qualitativa dell'arma dello spazio,

De Bernardi, insieme a pochi eletti — Ferrarin, Ba­cula e Centurione — fu scelto per partecipare alla gara per la « Coppa Schneider » e fu inviato a Varese per gli allenamenti sui nuovi idrocorsa costruiti dalla Macchi, gli M. 39 con motori Fiat A.S.2 da 800 C.V..

La gara doveva corrersi in America, a Norfolk ; nel 1926. Allontanandosi dopo 5 anni dal suo comando di Montecelio, a testimonianza dell'affetto e della stima che s'era accattivata in quel difficile ambiente, il personale al completo gli offrì una medaglia d'oro con una bellissima pergamena, come augurio di vit­toria nella nuova impresa.

La « Coppa Schneider » era una severa gara di velocità per idrovolanti su circuito chiuso ripetuto fino a 150 miglia marine: era dotata di premi allora vistosi e la coppa sarebbe stata definitivamente ag­giudicata alla nazione che avesse vinto la corsa per tre volte consecutive. Dal 1913, anno in cui fu effet­tuata, diverse nazioni s'erano alternate nella vittoria, e la gara era divenuta una palestra di lotta e di prestigio della tecnica e della industria aeronautica di Francia, Inghilterra, Italia e Stati Uniti di Ame­rica. Sospesa durante la guerra, fu ripresa nel 1919 e vinta dall'Italia, ma la vittoria non fu omologata; nel 1920 e nel 1921 fu ancora vinta dall'Italia; nel 1922 dall'Inghilterra, nel 1923 e nel 1925 (nel 1924 la gara non ebbe luogo) dagli Stati Uniti. Poiché la organizzazione della gara e la gara stessa dovevano per regolamento esser fatte nella nazione che la aveva vinta l'anno precedente, nel 1926 doveva es­sere corsa in America.

Gli idrocorsa italiani erano stati ideati e costruiti espressamente; erano perciò di concezione assoluta­mente nuova e la potenza dei motori veniva giudi­cata, allora, eccezionale; richiedevano al pilota doti non comuni, salda preparazione e misurato coraggio. (Durante gli allenamenti il comandante Centurione, uno dei nostri migliori idrovolantisti, perdette la vita).

A Norfolk i nostri tre bolidi rossi, come vennero chiamati dai giornalisti americani, erano pilotati da De Bernardi, da Ferrarin e da Bacula. La Francia e l'Inghilterra erano assenti, sicché la gara si mo­strava come un duello fra la tecnica italiana, che si presentava con monoplani a galleggianti, e quella americana che puntava ancora sulla formula biplana: tre Curtiss, ognuno montato con motori di diversa e crescente potenza. Il 14 novembre la vittoria ita­liana fu netta, inequivocabile e strepitosa; per la superiorità delle macchine, ideate dall'Ing. Castoldi della Macchi, per la tenuta dei motori, congegnati dall'Ing. Ferretti della Fiat, ma soprattutto per la bravura di Mario De Bernardi: bravura esercitatasi non solamente nella condotta del velivolo, come pilo­ta di eccezionale valore, ma anche come tecnico esperto di voli veloci e saggiatore infallibile delle possibilità sfruttabili di una macchina di volo; qua­lità ben note che lo autorizzarono durante la pre­parazione e la messa a punta dei velivoli, a dare suggerimenti che furono ascoltati ed accolti e che contribuirono in buona misura a cogliere la vittoria.

Il successo divenne poi di fama mondiale, perché De Bernardi, sullo stesso circuito compiuto per ben quattro volte e con lo stesso velivolo conquistò il primato assoluto di velocità alla media di 418 Km/ora. (Il primato era stato conquistato l'anno precedente dagli americani [Doolittle] con la velocità di 394 Km/ora raggiunti sulla base di un chilometro e non su percorso a circuito chiuso, come aveva fatto I;e Bernardi: la velocità raggiunta dal nostro asso, in un tratto rettilineo del percorso, fu di ben 438 chilometri!

Tutto il mondo rimase sbalordito dei successi italiani e tutto il mondo parlava della bravura del campione italiano; enorme e cavalleresca l'ammira­zione degli americani che dedicarono intere prime pagine dei loro giornali alle due affermazioni, con fotografie del vincitore, e narrando gli episodi della sua vita e :e tappe della sua carriera, Le accoglienze tributategli in Patria, insieme ai suoi compagni di gara e ai costruttori, furono addirittura deliranti. Gli italiani si erano ben resi conto che da quella vittoria tecnica, professionale, industriale e sportiva colta in terra straniera, il prestigio d'Italia era aumentato considerevolmente al cospetto del mondo. Fra gli altri riconoscimenti italiani e stranieri, De Bernardi si ebbe anche il l0 Trofeo Harmon, decretatogli dalla Lega Internazionale degli Aviatori, costituitasi nel 1926 a Parigi, sotto l'alto patronato del Re del Belgio.

Nel 1927 la « Schneider » fu corsa a Venezia: e fu un duello fra italiani ed inglesi. Vinsero gli inglesi. De Bernardi, che al 3° giro aveva già superato l'in­glese Webster che risultò poi vincitore, fu costretto ad ammarare per guasto di motore; e così avvenne anche per Ferrarin. Il solo che poté terminare la gara fu Guazzetti, che si piazzò al 30 posto. Webster vinse alla media di 453 Km/ora. De Bernardi, durante le prove d; messa a punto, aveva suggerito alcune modifiche da apportare ai pistoni del motore e alle eliche: questa volta, però non fu completamente ascoltato, e fu male. Egli però aveva fiducia nelle macchine. Dopo la sconfitta pretese che quelle modifiche fossero apportate, e tentò di riconquistare il primato assoluto di velocità, che per effetto della vittoria era passato agli inglesi. Ci riuscì, il 4 no­vembre, su circuito di tre chilometri percorso quat­tro volte, raggiungendo la media di 477 Km/ora, Ma non fu contento. Era convinto che apportando altre lievi modifiche al velivolo e riducendo il suo in­gombro, il primato poteva essere migliorato.

