Uomini

Il fascio littorio: nella storia e quale simbolo ottico della Regia Aeronautica

Il fascio littorio è il simbolo del movimento creato da Benito Mussolini in piazza San Sepolcro a Milano il 23 marzo 1919; comparirà nelle manifestazioni, sulle facciate degli edifici pubblici e nelle più varie guise costituendo il centro di quello che è stato efficacemente definito “il culto del littorio”: dal fascismo movimento passando per il fascismo regime per giungere infine a quello Repubblica Sociale.

Data la sua preminenza come simbolo prima del movimento politico e quindi come simbolo statale e dato che i velivoli italiani lo porteranno nella conquista di record e nei voli di guerra, data appunto tale preminenza, ho ritenuto di trattare la materia con larghezza tramite una ricognizione spaziante dalla dimensione squisitamente storico – simbologica a quella, più direttamente riguardante le materie di trattazione del sito, dell’adozione quale simbolo ottico di riconoscimento sugli aerei militari italiani dal 1926 al 1943.

Il primo documento è, quindi, uno studio del Prof. Pericle Ducati, segue quindi il Foglio d’Ordini relativo all’adozione come simbolo sugli aeromobili  per terminare con la dettagliata esposizione circa i vari modelli utilizzati.

Risulta opportuno specificare che all’epoca della sua adozione da parte del giovane movimento il termine “fascio” non avesse assolutamente significato univoco: il fascio non rappresentava – infatti – solo il retaggio della rivoluzione francese ma anche quello della Repubblica Romana. La fine del XIX secolo aveva visto la rivolta contadina dei Fasci Siciliani mentre negli oscuri giorni di Caporetto il Parlamento aveva visto la costituzione del Fascio d’Azione parlamentare, unione delle forze nazionaliste risolutamente votate alla vittoriosa conclusione del conflitto. Il fascio adottato durante il periodo movimentista, poi, era proprio quello della rivoluzione francese con l’ascia collocata alla sommità delle verghe simbolo, come detto, d’ideali mazziniani e repubblicani. Tanto rientrava in una spregiudicata politica tendente a unire componenti tra loro non omogenei ma utili a conseguire un rapido accrescimento di consensi.

Giunto al potere Mussolini volle arrivare ad una rigorosa separazione da qualsiasi corrente rivoluzionaria e il fascio che diverrà, giusto il regio decreto legislativo n.2061 del 12 dicembre 1926, simbolo di stato sarà quello proprio alla romanità. Non casuale a chiusa del suo dotto opuscolo il Prof. Ducati esprimerà ripulsa per “l’avvento di idee demagogiche […] alludente invero, non già ad una ordinata e consapevole libertà di popolo, ma ad una tumultuosa e prava licenza di plebaglia.” (g)

 

  

 

fascio littorio 

 

 

AI FASCISTI D’ITALIA!

Nessuno di Voi, sia giovane Avanguardista, sia iscritto al Partito che ha donato all’Italia le presente grandezza, auspice il Duce invitto, deve ignorare l’origine e gli attributi dell’emblema statale – simbolo di potere e di giustizia – di cui con orgoglio, si fregia il petto.
E poiché questa origine bisognava ricercare nella gloriosa antica storia, ecco per Voi questo pregevole opuscolo, scritto con l’alta competenza e l’adamantina fede che lo distinguono, dall’illustre storico ed archeologo Prof. Pericle Ducati, Preside della facoltà di lettere e Vice Rettore della R. Università di Bologna.

 

FASCISTI D’ITALIA!

È questa una pagina iniziale della cultura fascista. A Voi, per la Patria e per il Duce!

 

L’Associazione Nazionale Fascista 

Per le Biblioteche delle Scuole Italiane

LA PRESIDENTE

CLARA CAVALIERI

 

 

fascio littorio

 

 

ORIGINI E ATTRIBUTI DEL FASCIO LITTORIO

 

Nel 1898, durante una delle campagne di scavo del vasto sepolcreto di Vetulonia, della città etrusca che sorgeva a Poggio di Colonna al di sopra della pianura di Grosseto, venne alla luce una tomba d’insolita ricchezza per abbondanza di oreficerie, squisitamente lavorate, e singolare per un monumento che essa conteneva: un fascio di verghe di ferro vuote, con in mezzo, sovrastante, una scure a doppio taglio o bipenne. L’oggetto che ora, insieme con tutto il frutto degli scavi di Vetulonia, si conserva al R. Museo Archeologico di Firenze, doveva in origine superare il mezzo metro, mentre la scure è lunga cm. 27. La tomba fu subito denominata del Littore, pel fatto che in questo monumento venerando, purtroppo corroso e guasto dal tempo, si riconobbe un fascio littorio, il più antico che noi possediamo; chè invero, per varie ragioni, questa tomba di Vetulonia si può collocare nel secondo cinquantennio del secolo VII a.C.

