Volare è passione e vocazione, che riempie di sè una vita.
Adolf Galland
Ricordi di idroaviazione
RICORDI DI IDRO AVIAZIONE 1909-1921
Questo brillante ed arguto articolo che riassume gli anni di formazione dell'aeronautica, mostra chiaramente quanta opera abbia dato il generale Guidoni alla nascente aviazione italiana e quale opera di genio abbia continuato a darle durante la guerra e dopo.
Moltissimi furono gli studi e le esperienze che furono ideati ed effettuati direttamente o sotto la direzione del Guidoni. Particolarmente lo sviluppo dell'idroaviazione ed il problema del lancio dei siluri da bordo degli aerei furono specialità nelle quali egli eccelse. Questo articolo è una documentazione di tale importanza che serve da solo a ragguagliare il lettore sullo sviluppo dell'aeronautica italiana dagli albori a dopo la fine della grande guerra.
Può essere interessante ritornare sul passato dell'aviazione in Italia e specialmente dell'idro aviazione, la quale, per motivi diversi è stata forse un po' ignorata.
I voli dei fratelli Wright e Delagrange del 1908 svegliarono l'attenzione di parecchi dì noi tecnici.
Da un lato Crocco e Ginocchio, dall'altro Calderara ed io iniziammo studi con indirizzi diversi.
Imbevuto ancora degli insegnamenti delle scuole d'ingegneria e spinto dall'analogia esistente con la vasca Froude, la mia prima preoccupazione fu quella di costruire un apparecchio di ricerche
aerodinamiche, e così nel 1909 possedevo un piccolo aerodinamometro a rotazione, che mi permetteva di fare ricerche su superfici e su eliche, determinandone i coefficienti e le caratteristiche.
Si trattava di uno strumento un po' primitivo, perchè non permetteva di raggiungere che una velocità dì 15-20 metri al secondo. Però le forze, gli spazi, i tempi, il numero di giri vi erano registrati con continuità mediante diagrammi, cosa che neppure oggi si può ottenere nei migliori impianti.
Nel 1910 la Marina autorizzava la costruzione di un primo aeroplano. Come molti tecnici di allora, io mi preoccupavo molto di alcuni particolari e specialmente della sicurezza del volo. Così il nuovo apparecchio aveva la stabilità automatica longitudinale e laterale, un'elica a riduzione di giri con trasmissione, ciò che richiedeva meccanismi complicati e pesanti.
L'apparecchio fu costruito nel 1910, ma, al momento di provarlo, ebbi il buon senso di capire che per progettare gli aeroplani, a quell'epoca almeno, era necessario aver volato ed aver pilotato. ed in ogni modo era conveniente vedere quello che avevano fatto gli altri. Così, senza grande stento, ottenni dal Ministero di prendere il brevetto di pilota di Farman, ciò che feci nell'agosto 1911. Il mio brevetto costò ben 1.200 lire.
In quei tempi, forse perché gli apparecchi erano più facili, e forse perché vi erano meno esigenze, i brevetti di pilotaggio erano ottenuti in poche ore di lezione. Ricordo in tutto di aver preso 12 lezioni di 10 minuti col pilota istruttore, e di aver fatto quattro voli da solo, prima del brevetto.
Anche dopo il brevetto non conoscevo il volo librato, non sapevo che alcuni apparecchi, come il Farman, virando a destra cabravano. Ma, come ho detto, non si andava tanto per il sottile. Non esistevano doppi comandi, prove elastiche, prove statiche; l'allievo sporgendosi, poteva manovrare per pochi istanti la leva dei timoni longitudinali e laterali quando l'istruttore lo permetteva; il movimento del timone verticale lo imparava rullando. Poi, dopo due linee rette, giro a sinistra, giro a dritta si era pronti per il brevetto.
Intanto ero andato trasformando il primitivo apparecchio in idro, gettando ai ferri vecchi la manovra automatica.