 

 Mario De Bernardi

1927, Guazzetti Ferrarin Facchini Castoldi Guasconi De Bernardi davanti al Macchi M.39 durante la Coppa Schneider disputata a Venezia.

 

Esaurita la gara

Il 30 marzo 1928 la famosa « quota 500 » veniva superata e il precedente primato era portato, sullo stesso percorso a 512 Km/ara. Forse i lettori vorran­no ora sapere come andò a finire la famosa « Coppa Schneider ». Fu constatato che la preparazione della gara non poteva essere esaurita in un solo anno, e fu convenuto di ripeterla ogni due anni. In questo frattempo i nostri tecnici studiarono e costruirono macchine veramente avveniristiche: ma per la data stabilita tali macchine non erano pronte. L'unico idrovolante che aveva possibilità di vittoria era il Macchi M. 67;  ma disgraziatamente questo velivolo andò distrutto, pochi giorni prima della gara, in un incidente in cui perdette la vita uno dei concorrenti, il capitano Motto che si stava allenando. L'Italia mandò due soli apparecchi M. 52, messi a punto da De Bernardi, coi piloti Dal Molin e Cadringher; Dal Molin si piazzò molto onorevolmente al 20 posto. Nel 1931 la « Schneider » fu corsa in Inghilterra per l'ultima volta: sembrava dovessero parteciparvi inglesi, fran­cesi, americani ed italiani. Ma nessuna di queste nazioni poté prepararsi in tempo. D'altra parte la preparazione e l'effettuazione della competizione era­no divenute eccessivamente costose rispetto ai van­taggi tecnici e scientifici che ormai se ne potevano trarre. La « Coppa Schneider » fu corsa allora dai soli inglesi che la conquistarono definitivamente alla ve­locità media oraria di 547 chilometri.

Invero la gara aveva ormai esaurito i suoi com­piti: il perfezionamento dei « terrestri », con l'avvento dei congegni di ipersostentazione e dei freni aerodi­namici e alle ruote, col sicuro funzionamento dei motori e con la possibilità di lunghe autonomie andava relegando gli idrovolanti fra i « sorpassati ». Tuttavia il complesso tecnico-scientifico raccolto dall'aviazione italiana non andò perduto. Fu creata, a Desenzano, con apparecchi « tipo Schneider », una Scuola d'alta velocità, in cui venivano sperimentati nuovi e potenti motori e nuovi profili alari per le alte velocità: i primati assoluti conquistati dagli inglesi furono da noi nuovamente superati, fino a raggiungere, con quel gioiello che fu il Macchi Ca­stoldi M. 72 e quel superbo motore ad eliche coassiali che fu il Fiat A. s. 3, una velocità di 709 chilometri ora, raggiunti dal compianto Agello; velocità che ancor oggi costituisce, nella categoria idrovolanti, un primato imbattuto.

Ma se la « Coppa Schneider » s'era esaurita non era davvero esaurita l'attività multiforme di Mario De Bernardi. Il volo era, per così dire, un suo stato naturale: l'acrobazia un'imprescindibile necessità in cui elargire la sua esuberante vitalità. Né si creda che Egli non si sia mai trovato in brutti frangenti dai quali trasse salva la vita per l'eccezionale perizia che lo rendeva sempre padrone dei nervi e delle macchine. Atterraggi forzati fuori campo per guasti di motore o per difetti di apparecchio; incendio a bordo; incidenti con apparecchio fuori uso; perdita del carrello in partenza; scontri in volo, sono state situazioni in cui si è trovato più di una volta, senza perdere fiducia in se stesso. Fra l'altro, ferito in com­battimento aereo nell'ottobre 1918, fu costretto a scendere in zona neutra fra le nostre linee e quelle nemiche, a Motta di Livenza; ma riuscì a disimpe­gnarsi e a rientrare in territorio amico.

Alta acrobazia

Ora non c'è raduno, o gara, o competizione cui non partecipi. II 3 novembre 1929 vince a Milano la coppa internazionale per gara di acrobazia, avendo a competitori i migliori piloti d'Europa, come Fieseler, Dordt, Udet, Detroyat, Von Bissing, ecc. Va In Ung­heria, in Bulgaria, in Rumenia, in Cecoslovacchia, in Spagna e Portogallo, a mostrare apparecchi italia­ni e bravura italiana, e diviene pilota d'onore delle Aeronautiche di quelle nazioni.

Nel 1930 è collocato in congedo provvisorio a domanda; diviene collaudatore e consulente della Società Aeroplani Caproni; si dedica con maggiore intensità alla gestione di una Società Italiana Tu­rismo Aereo - S. I. T. A. R. - da lui ideata fin dal 1928, per il trasporto aereo turistico di passeggeri a S. Remo, Alassio, Savona, Viareggio e spiaggie rivierasche sulla costa tirrenica e adriatica, sui laghi di Como, Varese, Orta e Lago Maggiore.

Viene chiamato a Dessau in Germania, dove si stavano costruendo i famosi idrovolanti esamotori Do. X (che furono acquistati dall'Italia in due esem­plari) per dare parere e consigli sulla costruzione di quei primissimi transaerei giganti.

