Uomini

Carlo Emanuele Buscaglia

Carlo Emanuele Buscaglia

 

Carlo Emanuele Buscaglia

Il Magg. Carlo Emanuele Buscaglia, rientra da una sua vittoriosa azione.

 

 

Carlo Emanuele Buscaglia

di Silvio Platen

 

 

 

I SILURI VENGONO ANCHE DAL CIELO

 

Quando nel, 1866 un ufficiale della marina austro-ungarica, il comandante Luppis, fiumano, insieme all'ingegnere inglese Whitehead, presentava alle autorità imperiali austriache un congegno « a percorso subacqueo, che, azionato da una mac­china ad aria compressa, aveva assunto la forma di un fuso munito di un piano verticale, stabilizzatore per quasi tutta la sua lunghezza » e che per essere mantenuto alla profondità voluta, era provvisto di un « piatto idrostatico che manovrava due timoni orizzontali », quell'ufficiale era convinto di avere escogitato un ordigno di natura essenzialmente marittima, una arma, insomma, destinata ad operare sul mare e sotto il mare. Un grande ammiraglio italiano, Simone Pacoret di Saint Bon, battezzò poi quel nuovo ordigno, ulteriormente perfezionato, con una parola che, in questi anni di guerra, è continuamente all'ordine del giorno: siluro. Ma anche lui pensava che il siluro avrebbe portato l'offesa al nemico sempre venendo dal mare e dal mare soltanto. L'arma nuova era, in ultima analisi, l'ul­tima veste del brulotto: un brulotto modernissimo, senza dub­bio, ma nascente dallo stesso principio. Portare cioè, nel com­battimento navale, il colpo decisivo e,definitivo: compire l'ope­ra del cannone. Perché il brulotto era, come scrive un nostro ammiraglio, « una barca più o meno grande, stipata di materie incendiarie d'ogni genere, che portata da uomini audaci sotto il bordo di una nave in legno e incendiata all'ultimo momento, comunicava il fuoco al sartiame e allo scafo ». Poi le navi non furono più in legno, cominciarono ad avere lo scafo metallico. Il brulotto doveva non soltanto appiccare la fiamma, ma sfon­dare le carene delle navi, provocare insomma dei danni ben più gravi. E allora si ebbero dei brulotti un po' più perfezio­nati: cioè le torpedini ad asta. Queste erano sistemate all'estre­mità di un lungo palo sporgente dalla prua di una veloce imbarcazione che doveva arrivare inavvertita sotto bordo della nave nemica. La torpedine, carica di appena pochi chilogram­mi di esplosivo, doveva venir appoggiata alla carena avver­saria e fatta esplodere per mezzo di pile elettriche. Un sistema ingegnoso, ma pericoloso. Prima di arrivare al siluro, il coman­dante Luppis aveva: sperimentato anche qualcosa di diverso: un « salvatore delle coste » che, a malgrado della denomina­zione romantica, era soltanto una specie di barchino carico di esplosivo, che scoppiava all'urto, aveva una vela di vetro per rendersi invisibile ed un timone manovrato dalla riva. Il che voleva dire non allontanarsi da terra più di un paio di centi­naia di metri e sempre in superficie. Quando al « salvatore delle coste » viene applicato un motorino, e poi, ancor meglio, una piccola macchina a vapore, con una caldaia a petrolio, siamo già al primo passo verso il siluro.

 

Carlo Emanuele Buscaglia 

Malgrado la violentissima reazione nemica, silura una nave da battaglia che si corica su un fianco con la carena squarciata.

 

« Il siluro — dice l'ammiraglio degli Uberti — è un som­mergibile, anzi un sottomarino, in cui l'intelligenza dell'equi­paggio è sostituita dal giroscopio che manovra il timone verti­cale che lo mantiene nella direzione che abbiamo stabilita; dal piatto idrostatico che, insieme col pendolo, lo mantiene alla voluta profondità, così come fa il timoniere orizzontale del som­mergibile; dalla leva di registro che apre, al momento oppor­tuno e non prima, le valvole della immissione dell'aria com­pressa nei motori alla pressione giusta, con l'ausilio del getto di fiamma che riscalda l'aria per sfruttarla meglio e più a lun­go; dalle due eliche coassiali che girano in senso inverso... ». I primi siluri avevano un calibro di millimetri 356; pesavano 136 kg., erano lunghi circa 3 metri e mezzo, portavano una  carica di scoppio di 18 kg., avevano una traiettoria massima dì 650 metri ed una corrispondente velocità di 11-12 km.

Si era ben lontani dai 533 millimetri di calibro, dai 1600 kg. di peso, dai 7,20 metri di lunghezza, dai 270-300 kg della ca­rica di scoppio, dalla traiettoria di 12.000 metri, dalla velocità di 55 km., (che diventa per 4000 metri di km. 92,600 e per 3000 metri di km.. 96,900) dei siluri d'oggi ! Si è lavorato indefessamente, intorno a questi micidiali ordigni, dal tempo del coman­dante Luppis e dell'ing. Whitehead, fino ad ora; e si continua a lavorare per renderli sempre più perfezionati e potenti.

Ordigni di tal sorta non potevano essere affidati che a navi pronte a gittarsi sempre allo sbaraglio. E li ebbero infatti le torpediniere: quelle navi basse, veloci, (facevano 20 miglia all'ora, alla fine dell'800 e ai primi del '900 e parevano volare sul mare) che apparivano come scuri fantasmi a quasi mezzo chilometro dalle navi alla fonda o in moto, lanciavano e fug­givano. Con esse il siluro cominciò a diventare cosa assai pericolosa e a far riflettere seriamente gli ammiragliati e di conseguenza i costruttori navali. Poi vennero navi ancor più insidiose: i sommergibili e parvero reclamare per se il mono­polio del siluro. Ma un nuovo mezzo rappresentante la defi­nitiva conquista dell'aria da parte dell'uomo comparve ben presto: l'aeroplano. E i siluri cominciarono a piovere anche dal cielo.

Per comprendere questo passaggio del siluro dall'acqua all'aria, non bisogna dimenticare che esso, ancor oggi, ha la scia visibile. Quella scia bianca sull'azzurro del mare, è il segnale d'allarme per l'unità minacciata. Essa non sempre passa inavvertita agli occhi ansiosi delle vedette che scrutano conti­nuamente l'orizzonte e permette al comandante abile di mano­vrare per evitare l'urto. Il problema principale, allora, divenne quello di rendere il più breve possibile la corsa del siluro ridurla a qualche secondo appena, perché l'obbiettivo minac­ciato non avesse la possibilità di evitare l'urto. Era necessario che il siluro fosse portato da un mezzo velocissimo, che potesse avvicinarsi ad una distanza minima dal bersaglio, lanciare e ritirarsi, avendo, nella stessa sua velocità, l'arma della salvezza. E questo mezzo fu l'aereo.

Chi pensò per primo ad utilizzare l'aeroplano per il lancio di un siluro, oltre trent'anni or sono, fu proprio un italiano, l'allora capitano del Genio navale Guidoni, il quale studiò « l'adattamento di un aereo terrestre per il trasporto di uno speciale siluro dì peso limitato da lanciarsi da alta quota ». Altri tentativi, nel 1912, furono fatti da parte della marina bri­tannica, ma fallirono tutti, perché la potenza dei motori allora in uso non permetteva il sollevamento dei siluri. Nel 1914 si realizzò l'idea con idrovolanti muniti di motori da 220 cavalli. Nell'agosto 1915 gli aerosiluranti furono impiegati per la prima volta nel Mar di Marmara e affondarono due piroscafi turchi ed un rimorchiatore: uniche navi, queste, affondate coi siluri provenienti dal cielo, dalle forze inglesi nella guerra 1914-18.

L'aviazione germanica, impiegando idrovolanti bimotori, nello stesso periodo bellico, non ottenne risultati più cospicui. Venivano impiegati idrovolanti bimotori: e complessivamente fino al 1917 furono affondate nel Baltico, nel Mare del Nord e nella Manica, un cacciatorpediniere russo, e quattro piroscafi inglesi. Cose modeste: ma grandi furono le conseguenze morali.
Perché il traffico marittimo britannico, che nella fascia di mare intorno all'Isola si sentiva al sicuro dall'offesa subacquea, ora si trovava esposto ai siluri che venivano dal cielo. Furono armati tutti i piroscafi e tre squadriglie da caccia vennero dislo­cate sulla Manica.

In Italia la vecchia idea di Guidoni fu ripresa nel 1917 da Gabriele d'Annunzio, che poté vantarsi di essere stato il primo comandante di una squadriglia di aerosiluranti, che egli chia­mò «siluratori aerei ». Dalle iniziali delle due parole egli trasse il motto della nuova specialità: Sufficit animus che realmente si adattava non soltanto alla pericolosità delle imprese, ma alla pericolosità del volo sui vecchi « Caproni » dell'aviazione navale, molto lontani dalla sicurezza che offrono i moderni apparecchi. Ma la velocità degli aerei di allora non era così alta come quella degli apparecchi odierni : sicché non sorsero pro­blemi grossi per l'attuazione del principio. Non si può dire però che, sia da parte della nostra aviazione come di quella inglese e tedesca, i risultati fossero molto efficaci. L'idea però c'era. Il perfezionamento venne nei ventitre anni posteriori.
Si affermò poi la superiorità degli apparecchi terrestri sugli idrovolanti per effetto del minor peso a vuoto e le conseguenti migliori caratteristiche di volo. Fino a che, alla battaglia di Punta Stilo, del 9 luglio 1940, per la prima volta nella guerra attuale gli aerosiluranti furono impiegati di nuovo e proprio da parte britannica. I risultati li vedremo poi.

Ora « le condizioni in cui il siluro viene lanciato dal veli­volo, se potevano nei primordi dell'impiego aereo quasi iden­tificarsi con quelle del lancio delle unità di superficie (quote modesta e velocità non elevatissima) sono andate col tempo modificandosi radicalmente ».
La velocità dell'aereo è andata enormemente aumentando; le caratteristiche del siluro da esso portato sono andate sempre più, differenziandosi da quelle del siluro navale. Quello aereo, compie, si, in acqua una corsa molto minore di quello navale, ma cade da decine di metri d'altezza, ad una velocità elevatissima, e ha bisogno di una grande robustezza per resistere all'urto violentissimo che, provoca in lui la caduta: d'altra parte, però, non ha bisogno di certi organi interni, di cui è provvisto il siluro navale. Questo gli permette d'essere più semplice, e dalla semplificazione del meccanismi e degli accessori ne guadagna la robustezza. Quanto più questa è maggiore, tanto maggiore può diventare la velocità di traslazione, che coincide praticamente con quella dei velivolo all'atto dello sgancio; o accrescersi la quota di lancio; o, simultaneamente, aumentare tutte e due.