 

 

 fascio littorio

 

 

Ora è curioso che un poeta della seconda metà del secolo I di Cristo, Silio Italico, nel suo poema Le Puniche (libro VII, v. 485 e seg.), dice: “ Vetulonia fu un tempo decoro della gente Meonia (cioè lidia, cioè etrusca): fu la prima città a far procedere dodici fasci ed a congiungere ad essi, con silenzioso terrore, altrettante scuri “. La scoperta archeologica ha confermato in tale caso la fonte letteraria; chiara ne emerge l’origine etrusca del fascio littorio di Roma. Né ciò costituisce un fatto isolato, perché altre istituzioni, che noi vediamo apparire nella Roma dei re e nella Roma dei primi tempi repubblicani, hanno una fisionomia prettamente etrusca; sono esse elencate in un passo di uno scrittore della prima metà del II d.C., P. Annio Floro (Delle Guerre dei Romani, I, 5,5), e nell’elenco è pure il fascio littorio. È presumibile che tutto ciò risalga al periodo di dipendenza di Roma dagli Etruschi, di Tarquinia prima, forse di Vulci e di Chiusi poi, al periodo che abbraccia gli ultimi tre re della leggenda, Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo (623-510 a. C., secondo la cronologia tradizionale) ed i primordi repubblicani.

 

Ma vi ha di più. La doppia scure, che sormonta il fascio ferreo di Vetulonia, ha in sé un carattere vetusto assai: è il tipo di bipenne in usi nella civiltà ellenica sino verso la fine del secolo VIII a. C.; mentre per l’Etruria tale tipo di strumento o di arma si conserva più a lungo, chè alla fine del secolo VII rimonta una pietra funeraria di Vetulonia con la figura graffiata di un guerriero impugnante nella destra la bipenne. La quale bipenne ha un’origine lontana: era l’arma-strumento per eccellenza in quella lussureggiante civiltà cretese micenea o pre-ellenica, che si svolse nel bacino dell’Egeo con centro in Creta, anteriormente al 1000 a. C., nel terzo e nel secondo millennio.

 

Il palazzo di Cnosso in Creta conservò nelle posteriori leggende di Grecia il nome di Labirinto, cioè edificio della labrys, parola che negli antichi dialetti asiatici significa bipenne. Questa bipenne poi, come possiamo argomentare da tanti e tanti monumenti pre-ellenici, era l’attributo di quel dio supremo, che è il predecessore dello Zeus dei Greci, del Tina degli Etruschi, del Giove dei Romani; è quindi il simbolo della divina potenza, perciò suprema giustizia. Il fascio littorio di Vetulonia costituisce in tal modo uno di quei tenui fili, che ricongiungono gli strati più profondi della cultura degli Etruschi, di origine dalle coste orientali dell’Egeo, con la civiltà che fiorì in tempi assai lontani nelle plaghe bagnate dal medesimo mare.

 

La tradizione romana, che tendenziosamente mira ad offuscare o ad eliminare il ricordo di una soggezione politica e perciò culturale nei tempi più antichi e che tende ad innalzare, tramutandole, le vicende di questi tempi, non si è peritata con Tito Livio di risalire persino a Romolo, il mitico fondatore della città, per l’adozione del fascio littorio: Cicerone e Plinio in naturalista scendono al terzo re, Tullo Ostilio; ma l’introduzione del fascio littorio per opera dell’etrusco re Tarquinio Prisco, riferita da Dionisio di Alicarnasso, da Floro e da Eliano, sembra possedere maggiori requisiti di verosimiglianza.