Le competizioni nazionali d'alta acrobazia erano allora in auge: le « Aquile di Campoformido », adde­strate sotto la direzione di Corso Fougier (che diven­terà in guerra Sottosegretario all'Aeronautica), sba­lordivano le folle nelle giornate dell'ala, a Roma, a Torino, a Milano, e in ogni città. Gli assi inventavano figure acrobatiche nuove: virate alla Fieseler, alla Imelmann, alla Udet, alla De Bernardi. Dietro sug­gerimenti e sotto il controllo e i collaudi del suo consulente di fiducia, la Ditta Caproni costruì un tipo speciale di apparecchio particolarmente adatto a disegnare ricami ed arabeschi nel cielo: il Ca. 113, che divenne poi Ca. 114. Con questo nuovo velivolo l'asso italiano si recò a Cleveland, in America, nell'agosto del 1931.

In onore di De Bernardi, (di cui si ricordavano ancora bene) gli americani avevano istituito quell'anno un « italian day », esaltando l'avvenimento con una pubblicità… tutta americana. La stampa fu nuo­vamente inondata dalle fotografie e dalle biografie del campione italiano, divenuto idolo delle folle, non solamente connazionali; non raramente apparivano poesie che ne narravano liricamente l'eroica vita, La competizione di Cleveland durò dieci giorni, ed ogni giorno i concorrenti dovevano ripetere le loro esibi­zioni; e ce ne erano di assi famosi! La Germania aveva inviato Udet;  l'Inghilterra era rappresentata da Atcherley; gli Stati Uniti contavano sul loro famoso Williams; per la Polonia c'era Orlínskj, per la Cecoslovacchia Kubala. Sei nazioni si contende­vano così il primato dell'ardimento ed oltre un mi­lione di spettatori s'erano avvicendati, in quei giorni, sull'aeroporto della competizione. Al termine; di essa la giuria fu unanime nel giudizio: l'italiano De Ber­nardi s'era classificato al primo posto e il tricolore italiano sovrastava, sul suo pennone, le bandiere delle altre nazioni concorrenti.

 

Fu osservato, in occasione della vittoria italiana di Cleveland, che la prerogativa di De Bernardi, per cui Egli superò i suoi concorrenti (che pure erano tutti di gran classe) era costituita dal fatto che ad ogni esibizione giornaliera — dieci esibizioni in dieci giorni — l'asso italiano si presentava sempre con nuove figure acrobatiche o con variazioni arabescate della stessa figura, a differenza dei rinomati aviatori stranieri che eseguivano impeccabilmente il loro programma, ma in continue ripetizioni delle stesse acrobazie. Per costoro l'esibizione si rivelava meto­dica, scolastica seppure classica; per De Bernardi, invece, l'esibizione acrobatica non era limitata in una elencazione di figure: come un virtuoso del pia­noforte trae da un numero limitato di note compo­sizioni infinitamente diverse così dal numero limi­tato delle manovre possibili gli traeva una illimitata variazione delle figure.

 

Popolarità

Sta il fatto che De Bernardi aveva innato il senso dei volo, come un istinto, come un subcosciente; possedeva per di più tutti i segreti della tecnica e della costruzione delle macchine di volo, essendo Egli stesso un tecnico e un costruttore. Era, infine, uno stilista nella figura della manovra, sicché il volo scaturiva, come un'arte, dall'armonioso complesso del­le possibilità della macchina e delle qualità dei vo­latore; questi sapeva quel che poteva chiedere alla macchina, questa rispondeva docile, quasi fremente di gioia alla richiesta, vitalizzata, direi, dallo spirito intenso e comunicativo della creatura che la domi­nava. Fu dopo Cleveland, ritengo, che De Bernardi assaporò — ammesso che se ne compiacesse oltre la giusta misura — tutta l'ebbrezza della notorietà. Non v'era fantasia sufficiente, nel popolo, per tribu­targli ammirazioni e dargli appellativi iperbolici: fu « l'uomo più veloce dei mondo », il « cavaliere dell’aria », il « signore dello spazio », « lo scalatore del cielo », « l'aquila dell'infinito », e così via.

Non vi fu città, in Italia, che non lo reclamasse, ne spazio di cielo in cui non evoluisse in girandole d'acrobazia, impennate superbe, discese precipitose, salendo a lui l'ansia della folla allibita appassio­nata e fremente nel contenuto entusiasmo che pro­rompeva, dopo, travolgente e violento, non appena posate le ruote a terra, si sollevava dall'abitacolo, sorridente, felice, ingenuo, generoso, modesto, a chiedere al primo accorso di accendergli la sigaretta. Non ci fu costruttore straniero che non lo avesse invitato a esprimere opinioni e magari. suggerimenti; sui campi della Junkers, della Fókker, della Curtiss e in altri, gli affidavano macchine di nuova costruzione perché le esperimentasse, e volava con esse con tale sicurezza, come se le avesse già più te condotte nei cieli, da destar meraviglia agli stessi collaudatori delle Ditte.

Collaudatore anche lui, Mario De Bernardi: ma un collaudatore saggio, vorrei dire anche sapiente

e saggiatore, che inventa e costruisce congegni e apparecchiature che contribuiranno a rendere il pilo­taggio più facile e più diffuso.

Nel 1925 aveva brevettato un freno per velivoli in atterraggio su navi portaerei o su campi di fortuna.