« Il problema non si esaurisce, beninteso, nel solo irrobustimento — scriveva recentemente un nostro tecnico — necessario a sopportare tale maggiore velocità risultante; bisogna anche provvedere alla stabilità del percorso in aria, più lungo e fatto a velocità più alta, e poi alla rapida stabilizzazione del percorso in acqua, dato che il siluro vi giunge con angolo più accentuato (oltre che più velocemente) a causa della maggiore altezza di caduta... ». Sono pochi accenni, questi, ma bastano a far comprendere come sia stata lunga la via percorsa dai tecnici e dagli inventori (sopratutto dai nostri, che in questo campo sono ormai dei maestri) per arrivare a fare degli aero­siluranti le perfette, micidiali armi di questi giorni.

Non solo ma non va dimenticato che non tutti i teorici e i pratici dell'arte della guerra in mare, erano degli entusiasti propugnatori del nuovo mezzo offensivo. Mancava, è vero, l'esperienza grandiosa dell'attuale conflitto. Tuttavia, si credeva che l'aerosilurante fosse molto più facilmente vulnerabile del bombardiere. Contro questo le unità attaccate potevano sparare solo con le artiglierie contraeree, che non possono sempre essere inesorabilmente precise; contro l'aerosilurante, invece, si poteva sparare con tutte le armi di bordo, data la bassa, anzi in certi casi bassissima quota, a cui esso doveva portarsi per il lancio...    

La battaglia di Punta Stilo parve dare ragione a questi avversari dell'impiego dell'aerosilurante. Per la prima volta, quel giorno, 9 luglio 1940, nove di essi cercarono di svolgere la loro missione: che era poi quella di indebolire le nostre forze navali prima che giungessero a contatto con quelle inglesi. Cinque furono abbattuti; e nessun colpo fu messo a segno. Dunque, gli aerosiluranti fallivano il loro scopo? Era, invece, soltanto una questione di esperienza, di addestramento degli equipaggi. E bisogna pur riconoscere che era la nostra di quel giorno, una complessa forza navale, largamente scor­tata. L'aerosilurante sarebbe stato invece efficacissimo: si pre­parava a dimostrarlo, di lì a poco, un tenente di venticinque anni, che 14 giorni dopo la battaglia di Punta Stilo, veniva trasferito al nostro primo reparto d'aerosiluranti il novarese Carlo Emanuele Buscaglia.

 

 Carlo Emanuele Buscaglia

Passa a volo radente su un aeroporto nemico, mitragliando gli apparecchi che erano già sulla pista di volo…

 

 

 

NASCITA DELL'AEROSILURATORE

 

Distesa placidamente nella pianura, dominata dall'altissima cupola di San Gaudenzio, che emula le arditezze della torinese Mole Antonelliana, spesso impolverata di nebbia argentea, No­vara è una delle città più terragne che si possano immaginare. Il Ticino passa troppo lontano per dare il senso della presenza dell'acqua e così pure la Sesia. Il Terdoppio, il fiumicello più vicino, è quello che è: un abbozzo di fiume. L'acqua, in grandi distese, tutt'al più, la vedete nelle risaie della provincia.

Ma nessuno pensa che dalla visione delle risaie possa sor­gere, in fondo all'animo di un novarese qualsiasi, l'amore per il mare e il desiderio di dominarlo.

I novaresi son gente soda, quadrata, di pochissime parole. Bisogna vederli al mercato il lunedì e il giovedì di ogni setti­mana trattare pacatamente le loro grosse partite di formaggio e di altri generi alimentari. Sembra niente: e si tratta d'affari di milioni. O nel chiuso delle loro fabbriche, dei loro uffici, pri­ma della guerra, corrispondere con le più importanti piazze della Francia, della Germania, della Svizzera. Tutto si svolge con metodo, con semplicità, con esattezza: e i tessuti e i filati novaresi, senza parere, arrivano perfino nell'America del Sud, battendo magari quelli famosi dell'Inghilterra. Gente attiva, insomma, i novaresi; che gira, si muove per i propri traffici ma che ha sempre in fondo all'anima la nostalgia acuta della cupola di San Gaudenzio e che le proprie comodità le vuole all'ombra di questa cupola; che conosce il mondo,. ma ché è convinta, anche, che poche bellezze naturali possano rivaleg­giare con quelle che la provincia offre. Ma non è tutta qui, Novara: ce n'è un'altra signorile, serena, aristocratica direi quasi. Ed è la Novara dai bei palazzi neoclassici, dai lunghi portici armoniosi. La città elegante, insomma, che rivaleggia a volte con Torino stessa.

Proprio in questa città così continentale, così lontana dal mare, è nato, il 22 settembre 1915, Carlo Emanuele Buscaglia che, a bordo del suo aerosilurante, doveva dominare poi il Mediterraneo e cogliere su questo mare sì larga messe di gloria. La sua fu una adolescenza placida, nelle pareti della casa paterna, in via Cavour, ove crescevano con lui due fratelli ed una sorella. Ma Buscaglia, che della sua città e della sua gente aveva tutte le qualità di tenacia e di serietà, non voleva essere né commerciante, né industriale, né agricoltore. Studiava bene, e quando fu arrivato in fondo agli otto anni degli studi classici, non ebbe tentennamenti sulla scelta del suo avvenire: sapeva quel che voleva. E la famiglia non si oppose. Sicchè, ottenuta la licenza liceale, il diciannovenne Buscaglia si prepara al con­corso per l'Accademia aeronautica di Caserta, lo vince e il 21 ottobre 1934 entra a far parte del Corso « Orione ».

Otto anni fa soltanto: e a ripensarla adesso, questa data ci sembra assolutamente vicina, ieri. Eppure otto anni fa Bu­scaglia era un giovinetto che aveva appena finito di sudare sul latino e la filosofia del liceo e indossava per la prima volta la divisa azzurra dell'aeronautica. Ma è stato scritto giustamente « l'età degli "assi" è davvero una cosa strana, che ha del favoloso e del mitico, essi non ne portano mai il peso, soltanto noi che li stiamo. a guardare invecchiamo rapidamen­te... ». Passano gli anni d'Accademia: « Pilota d'aeroplano su apparecchio Ba. 9, 13 novembre 1936 » dice il libretto perso­nale dell'Eroe. « Pilota militare su apparecchio Cr. Asso, 21 feb­braio 1937 ». Ecco, Buscaglia ha messo le ali. O meglio, egli; che è nato con le ali, cha imparato a servirsene bene.

Nominato sottotenente nel giugno 1937, viene subito asse­gnato a reparti da bombardamento. È un ufficiale di 22 anni sembra che ce ne siano migliaia come lui. E invece chi guarda bene quel volto così fortemente modellato, quegli occhi pro­fondi, si accorge subito che in lui c'è qualcosa di diverso dagli altri. Forte è il suo ascendente sui colleghi e sugli inferiori. La tempra del comandante, dell'uomo naturalmente nato per il comando, si rivela in lui anche se i galloni d'oro sulle maniche sono uno o due soltanto. Nel 1938 è tenente. Gira un po' per tutti gli aeroporti d'Italia, sempre semplice, sempre modesto, sempre silenzioso. E la sua preparazione professionale si affina. Poi nel giugno del 1940 è la guerra.

Capo equipaggio di apparecchio da bombardamento, il 21 giugno 1940 il tenente Buscaglia, che fa parte della 252a squa­driglia comandata dal capitano Casini, compie il suo primo volo di guerra. Dura tre ore e mezzo, questo volo, sul porto di Marsiglia e sul forte di Cap Martin. Le nuvolette roventi delle granate contraeree incorniciano l'apparecchio; Buscaglia sgancia otto bombe sugli obbiettivi. Ma quella non è ancora la sua strada. La troverà di lì a qualche giorno quando sarà trasferito al reparto speciale aerosiluranti : il primo costituito in Italia. Da esso Buscaglia doveva uscire per salire senza soste verso le più luminose vette della gloria e dell'eroismo.

 

 

 

ALESSANDRIA

 

Nelle ultime ore del pomeriggio del 14 agosto 1940, in una nostra base aerea della Marmarica, intorno a 5 apparecchi S. 79, gli specialisti si stavano affannando con particolare, foga. Verificavano, oliavano, rifornivano con una attenzione ancora maggiore di quella, scrupolosissima, che sempre precede la partenza di una formazione di aerei per una missione di guerra. C'era qualcosa di nuovo nell'aria: e infatti i cinque apparec­chi erano della squadriglia « Quattro Gatti », la prima nostra formazione di aerosiluranti. Quella sera avrebbero compiuto la loro prima impresa.

Venne il tramonto: un torbido e torrido tramonto africano che non lasciava certo prevedere una notte calma. Gli appa­recchi ormai erano a posto. E gli equipaggi presero imbarco. Comandante della formazione era il maggiore Dequal, che aveva a bordo il tenente Mellej. Gli altri capi-equipaggio erano il tenente Buscaglia, il maggiore Fusco, il tenente Robone e il tenente Copello. Le prime ombre della sera africana si avvi­cinavano all'aeroporto, fugate le luci viola del crepuscolo.

Le 19,30. Ecco, in un rombo potente, il primo apparecchio decolla, si stacca lentamente dal suolo, prende quota; gli altri lo seguono. Ben presto sono nel cielo, si vedono per qualche istante, poi la lontananza e la notte li inghiottono. Vanno verso una delle più munite basi dell'impero britannico, verso Ales­sandria d'Egitto.

Era un'impresa quella che, allora, offriva enormi difficoltà. «Non si trattava, — come scriverà poi uno dei partecipanti, il tenente Mellej, -- dell'audacia, dell'iniziativa personale di uni aviatore temerario: era un reparto organico, in piena efficien­za guerresca che, superando le ardue prove di un decollo con sovraccarico e di una lunga navigazione al limite dell'autono­mia, portava la sua fulminea offesa contro la flotta avversaria, nella base più difesa ».

Gli apparecchi ora volano, con navigazione regolare, sul deserto e fanno quota per poter economizzare un po' di carbu­rante, preziosissimo, data la lunghezza del viaggio di andata e di ritorno. Ma quando la squadriglia è su Sollum, un vento vio­lento, con feroci raffiche, la fa deviare verso la costa. Avan­zano le prime nuvole, sul fosco cielo serale: rade, sembrano, e innocue. Ma a poco a poco si fanno sempre più fitte, più grandi, più nere; piovaschi fischianti si susseguono ininterrot­tamente. E le nubi abbassandosi e ingrandendosi costringono la formazione a planare verso il mare. I piloti incominciano a presentire la lotta con la tempesta. Lampi violacei si accen­dono qua e là, ripiombando poi il cielo in un buio sempre più denso e ostile. Vengono accesi i fanali di via, rossi e verdi: le tenui luci ogni tanto spariscono nella tempesta per riaccendersi più lontano.