Dopo diverse prove infruttuose e qualche bagno, il 5 novembre 1911 ebbi la soddisfazione di fare un breve volo, che può essere forse considerato come il primo volo di idrovolante in Italia. Si noti che non avevo mai pilotato idrovolanti, e che al primo atterraggio non sapevo troppo che cosa sarebbe accaduto. Ma tutto andò benissimo.
Da quel momento potei dedicarmi finalmente con maggiore cognizione di causa alla costruzione dei nuovi apparecchi, tutta una serie dei quali, di tipi disparati, poterono essere successivamente costruiti e provati negli Arsenali di Spezia e di Venezia.
Da prima fu un vecchio Farman 1910 con motore di 70 HP, indi passai ad un monoplano molto più veloce, coll'identico motore.
Il vecchio Farman ebbe una vita avventurosa; fu perfino in Libia nel gennaio 1912, dove, dopo un volo movimentato su Ain Zara, perdeva il carrello su una dunetta di sabbia.
Ricondotto in Italia, mi servì fino al 1913 .per moltissime esperienze, era costato 6.000 lire e dovetti demolirlo alla fine, per sottrarlo ai dileggi dei nuovi piloti che lo chiamavano la stia. In volo era piacevolissimo; soltanto si vedevano i longheroni di buon frassino inflettersi con freccie da 30 a 40 mm. Ma, come ho detto, allora non ci si badava perché non esistevano i coefficienti di sicurezza.
Intanto a Spezia ci eravamo costruiti due hangars metallici: la casa, come diceva scherzando il colonnello Rota.
Il monoplano era molto veloce! Credo che facesse almeno 100 km. orari. Durante un volo a pochi metri di altezza, per la rottura di un bullone, cedettero le due ali contemporaneamente. Ma il sistema galleggiante permise l'atterraggio senza danni.
E' anche interessante vedere come l'elica dei biplani, propulsiva, era messa in moto a mano; era allora mio motorista il capo tecnico Viglietti.
Dal suo canto il Comandante Calderara con un motore di 100 HP. faceva delle belle prove a Spezia. Ricordo che questa potenza era allora considerata dai competenti come esuberante, e ricordo anche il compatimento col quale si circondavano i progetti e le previsioni del Calderara, che ebbe un giorno l'audacia di preconizzare apparecchi con due motori da 100 HP.
Si aggiungeva alla schiera dei costruttori navali l'ing. Pegna, anche egli impegolato in questioni di stabilità automatica.
Passato nel 1912 all'Arsenale di Venezia, il Pegna rimase all'Arsenale di Spezia a continuare le sue prove.
Il Comandante Ginocchio, che si era separato dal colonnello Crocco, dopo alcune prove a Vigna di Valle con un apparecchio anche esso dotato di stabilità automatica, aveva costituito a Venezia la prima squadriglia S. Marco, ed una specie di stabilimento sperimentale di idro aviazione, dove preparava il suo apparecchio con motore Salmson di 90 HP. Sino ad allora tutte le possibilità tecniche, che poi vennero mano mano applicate, apparivano ai nostri occhi e venivano realizzate entro i limiti che i mezzi ed i superiori permettevano. Infatti allora l'aviazione era ancora considerata come una specie di trastullo. I piloti poi godevano cattiva fama ed erano appena tollerati.
Se poi gli ufficiali appartenevano a corpi nei quali non vi fosse esuberanza di personale — e purtroppo il Genio Navale era uno di questi — essi erano costretti anzitutto a compiere il loro servizio normale, salvo poi ad occuparsi nei ritagli di tempo del volo e delle costruzioni aeronautiche. Non mancavano fra i superiori mediati ed immediati le menti aperte che vedevano un avvenire nella nuova scienza, specialmente dal lato militare, e ricordo i nomi di Thaon de Revel, di Garelli, di Rota, di Russo ed altri ancora, che erano larghi di mezzi, di aiuto e di consigli, ed avevano fede anche quando i risultati non erano completamente favorevoli. A quel tempo infatti la deficienza di potenza dei motori era tale che la questione più importante per ogni nuovo apparecchio era quella di riuscire a volare oppure non. Gli apparecchi erano caricati quasi tutti a 10 - 11 kg. per HP.; non solo, ma i motori che nei primi tempi di loro costruzione davano dei rendimenti discreti, si riducevano dopo poche ore di volo a potenze ancora inferiori.