Nel 1931, dopo due anni di prove, applicava ad un Caproni Ca. 97 un « sistema di guida degli aero­mobili a comandi riuniti », col quale sistema la pedaliera veniva completamente eliminata, e lo bre­vettava in tutto il mondo; fu adoperato su larga scala e con successo negli Stati Uniti. Il congegno concentrava nel volante i comandi di direzione e d'altura che potevano anche rimanere bloccati, a piacimento del pilota, cui era così consentita una notevole mobilità e quindi una maggiore e agevole sopportazione dei voli di lunga durata.

Il Caproni Autostabile De Bernardi, (così era chiamato) fu inviato al XIII Salone Internazionale d'Aeronautica a Parigi; ma qui andò distrutto per un incendio provocato, per voce comune, da sabo­taggio. De Bernardi ne rimase costernato e Balbo gli spedì un generoso telegramma così concepito: « Stia di buon animo caro De Bernardi, ne facciamo un altro e si abbia i miei migliori saluti. Stop Italo Balbo ».

Ne furono fatti, in effetti, altri esemplari e De Bernardi poté continuare le sue esperienze; le completò anzi brevettando un « correttore di rotta », nel 1933, che regolava automaticamente la direzione del velivolo. Inventò anche, in quell'anno, con il favore della direzione dell'Aeronautica, un congegno di guida a distanza di un velivolo, per mezzo della radio,
da terra o da altro apparecchio in volo. L'ultima sua creatura era l'aeroscooter e ne parleremo più tardi.
Frattanto, fra gare, manifestazioni aeree, competizioni sportive, invenzioni ed esperienze, non trascurava i suoi doveri di collaboratore devoto di Gianni Caproni. Nel luglio 1933 effettuò un magni­fico volo da Milano a Mosca, con un Caproni mono­motore I. F. 750, coprendo il percorso di 2.600 Km., per Udine - Vienna - Vilna in un'unica tappa in poco più di dieci ore, alla media di 232 Km/ora. Pur conside­rato nei limiti di una impresa a carattere commer­ciale, per la presentazione in un paese straniero di un nostro prodotto industriale, quel volo ebbe note­vole risonanza per il lungo percorso compiuto con cinque uomini a bordo da un monomotore di media potenza, ma più che altro per la notorietà del tra­svolatore. Al ritorno da Mosca fece tappa a Berlino, accolto dalle autorità aeronautiche tedesche con schietto interesse e viva cordialità.

Torna a Taliedo, torna ai collaudi, torna sulle città d'Italia, ai giri aerei internazionali, ai raduni; e torna alle esibizioni acrobatiche all'estero; questa volta in Cina, a Shangai.

Vi giunge, a gennaio 1934, coi suo Ca. 113 d'alta acrobazia, preceduto dalla sua notorietà: la stampa, al suo arrivo, è già tutta piena di lui. Lo intervistano, glie chiedono previsioni sullo sviluppo futuro dell’aviazione, gli chiedono persino pareri personali sulla difesa della Cina. Si meravigliano perché dichiara che no, non vuole fermarsi in Cina, dove già esiste la Missione Militare Italiana comandata dal Colon­nello Lordi (Lordi sarà trucidato poi, da generale, con Martelli e con Grani, alle Fosse Ardeatine di Ro­ma), ma tornerà subito in Italia: lì, in Cina, si trova soltanto per affari. « Here only on business », scri­veranno in grassetto tutti i giornali. E il «  Own Air Circus » farà un'interessante rivelazione: « ... questo aviatore ha affascinato per delle settimane Shangai con un nuovo aeroplano di colore scarlatto e con le sue gesta che sfidano la morte. De Ber­nardi è per Shangai quello che l'anno scorso fu Balbo per Chicago: ... soltanto c'è la differenza che abbondanti vendite sono state concluse dall'asso italiano! ». Infatti era venuto per quello! La testa in cielo, magari fra le nuvole, ma attaccata salda­mente sul collo, specie in servizio. « Here only on business », e « business » hanno da essere. « De Ber­nardi insuperabile stop tutte autorità pubblico en­tusiasticamente applaudono pilota et apparecchio « stop giornali prodigano elogi incondizionati per « superba dimostrazione stop Bey ». Questo telegram­ma, spedito dal pilota tedesco P. V. Bey che si tro­vava a Shangai riassume lo stato d'animo creato da De Bernardi in quel lontano centro, dominato dalla ammirazione per l'Italia e per l'Aviazione Italiana.

 

Rientra in Italia, ma non si ferma: è un nomade del cielo. Va in Grecia; ritorna e conduce in volo uomini politici e monarchi. Continua i suoi esperi­menti di radio comando; continua la partecipazione alle gare internazionali di acrobazia... poi viene l’altra guerra: quella che vedrà realizzate le previsio­ni del grande Douhet, quella che vedrà gli stormi coprire il sole, come era stato preconizzato, e le città crollare sotto la violenza dei bombardamenti a tappeto.

L'attività di Mario De Bernardi si dedica ai col­laudi dei velivoli che escono in serie dalla sua casa, ed alla messa a punto, insieme all'inventore dei nuovo aeroplano a reazione « Caproni-Campini ». Il progetto e la costruzione di questo nuovo aeroplano, che doveva volare « senza elica » erano iniziati nel 1938; si sollevò in volo, per la prima volta il 30 apri­le 1940; pilotato da De Bernardi, che aveva vissuto, come narrava Egli stesso, ora per ora le vicende de­gli esperimenti e dei tentativi che dovevano condurre progettista e costruttore alla realizzazione di quella macchina che lo stesso De Bernardi chiamava « un miracolo ».