 

Così in Roma viene introdotto il fascio littorio come simbolo del potere statale, superiore alle contingenze ed alle passioni della vita e come simbolo della composto della unione di più verghe o bastoni di olmo, secondo Plauto (Asinaria, 2, 3, 74; 3, 2, 28), o di betulla, secondo Plinio (Storia Naturale XVI, 18, 75), rilegati da un nastro rosso e che circondavano la sovrastante o emergente scure (securis), l’aggettivo littorio (lictorius) specificò questo fascio, derivando esso daqlla funzione che i suoi portatori o lictores avevano di licère, coiè di citare o di chiamare in giudizio. Ma è da osservare, come si rileva specialmente da Polibio e da Plutarco, che i greci tradussero il nome latino di lictor con quelli di rabdouchos, di rabdophoros, di rabdomonos, cioè portatore di verghe. Era impugnato il fascio, come possiamo desumere dai monumenti figurati romani, tutti dell’età imperiale, dalla mano sinistra sulla spalla sinistra e, come ci dicono essi monumenti, era lungo all’incirca un metro e mezzo. In segno di lutto il fascio si portava alla rovescia, mentre in segno di vittoria veniva incoronato di alloro; così, durante la repubblica, il Duce vittorioso nel trionfo era circondato da littori con fasces laureati, ma sotto l’impero l’alloro rimase in permanenza ai fasci imperiali, che, per di più, erano dorati.

 

Secondo la tradizione, nell’epoca regia il re aveva dodici littori, e questo numero rievoca il ricordo della origine etrusca del fascio, sia per la dodecapoli etrusca, o confederazione di dodici città costituenti la nazione etrusca, sia per la divisione, documentata da un passo di Servio, commentatore della Eneide virgiliana (Canto X, v, 202) di ogni cittadinanza etrusca in tre parti, ognuna delle quali comprendeva quattro curie con a capo, per ciascuna, un lucumone. I littori regi recavano, oltre verghe, la scure.

 

Ma nella Roma repubblicana la scure viene conservata dapprima solo presso i fasci del dittatore, cioè del magistrato supremo, che in tempi eccezionali veniva creato per il bene supremo del paese e perciò non era tenuto a rendere ragione del suo operato al popolo. Dinanzi al quale popolo, raccolto in assemblea, si abbassavano i fasci dei vari magistrati, quasi a riconoscerne la sovranità, uso questo che sarebbe stato introdotto dal console P. Valerio Publicola (509 a. C.). la scure veniva collocata nel fascio anche in occasione del trionfo in onore del Duce vittorioso, che se ne serviva per recidere il capo ai prigionieri di guerra. Ma fuori di Roma, nel territorio in cui si combatteva, la scure riappariva nel fascio littorio. Dodici littori rimasero ai consoli e, dapprima, si ebbe l’alternativa dei littori presso i due consoli mese per mese; il console più anziano aveva in questa alternativa la precedenza. Poscia, fuori di Roma, si passò ad una alternativa giornaliera, finché si ritornò al periodo di un mese sotto il primo consolato di Giulio Cesare, cioè nel 59 a. C.

 

Dodici littori ebbero anche altri magistrati, cioè i decemviri, quei magistrati straordinari che, nel 451 e nel 450 a. C., furono eletti con potere consolare, senza il sindacato del popolo e con sospensione delle altre magistrature per redigere un codice di leggi. Così dodici littori furono concessi ai tribuni militari ed ai magistrati funzionanti da consoli.

 

Ma in seguito aumentò il numero dei littori per singolo magistrato, cioè per il dittatore; è supponibile invero che il dittatore, mentre a Roma aveva dodici fasci, raddoppiasse il loro numero quando era in campagna. E L. Cornelio Silla, quando alla fine dell’anno 82 a. C., fu eletto dittatore a tempo indeterminato per redigere leggi, si circondò, anche in Roma non più di dodici littori, ma di ventiquattro.

 

Ma il numero aumentò ancora con Giulio Cesare, il quale per le giornate del suo quadruplice trionfo (46 a. C., forse nel mese di agosto) ottenne dal Senato ben settantadue littori.