 

 Carlo Emanuele Buscaglia

“Mi sono talmente vicini, che vedo i caschetti di volo sulle teste dei piloti inglesi …”

 

Finalmente la formazione entra in pieno nel temporale. Non è possibile aggirano: la benzina a bordo è quella che è e non consente deviazioni sulla rotta stabilita. I cinque apparecchi sono ora a duecento metri di quota. La pioggia batte incessante e prepotente contro .i parabrezza, il buio è completo, non c'è alcuna visibilità. Nelle carlinghe rilucono soltanto le indicazioni fosforescenti degli strumenti di bordo. E gli occhi dei piloti vanno continuamente dalla bussola all'orologio, dall'orologio alla bussola.

Ad un certo momento, quando sui calcoli del tempo e della velocità si può presumere essere al largo di Alessandria, il co­mandante dà ordine di accostare verso sud per dirigere sul porto. La tempesta sembra diminuire di intensità. I fari di via vengono spenti e viene seguita la costa allo scopo di identificare qualche località onde poter orientare subito l'attacco.

Il piano era stato stabilito nei giorni precedenti tenendo conto della conformazione del porto e della profondità dei fon­dali che imponevano una unica direzione d'attacco e nello stesso tempo limitavano la quota di sgancio dei siluri. Anzi, per sfruttare al massimo le condizioni di sorpresa, era stato stabi­lito di portarsi all'attacco provenendo dal mare in volo planato, mentre un nostro stormo di bombardieri in quota avrebbe mar­tellato incessantemente la zona dei bacini per eludere la .difesa e permettere agli aerosiluranti di individuare da lontano l'obbiettivo. Buone prede non mancavano, quella notte, nell'im­menso porto egiziano. La ricognizione aerea, nei giorni prece­denti aveva segnalato 52 navi in porto. E dall'esame delle foto ogni pilota aveva scelto il suo obbiettivo.

Abbiamo detto che ad un certo momento la squadriglia segui la costa per identificare qualche località. Ma il calcolo di navigazione fatta fra la tempesta non doveva essere stato trop­po preciso: perché dopo qualche minuto i cinque apparecchi s trovano su El Dikheila l'aeroporto di Alessandria. Le bat­terie contraeree entrano subito in azione con un fuoco intenso e preciso. Gli aerosiluranti per salvarsi si gettano dentro una nube. Quando se ne traggono fuori, sono già in mezzo alla rada. Da bordo dei nostri apparecchi si vede nettamente il lungo molo e il quadruplice ordine di reti che ostruisce l'imboccatura del porto. Come immensi occhi aperti bruscamente, uno ad uno i riflettori cominciano ad accendersi e a sciabolare il celo tempestoso con le lunghe lame argentee. Contemporanea mente da terra e da bordo delle navi scoppia il più nutrito e denso, anche se disordinato, fuoco antiaereo.

È mancata la sorpresa. La copertura pressoché totale dell'obbiettivo non ha permesso ai bombardieri in quota di realizzare al momento concertato la progettata azione di disturbo. Gli aerosiluranti, costretti dalle avverse condizioni atmosferiche a cercare il porto a bassa quota, a passare bassissimi sulle navi, sono stati avvistati. L'attacco deve quindi effettuarsi in condizioni. difficilissime. Ma non è certo la reazione nemica che in questa prima, come in tutte le altre azioni, arresterà l'impeto dei nostri siluratori aerei. Il motto di d'Annunzio, del 1917, è ancora il loro: « Suffcit animus ».

Verso una grande corazzata, ancorata all'ingresso del porto dietro le ostruzioni, si dirige ora l'attacco dei due velivoli late­rali della formazione, fra cui è quello del ten. Buscaglia, che, nella penosa navigazione e nelle evoluzioni sul porto, ha mo­strato le sue grandi qualità di pilota esperto, freddo e preciso. A bordo dei due apparecchi vengono impartite più con i gesti che con le parole le disposizioni per il lancio. Sono le 22,15. A il momento culminante di tutta l'impresa: per arrivare a questo momento, i nostri aerosiluranti sono tre ore che lot­tano con la tempesta. Trentasette riflettori, vicino al bacino galleggiante, con il loro riverbero accecante fanno risaltare an­cor più nitidamente la sagoma scura della nave da battaglia. Ora gli apparecchi si avvicinano fulminei, sono a pelo d'acqua. Eccoli all'estremità del molo per oltrepassare le ostruzioni retali. E verso quella direzione folgorano i riflettori, sparano tutte le batterie. « All'intorno è tutta una serie di scoppi - raccon­terà ancora Mellej, un anno dopo, avendo nitida nella mente la visione del porto d'Alessandria fulgido di luci argentee e coronato di esplosioni - una girandola di pallottole traccianti, esplosive ed incendiarie di tutti i colori e l'acre odore della polvere bruciata prende alla gola... ». Ma i nostri apparecchi non si fermano, il molo è oltrepassato. Ed ecco il lancio dei siluri: i velivoli sgravati dei mille chili del micidiale carico, balzano nell'aria arroventata, mentre i motori, tirati in pieno, urlano con tutta la loro potenza. I siluri filano verso l'obbiettivo, con una scia bianca che la luce dei riflettori rende argentea. S'ode uno scoppio, una fiammata altissima si leva arrossando l'aria. La nave da battaglia è colpita in pieno. Il debutto dei nostri aerosiluranti entro la più difesa base inglese, anche se pagato con la perdita dell'apparecchio del maggiore Fuso, non poteva essere più fruttuoso.

Ora si tratta di uscire da quella specie di bolgia che è diven­tato il porto d'Alessandria. I 52 riflettori (perché oltre i 37 dei bacini, ce ne il sono altri 15 un po' da ogni parte), con le sventagliate delle loro luci accecanti abbagliano i piloti. Gli scoppi delle granate e i raggi luminosi delle traccianti serrano sempre più da vicino: e i nostri aerosiluranti sono costretti a brusche, e certe volte acrobatiche manovre, per trovare una zona di buio e cercarvi la salvezza. Ma la preda è colpita, ormai. Sfio­rando gli alberi d'acciaio delle navi alla fonda, passando in mezzo alla complicata e mortale rete, del fuoco di un nemico furente, folgorando le batterie con efficaci raffiche delle mitra­gliatrici di bordo, gli aerosiluranti si staccano dalla zona peri­colosa. Davanti a loro, c'è Alessandria immensa, .immersa nel buio: passano sul quartiere arabo a quota minima, quasi sfio­rando le terrazze bianche e i minareti sottili, superano a volo radente lo stagno che circonda la città, dalle oscure acque im­mote, e infine, dopo tanto fragore, il deserto enorme, oscuro, li accoglie nel suo terribile silenzio notturno. E volano verso la base lontana.

 

 

CINQUE CONTRO MIGLIAIA

 

Cominciava così, nel cielo di Alessandria, la vita eroica di Carlo Emanuele Buscaglia. Sembrava che egli prediligesse sol­tanto gli obiettivi difficili : le grandi navi da battaglia, i superbi incrociatori, le fortezze galleggianti che hanno a bordo decine di formidabili cannoni e migliaia di uomini d'equipaggio. Con­tro queste montagne di ferro, che si trasformavano nel giro di pochi secondi in vulcani fiammeggianti, egli non, portava che il suo apparecchio carico di giovinezza e di audacia: spesso, messi insieme, gli anni dei componenti l'equipaggio superavano di poco i centoventi, quasi sempre non toccavano i centocin­quanta. Avevano da opporre, quel pugno di giovani, a tutti quei cannoni, alla tremenda bufera di fuoco che la loro appa­rizione scatenava, soltanto il loro coraggio, la loro perizia, un siluro, il fuoco delle poche mitragliatrici di bordo e il limpido cervello del loro Comandante. Ma era questa l'alma più mici­diale: contro la quale non valevano le spesse corazze, le torri blindate, la scorta di nugoli di apparecchi da caccia, le mano­vre fulminee. Il cervello di Buscaglia prevedeva, intuiva, calcolava; e quando egli sganciava il siluro, le navi da guerra ne­miche avevano sempre la sorte segnata. Il siluro andava sem­pre a segno. Ecco: il 27 agosto 1940 viene colpito un incrociatore tipo London. Venti giorni doro la prima grande vittoria un incrociatore da diecimila tonnellate tipo Kent viene affon­dato. Il 29 settembre viene colpita la nave da battaglia Renown; il 2 novembre un incrociatore tipo Capetown. Il no­me di Buscaglia incomincia a risuonare in una aureola di gloria. La fantasia popolare predilige questo giovinotto, piemontese di venticinque anni, che sfiora con il suo apparecchio i poderosi fianchi delle navi nemiche, si infila fra i fumaioli, valica gli sbarramenti della caccia nemica, non sembra cono­scere ostacoli nel suo avanzare verso la gloria. La prima medaglia d'argento porta la data 15 agosto-17 settembre 1940. La seconda è del 26 dicembre dello stesso anno. Diventeranno sei in due anni: e i filetti d'oro sul berretto aumenteranno prodigiosamente nello stesso periodo di tempo.

 

 Carlo Emanuele Buscaglia

“Un grosso mercantile carico scoppia come una zucca…”

 

Buscaglia sembra passare come un essere magica attra­verso tanta tempesta di ferrò e di fuoco, senza che mai l'offesa nemica lo sfiori o lo minacci. Quando l'apparecchio scende alla quota minima, egli leva una mano e fa un gran segno di croce sui suoi compagni. Calmo, impassibile, ogni istante dell’azione che egli conduce, gli si imprime nella mente meglio che non sulle lastre usate dal fotografo di bordo. E ne vengono fuori quelle relazioni precise, nette, che egli scrive appena tornato alla base e che sono dei veri modelli di stile militare, in cui non c'è una parola di più o una di meno; in cui tutto è notato, ma nel particolare saliente e significativo.

La natura misteriosa di chi è nato con le ali, si confonde in Buscaglia in una cordiale umanità. I valori eterni della vita, la famiglia, l'amicizia, l'onore, hanno nel suo animo radici pro­fonde tenacissime. Questo tenente di venticinque anni ha in se qualcosa che non è eguale agli altri: e non soltanto dal lato puramente aviatorio. La luminosa strada che gli si para davanti e che egli sembra voglia percorrere di un balzo solo fino alle supreme vette della gloria e della gerarchia militare, si sente che per lui e una strada non eccessivamente difficile. Egli non ha la vertigine delle altezze morali, come non ha quella delle più elevate quote di volo. È di quelli che si mettono di fronte al destino a tu per tu, in un duello serrato; che non mollano mai e rimangono in piedi fino all'ultimo momento.