Invero il primo volo era stato preceduto da molte prove a terra e da molti rullaggi, in seguito ai quali furono apportate modifiche e perfeziona­menti suggeriti anche dall'esperienza di tanto autorevole pilota, che, fra l'altro, aveva interrotto ogni altra attività per dedicarsi esclusivamente a questi esperimenti. L'aeroplano volò… anche senza elica, e il pilota ne era entusiasta; ed anche gli amici, i dirigenti, le maestranze lo erano; ma anche erano così pieni di ammirazione per il generoso coraggio del pilota, che non cessavano dal festeggiarlo. Al ri­torno da una cena amichevole, mentre apriva il cancello dell'ascensore della sua abitazione, non si accorse che mancava la cabina, e piombò nel vuoto fratturandosi il piede. Quel che non gli era mai accaduto in tanti anni di voli spericolati e cosparsi di incidenti, doveva accadergli in un banale atto della quotidiana vita terrestre. La permanenza in clinica ritardò di qualche mese la ripresa dei voli sul nuovo aeroplano. Finalmente la mattina del 30 novembre 1941, preso a compagno di volo il pioniere ing. Giovanni Pedace, decollò da Milano per giungere a Roma; il primo trasporto aereo con aero­plano a reazione era un fatto compiuto ed era glo­ria italiana. Naturalmente, come sempre è accaduto in Italia, noi fummo i primi anche in questo campo, mentre gli altri stavano a guardare: poi fummo noi che restammo a guardare quel che gli altri erano capaci dì fare sulla scorta della nostra conquista; e bisogna riconoscere che hanno saputo far bene, il che significa che la conquista era positiva e reale.

De Bernardi ebbe, dopo quel volo, la medaglia d'oro al valore aeronautico, con una superba motivazione, che riassume in sintesi gli avvenimenti sa­lienti dell'eroico suo passato. Ebbe solo quella: la medaglia! tutta la sua opera: il collaudo, il volo, era stata offerta nel più completo disinteresse, solo per la soddisfazione dì volare con l'aeroplano mi­racolo » !

Dopo la fine della seconda guerra si trovò scom­bussolato anche lui nel cataclisma che aveva travolto la nazione. Era a Milano a vedere che cosa si potesse recuperare per ricominciare la vita, che per lui aveva una sola ed unica manifestazione: volare: L'Italia era prostata: e quell'industria fiorente e prestigiosa che era stata la Società « Aeroplani Caproni » era lasciata languire, e il suo creatore, il generoso, geniale e lungimirante Gianni Caproni, era divenuto bersaglio dell'odio e dell'invidia altrui, men­tre i suoi ingegneri venivano imprigionati e qualcuno anche ucciso. De Bernardi non si scoraggiò: aveva una passione e una fede che lo sorreggevano; una fama indistruttibile; amicizie tenaci di uomini bravi come lui, fondata sulla stima reciproca e sulla reciproca ammirazione; e ancora un'energia giovanile, una baldanzosa fiducia in se, uno sconfinato affetto per la impareggiabile moglie e per la intelligente figlia Fiorenza (che già condivideva con lui la pas­sione del volo), una purezza quasi ingenua di mente e di cuore.

Fu tra i primi a ritrovare un paio d'ali efficienti e a riportarle in volo con la bravura rimasta insupe­rata. Risvegliò qualche deluso, incoraggiò qualche titubante, sostenne col suo nome alcune manifesta­zioni aeree, ritornò alle sue girandole, alle sue acro­bazie, esibendosi assai spesso a scopo di beneficenza; l'eco delle sue vicende non s'era spenta, tuttavia la rinnovò e la rialzò di tono, ridestando gli antichi entusiasmi nelle folle di tutte le città d'Italia, parte­cipando e vincendo alcune gare e competizioni, sug­gerendo nuovamente perfezionamenti o apportando addirittura modifiche, di sua iniziativa al velivolo che usava per correre, migliorandone le caratteri­stiche; come, fece per il Macchi M.B.308 col quale correva alle prime edizioni della Settimana Aerea e del Giro di Sicilia. In seguito si, portava anche Fiorenza, divenuta anch'essa pilota di buona razza, com'è comprensibile. Nel 1950 vince il Giro Aereo di Sicilia; nella Settimana Aerea dello stesso anno è Il migliore, naturalmente nelle prove tecniche e pro­fessionali.

 

 Mario De Bernardi

Mario De Bernardi dinanzi al Caproni Ca.97 con « sistema di guida a comandi riuniti » di sua invenzione.

 

 Mario De Bernardi

La cabina di pilotaggio del Caproni Ca.97 con « sistema di guida a comandi riuniti ». Con l’abolizione della pedaliera, il governo del velivolo avviene a mezzo del volantino. Il velivolo sarà esposto al Salone Aeronautico di Parigi ove rimarrà distrutto da un misterioso incendio

 

L'aeroscooter

Poi venne l'aeroscooter: una passione, via! Pro­prio come un grande amore, in cui chi ama, non pensa e non vive se non per l'oggetto amato. Ormai s'era dato tutto all'aero-turismo e alla aviazione spor­tiva: ed in questi ultimi anni non c'era raduno o mostra in cui l'aeroscooter da lui pilotato, non fosse presente.

È un'altra volta nelle pagine dei giornali: i rotocalchi parlano delle sue imprese che, pur in questa era di aviogetti e di astronautica, appaiono ancora prodigiose; ancora la sua effigie corre per il mondo, ancora il suo nome è pronunciato con ammirazione; a vederlo di persona, a parlargli non si può a meno di sentirsi commossi.

