Volare è passione e vocazione, che riempie di sè una vita.
Adolf Galland
Caccia / Assalto
Dornier Do. 217J-1/J-2 Messerschmitt Bf.110C, immagini, scheda e storia
Velivolo da bombardamento adattato alla caccia nottura, monoplano, bimotore a struttura interamente metallica.
[ vedi descrizione completa ]Scheda tecnica
Dornier Do.217
CARATTERISTICHE
motore: BMW 801 ML
potenza unitaria: cv 1.580 al decollo
apertura alare: m 19,00
lunghezza: m 18,20
altezza: m 4,98
superficie alare: mq 56,70
peso a vuoto: kg 9.340
peso a carico massimo: kg 13.165
velocità massima: 490 km/h a 5.500 m
velocità minima: km/h 180
tempo di salita: 17’ a 6.000 m
tangenza massima: m 9.000
autonomia: km 2.300
armamento: 4 cannoni da 20 mm , 4 mitragliatrici da 7,9 nel muso
progettista: Claude Dornier
primo volo del prototipo: 4 ottobre 1938
Dornier Do.217 J-2 Nachtjagdgeschwader 4, Germania inverno 1942/3
Messerschmitt Me.110
CARATTERISTICHE
motore: Daimler Benz DB.601A
potenza unitaria: cv 1.175 al decollo
apertura alare: m 16,24
lunghezza: m 12,10
altezza: m 3,60
superficie alare: mq 38,40
peso a vuoto: kg 5.080
peso a carico massimo: kg 9.875
velocità massima: 560 km/h a 7.000 m
tempo di salita: 9’ 30” a 6.000 m
tangenza massima: m 9.600
autonomia: km 2.300
armamento: 2 cannoni da 20 mm e 5 mitragliatrici da 7,9 mm (4 nel muso, 1 dorsale)
progettista: Willy Messerschmitt, Walter Rethel
pilota collaudatore: Rudolf Opitz
primo volo del prototipo: 12 maggio 1936
località: Ausburg - Hannstetten
Messerschmitt Me.110 C, 235a squadriglia, 60° gruppo
Per esattezza il numero di reparto e individuale in fusoliera era azzurrino e non rosso
DOTAZIONE Dornier Do.217
n. 11 di cui: 7 J-1, 4 J-2
W.Nr. – MM. |
modello |
Data di consegna |
Codice tedesco |
Reparto di provenienza |
Squadriglia di assegnazione |
1251 |
J-1 |
31/05/1943 |
3C + MT |
NJC 4 |
233 |
1262 |
J-2 |
14/05/1943 |
3C + MR |
NJC 4 |
233 |
1264 |
J-1 |
09/1942 |
|
|
235 |
1272 |
J-1 |
09/1942 |
|
|
235 |
1288 |
J-1 |
|
|
NJG 3 |
233 |
1316 |
J-2 |
17/05/43 |
3C + LT |
NJC 4 |
235 |
1321 |
J-1 |
14/05/43 |
3C + GR |
NJC 4 |
235 |
1347 |
J-1 |
|
|
|
235 |
1348 |
J-1 |
|
|
|
235 |
1358 |
J-2 |
17/05/43 |
3C + IL |
NJC 4 |
235 |
1361 |
J-2 |
|
|
NJG 3 |
233 |
N. 3 (luglio - settembre 1942)
W. Nr. - MM. 964, 1358, 1804
CREDITI
Vincenzo Lioy Gloria senza allori Associazione Culturale Aeronautica, Roma 1953
Autori Vari Dimensione Cielo volume 3 Caccia Assalto Edizioni Bizzarri, Roma 1972
William Green Dimensione Cielo volume 24/II Germania Edizioni Bizzarri, Roma 1975
Giorgio Apostolo Messerschmitt Bf 110 Ermanno Albertelli, Parma 1977
Fabrizio Becchetti, Marco Gueli Gli altri tedeschi La Bancarella Aeronautica, Torino 2005
Storia aereo
Il Do.217 e la Nachtjagdg della Luftwaffe
L’intensificarsi delle incursioni notturne Alleate porta alla necessità da parte della Luftwaffe di rafforzare il dispositivo della caccia notturna. Vengono pertanto trasformati per tale ruolo oltre il caccia pesante Bf.110 i bimotori da bombardamento Junkers Ju.88 ed al Dornier Do.217.