 

Anche le magistrature minori avevano l’attributo del fascio littorio. Così il capo della cavalleria (magister equitum), funzionario delegato dal dittatore per il comando della cavalleria, aveva sei fasci, così il pretore urbano, cioè il magistrato incaricato di esercitare la giurisdizione civile, aveva due fasci, mentre il pretore di provincia, da equiparare a un governatore, ne aveva sei. Così l’edile; così, alla fine della repubblica, i questori ed i legati funzionanti da pretori avevano fasci littori, ma il numero loro non è precisato. E dall’epoca di Silla, come si desume specialmente da passi di Cicerone, il governatore di provincia poteva concedere l’onore dei fasci, in numero di due, a senatori, che si trovavano in provincia, al proprio questore, ai propri legati. Ma, entrando nel territorio di uno stato indipendente, alleato di Roma, il magistrato romano doveva essere accompagnato da un solo littore.

 

Quando poi un magistrato ne incontrava un altro di rango superiore, faceva abbassare i fasci in segno di omaggio e quando a lui si doveva presentare andava senza i littori. I quali del resto erano sempre di scorta al proprio magistrato, costituendo quasi una guardia del corpo che precedeva, distribuita ad uno ad uno, mentre, quando il magistrato era in casa, essi littori si trattenevano nel vestibolo. Ma specialmente il console non poteva mostrarsi in pullico, anche da privato, senza il corteo littorio.

 

I fasci, appunto per il loro alto significato, venivano spezzati quando vi era la infamia della destituzione di un magistrato o quanto vi era l’onta di una sconfitta o di una discordia intestina.

 

Durante l’impero rimangono i littori, i quali con l’imperatore Domiziano (81 – 96 d. C.) assurgono al numero costante di ventiquattro, e così su monumenti figurativi celebri dell’impero noi scorgiamo i fasci littori accanto all’imperatore. È opportuno citare alcuni di questi monumenti più insigni: i rilievi finissimi, aulici dell’ara della Pace Augusta (13 – 9 a. C.), il grossolano, barbarico rilievo dell’arco di Susa, innalzato in onore di Augusto dal principe alpino Cozio (8 o 9 a. C.), una delle due balaustre marmoree del Foro Romano (posteriori al 101), i rilievi dell’arco eretto a Benevento per eternare la gloria di Traiano Ottimo Augusto (114), il rilevo proveniente dal Foro Traiano (111 – 114), ora incastrato nell’arco di Costantino, con la figura dell’imperatore che, attorniato da littori, sta per rientrare vincitore in Roma, la lastra del rilievo della colonna di Marco Aurelio in Piazza Colonna, ove l’imperatore filosofo, come suggello della propria campagna contro i Sarmati, terminata nel 172, pronuncia da un basamento (suggestus) un discorso (allocutio) alle soldatesche, mentre accanto al suggestus stanno due littori.

 

In questi due rilievi noi osserviamo, come del resto in uno dei rilievi dell’arco di Susa, che al fascio littorio è attaccata la scure, la quale sporge lateralmente: in alto nel monumento augusteo, a metà altezza in quello traianeo, più verso il basso nel rilievo aureliano. La scure appare, o perché l’azione si svolge nel territorio di conquista, o perché la scena è il ritorno trionfale da una guerra.

 

Ma durante l’impero, viepiù impallidendosi il primitivo significato del fascio littorio, sacro ed augusto, diventa esso l’attributo di qualsiasi forma di autorità, che si attua nell’ambito dello Stato e che ha in sè un carattere puramente amministrativo o anche di mera cerimonia religiosa o di parata. Cosicchè si moltiplicarono i personaggi insigniti di cariche, che possano essere accompagnati dal fascio littorio. Sino ai tempi costantiniani (inizio del secolo IV d. C.), i proconsoli o governatori di provincie, che erano stati consoli, avevano diritto a dodici fasci, quelli che erano stati pretori a sei, e sei fasci avevano perciò i pretori, mentre i governatori di provincie imperiali, che come procuratori reggevano un determinato territorio, avevano cinque fasci, ed erano perciò chiamati quinquefascales.

 

Ed ecco un elenco di autorità provviste dell’attributo del fascio, recato da littori in numero vario: il questore in funzione di pretore, il legato del proconsole, i curatori delle vie e delle acque, i prefetti dell’erario militare, forse il prefetto della città. Si aggiungano le cariche religiose, chè invero si ha, per esempio, il littore del flamen dialis o sacerdote di Giove e si ha il littore delle Vestali, e si hanno i littori delle mogli degli imperatori divinizzati, nella loro qualità di sacerdotesse dei propri sposi diventati dei. Quando poi si facevano giuochi o spettacoli pubblici, agli assuntori o direttori di questi giuochi o spettacoli si attribuiva, per la circostanza, in segno d’autorità, il fascio littorio.