Nel 1952 lo lancia in edizione monoposto; negli ultimi anni seguenti diventerà in edizione rivedute e corrette, più potente, più veloce, più maneggevole e biposto. E' un velivolo interessante ed è convinto che farà molto... cielo. Deve lanciarlo, e lo porterà in volo quasi ogni giorno e ad ogni occasione. Final­mente suscita attenzione, specialmente all'estero: dal­la Germania, dalla Francia, dagli Stati Uniti e persi­no dall'Australia gli vengono richieste d'informazioni e ordinazioni. Dura ancora fatica a porlo in cantiere finché una ditta di Karlsruhe gli offre, ai primi dello anno corrente, di acquistare i diritti di riproduzione in Germania e altre nazioni.

Nel 1956 compiva quarant'anni di volo, e l'Aero Club d'Italia gli assegnava una medaglia d'oro di benemerenze che gli fu consegnata sull'aeroporto dell'Urbe alla presenza di autorità militari civili e politiche. S'era dato infatti alla politica presentan­dosi alle elezioni comunali col M.S.I., ed era stato eletto Consigliere del Comune di Roma; era anche Consigliere all'Automobile Club e Vice Presidente dell'Agro Club di Roma; era occupato insomma... quando stava a terra: ma ci stava poco perché la gran parte del suo tempo la trascorreva nel cielo: ecco perché è morto in cielo: perché non aveva tem­po né voglia di stare per terra.

 

 Mario De Bernardi

Mario De Bernardi e la figlia Fiorenza ritratto a fianco dell’aeroscooter, precursore dei velivoli ultraleggeri.

 

 Mario De Bernardi

Mario De Bernardi al posto di pilotaggio dell’aeroscooter.

 

Ora non è più. « E' morto De Bernardi! » si di­ceva, quasi sottovoce perché sembrava incredibile.

Non è vero, infatti, che è morto: era in cielo, ed è rimasto in cielo non soltanto perché, come si dice degli Eroi, il suo ricordo rimarrà perenne, per­ché le sue vicissitudini sono indimenticabili, perché il suo nome è legato ad imprese leggendarie, porche le sue vittorie sono scolpite indelebilmente nel gran­de libro della nostra gloria; non è morto, sempli­cemente, perché non v'è traccia di separazione tra la sua vita e la sua morte; il suo spirito è rimasto in cielo, comandando al corpo di riportare la libellula sulla linea di volo, perché né la libellula né il corpo dovevano subire il grande oltraggio della distruzione violenta e dello strazio di sangue. E' la prerogativa degli Eroi, che sono semidei, quella di non lasciare traccia del trapasso: e del resto è accaduto altre volte. Vi ricordate vecchi piloti della prima guerra mondiale, del pilota sconosciuto di Marcon? Un velivolo giunge dal cielo, si libra, posa le ruote, si ferma; l'elica seguita a girare, il motore palpita, ma il velivolo è immobile, freme soltanto, né il pilota risponde ai richiami di quelli del campo che vorrebbero sgombrasse il prato per raggiungere la linea di volo, Così passa il tempo, e allora vanno a vedere di che si tratta: forse c'è il carrello rotto e la macchina non può rullare. Ed invece no; il pilota grondava sangue, e il velivolo era tutto sforacchiato per un combattimento che doveva essere stato acca­nito. L'uomo era morto in cielo, da Eroe, e io spirito aveva comandato al corpo di non morire fino a che non avesse posato le ali su di un campo. Non c'era stata separazione tra la vita e la morte.

E voi, legionari di Spagna, vi ricordate dell'S.79 di Chiasserini, a Valenzuela di Saragozza? Era in pattuglia e procedeva oltre l'Ebro; la contraerea lo centrò con una granata che scoppiò a bordo, sotto i piloti. Chiasserini si abbatté sui comandi, e il secondo pilota, Biondi, era senza un piede, gli altri, feriti gravi o moribondi. Chi è che portò l'apparec­chio conciato com'era sul bersaglio, e lo ricondusse sulla via del ritorno, e lo guidò all'atterraggio su quel campo in cui c'era un grande edificio con su scritto « tutto per la Patria? ». Fu Chiasserini sia pure per mezzo di Biondi dissanguato e tramortito; ma fu lui che era rimasto col suo spirito in cielo, e aveva co­mandato al suo corpo di ricondurre quel carico di carne sanguinante in campo.

Sono morti, si sa: ma sono morti poetiche, epi­che, sublimi: come quella di Baracca, che era il suo comandante; e forse De Bernardi deve averlo incontrato in cielo: il comandante lo ha chiamato e lui, si sa, ha obbedito ed è rimasto in cielo, anche lui, De Bernardi. O forse, chissà, potrebbe arche averlo chiamato il fratello Alberto, pilota anche lui morto in volo, o magari Balbo, che gli voleva tanto bene.

E' proprio morto purtroppo! E' vivo in senso assoluto, è vivo per se stesso; ma noi — la libellula, il prato e la pista del campo, il Consiglio Comunale, la moglie e la figlia, ammiratori, amici, folle plau­denti — noi ci ha proprio lasciato.

Ero lì a guardarlo volare; ci eravamo salutati due minuti prima, ché ci conoscevamo da anni: pro­prio da più di quarant'anni! da quando portava i Pomilío a Istrana, a sostituire il Sia. 7.b.1… E con me lo avevano salutato tanti altri: ché c'era gente sul campo, per la presentazione del monomotore tedesco da gran turismo Dornier Do. 27, che aveva evoluito splendidamente e con eleganza. Ma anche la libellula, ossia il suo aeroscooter evoluisce splen­didamente e con eleganza; con stile anzi, lo stile inconfondibile di De Bernardi!... Eppure, no!, non era il suo stile quel giorno! Quell'impennata non era la solita: ne avevo vedute di più eleganti e di più armoniose; e nemmeno quella gran volta era la solita: s'è trovato quasi impiccato al culmine ed ha fatto un elisse, invece di un cerchio; e soprattutto l’entrata in campo non fu la solita: un po' veloce, diamine !... beh! ha voluto atterrare sulle ruote... un po' lungo magari, ma liscio.., eppoi ecco che frena ed ecco che ritorna in linea... un po' di nervi, forse stamane?...