Dornier Do.217 J-1, 235a squadriglia 60° gruppo, Treviso san Giuseppe settembre 1943
Tra i velivoli della Luftwaffe adattati alla specilità il Do.217 è quello che più risente dell'origine di bombardiere
Il Do217J-1 è direttamente derivato dal Do217E-2, con un muso modificato che alloggia quattro cannoni MG FF da 20 mm. e altrettante mitragliatrici MG 17 da 7,9 . Vengono conservate le posizioni difensive dorsale e ventrale ciascuna con un’arma MG 131 da 13 mm. e, per l’utilizzo come incursore, il vano bombe nel quale possono essere alloggiate otto SC 50X da 50 kg. Sui velivoli delle ultime serie del Do217J-1 viene installato il radar Fu G 202 Lichtenstein tipico del Do217J-2, versione utilizzata nel solo ruolo di caccia notturno.
Durante il 1942, 157 E-2 sono convertiti in J; la maggior parte nelle officine di Friedrichshafen, ma anche presso i reparti addetti alla manutenzione.
Il Do217J-2 diviene così una importante componente della « Kammhuber Line » equipaggiando parecchi NJG (Nachtjagdgeschwader).
Nel 1943 appare la versione N derivata Do217M da bombardamento, differente dal modello J quasi esclusivamente per i motori installati, i DB 603A.
Quando nel 1943 la produzione ha termine, risultano consegnati 207 tra Do217J ed N.
Il Capitano Aramis Ammannato davanti ad uno dei tre Bf.110 italiani. La colorazione estremamente usurata denuncia trattarsi di macchine già ampiamente utilizzate dalla Luftwaffe. Infatti:
Wr Nr. |
Ore di volo |
964 |
300 |
1358 |
275 |
1804 |
174 |
La creazione della caccia notturna italiana
Anche per l’Italia il problema delle incursioni aeree risulta crescere ed a contrastarlo sono un numero di uomini, mezzi, attrezzature assolutamente inadeguato.
Nel gennaio 1942 una missione aeronautica, con a capo il gen. Attilio Biseo, visita i Comandi della difesa aerea di Berlino e Colonia e del XII Corpo Caccia Notturna a Zeist, gli aeroporti olandesi di Rijn e Venlo. Al rientro viene stesa una relazione in cui si conferma l'impiego dei CR.42CN, in attesa di ricevere i RE.2001CN, l'interesse per il bimotore Ca. 331B (definito molto promettente), avanzando la proposta, come misura transitoria, di acquistare uno stock di bimotori Messerschmitt Bf.110.
Il 15 febbraio 1942 viene sciolta la IX Brigata Aerea Leone e costituito, nell'ambito della II Squadra Aerea (Padova) il Comando Intercettori Leone. Al nuovo ente sono assegnati due reparti non operativi (1° Nucleo Addestramento Intercettori a Treviso e Scuola Volo Senza Visibilità a Linate) ed uno operativo: il 41° stormo che il 18 febbraio 1942 cessa di essere da bombardamento. Il reparto si articola su due gruppi: il 59° (232a e 233a squadriglia) e il 60° (234a e 235a squadriglia).
L'11 ed il 15 luglio 1942 giungono al l° N.A.I. di Treviso (piloti, cap. Giancarlo Ghedini e ten. Cesare Balli) due Me.110 C: mentre una missione della Luftwaffe guidata dal comandante della caccia notturna tedesca, gen. Josef Kammhuber, effettua una serie di sopralluoghi ed incontri. Il 18 luglio ha luogo un vertice in cui matura l'accordo con cui la Germania si impegna a fornire bimotori da caccia notturna Do.217J, addestrare i nostri equipaggi, consegnare il materiale occorrente per un primo gruppo di stazioni radar. Manutenzione e sostituzione delle macchine incidentate è garantita fino all'aprile del 1943. Per i Bf.110, le loro revisioni saranno effettuate presso l'officina tedesca esistente sull'aeroporto di S. Damiano Piacentino, in cambio la Regia Aeronautica si impegna a fornire assistenza presso la SRAM di Lecce agli esemplari di Savoia Marchetti SM.82 e 73, in servizio colla Luftwaffe.