 

 

CIELO DI CIPRO

 

Ventisette mesi e durata l'attività di Buscaglia quale aerosi­luratore: dal 15 agosto 1940 al 12 novembre 1942. Trentuno azioni di aerosiluramento, due incrociatori pesanti, due incro­ciatori ausiliari, un posareti, e sei piroscafi per un totale di 2000 mila 800 tonnellate sono andati a fondo per opera sua. Due navi da battaglia, una portaerei, sei incrociatori, due cacciator­pediniere e quattro piroscafi sono stati danneggiati. Nessun pi­lota di aerosiluranti, in Italia e fuori d'Italia, ha mai finora po­tuto allineare un bilancio simile. Vediamo da vicino qualcuna di queste azioni. Si rassomigliano tutte, e pure son tutte diverse perché il valore ha mille aspetti e la morte quando è in agguato, anche. Sull'apparecchio di Buscaglia essa non ha potuto lan­ciarsi all'attacco che una volta sola. L'ultima.

Dominò tutti i cieli del Mediterraneo, il nostro Eroe. Ma seguiamolo per un momento sull'isola di Cipro. Sono le prime ore pomeridiane del 4 luglio 1941. Buscaglia arriva con altri tre apparecchi, oltre il suo, pilotati rispettivamente dal ten. Fag­gioni, dal ten. Cimicchi e dal sottotenente Mazzigli, costeggia l'isola e nelle acque a 4 km. a sud di Famagosta scopre un in­crociatore ausiliario da 7000 tonn. che navigava verso il porto seguìto da una torpediniera. Gli apparecchi italiani sono scorti subito e subito si scatena la reazione contraerea, che sembra straordinariamente intensa questa volta. Infatti tre apparecchi sono colpiti e in maniera abbastanza grave. Il motorista del secondo apparecchio viene ferito malamente. Solo l'aereo di Buscaglia è indenne: le pallottole sembrano essere respinte da una qualche forza prodigiosa; le granate scoppiano sopra, sotto, intorno, e sempre lontane per far danno. Ma il Coman­dante non ha nessuna intenzione di lasciarsi sfuggire una così bella preda come è l'incrociatore ausiliario. E si lancia all'at­tacco. Il siluro non falla: l'incrociatore, dopo il formidabile scoppio, si copre di fumo denso, si corica stancamente su un fianco come una bestia colpita a morte e affonda lentamente. Ora bisogna tornare alla base. Sono le 15,30. Il meriggio d'estate divampa sull'isola che vide tanto splendore e tanta gloria ve­neziani. I tre apparecchi gregari colpiti, non consentono per­corsi lunghi: e allora Buscaglia decide di tagliare addirittura a metà, con la sua rotta, l'isola, per prima. Allora accade un fatto inspiegabile. Le batterie di terra non sparano neppure un colpo; non s'aspettavano sicuramente tanta audacia. Ed ecco che i nostri incontrano sulla loro rotta (volano bassi, a trenta metri) un campo d'aviazione inglese: gli apparecchi sono fuori, sul prato. Alcuni, da caccia, allineati in bell'ordine sulla pista. Il rombo dei nostri aerosiluranti deve essere stato avvertito da gran tempo. Eppure non si nota nessun segno d'allarme sul campo e intorno agli apparecchi nemici. Passano, Buscaglia e i suoi, rombando: avventano alcune raffiche di mitra­gliatrice, colpiscono alcuni velivoli: e nessuno spara, nessuno si alza in volo, nessuno li insegue. « La più strana avventura » , dirà poi Buscaglia, quando parlerà di quel giorno.

Il 7 luglio ci ritorna: ma non ci sono navi per il siluro di Buscaglia, stavolta, nelle acque di Cipro. Però questo non gli impedisce il giorno 9, insieme ad un altro apparecchio pilotato dal ten. Faggioni, di ritentare l'impresa. Possibile che, a Cipro, lui, Buscaglia debba contentarsi di un centro solo? Ecco il porto di Limas: la contraerea costiera è subito in funzione; attra­verso il fumo e gli scoppi, Buscaglia si accorge che non ci sono. obbiettivi importanti da colpire. Prosegue su Larnaka, si abbassa a volo radente, la contraerea lo colpisce al motore destro, che si ferma. Faggioni è colpito al parabrezza e ai serbatoi. Ma Buscaglia vuole la sua preda. Se nei porti non ci sono obbiet­tivi, li andrà a cercare altrove. I due apparecchi proseguono lungo il litorale meridionale dell'Isola. Ecco il porto di Famagosta. Anche qui sparano; un inferno; però non si verificano altri danni a bordo dei due nostri aerosiluranti.

Ma a 7 km. a sud-est del porto, ecco un piroscafo da 5000 tonnellate avanzare. La tenacia di Buscaglia è premiata. Si ab­bassa, con una furia ed un impeto che sembrano addirittura insoliti al maresciallo Di Gennaro, suo secondo pilota, compagno dell'Eroe in questa come in tante altre azioni. Non vuol farselo sfuggire Buscaglia quel piroscafo: per arrivare fino ad essa è passato attraverso il fuoco di centinaia di cannoni, ha avuto un motore colpito, Faggioni che lo segue è stato anche esso abbastanza strapazzato. E il piroscafo ha il fatto suo: il siluro arriva a segno e lo riduce malamente. Se si salva, lo deve proprio ad un miracolo...

 

 

CENTOVENTISEI COLPI DI MITRAGLIATRICE

 

28 dicembre 1941. Sono le prime ore del pomeriggio. Il cielo sereno, limpido, trasparente; il cielo di cristallo azzurro del Mediterraneo, quando soffia la tramontana. In una nostra base avanzata giunge improvviso agli aerosiluranti l'ordine di par­tire per intercettare un grande convoglio nemico, composto di numerose navi mercantili, cariche di truppe e di materiali, scortate in mare da navi da guerra e in cielo da aeroplani da caccia. Buscaglia, con quattro apparecchi, decolla e parte. Dopo un'ora e venti di volo, l'Eroe e i suoi compagni sono sulle navi nemiche. La visibilità è magnifica. E lo è anche per gli appa­recchi che scortano il convoglio, i quali scorgono subito, gli aero­siluranti e si dispongono all'attacco. La situazione per Buscaglia e i suoi compagni non era delle più semplici. Tornare in­dietro non era, possibile perché i cacciatori si sarebbero messi alle calcagna degli aerosiluranti e non li avrebbero mollati: Ma attaccare voleva dire passare in mezzo alle fitte maglie di ferro e di fuoco intessute nel cielo dalle artiglierie del convoglio e della scorta di navi da guerra. La caccia si stringe sempre più attorno ai nostri. « Mi sono talmente vieni — scriverà poi in una sua lettera ai Balilla di Catania, Buscaglia — che vedo i caschetti di volo sulle teste dei piloti inglesi e il fuoco che esce dalle mitragliatrici. E sparano... sparano... sparano... Ma non riescono a colpire nessuna delle parti vitali dei miei velivoli ».

Il Comandante, dopo aver ben ponderato sulla situazione, de­cide di passare all'attacco. Ora entra nel raggio dell'azione delle navi. « È uno spettacolo superbo e nello stesso tempo impres­sionante. Si vedono passare in ogni senso le traccianti - narra. ancora Buscaglia - si vedono nuvolette di fumo intorno all'ap­parecchio, si vedono alzarsi dal mare alte colonne d'acqua pro­vocate dai grossi calibri delle unità nemiche; si vedono lingue di fuoco che escono dalle navi  Gli apparecchi italiani sono ormai a duemila metri dall'obbiettivo. Ma la distanza va sem­pre più accorciandosi, divorata dal rombo formidabile dei mo­tori e dall'ansia di combattimento degli equipaggi 1500 metri... 1400 metri... 1300 metri... 1000 metri. Ecco. Buscaglia, ora, passa come un fulmine sulle navi da guerra, che sembrano vul­cani galleggianti. E non e detto che il loro tiro non sia efficace. Infatti, il gregario di destra di Buscaglia viene colpito in pieno, si incendia, perde quota e precipita in fiamme. Il Comandante non perde la calma. Vendicherà il caduto. Bisogna avere come sempre i nervi a posto anche se un gran groppo di pianto urge alla gola. La nave contro cui si avventa fulmineo l’apparecchio di Buscaglia è ora a 900 metri. Pochi secondi ancora. Ora è a 600 metri.

 

 Carlo Emanuele Buscaglia

Buscaglia silura la portaerei “Argus”

 

« Ecco è il momento buono — scriverà semplicemente, Buscaglia. — Miro al bersaglio e sgancio il siluro che dritto dritto va a colpire un grosso mercantile nemico che scoppia come una zucca. Probabilmente era carico di munizioni ».
Il colpo era fatto: ma c’era da sganciarsi dalla caccia nemica che ora, inferocita dal successo degli italiani, si fa ancora più aggressiva. Gli aerosiluranti fanno un grande giro e prendono la via del ritorno. I caccia dietro. Sono veloci e tallonano i nostri decisi, sembra, a dare ed accettare battaglia: Buscaglia si volta per un momento e guarda i suoi specialisti, nell’interno della carlinga: son tutti alle mitragliatrici. Lo stesso deve accadere negli altri apparecchi. Il Comandante è sicuro. Ma ecco un aereo nemico che si avvicina pericolosamente: è quasi a pari con l'aerosilurante di Buscaglia. Una raffica precisa lo sca­raventa in mare. Un altro, che s'era abbassato troppo, si infila da solo nell'acqua che si chiude sopra di lui. E i superstiti non deflettono. Le mitragliatrici dei quattro aerosiluranti conti­nuano a far fuoco; i piloti son fermi alle leve.

La caccia nemica perderà il fiato, una buona volta! pensa Buscaglia. Il suo velivolo è tutto sforacchiato dalle pallottole inglesi. Gli altri due anche: tutti in grado, però, di continuare il volo di ritorno. Il Mediterraneo era tutto sereno e limpido s'è detto: ma ecco che sulla loro rotta, Buscaglia e i suoi incon­trano un fortunale. Si buttano dentro la provvida cortina di pioggia, la caccia nemica li perde di vista. Possono considerarsi in salvo. E il volo di ritorno continua.

Quando atterrano alla loro base, gli apparecchi sono in buone condizioni, anche se bruciacchiati e bucati in maniera indescrivibile.. Quello di Buscaglia ha ben 126 fori di pallottola di mitragliatrice e in un'ala uno strappo prodotto da una gra­nata contraerea. Ma non c'è nessuna lesione negli organi vitali, non c'è nessun ferito a bordo. « Io sono fortunato », dice Bu­scaglia parlando di questo episodio. « In tutte le mie missioni, a bordo non ho mai avuto nemmeno un ferito ». Eppure sarà pro­prio di questo episodio che Buscaglia parlerà sempre volentieri. Quel 28 dicembre 1941 gli è rimasto fitto nella mente come nes­sun altro giorno della sua vita, che è pur stata ricca di eventi memorabili. Quell'azione ha per lui un valore unico. In fondo anche l'uomo d'azione è come l'artista. Di tutte le opere com­piute, anche se tutte egualmente grandi, c'è sempre quella più cara al suo spirito, più misteriosamente legata alla profondità del suo sangue e della sua anima.

