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La fine di uno Sparviero - STORIA MILITARE

La tragica storia di un S.79 aerosilurante e del suo equipaggio durante la seconda guerra mondiale


Achille Vigna



Storia Militare, n.10, luglio 199

 

 

Anni fa, in pieno deserto libico, fu casualmente rinvenuto il cadavere dell’armiere Gianni Romanini e, tre mesi dopo, a 90 km di distanza, l’aereo da cui proveniva: un aerosilurante Savoia Marchetti S 79 quasi intatto, che custodiva i resti degli altri cinque membri di equipaggio. Fu una delle tante tragedie che costellarono l’attività bellica nella seconda guerra mondiale, ma l’odissea di quel trimotore, oltre che profondamente toccante, è anche densa di interrogativi perché il velivolo fu scoperto a oltre 400 km nell’interno, fuori dal raggio dal raggio della propria autonomia, considerato che seguì normalmente la sua ultima missione contro un convoglio inglese che navigava a sud-ovest di Creta. Del relitto, tuttora giacente nello stesso luogo dove atterrò in emergenza oltre cinquant’anni fa e mai rimosso, è rimasto oggi ben poco essendo stato oggetto negli anni di spoliazioni da parte dei predoni del deserto. Tuttavia ci sembra interessante ricostruirne la storia tentando di dare una risposta ai numerosi e scottanti interrogativi custoditi gelosamente dalle dune per tanti anni.

 

 

La fine di uno Sparviero Achille Vigna



21 aprile 1941: campo di Berka (Bengasi), sede della 278 Squadriglia Autonoma Aerosiluranti:

 

Ore 17,25. In una enorme nuvola di sabbia un aerosilurante S 79 decolla per l’ennesima missione. Appesantito dall’enorme siluro, il trimotore prende lentamente quota con prua a nord-est. Sotto di lui la superficie riarsa del deserto e le esigue infrastrutture della base attorno alle quali è sparsa una decina di trimotori su cui si affaccendano gli uomini del reparto. La squadriglia è ancora in allarme e attende con ansia altri cifrati sul convoglio britannico fortemente Scortato che naviga a sud-ovest di Creta con rotta 105°. Un primo velivolo è partito alle 16,50 per intercettarlo, ma un attacco in forze è sconsigliabile perché altri obiettivi potrebbero transitare da lì a poco nel raggio d’azione dell’unità. Motivo per cui, solo questo secondo S 79 è inviato ad attaccare quel convoglio: è lo Sparviero MM 23881 comandato dal Capitano Oscar Cimolini, con equipaggio composto dal Maresciallo Pilota Cesare Barro, dal Sergente Maggiore Amorino De Luca, marconista, dagli avieri Quintilio Joello, motorista, e Gianni Romanini, armiere e dall’Osservatore, il Sottotenente di Vascello Franco Franchi.

 

Ore 18,30. Cullato dal coro profondo degli Alfa Romeo 126, l’equipaggio ha eseguito i consueti controlli che preludono all’azione ed è ormai rivolto all’avvistamento dell’obiettivo. Tutti i membri, eccettuato l’osservatore, sono veterani ormai avvezzi alle lunghe e logoranti missioni caratteristiche della specialità. Del resto, la 278a è stata la prima squadriglia aerosiluranti costituita in seno alla Regia Aeronautica ed opera dalle basi costiere dell’Africa Settentrionale fin dal settembre 1940. Tuttavia, quella sorta di abulica indifferenza acquisita in mesi di ininterrotto servizio questa volta sembra incrinata dal nervosismo dovuto tanto al precario funzionamento della bussola di bordo (1) quanto alla giornata particolarmente burrascosa, con forti venti da nord che rendono difficile mantenere la rotta e l’assetto di volo dell’aereo. Sarebbe stato meglio decollare almeno in coppia, ma la situazione contingente non lo ha permesso. In questa fase della guerra aeronavale le unità siluranti sono in perenne stato di allerta: da due giorni sono cessate le operazioni contro la Grecia ed è prevista l’evacuazione delle forze inglesi dal territorio ellenico (2). E in navigazione anche la Mediterranean Fleet che quella stessa mattina ha bombardato Tripoli a scopo diversivo mentre è in atto un continuo andirivieni di piccoli e grandi convogli verso Malta o l’Egitto.
A bordo, la tensione è alta, ma tutti confidano nella capacità del comandante e nell’esperienza del “maresciallone” Barro, che siede ai comandi del secondo pilota. Sull’ottimo S 79 poi, nulla da dire. È un trimotore robusto e di sicuro affidamento anche col pesante siluro navale che porta agganciato al ventre. Con a bordo un equipaggio efficiente e determinato costituisce un’arma micidiale e l’unica vera insidia al traffico del naviglio alleato nel Mediterraneo.
Gli inglesi lo odiano e lo temono: lo chiamano “il Gobbo Maledetto”…