L'accordo ha decorrenza immediata: il 1° agosto due equipaggi sono inviati presso il Gruppo Complementare degli Stormi di Caccia Notturna a Venlo (Olanda); il 10 agosto trasferimento a Echterdingen (Stoccarda) per il corso di qualificazione al quale parteciperà anche un equipaggio destinato al Me.110; il 10 settembre, fine del corso e consegna di due Do.217J ed un Me.110C coi quali gli equipaggi rientreranno in Italia; a fine settembre, cessione di altri 6 Do.217J sempre compatibilmente con le perdite della caccia notturna tedesca.
Tra il 10 ed il 15 agosto 1942 si svolge un altro viaggio in Germania della nostra Commissione che riceve conferma della cessata produzione dei Bf.110 da caccia notturna che impone di accettare i Do.217J. In effetti la Commissione ha idee molto chiare sui limiti di questo aereo: decollo e atterraggio molto lunghi e tali da richiedere aeroporti di almeno 1.800 metri, velivolo molto pesante e lento nelle evoluzioni, di pilotaggio difficile. In compenso l'aereo ha un notevole armamento offensivo, è stabile durante il tiro, ha buone caratteristiche di salita e velocità di crociera.
Un Dornier Do.217 J-1 pronto al decollo, anche questi velivoli hanno visto intenso impiego con la Luftwaffe prima della cessione alla Regia Aeronautica. In fusoliera è ben visibile il leone a metà dormiente, simbolo del reparto.
L’addestramento dei primi piloti in Germania
I primi due equipaggi (cap. Aramis Ammannato e ten. Silvio Miozzi) raggiungono dunque Venlo, Purtroppo la stessa notte la RAF effettua una incursione sulla base olandese che impone il loro spostamento a Echterdingen, ove l'addestramento diurno con i Do.217J è preceduto da quattro o cinque voli sul Do.17 a doppio comando.
Addestramento notturno e prove di tiro si svolgono Lechfeld-Augsburg (Augusta); al cui termine i piloti restano in attesa di ricevere gli aerei. Quando giungono, Ammannato si accorge trattarsi degli stessi esemplari usati in addestramento, inoltrati alla Dornier per un modesto lavoro di revisione. I nostri piloti si rivolgono quindi all'Ambasciata per denunciare la circostanza ma da quella sede viene risposto di non preoccuparsi per certi dettagli.
Per motivi tecnici viene effettuato uno scalo a Rien (Monaco di Baviera) e da qui il 25 settembre 1942 Miozzi e Muscolini si trasferiscono a Treviso: mentre Ammannato deve attendere la riparazione di un guasto per poi raggiungere lo stesso aeroporto il 1° ottobre.
Treviso-S. Giuseppe è una sede di discreta ampiezza, tuttavia limitata dalla presenza del campanile della chiesa che dà nome alla frazione cittadina ed al campo di volo sulla direttrice di atterraggio. Risulta pertanto opportuno il trasferimento a Lonate Pozzolo (Varese). Ove la 235a squadriglia, comandata dal cap. Ammannato, unica ad avere dotazione mista di Do. 217J e Me.110C, si porta il 21 ottobre 1942.
L’inizio dell’attività operativa
Il 25 ottobre, il gen. Attilio Biseo dà il primo ordine operativo per l'impiego dei due Do.217J destinati ad operare con rotte parallele ed a quote scalari, uno ortogonalmente alla direttrice Biella - Venegono, l'altro a quella Vengono - Como; due Me.110C sono invece destinati, egualmente per rotte parallele ed a quote differenziate, a nord di Torino nel triangolo formato da Lanzo Torinese - lago di Candia (Caluso) - Biella. Lo stesso ordine contempla anche la possibilità di impiego diurno qualora i monomotori da caccia non possano intervenire: questa disposizione non dura più di una settimana in quanto il 31 ottobre, il Sottocapo di Stato Maggiore gen. Giuseppe Santoro, nega l'impiego diurno di tali bimotori.