 

 

 

132° GRUPPO AEROSILURANTI

 

« 1 aprile 1942. Trasferito al 132° Gruppo Autonomo Aero­siluranti quale Comandante ». È una secca, burocratica anno­tazione sul libretto personale dell'allora capitano Buscaglia. Ma segna, per lui, l'inizio di una più vasta responsabilità di co­mando. Ha solo ventisette anni, questo. calmo eppure indiavo­lato ragazzo piemontese. Come se la caverà nella guida di un gruppo che fra poco assommerà cento decorazioni al valore e mezzo milione di tonnellate di naviglio silurate o affondate? Ma non è gente nuova quella che Buscaglia prende a coman­dare. Sono i vecchi compagni della sua 281a squadriglia. A questi si sono aggiunti quelli della 278a. E formano un gruppo « di ferro », non c'è che dire.

Infatti il 14 giugno 1942, nella bruciante giornata di Pantel­leria, tutta la formazione viene impiegata in massa per la prima volta. E tutti sono degni del Comandante. Venivano avanti, orgogliosamente, due portaerei e una nave da battaglia, con quattro incrociatori e un imprecisato numero di cacciatorpe­diniere, a scorta di un buon numero di piroscafi, usciti tutti da Gibilterra con rotta su Malta. Era un tentativo disperato, quello, a malgrado l'imponente schieramento di forze. Ma ve­gliavano, sul mare e nel cielo, i nostri marinai e i nostri avia­tori. Pronti erano gli aerosiluranti, prontissimi quelli del 132° Gruppo,

Giunge Buscaglia. con i suoi, sul cielo della battaglia che già mare e cielo erano arroventati come un alto forno; i bombar­dieri in quota e a tuffo avevano fatto il loro lavoro con molta efficacia. Ora toccava agli aerosiluranti. Buscaglia vide subito la sagoma della portaerei Argus: sembrava un rettangolo nero incorniciato dalle vampe degli scoppi, perché le 16 mitragliere antiaeree ad otto canne vomitavano migliaia di proiettili al minuto. Seguito dagli apparecchi del ten. Manfredi, del ten. Ca­mera e del ten. Faggioni, Buscaglia punta diritto verso l'Argus : e questa non fa il minimo movimento per sfuggire agli aerosi­luranti. Sembra straordinariamente sicura della potenza pro­tettrice del fuoco delle sue mitragliatrici. Sul ponte ci sono degli apparecchi pronti all'involo. Man mano che gli aerosiluranti perdendo quota, si avvicinano, si distinguono le sagome degli omettini che si agitano sul ponte: e sembrano formiche im­pazzite.

Buscaglia si lancia all'attacco. La portaerei si muove lenta­mente, in senso rettilineo, maestosa ed orgogliosa. Intorno allo scafo il mare si apre con un largo ribollire di schiume. Il mo­mento è buono, la visibilità ottima. Buscaglia ha già visto e calcolato quel che era necessario vedere e calcolare. La distanza diminuisce sempre più. Ecco l'attimo che non bisogna farsi sfuggire. Il Comandante sgancia, sganciano i gregari. E un siluro, quello di Buscaglia, arriva a segno. Per lungo tempo starà accucciata a Gibilterra a curarsi le ferite.

Tatti gli apparecchi furono colpiti dal fuoco antiaereo. Ma l’esperienza più dura, dell'efficacia del fuoco nemico la fece il ten. Faggioni. Ebbe infatti l'apparecchio investito da una raf­fica di colpi d'ogni calibro: un miscuglio di pallottole e di gra­nate che, non si sa come, sembravano essersi messe d'accordo; proprio per lui. Il motore centrale fu schiantato. Né questo fu il solo danno, benché già di per sé bastevole a metter giudizio a chiunque. Ma i gregari di Buscaglia non sono gente da mol­lar subito. A casa si doveva tornare, anche se l'olio, inondava la fusoliera e i caccia britannici, ora che l' « S. 79 » era solo e camminava più lentamente sulla sua strada di nubi, cercavano ad ogni costo di buttarlo giù. Fu una emozionante galoppata: ma il ten. Faggioni e i suoi cinque compagni (Borghi, Contò, Capaldí, Sanna, Romano) se lo portarono a casa con i denti il. loro apparecchio. Contro la corazzata Malaya, un bestione enorme da 30 mila tonnellate, che sparava con i suoi 381 sull’acqua onde crearle cortine d'acqua a protezione, e sparava fu­riosamente nel cielo con i cannoni ad una canna, a 4 canne, a 8 canne, incattivito di tutta quella giostra di aerei che non lo lasciavano in pace, senza fallire il colpo, eleganti, magnifici, sganciano gli apparecchi di Marini, di Graziani, di Rivoli, di Vinciguerra, e quello del più giovane, il sottotenente Pfister. Un incrociatore fu attaccato dal terzetto composto da Barga­gna, Moretti e Angelucci. Un piroscafo panciuto fu rapidamente sistemato da Barani.

 

 

 Carlo Emanuele Buscaglia

A bordo dell’apparecchio di Buscaglia, c’era qualcuno straordinariamente contento: l’aviere scelto fotografo Maiore…

 

Un buon bilancio quello della giornata del 14 giugno per il 132° Gruppo. Ottimo doveva essere anche quello del 15. Bu­scaglia fa il suo solito centro e manda a fondo un piroscafo da 5000 tonnellate. Ma il sottotenente Aichner vive la più roman­zesca avventura. Colpito in pieno un cacciatorpediniere, che esplode e affonda in tre minuti, l'audace pilota rischia di pagar cara, con i suoi compagni, la buona fortuna. Infatti, s’era fatto tanto accosto alla nave che la contraerea lo costrinse ad am­marare in uno specchio d'acqua che era il meno adatto per un gruppetto di naufraghi : perché era quello in cui intensa e infuocata rombava la battaglia. Parecchie ore in mare, poi un salvataggio avventuroso. Ma Aichner e i suoi se la cavano. Son di quelli con cui la morte giuoca sempre, ma non fa mai sul serio.

Due mesi dopo, le giornate egualmente indimenticabili della battaglia di Ferragosto. Questa volta Buscaglia non c'è: è in licenza, in meritata licenza. Ma il gruppo, ormai, cammina pro­prio come vuole il Comandante e picchia sodo: con calma e con scientifica precisione.

Ma che liberazione il volo sul nemico! Perché numerose, lunghissime sono state le ore di attesa; e i voli di trasferimento hanno aumentato l'ansia invece di spezzarla.

Gli specialisti sono stati operosissimi: hanno lavorato e lavorato come buone, pazienti, veloci formiche attorno alle macchine, ai siluri, ai motori, alle armi di bordo; hanno; revisio­nato, oliato, ingrassato, rifornito tutto. Lunghe, lunghe ore: e finalmente la lotta. Buscaglia non è in testa, come al solito. Ma tutti vogliono far bene per potergli dire, al ritorno, che hanno fatto come lui voleva. Nel tardo pomeriggio del 12 agosto, pro­prio al tramonto, l'ora classica per gli aerosiluratori, dopo la fischiante picchiata dei bombardieri a tuffo, una aliquota del 132" Gruppo sgancia precisa, nelle acque dell'isola dei Cani, contro un incrociatore da 10.000 e contro un piroscafo di grosso tonnellaggio. E sempre nelle stesse acque un altro incro­ciatore e due piroscafi vengono colpiti. I « Macchi 202 » sven­tano con un serrato combattimento, un tentativo di intercetta­zione da parte dei velivoli nemici levatisi dalla portaerei. Ci sons quasi tutti gli uomini di Buscaglia, nell'uragano di ferro e di fuoco: c'è Rivoli, Bargagna, Barani, Pfister, Mazzocca, Mo­retti, Coci, Graziani, Faggioni, Vinciguerra; c'è Aichner che ha già dimenticato l'avventura temeraria di due mesi prima, c'è Marini che sembra voglia fraternamente emulare, in preci­sione ed audacia, Buscaglia; ci sono Manfredi e Migliaccio.

Il gruppo, forgiato dallo spirito del Comandante ventiset­tenne, funziona ottimamente. Il giorno 13 Rivoli, Barani, Pfi­ster, Graziani, Faggioni quasi nelle acque di Malta affondano altri due piroscafi da carico che si consideravano già fuori pe­ricolo. Dall'isola assediata s'è levata in volo la caccia e s'è scon­trata con la scorta diretta e indiretta degli aerosiluranti. La mischia diventa generale, cruenta: uno del 132° Gruppo non rientra. È l'apparecchio di Barani, che pure è passato intatto attraverso la tormenta del giorno prima.

Indomito, però, il 14 agosto il 132° Gruppo, anche se nume­rosi sono stati i velivoli feriti, torna nel vivo della lotta. E il bello è che gli specialisti, tornati feriti anch'essi, vogliono, ap­pena bendati, ripartire. E non sentono ragioni. Per uno del 132° stare a terra quando gli altri sono in volo è un'offesa, è una sofferenza. La mattina del 14 l'aviere scelto fotografo Carni­gella, con la testa coperta da un turbante candido di bende (ha avuto una scheggia nell'apparecchio di Manfredi, mentre ferveva la lotta in vicinanza di Malta, il giorno prima) non ne vuol sapere di passare dall'infermeria all'ospedale. Lui urla e strepita che dall'infermeria tornerà all'apparecchio. E ci riesce infatti. Ma uno che non è fortunato come lui è il motorista aviere scelto Turello. Ha la febbre a 39, vuol partire, si racco­manda a tutti, quasi si dimentica di essere un soldato e di avere una disciplina da rispettare. Qualcuno dei suoi ufficiali deve alzare la voce. E Turello, con gli occhi lucidi, battendo i denti, guarda gli apparecchi spiccare il volo, giurando che di quelli che sono ci « andati » nessuno, sicuramente, sta bene come lui, e che quella è una vera porcheria. Vanno verso l'ultima azione della battaglia di Ferragosto gli aerei del 132°. Ecco le navi che navigano, arrancando faticosamente verso Gibilterra.

Siamo al largo del Capo Bougaron: Rivoli, Pfister e Gra­ziani si gettano contro un incrociatore leggero; Manfredi, Aich­ner, Coci, Marini e Bargagna colpiscono una nave da battaglia. È, questo, come il suggello finale a tutta l'eroica opera di quei tre giorni. l'ultimo tocco. Buscaglia, che in quei giorni è lon­tano, può esser tranquillo. Il gruppo marcia. Proprio come vuole lui, come lui ha insegnato.