Ore 19,25. Il trimotore si porta ai consueti 1.000 m per procedere all’avvistamento, ma la visibilità è scarsa e il vento da nord batte incessante sulla fiancata sinistra. La tela del rivestimento di fusoliera scoppietta e vibra, assordante quanto gli stessi motori, ma rumori ancora più forti si odono improvvisamente dall’esterno. Sono esplosioni di contraerea: il silurante che lo ha preceduto, comandato dal Tenente Robone, ha raggiunto l’obiettivo e lo sta attaccando (3).

 

Ore 19,45. Sono trascorse due ore dal decollo. La posizione della formazione navale, comunicata per radio dalla base, è stimata a 33°56’N e 24°18’E, ma in quel punto c’è solo la superficie increspata del Mediterraneo. Bisogna seguire la rotta del convoglio.

 

Ore 19,55. Ormai è l’imbrunire; sotto l’aereo, le acque spumeggianti bianco-grigie del Mediterraneo si vanno rapidamente scurendo. Cimolini e Barro indugiano ancora nella ricerca; ormai le probabilità di avvistare l’obiettivo sono pochissime, ma mentre si apprestano al ritorno, i piloti scorgono nella semioscurità le scie delle navi. L’osservatore Franchi ne effettua rapidamente il riconoscimento: è il convoglio! Occorre fare in fretta per non perdere gli ultimi sprazzi di luce.
Dopo aver accostato, il trimotore si porta a volo radente, in posizione di attacco. L’atmosfera a bordo è tesissima. Profilate all’orizzonte, le navi ingrandiscono lentamente; la contraerea comincia a sparare: l’attaccante è stato individuato. E il momento critico. Cimolini e Barro danno il “più cento” (4). Lo Sparviero si avvicina più rapido con rotta perpendicolare all’obiettivo; tra scoppi e traccianti non si riescono ad individuare le manovre di evasione delle navi. Distanza 1.000 metri: l’aereo sobbalza per le esplosioni vicinissime; è troppo appesantito dal siluro e nonostante i motori in regime di superpotenza può opporre solo lente manovre di riassetto.
Distanza 900 metri: è il momento! Avvicinarsi ancora sarebbe inutile; tutto il fuoco è concentrato sull’aereo: lo sbarramento è terrificante. Tra il fragore delle esplosioni e l’urlo dei motori, il siluro è finalmente sganciato, il “79” ha un lieve balzo verso l’alto, poi, con una brusca virata, si porta rapidamente fuori tiro: ora è quello di sempre, sensibile e manovriero.

 

Ore 20,10. Sono trascorsi solo pochi minuti, ma, come spesso accade, sono sembrati secoli. Sorvolando a distanza la zona dello scontro non si riesce ad apprezzarne i risultati. È buio, ormai. Dopo un ultimo sguardo si vira verso sud-ovest; si torna a casa. L’aereo sembra uscito indenne, ma quando De Luca non riesce ad entrare in contatto con la base, l’atmosfera divenuta euforica con lo scampato pericolo si incrina rapidamente. La radio è guasta.

 

Ore 20,30. Si vola alla cieca. La direzione è sud-ovest, ma la bussola non dà troppo affidamento. Il guasto alla radio impedisce di captare il segnale del radiofaro di Bengasi. Il nervosismo, di nuovo minato dalle pessime condizioni del tempo, si accentua tra l’equipaggio.

 

Ore 21,00. La situazione atmosferica non accenna a migliorare. Ora il vento è sulla destra, sempre più sferzante. Di Bengasi nemmeno la più pallida traccia. La forte deriva impedisce ai piloti il giusto apprezzamento della posizione in rapporto al tempo trascorso.