In novembre iniziano sistematiche crociere notturne che vedono l'impiego dei Me.110C, sia da parte dei primi piloti ad essi abilitati (cap. Ghedini, ten. Balli, maresc. Benetti e Muscolini) sia da parte di Ammannato e Miozzi, che nell’ultimo periodo dell'anno, tornano in Germania per il ritiro altri due Do.217J-1.
Al 10 gennaio 1943, il 41° stormo ha in carico 4 Do.217J-1, 3 Me.110C, un Bristol Beaufighter di preda bellica ed i soliti CR.42CN.
Intanto il 2 dicembre un secondo gruppo di piloti si è recato in Germania per la qualificazione sui bimotori: si tratta dei capitani Giancarlo Ghedini e Giovanni Scagliarini e dei tenenti Medun, Pavan, Pavia e Fazio. L'addestramento è ora concentrato sull'aeroporto di Rien ove, il 9 gennaio 1943, il ten. Rodolfo Fazio ha una piantata in decollo notturno: tenta l'atterraggio di fortuna a carrello retratto ma l'aereo investe con un'ala una postazione contraerea da 88 mm. Insieme a Fazio, muoiono il serg. marconista Angelo Romitelli e l'aviere scelto motorista Santonon.
A fine corso il 5 febbraio 1943 i piloti rientrano in Italia portando due J-1 e un esemplare della versione J-2, munita di radar di bordo.
Si verificano incidenti, alcuni mortali
Nonostante le difficili modalità d'impiego e la nuova tecnica delle procedure radio-assistite, si deve lamentare un solo incidente dovuto alle condizioni del volo notturno. Il Me.110C del maresc. Benetti investe le cime degli alberi, non lontano da Lonate: le ipotesi sulle cause fanno riferimento ad un guasto dell'altimetro o addirittura a stanchezza del pilota.
Mentre a Lonate Pozzolo, Ammannato e Scagliarini si occupano del passaggio sui Dornier di altri due piloti (Orlandini e De Michelis), il 19 febbraio 1943 si recano in Germania a Monaco-Rien il magg. Mario Curto (comandante del 60° gruppo), i capitani Vincenzo Terlizzi, Aldo Dannaci, Enrico Angelini, Gino La Porta. Durante l'addestramento notturno, Dannaci ha una piantata al motore ma si guarda bene dall'atterrare a carrello retratto così come prescrivono le procedure di emergenza del Do.217, per limitare i rischi di stallo. Preferisce questi ultimi piuttosto che rimaner chiuso nell'aereo senza la possibilità di abbandonarlo rapidamente, essendo l'unica uscita del velivolo costituita dalla botola ventrale, non agibile dopo un atterraggio senza carrello. Sceglie perciò i 50 km/h. in meno richiesti dal Dornier che plana a carrello estratto realizzando un atterraggio regolarissimo: i tedeschi prima si congratulano per la riuscita manovra e lo scampato pericolo, poi gli danno una violenta inquadrata per la modalità con cui l'emergenza è stata eseguita.
A Lonate è Ammannato a eseguire l'atterraggio d’emergenza secondo le modalità prescritte: ma la manovra è condizionata dalla mancata fuoriuscita del carrello causata da un elemento metallico infilatosi nel meccanismo d'estrazione. Il suo Do.217J riporta danni alla parte ventrale e rimarrà in hangar, non riparato, sino all'armistizio.
Purtroppo è tale la difficoltà di questo aereo che oltre la metà delle situazioni di grave emergenza ha finito per concludersi tragicamente.
Così è stato per il Do.217J del magg. Mario Curto, finito nel canale Villoresi ed esploso dopo un mancato decollo dall'aeroporto di Lonate il 23 giugno 1943. Egualmente una piantata di motori in volo notturno l’8 agosto 1943 condanna il velivolo di De Michelis. Nel tentativo di rientro, lo sfortunato pilota riesce addirittura a passare sotto una linea dell'alta tensione ma quando l'aeroporto di Lonate è ormai a vicino l'aereo stalla schiantandosi nel canale Villoresi.