Malgrado questo, le pretese erano molto più gravi di quelle odierne. I problemi della stabilità automatica di volo, dell'atterraggio in mare ondoso, dell'alto rendimento dei propulsori, obbligava a soluzioni complicate e laboriose che oggi sono completamente abbandonate, accettandosi invece il postulato che l'apparecchio di volo non deve preoccuparsi troppo del mare supplendo con l'esuberanza di potenza alla deficienza di rendimento.
Nel 1912 studiavo i primi apparecchi ad ala ad armatura interna che soltanto alcuni anni più tardi dovevano trovare in Germania il costruttore Junkers che li realizzasse.
L'idea doveva venire naturalmente ad un ingegnere navale, abituato a strutture analoghe nelle navi e nei sommergibili. Il monoplano aveva il fasciame delle ali, della fusoliera e del galleggiante del tipo monocoque a strati sottili di legno separati da tela e insieme ribaditi.
Le armature delle ali erano metalliche. Fu iniziata la fusoliera, ma poi venne ordine di sospendere il lavoro.
Questo apparecchio, con opportune modifiche, si presenterebbe anche oggi come molto interessante ed è strano che nessun costruttore abbia ripreso l'idea.
Crocco, Ginocchio ed io eravamo favorevoli all'adozione di galleggianti con alette idroplane; anche Calderara le adottò nel suo apparecchio. Il separare la funzione del sostentamento idro dinamico da quella del semplice galleggiamento ci pareva allora molto interessante. Io ricordo di aver pilotato quasi esclusivamente apparecchi con galleggianti ad alette, che certamente avevano reali vantaggi sui comuni galleggianti a fondo piatto; ma, non mancavano gli inconvenienti.
Su tutti gli idro da me costruiti e pilotati, che andavano da 600 a 3500 kg. di peso, da 70 a 400 HP. di potenza, da 7o a 130 km, orari, ho potuto notare la grande dolcezza di atterramento con- ferita dalle alette, specialmente con mare un po' ondoso.
L'unico inconveniente si è la difficoltà di tirare a terra o mettere in mare gli apparecchi e la impossibilità di decollare quando vi siano erbe o alghe galleggianti. Credo poi che per apparecchi velocissimi le alette dovrebbero essere studiate e lavorate con cura speciale.
Sino da quell'epoca io ero restio a vedere andare in giro apparecchi portanti il mio nome, conscio dei guai che la paternità di un velivolo può procurare ad un Ufficiale.
Perciò preferivo applicare i miei' galleggianti ad apparecchi già noti; inoltre ne ho sempre sconsigliato l'adozione, contentandomi di usarli personalmente.
Nel 1912-1913 trasformai un monoplano Borel e poi un piccolo biplano con motore Gnome da 8o HP; quest'ultimo era molto maneggevole, sicuro, aveva 4 ore di autonomia e poteva portare un passeggero.
I galleggianti erano in lamiera di alluminio, divisi in io compartimenti stagni e perciò di una sicurezza a tutta prova.
Nel 1912 un Avvocato, il sig. Pateras Pescara, proponeva alla Marina l'idea dell'idrosilurante. Occorreva a quel tempo una buona dose di previsione e di fiducia nell'Aeronautica per concepire un simile apparecchio. Probabilmente se esso fosse stato proposto da un tecnico non sarebbe stato accettato. Invece la Marina annuì all'idea e mi incaricò di realizzarla.
Si noti che nel 1912 i massimi pesi lanciati dagli aeroplani non erano superiori a 10 kg. Eppure io ritenni la cosa fattibile, e, come sempre ho fatto in simili circostanze, cominciai a provare praticamente se era possibile aumentare il peso di lancio. Col vecchio e fido Farman potei successivamente lanciare dei pesi di piombo sino a 8o kg., che era il massimo che si potesse portare con un vecchio motore di 60 HP. (vedi Rivista Marittima » ottobre 1913) e così potei rispondere con sicurezza, con la prova dei fatti, a quelli che ostacolavano il nuovo idrosilurante. Infatti l'apparecchio Farman pesava in tutto 500 kg., ed era presumibile che con un idrosilurante di 3000 kg. il volo non fosse disturbato dal lancio di un siluro di 450 kg.