 

Ore 21,40. L’atmosfera è sempre velata d’inquietudine. È notte fonda. De Luca continua invano ad armeggiare tra i congegni del radiogoniometro. Fortunatamente gli altri strumenti, altimetro, virosbandometro, girorizzonti, funzionano.

 

Ore 22,00. Il tempo scorre lentissimo; il ritorno è precluso da mille difficoltà. Sull’aereo però si può contare: i tre stellari Alfa Romeo rispondono a meraviglia cantando all’unisono, ma è tutto ciò che la macchina può dare al proprio equipaggio.

 

Ore 22,10. Il buio è assoluto. Nessuno, neppure l’espertissimo Barro, sa se di sotto vi sia ancora il mare o già il continente; bisogna abbassarsi e quindi riprendere quota per gua dagnare più orizzonte. L’assenza di una luce qualsiasi fa optare per la prima ipotesi; i piloti decidono di virare verso sud: è l’unico modo per avere la sicurezza di portarsi sulla terraferma.

 

Ore 22,30. Da quando l’aereo fa rotta verso sud il vento si sente meno; è in coda, ma nulla è più ingannevole di questa circostanza che tende a falsare in meno i dati di velocità indicati dall’anemometro.

 

Ore 23,00. Un’altra mezz’ora è trascorsa, interminabile. I piloti sono ormai certi di avere lasciato il mare alle loro spalle, ma in che punto? È forse questo il dilemma che Cimolini e Barro tentano di risolvere quando si rendono conto che il carburante sta per esaurirsi. È necessario atterrare anche se si è certi di farlo in pieno deserto. Nell’oscurità, confidando nella strumentazione, i due piloti danno inizio freneticamente alla manovra.
Tutti gli uomini sono stretti saldamente ai loro posti. A quota bassissima, tentano nell’oscurità un apprezzamento dei terreno sottostante, poi i piloti decidono di estrarre il carrello. Le eliche sono al passo minimo, si abbassano i flaps, escono le alette anteriori, con una virata l’aereo si dispone contro vento. Il “79” con uno schianto tocca terra, rimbalza, piomba di nuovo al suolo e dopo una breve scivolata sulle dune resta immobile, il silenzio rotto solo dai lamenti dei feriti.

 

Ore 23,10. Superato lo smarrimento iniziale, è Romanini, illeso, che porta i primi soccorsi ai compagni. Nessuno è gravissimo, ma i piloti e l’Osservatore Franchi presentano fratture agli arti, mentre i due restanti sembrano feriti più leggermente.

 

Ore 24,00. Dopo cure sommarie, l’equipaggio si dispone per la notte.

 

 

La fine di uno Sparviero Achille Vigna

 

 

22 aprile 1941
Le prime luci dell’alba rivelano tutt’intorno un’immensa distesa di sabbia: sono in pieno deserto. È impossibile un calcolo anche approssimativo sulla reale posizione dell’apparecchio. Gli uomini si consultano e si rendono conto di quanto la situazione sia drammatica.
Occorre cercare soccorsi al più presto. L’acqua scarseggia, i feriti bruciano di sete. Le razioni d’emergenza bastano per poco più di un giorno. Solo Romanini è in grado di intraprendere il viaggio: l’unica direzione possibile è il nord, verso la costa, verso la base, ma nessuno ha idea di quanto l’aereo si sia spinto nell’interno dopo tante ore di volo col vento in coda.
Romanini attende il tramonto e, dopo un breve saluto ai compagni, si mette in marcia.
Indossa tuta e caschetto, i piedi sono stretti da grosse bende. Porta seco una borraccia, una pistola lanciarazzi, due orologi, un cacciavite, la bussola che ha smontato dal cruscotto e le chiavi dell’aereo. Con esse, la targhetta che reca impressa la scritta “S 79 MM 23881”: estremo messaggio che parlerà ai soccorritori.

Non è possibile, a questo punto, proseguire la rievocazione dell’odissea di Romanini e degli altri membri dell’equipaggio in attesa sotto l’ala del relitto. La marcia dell’aviere si protrarrà per almeno tre giorni e quattro notti. E probabile che, tra il 25 e il 26 aprile, allo stremo delle forze, egli riesca ad intravedere lontanissime luci. Per attirare su di sé l’attenzione usa la pistola Very, ma il bagliore accecante del razzo passerà inosservato. Per gli sventurati è la fine.