 

A tale banalità e volgarità era decaduto il vetusto simbolo di potere e di giustizia! L’attributo del fascio littorio passò nei municipi, cioè presso le cariche dei vari centri cittadini: ma qui si può di nuovo addurre l’Etruria e precisamente la città di Volterra, che ci ha ridato urne alabastrine figurate a rilievo dei secoli III e II a. C., in cui è indubbia, in scene di banchetti o di cortei, la presenza dei due littori. Ora, nella magistratura romana dei municipi il numero dei due littori si constata presso i duumviri, cioè presso la carica suprema municipale. E l’attributo dei due fasci littori, senza naturalmente la scure, vien dato nei municipi, ma solo per le feste, sacrifizi e spettacoli, ai seviri augustales, cioè a quei sei personaggi eletti con decreto dei decurioni, dovevano sopraintendere al culto del divo Augusto. Due esempi figurati si possono addurre: il monumento funerario del seviro augustale C. Lusio Storace (a Roma nel Museo Nazionale Romano), trovato a Chieti (antica Teate) e rappresentante i ludi gladiatori ed il monumento funerario del seviro Sesto Tizio primo (ad Ancona, nel Museo Nazionale), liberto di Suasa, presso Castellone nelle vicinanze di Sinigallia, con le due figure a rilievo dei littori a fianco del bisellium o sedile del magistrato.

Il fascio littorio è ancora in uso all’età di Giustiniano (527 – 565): noi lo vediamo menzionato tra le insegne di governo. Poi esso scompare.

 

Non diamo importanza alla riapparizione del fascio littorio nei tempi della rivoluzione francese, in cui, in odio al passato feudale e dispotico, si vollero collocare in onore i vetusti simboli di Roma, perché servissero, con incongruenza stridente, ad illustrare l’avvento di idee demagogiche, quei simboli, tra i quali il primo posto spettò al berretto frigio, alludente invero, non già ad una ordinata e consapevole libertà di popolo, ma ad una tumultuosa e prava licenza di plebaglia.

 

La riapparizione del fascio littorio è di più recente data. Nei tempi fortunosi, turbolenti e vili, che straziarono la nostra Italia dopo l’ultima immane guerra d’indipendenza, più che da un servaggio politico, dal servaggio spirituale, il fascio littorio fu impugnato eroicamente da un Duce: e con questo simbolo e con questo duce l’Italia è risorta, ed è risorta, anche in questo simbolo, nel nome dell’alma Madre, di Roma. Possa la stirpe italica, sotto l’egida del fascio littorio, nell’arringo dei popoli sempre mostrarsi degna del passato di gloria e foggiarsi con la diuturna fatica della mente e del braccio un avvenire fulgido di potenza e di giustizia! Così sia.

 

Marzo 1927, anno V.         

 

 

 

 

 

MINISTERO DELL’AERONAUTICA

 

FOGLIO D’ORDINI N.6
25 Febbraio 1927 – Anno V

 

FASCIO LITTORIO SUGLI AEROMOBILI

A datate dal 1° Marzo p.v. tutti gli aeromobili in uso o in carico agli Enti dipendenti (Squadriglie, Aerocentri ecc.) dovranno essere muniti del Fascio Littorio.
Il fascio di verghe sarà dipinto in giallo oro e la scure in grigio argento con sfumature; il tutto racchiuso in un circolo a fondo grigio piombo scuro avente il diametro di:
cm. 50 per le specialità: bombardamento notturno, bombardamento diurno, bombardamento idro e dirigibili; cm. 35 per le altre specialità.
Sarà dipinto per la specialità bombardamento notturno, sulla parte anteriore e da ambo i lati della carlinga;
per le specialità: bombardamento diurno, ricognizione terrestre e caccia terrestre da ambo i lati della fusoliera a circa un metro dal bordo d’uscita dell’ala;
per le diverse specialità d’idrovolanti da ambo i lati dello scafo a proravia del posto dei piloti;
per i dirigibili da ambo i lati della prua della navicella piloti.
La Direzione Generale del Genio è incaricata di provvedere ad emanare le opportune disposizioni ai Reparti per l’applicazione dell’emblema sugli apparecchi esistenti e alle Ditte costruttrici per l’applicazione di esso sui nuovi apparecchi.