L'idrosilurante P. P. ebbe qualità e caratteristiche forse notevoli per l'epoca in cui fu costruito, tanto che in seguito vennero in parte adottate. I due motori erano in tandem con eliche a contatto, in modo da realizzare un notevolissimo rendimento. Questo obbligava però a strutture molto complicate per collegare le ali coi galleggianti. I galleggianti erano laterali, in legno, con alette di acciaio. Era veramente pregevole la leggerezza di detti galleggianti, perchè con un volume di 5 metri cubi ciascuno pesavano soltanto 150 kg. L'apparecchio aveva due motori Gnome rotativi da 200 HP. con 18 cilindri ciascuno. In realtà essi davano non più di 160 HP. e così in totale 320 HP. Tutta la struttura dell'apparecchio era metallica, comprese le ali in alluminio foderate di tela.
Era il più grande monoplano che si fosse mai costruito perché passava i 22 metri di apertura. Soltanto nel 1914 si potettero avere i motori; l'apparecchio poté decollare regolarmente, e giunsi anche a lanciare un simulacro di siluro di 375 kg. di peso. Fu questo il primo lancio mai tentato ed eseguito, ed ebbi ad accorgermene quando, giunto agli Stati Uniti, mi vidi promosso all'onore di essere il primo idro-siluratore del mondo, come, con l'entusiasmo così facile degli americani, mi si chiamò sulle riviste e sui giornali.
Effettivamente — lo seppi più tardi — le nostre prove di Venezia ebbero una grande ripercussione all'estero, dove la questione dell'idro-silurante appassionava tecnici e piloti.
Queste prove di lancio ripetute molte volte, credo una ventina, mi hanno persuaso della facilità di eseguire il lancio a bassa quota. Io ho sempre lanciato da altezze di 2 o 3 metri come si vede dalle fotografie; una volta anche a 80 centimetri e non ne ho mai avuto danno all'apparecchio. Quindi le preoccupazioni di taluni piloti di fare il lancio da meno di 10 metri sono fuori posto.
E' vero che mi ero abituato a volare a bassissima quota per lunghi tratti, per esercitarmi in questi lanci.
Le prove furono interrotte da un mio imbarco sulla prima nave appoggio della nostra flotta, la Regia Nave « Elba ».
Credo che con piccole modifiche e con motori adeguati l'apparecchio avrebbe dato buoni risultati anche durante la guerra. Ma l'impazienza non permetteva in quei tempi di arrivare ad una conclusione. Si può dire che non era ancora messo in costruzione un apparecchio che già lo si demoliva a parole.
Spesso erano i rappresentanti di Ditte straniere che vedevano di mal'occhio i nostri lavori e che iniziavano la solita campagna di demolizione. E pensare che il mondo è così grande che vi sarebbe lavoro per tutti!
Ricordo a questo proposito che il Com. Ginocchio non poté nemmeno finire il suo apparecchio con motore Salmson di 90 HP. Fui incaricato io di provarlo. Non volle decollare per deficienza di superficie idroplana. Proposi di aumentarla, ciò che avrebbe richiesto un piccolo lavoro, ma si preferì abbandonare l'apparecchio, che pure aveva caratteristiche interessanti, molti particolari essendo stati studiati dal Col. Crocco. I longheroni delle eliche erano metallici ed il galleggiante era irrobustito da una trave metallica.
Intanto l'idro Pateras Pescara, dopo qualche modifica, veniva messo fra i ferri vecchi.
Sull'« Elba » eravamo imbarcati l'eroico Garassini ed io, con un Farman originale e due idro ad alette; uno di questi con motore Gnome di 100 HP. monovalvola era stato costruito su miei disegni dalla Ditta Zari per 1000 lire. Molto analogo al Sopwith e all'Hanriot idro, faceva i 40 km/ h. Era maneggevolissimo e decollava con grandissima facilità.