Invece era già riverso; e non ebbe nemmeno la forza di girare l'interruttore, sicché il motore pal­pitava accompagnando gli ultimi palpiti del grande cuore che stava per fermarsi...

Quando accorsero, perché uno dei suoi fidi che gli era andato incontro aveva gridato al soccorso, era senza forze, immobile; stentarono a trarlo fuori... ed io era lì, e mi sentivo lancinare il cuore tanta era la pena di vederlo con gli occhi fissi, incapace di muoversi, tutto teso nel malore mortale...

« No! non voglio vederlo così! ». Mi ricordai di Garcia Lorca e compresi meglio il concetto espresso nei versi del poeta per la morte di Inacio. Non volevo vederlo così, l'ammirato aviatore, l'idolo delle folle! Lo ricordavo atterrare durante la guerra, a darci con­sigli e suggerimenti sull'uso del nuovo apparecchio Caproni Ca. 313: lo invitammo con noi a mensa, ed era bersaglio di ammirazione, si sa, per quei giovani ufficiali che dell'asso conoscevano i voli famosi e le gare disputate accanitamente per l'onore della Patria e della Aviazione italiana.

Non volevo, non volevamo vederlo così. Speravamo tutti in un passeggero malessere: e ci dicevamo l'un l'altro che magari era un bene che si fosse sentito male, era come un avvertimento, una piccola lezione per quell'uomo eternamente giovane, eternamente bravo, che lavorava anche di notte nelle sedute con­siliari al Comune, e poi la mattina presto correva ad arrampicarsi verso le nuvole, come faceva, da quasi mezzo secolo, quando aveva vent'anni.

Quarantacinque anni di volo!

Aveva detto bene ad un giornalista romano: « venga a trovarmi: a casa mia troverà tutti i cinquanta anni dell'Aviazione italiana! ». E quegli andò e trovò davvero una documentazione impressionante: trovò tutte o quasi le glorie dell'Aviazione italiana in grandissima parte legate ad un nome: « Mario De Bernardi ».

No! non può esser morto! è restato nel cielo, perché qualcuno l'ha chiamato; scenderà presto e lo rivedremo disegnare di nuovo arabeschi contro sole... purché non gli vada incontro quella legione di Eroi che sono gli aviatori italiani e stranieri scom­parsi da cinquant'anni in qua! Mario li ha conosciuti tutti, e se si ferma con ciascuno di essi a ricordare dei voli, dei combattimenti, delle gare, delle compe­tizioni, dei raduni, delle vittorie, degli incidenti, de­gli episodi succedutisi in questi dieci lustri... beh! allora non lo rivedremo più davvero, e dovremo ri­cordarlo e onorarlo nel Sacrario degli Eroi.

 

 

Le principali tappe della carriera del grande aviatore

1913 Entra alla Scuola Volontari di Aviano.
1914 Il 15 gennaio consegue il brevetto di pilota aviatore.

1915 E' alla Scuola Militare di Modena e no­minato S. Tenente in S.P.E.
1916 Inviato alla 75.a Squadriglia da caccia concorre all'abbattimento di un aeroplano nemico, gli viene concessa la medaglia di bronzo al V.M..
1917 Compie il primo volo postale aereo. Batte il primato nazionale d'altezza, con aeroplano Ansaldo, superando i 7000 metri senza ossigeno.

1918 Da gennaio alla fine della guerra è al­la 91.a Squadriglia « SPAD », prende parte a numerosi combattimenti, ab­batte 4 apparecchi in volo, e ne di­strugge 5 a terra in collaborazione con altri piloti. Gli viene concessa la medaglia d'argento al V. M..
1925 Il 5 maggio, sul campo di Montecelio batte il primato mondiale di velocità, con carico di 250 chilogrammi, su ae­roplano Fiat C.R.l. alla velocità media di 254,123 Km, ora.

1926 Il 13 novembre vince a Norfolk (USA) la gara per la Coppa Schneider, su idrocorsa
Macchi-Castoldi « M.39 », motore Fiat A.S.2, alla media di 396,682 km-ora. Nello stesso volo bat­te i primati di velocità su 100 e su 200 chilometri. Batte il' primato assoluto di velocità alla media di 418 km/h.

1927 Il 4 novembre, a Venezia, batte il pri­mato mondiale assoluto dl velocità su circuito chiuso
su idrocorsa Macchi Castaldi « M.52 », motore Fiat A.S.3, alla media di 476,290 Km/h.

1928 Il 30 marzo, a Venezia, sullo stesso percorso in circuito chiuso, batte ancora il primato mondiale assoluto di velocità, con lo stesso apparecchio e motore, alla media di 512,766 Km/h.

1931 Il 10 settembre viene giudicato vinci­tore delle Gare Internazionali di acro­bazia a Cleveland (USA) su sei nazio­ni concorrenti.

1932/33 Inventa e brevetta in tutto il mondo un « sistema di guida per aeromobili a comandi riuniti »; ed un corret­tore di rotta per la guida automatica degli aeroplani senza pilota » (radio comandati).

1933 Il 10 luglio compie il collegamento Milano - Mosca, in unico volo, alla me­dia di 232 Km/h, con cinque persone, su aeroplano Caproni Ca.111.