 

 

La fine di uno Sparviero Achille Vigna

 

 

21 luglio 1960
Un elicottero della CORI (Compagnia Ricerche Idrocarburi) scopre a pochi chilometri a sud della pista Gialo-Giarabub alcune ossa umane emergenti dalla sabbia. I resti sommersi sono ancora conservati; con essi si rinvengono diversi oggetti: una pistola Very, il bossolo di un razzo, un cacciavite, un caschetto, e, tra l’altro, un mazzo di chiavi con la targhetta sulla quale sono impressi tipo e numero di matricola militare di un aereo. Nella tasca interna della giubba c’è una piastrina di riconoscimento: è quella di Gianni Romanini. Solo poche ore di cammino separavano dalla salvezza lo sventurato e coraggioso aviere, che era riuscito a percorrere oltre 90 km di deserto. Interpellato l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Aeronautica si viene a sapere che nel lontano 1941 ii velivolo venne dato per disperso, ma le ricerche del relitto furono intraprese senza risultato.

 

 

La fine di uno Sparviero Achille Vigna

 

 

5 ottobre 1960
Mentre sorvola il deserto cirenaico, l’Agusta-BelI AB-47J l-MINR dell’AGIP-Mineraria, pilotato da Pasquale Bartolucci, avvista il trimotore emergente dalle dune a sud-ovest di Giarabub, oltre 400 km nell’interno. Il caso vuole che chi conduce l’elicottero sia un ex pilota della Regia Aeronautica veterano di guerra sugli S 79 del 12° Stormo Bombardamento Terrestre.
Con immensa commozione, egli trova uno Sparviero pressoché intatto; persino l’otturatore della Breda-SAFAT da 12,7 mm scatta regolarmente. Sulle fiancate il numero 278 di squadriglia; anche la matricola militare è ancora parzialmente leggibile. Poi, guardando meglio, rinviene uno scheletro, con segni di fratture, al posto sinistro di pilotaggio e, sotto l’ala, i resti degli altri componenti, rimasti invano ad attendere soccorsi.
Il Sahara svelò così, dopo oltre vent’anni e proprio a chi meglio poteva comprenderne tutta la sconvolgente atrocità, il segreto di questa toccante vicenda di guerra: l’agonia dell’S 79 MM 23881.

 

A. Vigna

 

 

La fine di uno Sparviero Achille Vigna 

 

Note 


(1) La bussola subiva talvolta l’influenza (deviazione generata dalla massa metallica del siluro. Il fenomeno si accentuava nelle giornate burrascose, con forti campi di elettricità statica.

 

(2) Designata in codice “Operazione Demon”, l’evacuazione iniziò tre giorni dopo.

 

(3) Favorito dalle migliori condizioni di luce, il tenente Guido Robone colpì alle 19,25 la petroliera British Lord di 6.000 tsl, danneggiandola gravemente. Del siluramento si ebbe anche la conferma britannica. Durante la rotta di rientro, Robone asserì di avere sen tito il convoglio riaprire il fuoco. Non poteva che essere l’attacco portato dal “79” di Cimolini.

 

(4) Più cento: dispositivo azionabile con le manette, che permetteva per breve periodo un aumento di 100 giri nel regime di ciascun motore.

 

 

Questa rievocazione si è avvalsa della preziosa collaborazione del compianto generale Giorgio “Silurino” Sacchetti, che durante la guerra militò col grado di tenente pilota, nella 278a Squadriglia Autonoma Aerosiluranti, la cui consulenza ha reso possibile e credibile questa rievocazione. Esprimo altresì la più viva gratitudine a Achille Ghizzardi e Pier Giorgio Bartolucci. Altre notizie sono state ricavate dalla stampa dell’epoca del ritrovamento e dalla fonte pregevole e insostituibile costituita dall’opera del generale Carlo Unia, Storia degli Aerosiluranti Italiani, Roma, Ed. Bizzarri, 1974.

 

  

Alieuomini ringrazia il Direttore della rivista Storia Militare , Dottor Maurizio Brescia per aver concesso la pubblicazione dell’articolo, differente dall’originale solo per il corredo fotografico.



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