L'« Elba » partì da Venezia per Taranto; col suo ponte, l'hangar ed il picco di carico aveva uno strano aspetto, poco marinaresco. Il Com. De Filippi ne era però contentissimo. Il secondo era Giulio Valli.
A Taranto piombammo in pieno fervore di guerra. S. A. il Duca degli Abruzzi aveva preso il comando, ed era tale l'ascendente che egli esercitava su tutti che l'attività più intensa regnava.
Nella squadra, a Taranto, non fummo molto fortunati. Alcuni incidenti di materiali limitarono i nostri voli.
All'infuori di questi dispiaceri il soggiorno era piacevolissimo. Valli era un ottimo superiore pieno di iniziative: ci era maestro cortese, senza pedanterie. Ho il rimorso di avergli fatto prendere un bagno intempestivo al ritorno di un volo in Mar Grande. Avevamo avvistato un grande campo di mine; lieto del risultato passai in volo sotto il ponte girevole ma 10 secondi dopo, nel virare per atterrare, l'apparecchio scivolava d'ala ed era ridotto in pezzi proprio sotto il bordo dell'« Elba ». Valli sempre allegro dirigeva il recupero stando in acqua. Tutto finì in una colazione a base di ostriche agli Stagnoni.
Nel Gennaio 1915 lasciavo temporaneamente la parte sperimentale dell'aviazione per un lavoro urgentissimo: la nave appoggio idrovolanti « Europa ». Thaon de Revel aveva capito l'importanza di una nave di questa specie nella prossima guerra.
In tre mesi la nave fu progettata e costruita. Andai io stesso a Spezia a dirigere i lavori. Ricordo che le grandi tettoie degli hangars della nave vennero costruite interamente a terra e poi sollevate in un sol pezzo e montate a bordo sulle colonne di sostegno. Negli Arsenali vi sono mezzi potentissimi di lavoro, e per questo noi ingegneri navali, abituati a ben altre difficoltà nelle navi da guerra, abbiamo sempre considerato un po' l'aviazione e l'aeronautica come un campo d'azione molto più facile.
Questo non impediva a noi Ufficiali del Genio Navale di apprezzare i colleghi dell'Esercito e anche d'invidiarli perché potevano occuparsi liberamente e interamente di aeronautica. Ricordo che si conoscevano per fama Crocco, Ricaldoni, Costanzi, Verduzio e tanti altri: durante la guerra si strinsero amicizie personali e anche collaborazioni.
Essi ci tennero però sempre a rispettosa distanza dai dirigibili, che pure presentavano per noi maggiore affinità. Ricordo che un nuovo progetto di dirigibile rigido fu bocciato nel 1917 dall'allora Stabilimento di Costruzioni Aeronautiche perché mancavano sul disegno le crociere d'irrigidimento delle campate.
A Venezia era rimasto a quell'epoca l'ing. Bresciani, che con l'ing. Magaldi disegnava e costruiva un trimotore da bombardamento, il quale alle prime prove sollevò le più grandi speranze nonché 1500 kg. di carico. Senonchè, mentre già era avviata la serie, in un volo di prova Bresciani e tre compagni restavano vittime.
Fui mandato da Thaon de Revel subito a Venezia a continuare i lavori. Ebbi a compagni l'ing. Leveratto ed il pilota Rossi, ma i nostri sforzi a nulla riuscirono. L'apparecchio di serie molto più pesante del campione non ne aveva affatto le qualità. L'apparecchio fu abbandonato dopo aver tentato ogni mezzo ed ogni modifica per migliorarlo.