 

 

 

PERFETTO EQUILIBRIO

 

Nei giorni della battaglia di Ferragosto, Buscaglia, come detto, è lontano dal suo magnifico 132° Gruppo, in licenza.

Meritata licenza: e che dà ancora una volta la misura del perfetto equilibrio di cui è dotata la sua eccezionale natura. Sono i terni della sua esaltazione nazionale, i giorni in cui la gloria conquistata in decine di combattimenti, diventa una cosa tangibile. Fotografie sui giornali, lunghi articoli esaltativi, interviste; e la curiosità della gente che spalanca tanto. d'occhi a

quei sei nastrini azzurri stellati d'argento, a quel volto giova­nile su cui la guerra e le vittorie non hanno distrutto un qual certo tenace candore: Buscaglia supera questo che è il momento più difficile della vita di un Eroe con grande finezza, con acuta intelligenza. Eccolo in rezzo ai giornalisti, a Roma. Non ha in sé alcuna inutile ritrosia; né ostenta una spavalderia da moschettiere. È semplicemente umano. Parla con pacata lentezza da buon piemontese: e rievoca la notte di Alessandria, quando dopo l'azione, volò oltre il Delta, versò il caldo soffio del deserto; ritorna agli attimi dei combattimenti con le corazzate, con gli incrociatori, con le portaerei: in cinque, in sei contro centinaia di cannoni, e la morte appollaiata su un angolo dell'ala, pronta a profittare della più lieve debolezza. O rievoca la sorpresa della baia di Suda, o il volo leggendario sull'isola di Cipro, a trenta metri dal campo d'aviazione nemico, senza che una mitragliatrice sparasse o un velivolo della caccia si levasse a volo, o l'azione indimenticabile del 28 dicembre 1941, il grandinare delle pallottole nemiche sull'apparecchio, 126 fori con­tati all'arrivo e un grosso squarcio di granata... Tra i giorna­listi che lo ascoltano, ci son vecchi amici: ma ci sono anche quelli che non l'hanno mai veduto prima e che ascoltano stupiti quella voce pacata, guardano fissamente il volto dai tratti forti, segnato dalla fossetta al mento. Una profonda, misteriosa umanità quella di Buscaglia: anche nell'equilibrio perfetto che i suoi racconti rivelano, anche nella signorilità del gesto, nella accuratezza della divisa, negli occhi un po' freddi e che guar­dano con un certo distacco le cose del mondo, l'Eroe, per quan­to cerchi quasi di nasconderlo, si presenta diverso da tutti gli uomini; portatore di un destino d'eccezione.

Poi le vie e le piazze di Roma, nella luce abbacinante del sole d'agosto. A Buscaglia Roma piace, quasi quanto la sua Novara. E ne ascolta felice il crosciare delle fontane nella ca­lura estiva; ne cerca gli aspetti più famosi e quelli meno cono­sciuti; si indugia fra le pietre e i roseti. Lui è soltanto un capi­tano di ventisette anni in breve licenza. Un Eroe?

Ma è un'altra cosa, almeno egli pensa.. Certe volte, per istrada, la gente lo riconosce: vede, le sei medaglie, la croce di ferro di seconda classe, le due promozioni per merito di guerra, confronta nel ricordo il volto alla fotografia vista sul giornale, e dice a mezza voce: « Ma quello è Buscaglia! Sai, quello degli aerosiluranti... ». Qualche ragazza aggiunge anche: « È un bel ragazzo, oltretutto... ». E questo a Buscaglia fa piacere. Son queste, in fondo, le cose che fanno veramente piacere ad un ufficiale di ventisette anni.

Ma quando Buscaglia sale le scale di Palazzo Venezia, un po' intimidito, non c'è che dire, e s'affaccia all'anticamera del Capo del Governo, allora sente che qualcosa d'importante ha fatto in due anni di guerra: è inutile che lo neghi a se stesso. È così: e non soltanto perché lo dicono i giornali. Ecco, è il suo turno: sulla soglia della Sala famosa in tutto il mondo si incontra con un capitano pilota germanico, biondo, smilzo come una signorina e che non deve avere più di ventidue anni. È Marseille. Sul petto scintilla la medaglia d'oro che il Duce gli ha personalmente consegnato.

 

 

 Carlo Emanuele Buscaglia

Un apparecchio nemico precipitò prima che il pilota potesse rendersi conto di quel che accadeva.

 

I due giovani, consacrati ad un destino egualmente glorioso, si salutano militarmente. Poi la visione indimenticabile della Sala del Mappamondo; il Duce che riceve Buscaglia in piedi avendo a lato il generale Fougier, l'annunzio della promozione a maggiore, la promessa fatta senza tremare, fissando i rotondi occhi d'aquila del Capo: « Combatterò fino all'ultimo... » . Semplicemente, serenamente Buscaglia sembra aver già, così, se­gnato ed accettato il suo destino. La vita e la morte si sono equi­librate perfettamente nell'anima sua. Solo il combattimento vale più dell'una e dell'altra.

Ma questo non gli vieta di sentirsi il cuore gonfio di gioia alle accoglienze che gli tributa Novara, materna e orgogliosa. Ci son tutti a riceverlo, i suoi concittadini, quando arriva: ed egli riconosce tutti quei volti, perché la piccola patria vive in­tatta nel suo cuore con la Patria più grande. E gerarchi, e uffi­ciali e suo padre, che non sa ridere, non sa parlare, non sa piangere, ma si stringe accanto a lui, in silenzio. Poi sua madre, la signora Maria, che lo attende nel Sacrario dei Caduti fascisti e si avvinghia a lui in un abbraccio tenace e silenzioso. Buscaglia questa volta è commosso. Ritorna soltanto un soldato in licenza, non è più l'Eroe. Riassapora le dolci cose di ieri e di sempre, la tenerezza domestica. E gli fa piacere anche la Vit­toria alata di bronzo che gli offrono alla Casa Littoria le Ca­micie Nere di Novara. Fa anche un discorso: come ne aveva fatto uno a Roma, a Palazzo Braschi, nella sala Giulio Cesare. E dice parole piane, serene, ma pur ricche di forza e di certezza. Come quelle che dirà agli ottocento feriti di guerra ricoverati negli ospedali di Baveno, sul Lago Maggiore. Le stesse parole, in fondo, che hanno sempre dato ai suoi compagni la sicurezza che con lui, con Buscaglia,.. si vince sempre.

 

 

 

AUTORITRATTO

 

Come farà? Si domanda la gente ogni volta che il nome di Buscaglia ritorna sul Bollettino. Non deve essere mica facile lanciare un silurò dall'aereo... E metterlo a punto, poi! Una rivista aeronautica (1) si fa coraggio, un giorno, e chiede a Bu­scaglia che narri lui come viene svolta un'azione di aerosilura­mento. E l'Asso parla di quella che è la sua vita d'ogni giorno. Ne parla con grande semplicità. Anzitutto tratta dell'equipag­gio: « È desiderabile che i componenti di esso siano tutti vo­lontari della specialità, ma è strettamente necessario che siano perfettamente addestrati al volo sul tipo di velivolo in uso per l'aerosiluramento ed abbiano una ottima capacità tecnico-pro­fessionale. Ogni equipaggio deve formare un tutto armonico ed omogeneo: affiatamento, fiducia l'uno nell'altro, elasticità di mente, capacità professionale, calma nel pericolo sono le forze che tale perfetta unione debbono cementare. Sul velivolo, come e più che su una grande nave, una volontà sola deve do­minare, quella del comandante, in modo che prima, durante e dopo l'attacco, non si verifichino incertezze o esitazioni che po­trebbero compromettere l'esito dell'azione ».

Sembra la descrizione di un equipaggio ideale: è, invece, la descrizione dell'equipaggio con cui Buscaglia è sempre an­dato verso il nemico. Non disse egli, in una circostanza che sembrava dovesse diventar tragica da un momento all'altro, ad un compagno che annunziava avere l'apparecchio un'elica in croce: « Un'elica in croce? L'affare non ci riguarda. Tor­neremo anche con tutte e tre le eliche in croce. Noi siamo un equipaggio di ferro! ». Poi viene a parlare della vita degli aero-siluratori. « Gli aerosiluratori sono sempre in allarme in qual­siasi ora del giorno e della notte. I piloti e gli specialisti man­giano e dormono sotto le ali del loro aeroplano e non appena, su segnalazione della ricognizione marittima o di unità di su­perficie e subacquee nazionali, si ha notizia della presenza di qualche unità o convoglio navale nemico, la formazione dei si­luratori aerei parte in brevissimo tempo, senza alcun incidente, grazie alla meticolosità e alla precisione delle disposizioni in precedenza impartite, che ne regolano l'involo ». Ed ecco un ritratto di comandante che è un vero autoritratto:

« Effettuata la navigazione di andata e avvistato il nemico, il comandante in un piccolissimo intervallo di tempo deve de­cidere l'attacco, ideare il modo con cui esso deve essere con­dotto, stabilire l'unità o le unità da attaccare, avere già chiara nella mente la rotta di scampo, tenendo anche presenti le con­dizioni atmosferiche, l'entità della formazione nemica, la pre­senza della caccia avversaria, il fattore sorpresa, e ciò consi­derando il numero degli aerei attaccanti. In quell'attimo il Co­mandante diventa un essere, direi quasi, più che umano: non si cura del fuoco contraereo nemico, non si cura della caccia avversaria, non si cura di tutti quei fattori che potrebbero por­tare alla distruzione del proprio velivolo e causare la morte sua e dei suoi compagni. Egli vede una cosa sola: l'obbiettivo che ha deciso di attaccare. E fino a che il siluro non sia sganciato a bassissima quota ed a distanza ravvicinata, non disto­glie lo sguardo dall'unità nemica ».

Scrivendo queste frasi; Buscaglia ripensava sicuramente a « quell'attimo » vissuto da lui decine e decine di volte. La ten­sione di « allora » c'è anche nelle parole piane e semplici. Poi continua: «Compiuta la missione, però, un nuovo sentimento lo invade: la volontà di salvare sé ed i suoi compagni e di riportare a casa, oltre all'apparecchio col suo prezioso carico umano, la notizia della nuova vittoria. Il rientro è senza preoc­cupazioni, allietato dal pensiero gioioso di poter riatterrare alla base di partenza e abbracciare i camerati che attendendo pas­sano attimi di vera e intensa trepidazione ». Ecco l'ultima fase dell'azione: « E una volta a terra, quando nell'ufficio del. Co­mandante si è svolta, severissima e rigorosissima, un'inchiesta per accertare i risultati conseguiti attraverso l'esame dei foto­grammi che il fotografo di bordo ha scattato al momento giu­sto, tutti hanno la coscienza di aver compiuto il proprio dovere e niente più ». Quando scrive, Buscaglia ha già sei nastrini az­zurri sul petto. Ma confessa sinceramente: « Il pensiero della ricompensa è lontano dalla mente di questi valorosi, e se il se­gno del valore fregerà i loro petti, sarà ad essi caro, sopratutto perché legato al ricordo vivo degli attimi trascorsi con i com­pagni di rischio e di gloria, all'attacco di quella grossa unità i cui pezzi facevano un fuoco d'inferno, tanto che la nave sem­brava un vulcano ». Tutta la sua vita; in fondo, è stato un pe­renne volare su vulcani galleggianti. É questo che conta, per lui questo che i suoi compagni non dimenticheranno mai. Tutto il resto ha un valore relativo.