1934 Ai primi di gennaio è in Cina, con un aeroplano d'alta acrobazia C.113, per promuovere le industrie aero­nautiche italiane.
1940 Collaudo del motoreattore Caproni-Campini C.C.1, con regolare decollo, volo ed atterraggio.
1941 Il 30 novembre, vola col Caproni-Cam­pini, da Milano a Roma.
1941-45 Collaudi e trasporti di aeroplani bellici.
1946-55 Partecipa a tutte le competizioni e raduni sportivi e turistici italiani, classificandosi spesso ai primi posti. Nel 1950 vince il 2 Giro Aereo Internazionale di Sicilia.
1955 Il 12 dicembre presenta sull'aeropor­to dell'Urbe, il suo aeroscooter che vie­ne da tutti chiamato « Libellula ».
1956 Compie quarant'anni di volo.
1959 L'8 aprile termina la sua vita, alla guida del suo velivolo che riporta e terra nonostante il
mortale malore che lo ha colpito in volo.

 

 

TRE SIGNIFICATIVE DECORAZIONI

 

MEDAGLIA DI BRONZO AL VALOR MILITARE

« Per primo, attaccava arditamente a breve distanza un apparecchio nemico sul cielo di Verona e, colpendolo in varie parti vitali, lo costringeva ad abbassarsi, permettendo così ad altri dei nostri di unirsi al combattimento e determinare l’abbattimento definitivo dell'avver­sario ».

Cielo di Verona, 27 giugno 1916.

 

MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE

« Pilota da caccia abilissimo ed audace compiva nu­merosi voli, che erano veri atti di valore. Ripetute volte, in servizio di scorta a nuclei da bombardamento, con zelo ed abilità mirabili li liberava da situazioni difficili, attaccando intere pattuglie nemiche. L'11 settembre 1918 nel cielo di S Lucia in Pieve, il 17 settembre 1918 nel cielo di Mandra, il 3 ottobre 1918 nel cielo di Susagana, attaccava apparecchi nemici, e in strenui duelli tre ne abbatteva, costringendo il superstite alla fuga. Nella no­stra offensiva finale si distingueva per arditissimi mitragliamenti, concorrendo in una speciale circostanza a di­struggere cinque velivoli nemici in partenza dal campo della Comina. In un’altra di tali azioni, avuto gravemente colpito il velivolo, non desisteva dal combatti­mento, se non quando altre aggiustate raffiche di mitra­gliatrici antiaeree, avendogli gravemente danneggiato il serbatoio dell'apparecchio, lo costringevano a precipitosa discesa ».
Cielo del Piave e del Tagliamento Ottobre-Novembre 1918.

 

MEDAGLIA D'ORO AL VALORE AERONAUTICO

« Pilota militare dal 1913, collaudatore ardito, tecnico a sperimentatore di elevato capacità, contribuiva efficacemente al potenziamento dell'Aeronautica italiana.

Detentore dei primati mondiali di velocità e di alta acrobazia, vincitore della Coppa Schneider e dei trofeo internazionale Harmon nel 1927, concorreva validamente ad elevare sempre più il prestigio dell'Ala Fascista. Incaricato di portare in volo un nuovo tipo dì aeroplano i cui principi di propulsione erano per la prima volta tentati nel mondo, superava le incognite notevolissime presentate dalle ardue prove, con tecnica pari all'audacia, dimostrando sereno sprezzo del pericolo, dedizione altis­sima intesa a dotare la Patria in armi di un nuovo potente strumento di vittoria ».

Milano, settembre 1940

 

 

“Rivista Aeronautica” del dicembre 1941 dedica un servizio fotografico al volo Milano – Roma del Campini Caproni CC.2, lo riportiamo integralmente con le didascalie originali che accompagnano le immagini.

 

 

 Mario De Bernardi

IL VELIVOLO A REAZIONE “CAMPINI – CAPRONI”. SULLA PRUA CHE PER LA MANCANZA DI ELICA HA UNA FORMA INCONSUETA È LA BOCCA DI ENTRATA DELL’ARIA

 

 

 Mario De Bernardi

IL VELIVOLO “CAMPINI – CAPRONI” A REAZIONE VOLA SULL’URBE

 

 

 Mario De Bernardi

IL VELIVOLO A REAZIONE “CAMPINI – CAPRONI”.ALL’ESTREMITA’ DELLA CODA SI NOTA LA BOCCA D’USCITA DEI GAS IN ESPANSIONE CHE PRODUCONO LA SPINTA REATTIVA

 

 

 Mario De Bernardi

IL PILOTA DE BERNARDI E IL SUO PASSEGGERO ING. PEDACE SUBITO DOPO L’ATTERRAGGIO A GUIDONIA CON IL VELIVOLO A REAZIONE “CAMPINI – CAPRONI” COL QUALE ERANO GIUNTI DA MILANO

 

 

 Mario De Bernardi

IL PILOTA DE BERNARDI E IL SUO PASSEGGERO ING. PEDACE CON I MENBRI DELLA COMMISSSIONE DELLA R.U.N.A. CHE HA OMOLOGATO IL VOLO DEL VELIVOLO “CAMPINI – CAPRONI” DA MILANO A ROMA

 

 

 

CREDITI
Volo mensile di vita aeronautica aprile 1959
Rivista Aeronautica
dicembre 1941 anno XVII n.12
Giorgio Evangelisti Un’aquila nel cielo. Mario De Bernardi. La vita, le imprese Editoriale Olimpia, Sesto Fiorentino1999

http://www.squadratlantica.it/