Per una di quelle fortunate combinazioni che talvolta Si danno, poco prima dell'inizio della guerra l'aviazione della Marina aveva commesso alla Ditta Albatros, 3 Albatros con motore Mercedes di 100 HP. Gli apparecchi furono consegnati nell'aprile 1914, pochi giorni prima dell'apertura delle ostilità. E' noto che il motore Mercedes, dato in prestito a nostre Ditte, permetteva loro di iniziare quelle costruzioni di motori d'aviazione senza le quali la nostra aeronautica nulla avrebbe potuto durante la guerra. Purtroppo durante la guerra le esperienze e le prove erano definitivamente chiuse, almeno negli Arsenali, e così esse erano lasciate unicamente alle Ditte costruttrici; però detti ancora qualche consiglio nel 1918-1919-1920 per trasformazione di aeroplani in idrovolanti: l'Isva, il Ca. 600, il Ca. trimotore e poi il grandissimo Caproni triplano. Questo ultimo che ha volato, o almeno decollato con un peso di i 8 tonnellate è il più grande idro che abbia mai lasciato la superficie dell'acqua.
Con una larghezza di galleggiante di m. 2,50 il decollaggio fu ottenuto molto facilmente, e questo grazie all'aggiunta di superfici idroplane laterali. Questo sistema, al quale si dovrà necessariamente ricorrere nel caso si debbano costruire degli idrovolanti di oltre 12 tonnellate, può considerarsi praticamente soddisfacente.
Con compiacimento può riandarsi questo periodo di intensa preparazione tecnica della nostra idro aviazione, sia per i risultati raggiunti con minimi mezzi, sia perché nel quadro internazionale della produzione dei nuovi tipi, l'Italia poté figurare degnamente.
I migliori rapporti e scambi frequenti di vedute erano tenuti infatti coi principali costruttori esteri, relazioni e rapporti che, mentre valevano a far conoscere i nostri lavori all'estero, integravano le nostre idee e permettevano di mantenere i lavori all'altezza di quelli esteri.
Si deve ammettere che per alcune concezioni eravamo forse più avanti degli altri, ma mancò la fiducia in noi stessi, e forse talvolta quella di chi doveva dirigere.
Non parlo delle interminabili discussioni che durante i lavori intervenivano. La lotta fra il monoplano ed il biplano, fra il nuovo galleggiante e il bigalleggiante, fra il plurimotore e il monomotore si svolgeva a colpi di argomenti e di prove, perché è doveroso riconoscere che tutti noi eravamo imbevuti di un rispettoso volume di teoria, ma preferivamo non limitarci ad essa, e sopratutto applicarla e verificarla a mezzo di prove pratiche.
Il volo costituiva per noi una grande attrattiva, anche senza speciali compensi; e quasi tutti pilotammo noi stessi i nostri apparecchi. Basti ricordare che su una decina di ingegneri, otto almeno avevano il brevetto di pilota.
Questo punto è un po' controverso, specialmente al giorno d'oggi. Sta di fatto però che l'aviazione non avrebbe avuto in pochi anni i progressi che si sono verificati se i primi costruttori non avessero avuto fede nei loro apparecchi e non li avessero condotti per le vie dell'aria. Ricordo i nomi di Wright, Curtiss, Bleriot, Nieuport, Farman, Breguet, Short all'estero, tra i quali vi sono tecnici valentissimi, che sono stati i guidatori delle loro macchine. E' evidente che non è oggi strettamente necessario che il progettista di un apparecchio sia pilota; però ciò è molto utile perché un solo minuto di volo può dare maggiore insegnamento e maggiore esperienza di anni di tavolino e di studi.
Se al principio della guerra le esperienze erano state bandite negli ultimi mesi invece esse ebbero un grande impulso. Thaon de Revel, che con la sua tenacia aveva permesso all'ing. Rossetti di realizzare la sua idea da tutti definita pazzesca, dette spesso egli stesso le direttive per nuove armi. Ricordo qui l'aeromina da blocco, la grande mina galleggiante da 6000 tonnellate e anche la tele-bomba, la quale, presentata nel 1916 e rimandata come non interessante, fu ripresa nel 1918 col Col. Crocco e tradotta in atto al morire della guerra.
Oggi il campo dell'idroaviazione assume ogni giorno sempre maggiore importanza. I mezzi tecnici sono incomparabilmente superiori a quelli di io anni or sono, ed è da augurarsi che l'entusiasmo che ci guidava nei primi passi di questa nuova scienza sia trasfuso in coloro che possono considerarsi come i nostri continuatori.