 

 

 

 

 

Vediamo stile e le modalità dì applicazione sulle insegne dì nazio­nalità, nell'intento di classificare, per quanto possibile, tutta la gamma sorta dalla maniera autonoma con cui le Ditte costruttrici, edotte da norme di carattere generale, provvedono ad applicare ciascuna per pro­prio conto le insegne sui velivoli di propria fabbricazione.

 

 

fascio littorio

 

 

Escludendo a priori cinque tipi dì insegna dì fusoliera che sì differenziano fra loro in minuti particolari, si può asserire che una certa uniformità di stile sussiste nell'ambito di questo emblema, di cui l'esemplare qui rappre­sentato è identificabile come standard per l'intero periodo dal 1935 al 1943. Talvolta presente anche su velivoli civili, l'insegna è applicata mediante decalcomania sulla fusoliera in posizioni che variano dalla carenatura del motore alle parti centrali della stessa, con la scure del fascio sempre rivolta verso la prua del velivolo. L'emblema è riscontrabile anche con un ampio bordo giallo, particolar­mente sui plurimotori Fiat e Savoia Marchetti. Invece che in un disco più raramente il fascio può essere inscritto in un ovale o in un poligono.

 

 

fascio littorio

 

 

Il secondo esempio di insegna di fusoliera è caratteristico della Ditta IMAM sebbene possa riscontrarsi con frequenza anche sui velivoli della RUNA (Reale Unione Nazionale Aeronautica). L'emblema tende però a scomparire con l'inizio del secondo conflitto mondiale che vede più estesamente impiegato il precedente modello standard. Ambedue le insegne possono riscontrarsi inscritte in un cerchio senza l'azzurro di fondo.

 

 

fascio littorio

 

 

Una variante dell'insegna di fusoliera, nella quale il fascio non è inscritto nel disco, è caratteristica dei velivoli della CRDA di Monfalcone. L'emblema viene applicato sulla carenatura del motore o sotto la cabina di pilotaggio. Molto simile è l'insegna dei velivoli delle linee civili e dei Fiat BR. 20 delle versioni A e L “Santo Francesco” che partecipano a raids e competizioni del periodo prebellico.

Talvolta, come nell'esempio raffigurato, su alcuni Cant Z. 1007 bis si nota un gagliardetto tricolore che reca nel settore bianco il nome di un membro dell'equipaggio caduto in combattimento.

 

 

fascio littorio

 

 

Diverse caratteristiche presenta questa insegna riscontrabile sulle care­nature motori degli S. 79 C, i noti « Sorci Verdi », vincitori della Istres­ - Damasco - Parigi.

Per le insegne fino ad ora presentate vengono impiegate decalcomanie che, in quel periodo, si applicano con procedimento inverso rispetto a quello attuale. L'esterno del soggetto aderisce alla carta di prote­zione, la quale viene rimossa con acqua dopo l'incollaggio e la com­pleta adesione del soggetto medesimo alla superficie del velivolo.

 

 

fascio littorio

 

 

Variazioni stilizzate e monocolori dell'insegna di fusoliera, verniciate con stampo, sono particolarmente frequenti sui velivoli sprovvisti di colorazione per la difficoltà di applicare la decalcomania sul nudo me­tallo. Questa insegna è caratteristica della Breda ma esistono, seppure con una stilizzazione meno accentuata, vari altri esempi tra i quali quello, piuttosto noto, riscontrabile sul Caproni Campini CC1.

 

 

INSEGNA CAUDALE

 

fascio littorio 

 

Una rara immagine a colori ritrae il particolare dello stemma di Stato presente sulla croce caudale. Si notano le parti trasparenti della decalcomania, ingiallite rispetto al fondo bianco della croce. Lo stemma è applicato all'intersezione dei bracci o sul segmento superiore del brac­cio verticale. Nel periodo prebellico la sua posizione varia tra la metà e la parte superiore del settore bianco del tricolore dipinto sull'impen­naggio verticale.

 

 

INSEGNE ALARI A COLORI

 

fascio littorio

 

8 Insegna alare standard a fondo bianco, presente sulle superfici superiori ed inferiori (decalcomania). Talvolta i fasci assumono il colore della superrficie su cui l'insegna è posta, nel caso in cui la decalcomania, formata dal disco bianco con i tre fasci trasparenti all'interno, sia applicata sul velivolo senza che sotto di essa venga preventivamente dipinto il disco nero.