 

 

 

SOSTE NELLA BATTAGLIA

 

« ... Una delle solite stanzette dei Comandi d'aeroporto in guerra. Pochi mobili di legno grezzo, costruiti nelle officine vo­lanti delle squadriglie, un tavolo, una sedia (per il visitatore bisognò farne portare un'altra) uno scaffale e un grande leggio per carte topografiche, sul quale erano spiegati alcuni porto­lani del Mediterraneo con tracce di rotte a matita; quello era l'angolo dove Buscaglia studiava l'impostazione delle azioni. In un ripiano, sotto le carte, c'erano gli strumenti, squadre, compassi, goniometro e, appeso ad una corda, nel vano della finestra, un canocchiale di Marina nel suo astuccio, al quale erano attorcigliati un caschetto, i guanti e un paio di occhiali da sole: l'attrezzatura di volo dell'Asso, sempre pronta per i casi di allarme... ».

Così, in una commossa rievocazione dell'Eroe, descriveva Arturo Pianca l'ambiente semplice in cui Buscaglia, maggiore di ventisette anni, il più giovane maggiore dell'aeronautica ita­liana, esercitava le sue funzioni di comando. Le esercitava con alto senso di responsabilità, serenamente come sempre e, come prima al comando di squadriglia, stringendo ora attorno a sé tutto il personale del gruppo alle sue dipendenze. La eccezio­nale natura di Buscaglia si rivelava intera: un uomo di com­battimento, ma anche di comando e che del comando non ri­fuggiva le cose più noiose; le pratiche burocratiche, ad esem­pio, le montagne di carta dattiloscritta e ciclostilata che ad altri facevano paura, ma che lui affrontava, con lo stesso sereno co­raggio con cui aveva affrontato tutto nella vita.

E, curvo al suo tavolo di legno grezzo, leggeva, correg­geva, sottolineava, firmava: attentamente. Anche quelle cose erano la guerra, anche di quello era fatta la guerra, che non è sempre eroica e sfolgorante, ma deve necessariamente essere anche umile e paziente.

Erano le soste della battaglia. Faceva tante cose, Buscaglia, in quelle soste. E non solo quelle inerenti al suo grado, ma altre che nessuno avrebbe sospettato. Studiava diritto sulle dispense universitarie: e i fogli, a volte, sbucavano sul tavolinetto di legno grezzo, in mezzo a tutte le altre carte sorprendendo il vi­sitatore. A cui poi, appena la conversazione aveva preso l'av­vio, il maggiore Buscaglia, asso degli aerosiluranti, decorato di sei medaglie d'argento e della croce di ferro, protagonista di imprese diventate leggendarie, confessava i suoi timori, le sue ansie come uno studente qualunque. E quelle dispense lo se­guivano da due anni ormai, attraverso tutti gli aeroporti e le basi aeree più avanzate; e le sottili distinzioni della casistica giuridica, i profondi concetti della filosofia del diritto, i ragio­namenti quadrati dell'economia politica avevano rasserenato più volte lo spirito turgido ancora della eccitazione del combattimento e dell'ebbrezza della vittoria. Uno studente eccezio­nale, il maggiore Buscaglia: come forse le università italiane non ne ebbero mai e che pensava alla sua laurea in giurispru­denza come alla più difficile delle vittorie da conquistare. Tre esami soli, mancavano. Ma duri. E Buscaglia, quando sulla base aerea, la sera, cadeva la calma; quando non erano pre­viste azioni notturne e ci si indugiava nel dolce ozio che ritem­pra le energie e distende i nervi, Buscaglia chinava la testa sulle sue dispense e pensava ansioso al giorno in cui avrebbe soste­nuto l'esame. Come uno studente qualsiasi...

Pause serene della battaglia. E in queste pause, arrivavano voci ammirate. Buscaglia è uno dei nomi più noti di questa guerra: ed ecco lettere di scolaretti dai paesi più lontani, scritte con grandi caratteri incerti su umile carta; lettere di maestri e maestre, di donne gentili, di padri e madri di caduti che nell'Asso vittorioso vedono ancora e sempre il loro figliuolo; let­tere dalla Germania anche. È il palpito amoroso di un paese intiero che segue appassionatamente uno dei suoi figli migliori. C'è lo stesso sentimento, in esse, che c'è nelle lettere che Bu­scaglia riceve da Novara, quelle della sua mamma e del suo babbo, quelle di suo fratello soldato in Albania, quelle della so­rella e dell'altro fratello ingegnere. Chiedono tante cose quelle lettere: come è fatto un aérosilurante, come si impiega, se è veloce; e poi che cosa si vede quando la nave colpita va a picco, quando più rabbiosa si stringe la maglia di ferro e di fuoco della reazione nemica. E auguri, ancora, elogi, e richie­ste di fotografie.

Buscaglia è sempre sorpreso da quelle lettere, come se fosse sempre la prima quella che riceve. Ma in fondo, si domanda, io che cosa faccio di eccezionale per meritarmi tanti elogi, tanta affettuosità da ogni parte d'Italia? E lo trovavano da per tutto quelle lettere. Ad ogni citazione del Bollettino erano nuovi pacchi che il fedele attendente gli portava in camera da letto, e che l'Eroe apriva sistematicamente, rompendo le buste con un tagliacarte d'avorio. Rispondeva poi, specialmente ai più giovani, ai bimbi che avevano scritto faticosamente le frasi ingenue, con scrupolosa puntualità.

Si empivano così, di dolci e serene cose, le pause della bat­taglia, oltre che delle mansioni inerenti al grado che prodigio­samente, a ventisette anni, Buscaglia .aveva conquistato. Una delle ultime cose che lo avevano occupato, in quelle pause, era stata l'insegna araldica del suo gruppo, la nuova insegna dei suoi aerosiluranti. Rappresentava un guerriero a cavallo di un ippogrifo, scagliato contro un mostro marino con le fauci spa­lancate. « Col cuore e con l'arma oltre ogni mèta », diceva il motto. Nessuno più di Buscaglia poteva personalmente testi­moniare la verità di quelle parole. E l'avrebbero portata sul petto, sulla combinazione di volo, i suoi compagni d'ardimento e di gloria; l'avrebbero mostrata al nemico, dipinta spavalda­mente sui timoni, gli apparecchi. E c'era, in quelle parole già un presentimento, per Buscaglia: perché proprio col cuore, egli avrebbe scagliato l'arma oltre la mèta, un giorno non troppo lontano, nel cielo dell'Algeria.

 

 

LA CARLINGA IN FIAMME

 

Da un aeroporto del Mediterraneo centrale, la mattina del 12 novembre 1942, due formazioni di aerosiluranti spiccavano il volo verso la costa dell'Algeria. Erano al comando del maggiore Buscaglia, che già il giorno precedente aveva fatto sentire al nemico il peso della sua supremazia, silurando snella rada di Bougie un piroscafo da 10.000 tonnellate. I convogli rnarittimi  anglo-americani da due giorni non avevano pace e lo sbarco sulle coste algerine cominciava a costar caro. Bombardieri in quota, tuffatori, aerosiluranti, s'erano lanciati audacemente all'attacco, affondando e danneggiando navi mercantili e navi da guerra, distruggendo attrezzature portuali e aeronautiche, osta­colando i traffici sul mare e contrastando il rafforzamento dei centri di sbarco a terra. Era la reazione dell'Asse alla nuova mossa delle potenze anglosassoni. E Buscaglia era, come sem­pre, in prima linea. Ora le due formazioni navigavano in dire­zione della costa africana. Sul mare c'era una nuvolaglia bassa e densa; ogni tanto dure raffiche di pioggia schiaffeggiavamo sonoramente i velivoli. Ma gli equipaggi non pensavano che all'azione imminente. In testa a loro c'era il maggiore Buscaglia: con lui sarebbero andati anche in .capo al mondo, attra­verso le più feroci tempeste.

A bordo dell'apparecchio di Buscaglia c'era qualcuno stra­ordinariamente contento. Era l'aviere scelto fotografo Maiore, Al ritorno dall'azione del giorno prima l'« S. 79 » aveva do­vuto incassare parecchi colpi) durante un combattimento con gli « Hurricane » era stato colpito di striscio da una pallottola di mitragliatrice. Appena giunti all'aeroporto, il maggiore Buscaglia s'era dato d'attorno perché quel fotografo fosse ricove­rato in infermeria e curato. Ma all'aviere scelto Maiore quel dover vegetare fra le bende pareva un tradimento. Sapeva elle il giorno dopo i suoi compagni sarebbero ripartiti con il mag­giore, di nuovo, per le coste dell'Algeria. Lui, lui che aveva tante volte fissato, con la sua macchina di bordo precisa come una mitragliatrice, le vittorie del suo Comandante, proprio lui avrebbe dovuto rimanersene a letto? S'era presentato al Comandante, intimidito, ma con gli occhi accesi. « Ecco, signor maggiore... Io non sto affatto male. La ferita è una cosa da niente. Mi dovete credere. Sto bene. E poi, in guerra, queste cose non fanno impressione. Voi partite di nuovo… e io, io voglio venire con voi. Son venuto sempre con voi. E ieri, e l'altro ieri e tante altre volte. Non sono mica un invalido, signor mag­giore. Non mi lasciate a terra... ». Aveva continuato a lungo su quel tono l'aviere scelto fotografo Maiore: e Buscaglia final­mente s'era deciso a portarlo con sé. Ora, mentre l' « S. 79 » volava verso la costa algerina, Maiore era contento e carezzava la sua macchina fotografica. La ferita non gli faceva più male. E poi non c'era tempo da pensare ad essa. Ci sarebbero state. fra poco, cose ben più importanti.