 

 

fascio littorio

 

 9 Insegna alre standard a fondo bianco (stampo). L'emblema, presente sulle superfici superiori ed inferiori, è comune anche a un fondo neutro (intendendosi per neutro il colore della superficie su cui l'insegna è posta).
8/A - 9/A La stessa insegna di colore bianco a fondo nero presente solo sulle superfici inferiori. 

 

 

fascio littorio

 

10 -11 Alcuni degli esempi relativi ai colori di fondo ed ai contorni dell'insegna sono identici, ed altri molto simili, al modello standard. 9 e 9/A Differenze di rilievo si riscontrano nell'esemplare 11/C che compare sulle superfici alari di molti velivoli della Caproni e, tavolta, degli Ju. 87.

10/A Nera su fondo bianco

10/B Nera su fondo neutro

10/C Bianca su fondo neutro

10/D Bianca su fondo nero

11/A Fondo bianco oscurato (superfici superiori)

11/B Fondo neutro con margini lineari (FIAT, Savoia Marchetti)

11/C Fondo bianco con doppio contorno (Caproni, Ju.87)

11/D Fondo nero con doppio contorno (Caproni)

 

 

fascio littorio

 

12/A

Non stilizzata, a colori. Tipica IMAM ante giugno 1940, presente anche sulle superfici inferiori, bianca su fondo nero. (Decalcomania) A guerra inoltrata compare anche a stampo seppure più stilizzata e con scuri senza manico, staccate dal corpo del fascio; con questa forma è presente, inoltre, in tutte le combinazioni di cui al precedente n. 10.

 

 

fascio littorio

 

12/B A fasci « doppi », a colori, stilizzati. Tipica Caproni.

Presente anche in bianco e nero e con doppio bordo. (Modalità di appli­cazione incerta).

 

 

ESEMPI DI STILIZZAZIONE

 

fascio littorio

 

13/A Tipica Macchi 1942-43. Riscontrabile anche sulla superficie inferiore ma raramente a tondo bianco. (Stampo)


13/B Molto stilizzata, a lame in posizione molto bassa. Presente anche sulle superfici inferiori, è in uso presso varie Ditte, particolarmente Fiat, Nardi e Caproni, anche su fondo neutro. (Stampo)

Simili a questa insegna, possono riscontrarsi almeno altri due tipi, ma a colori e meno stilizzati.

 

13/C Stilizzata a fasci con « piede ». Tipica Savoia Marchetti 1940-41 unita­mente al tipo standard n. 8. Raramente in uso presso altre Ditte, è presente anche sulle superfici inferiori, particolarmente con colori inver­titi: bianca su fondo nero. (Probabilmente decalcomania)

 

13/D A lame staccate dal corpo del fascio. L'esempio si riferisce all'insegna in uso presso la Savoia Marchetti, particolarmente sugli S.81, ma è pre­sente, in una gamma quanto mai varia di stili, presso molte altre Ditte. La Piaggio ne fa un uso pressoché sistematico dal 1935, con stili che variano da quello qui rappresentato a quello standard n. 9, senza il manico della scure la cui assenza è caratteristica di questa insegna. Questo tipo è d'uso comune anche sulle superfici inferiori, a fondo bianco, neutro o con colori invertiti. (Stampo)

 

13/E A lame dei fasci arrotondate. Tipica Fiat nel periodo 1935-1941 sui caccia CR.

Presente anche sulle superfici inferiori, è rara a fondo neutro. (Stampo)

 

13/F Insegna comune su Ju 87, simile al modello 11/C di cui alla pagina precedente, ma senza doppio bordo. (Stampo)

 

 

CREDITI
Pericle Ducati Origini e attribuzioni del fascio littorio una pagina di storia che nessuno deve
ignorare
Tipografia “La Grafica Emiliana”, Bologna 1930
A. Emiliani, G.F. Ghergo, Achille Vigna Regia Aeronautica: Colori e insegne 1935 1943
Intergest, Milano 1974
A cura di Gianfranco De Turris Esoterismo e fascismo Edizioni Mediterranee, Roma 2006

 

 

 

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