La rotta che le due formazioni seguivano, sul mare aperto era, la stessa del giorno precedente. Poi la costa africana si pro­filò all'orizzonte e gli apparecchi piegarono un pò verso occi­dente, tenendosi sulla terra ferma. Ecco Bona e dopo pochi mi­nuti la larga, profonda rottura del golfo di Bougie. Come il giorno prima, formicolava di piroscafi. Si vedevano anche net­tamente le sagome di alcuni incrociatori e di parecchi caccia­torpediniere e torpediniere. In cima agli alberi sventolavano le bandiere stellate degli Stati. Uniti. Poche quelle britanniche. E lavoravano, i nemici, intorno a quei piroscafi, sotto la pro­tezione delle navi da guerra. Proprio all'estremità occidentale del golfo, non lungi da Bougie, stesa tutta bianca lungo la riva del mare, tra i piroscafi e la riva era un continuo andirivieni di zatteroni, di chiatte, di imbarcazioni d'ogni genere. Per gli an­glos3assoni quello era uno dei maggiori punti di sbarco di uo­mini e di materiali. E là bisognava picchiar sodo. Come nei giorni precedenti.

Le navi da guerra erano disposte in posizione strategica nell'ampia rada. Gli aerosiluranti apparvero sul golfo, venendo da terra dalla parte meridionale. Si disposero per l'attacco. E subito tuonò, dalle acque della rada, la reazione contraerea. Sparavano i cannoni, le mitragliatrici, i cannoni mitragliatori, e il cielo era tutto fiorito dagli scoppi rossastri. I proiettili trac­cianti, a fasci densi, fischiavano rigando l'aria un po' torbida. Il volume del fuoco era considerevole: e una vera cortina di fuoco si stendeva intorno ai piroscafi, alcuni dei quali di grande tonnellaggi. Né la caccia era assente: perché una decina di « Curtiss P. 40 » già in volo di protezione, di disponevano a lanciarsi in picchiata sui nostri aerosiluranti per intercettarli.

L'azione durò pochi minuti, come al solito. In testa alle su formazioni, Buscaglia si lanciò per primo all'attacco. Le condi­zioni di visibilità erano abbastanza favorevoli. Come sempre al momento dell'inizio dell'azione, Buscaglia levò dalle leve la sua mano bianca e ferma e tracciò per sé e i suoi compagni, un gran segno di croce. Forse questa volta, quel segno fu più profondamente sentito. La lotta cominciò subito: perché i « Curtiss » sembrarono comprendere quale immenso carico di audacia e di gloria portava con sé l' « S. 79 » scagliatosi per primo all'attacco. I cacciatori nemici giostrarono in un assor­dante fischiare di pallottole. L'apparecchio di Buscaglia, però, si difese bene. Sparò con tutte le armi di bordo: e un appa­recchio nemico, preso in pieno da una raffica, si impennò su­bito, perdé quota rapidamente e si infilò in mare senza che il pilota avesse il tempo di rendersi conto di quel che gli stava accadendo.

Gli altri apparecchi delle due formazioni nostre, intanto, incuranti dell'attacco della caccia, si disponevano al lancio dei siluri. Un mercantile, colpito, si incendiò con una densa nube di fumo nero. Un grosso cacciatorpediniere silurato, sbandava; altri siluri esplosero contro le fiancate di vari piroscafi. Il golfo di Bougie era tutto un unico rombo, il fuoco antiaereo conti­nuava implacabile, fischiavano ì proiettili traccianti. Minuti, minuti soltanto. E s'avvicinava quello fatale per Buscaglia.

Dallo scontro con i caccia, l'apparecchio del Comandante era uscito gravemente colpito. Una scia di fumo nero si spri­gionava dalla coda, s'allungava sinistra nel cielo. I gregari delle due formazioni nostre videro quel fumo, fra tutti gli altri, e gli innumerevoli scoppi della battaglia divampante. E par­vero, da quel momento, non aver occhi che per quella sinistra scia di fumo nero, denso, che ora si avvolgeva in una grande spirale.

Si renderà conto, il Comandante, di quel che gli succede? si chiedevano i gregari. Buscaglia, fermo al suo posto di co­mando, e i suoi compagni di equipaggio ai loro posti di com­battimento, nella carlinga verso cui tra poco fulminee si avven­teranno le fiamme, capiscono quel che succede. Il gran segno di croce che il Comandante ha tracciato prima di scendere verso il bersaglio li ha purificati e santificati. Niente li fermerà più. Il bersaglio è scelto e, il siluro deve andare a segno, come sono andati a segno, sempre, tutti gli altri.

Tra il fumo ora lingueggiavano già alcune rosse striscie di fiamme, ben visibili anche da fuori. Buscaglia però non sembra preoccuparsi del fuoco e della rovina che ha a bordo: pensa al fuoco e alla rovina che porterà al nemico. L'equipag­gio è stretto attorno a lui, ha la stessa sua inflessibile volontà. Con quello del Comandante cinque cuori di soldati, semplici ed eroici come lui, battono ad un ritmo eguale. L'apparecchio incendiato si avvicina inesorabile al grosso piroscafo prescelto: uno dei maggiori fra quelli ancorati nella rada, da diecimila tonnellate. Con la massima freddezza Buscaglia calcola la di­stanza, poi manovra le leve. Il siluro parte, balza sull'acqua, sembra essere sorretto nella sua corsa dal cuore del Coman­dante e dei suoi, corre verso il grosso piroscafo, lo percuote alla chiglia come il pugno di un titano. S'ode uno scoppio spaven­tevole. La nave era carica di esplosivi: salta in aria come una scatola di legno, incendiando tutto l'orizzonte, e lasciando a sola memoria di sé una immensa nuvola di fumo che copre il mare larghissimamente, e si sparge nel cielo come un tene­broso sudario.

L'apparecchio di Buscaglia procede ancora un poco attra­verso quelle fiamme, confondendo le proprie con quelle del ne­mico vinto, avvolgendosene come in un sudario di porpora. Poi perde rapidamente quota: i gregari vedono le ultime fiamme dell' « S. 79 » lingueggiare vicinissime all'acqua. E infine Buscaglia precipita nella parte occidentale del golfo. L'ultimo si­luro da ti lanciato non è scoppiato invano. Come sempre, il bersaglio è stato centrato in pieno. La giornata dell'Eroe può anche fare, così. Non ha scritto egli, una volta, che nell'attimo supremo il  Comandante diventa un essere « più che umano? ». Rileggiamo le parole di quell'autoritratto: « Non si cura del fuoco contraereo nemico, non si cura della caccia avversaria, non si cura di tutti quei fattori che potrebbero portare alla di­struzione del proprio velivolo e causare la morte sua e dei suoi compagni. Egli vede una cosa sola: l'obbiettivo che ha deciso di attaccare. E fino a che il siluro non sia sganciato a bassis­sima quota ed a distanza ravvicinata, non distoglie lo sguardo dall'unità nemica... » .

E questo è avvenuto, il 12 novembre 1942, nella rada di Bougie.

 

 

 

APPENDICE

 

Motivazioni delle decorazioni al valor militare conferite al maggiore pi­lota A. A. Carlo Emanuele Buscaglia.

 

Decorato di medaglia d'argento al V. M. « sul campo » con la seguente motivazione:

« Capo equipaggio di apparecchio aerosilurante, partecipava a difficili e rischiose azioni belliche contro formazioni navali in mare aperto e in mu­nite basi. incurante della reazione aerea e contraerea nemica che a volte gli colpiva il velivolo, solo animato da alto senso del dovere conduceva sem­pre a termine le missioni affidategli, dando prova non dubbia di alte virtù militari e di doti di sicuro ed esperto pilota ». Cielo del Mediterraneo Orien­tale, 15 agosto - 17 settembre 1940 - XVIII.

 

Decorato di medaglia d'argento al V. M. « sul campo » con la seguente motivazione:

« Capo equipaggio di apparecchio aerosilurante, di provato valore, par­tecipava con costante entusiasmo a numerose ed ardite azioni di guerra, con­dotte in mare aperto ed in lontane munitissime basi contro forze navali nemiche. Il 26 dicembre 1940, non ostante la forte reazione avversaria, diri­geva il propri apparecchio all'attacco di una unità navale nemica, riuscendo a colpirla coi il siluro e ad affondarla. Sprezzante di, ogni pericolo e solo guidato dall'intimo senso di compiere tutto il proprio dovere, dimostrava non comuni doti professionali, fermezza d'animo e alto spirito di sacrificio ». Cielo del Mediterraneo Orientale, 26 dicembre 1940-XIX.

 

Decorato di medaglia d'argento al V. M. « sul campo » con la seguente motivazione:

« Abile e ardito pilota, comandante di reparto aerosilurante, portava i suoi velivoli all'attacco di un'importante formazione navale nemica, scortata da nave portaerei. Nonostante la violenta reazione contraerea ed aerea dell’avversario, effettuava il lancio da brevissima distanza colpendo e danneg­giando gravemente una grossa unità nemica ». Cielo del Mediterraneo Orien­tale, 28 marzo 1941 - XIX.

 

Decorato di medaglia d'argento al V. M. « sul campo » con la seguente motivazione:

« Comandante di squadriglia aerosilurante, sempre primo in ogni ardita impresa, in successive azioni contro convoglio fortemente scortato ed unità da guerra britanniche, nonostante la precisa e violenta reazione contraerea che danneggiava gravemente il velivolo, colpiva in pieno con siluro due grossi incrociatori, un incrociatore ausiliario ed un cacciatorpediniere. Costante esem­pio di sereno coraggio ed e:evate virtù militari ». Cielo del Mediterraneo Orien­tale, 8 maggio - 6 agosto 1941 - XIX.

 

Decorato di medaglia d'argento al V. M. « sul campo » con la seguente motivazione:

« Comandante di squadriglia aerosilurante, in audacissimi attacchi contro la flotta britannica, nei quali venivano colpiti due incrociatori e quattro grossi mercantili, riconfermava le sue già provate mirabili virtù militari, aggiun­gendo nuovi allori alle glorie del reparto da lui plasmato ed innumerevoli volte condotto con inflessibile decisione ed indomito coraggio attraverso gli sbarramenti del fuoco nemico ». Cielo del Mediterraneo Orientale e Centrale, 30 novembre - 31 dicembre 1941 - XX.

 

Decorato di medaglia d'argento al V. M. « sul campo » con la seguente motivazione:

« Partecipava, quale capo formazione di apparecchi aerosiluranti, alla luminosa vittoria dell'Ala d'Italia nei giorni 14 e 15 Giugno 1942 nel Medi­terraneo. Nonostante la violenta reazione aerea e contraerea avversaria, gui­dava con grande abilità ed ardimento i propri gregari a ripetuti attacchi ad un convoglio nemico fortemente scortato da unità da guerra, sganciando i siluri a distanza ravvicinata e conseguendo brillanti risultati ». Cielo del Me­diterraneo, 14 - 15 giugno 1942 - XX.

 

Decorato della Croce di Ferro di 2a Classe conferitagli dal Governo del Reich in data 5 marzo 1942.

 

Ha avuto due avanzamenti e una promozione per meriti di guerra.

 

 

(1)   Ali di guerra.

 

 

 

http://www.squadratlantica.it/