Il Dornier Do.217 J-1 codice 235-4 del capitano Aramis Ammannato dopo l'atterraggio a carrello retratto del luglio 1943. L'aereo non sarà mai riparato
Ammannato consegue l’abbattimento di un Avro Lancaster
È tuttavia senza ausilio del radar che Ammannato consegue un abbattimento: nella notte tra il 16 ed il 17 luglio 1943 una formazione di quadrimotori inglesi è reduce da un bombardamento sulla centrale idroelettrica di Cislago (Varese): ai due già in quota si aggiunge il Do. 217J-1 di Ammannato, decollato su allarme. L’Avro Lancaster Mk. III EM – W comandato dal p. o. L.E. Stubbs commette l'errore di presentarsi contro luna. L'inseguimento è breve: l'aereo cade sul greto del Ticino, nei pressi di Vigevano: unico superstite l'armiere della torretta dorsale.
L'abbattimento si è svolto dunque con la tecnica dell' « attacco stellare » a cui i nostri piloti sono addestrati in Germania. Si tratta di mantenersi più bassi della presunta quota della formazione nemica, scrutando verso le stelle. Se qualcuna viene temporaneamente coperta, è individuato il passaggio di un aereo avversario. Segue un attacco in cabrata al termine del quale si toglie motore per far defilare l'aereo nemico e si apre il fuoco con le armi da 20 mm. Per l'angolo di salita e gli effetti di scia del bombardiere nemico, è poi quasi garantita l'entrata in vite: pertanto l'addestramento contempla l'uscita dalla vite con i soli ausili strumentali, senza alcun riferimento esterno.
Un improbo impegno
Nel periodo luglio-settembre 1943 la 235a squadriglia è arrivata ad impiegare fino a sei Do.217.
I decolli avvengono puntando verso una modesta lampada a fondo campo, per evitare l'individuazione della sede aeroportuale mentre gli atterraggi si avvalgono del radio-faro installato a Turbigo. Le radio assistenze, oggi alla base del traffico aereo, sono una novità per nostri piloti che tuttavia le affrontano positivamente dimostrando non comuni capacità professionali.
D’altra parte l'impegno operativo è improbo dovendo uno sparuto nucleo di velivoli dare copertura a Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia. Al 31 luglio 1943 risultano infatti in carico 11 Do.217J (5 efficienti, 3 di non pronto impiego, 3 in riparazione) e 2 Bf.110C.
Vediamo ora l'impiego del Do.217J-2, nella sua forma più completa. Un Dornier di « prima muta » è pronto sui raccordi con i motori in caldo e l'equipaggio vicino: decollo entro due minuti dall'allarme. Un Dornier di « seconda muta » ha l'equipaggio in un autosnodato che funge da carro attesa piloti. Da una parte sono le cuccette per un equipaggio completo, di fianco la saletta radio ed i telefoni: dieci minuti per decollare. Un Dornier di « terza muta », consente invece ai suoi uomini di dormire nelle palazzine aeroportuali e deve partire entro trenta minuti.
La segnalazione degli incursori è data da un radar per l'intercettazione lontana (« lince ») poi rilevata da uno a più corto raggio d'azione (« leone ») che lavora in concomitanza all'apparato di guida del Do.217 (« volpe »). Il cacciatore è portato sino ad 1 km. dall'obiettivo e quindi lasciato colla parola; « victor ». Ciò significa che l'aereo è in condizione di lavorare con il radar di bordo. Alle spalle del pilota, il marconista del Do.217 ha dinanzi a sé tre schermi, tutti a visualizzazione indiretta. La distanza è data da un guizzo luminoso che varia d'intensità e che può essere letto su una scala graduata. Il destra-sinistra è dato da un segnale (i piloti lo paragonano ad un fagiolo luminoso) ed altrettanto avviene per il sopra-sotto. Si tratta di centrare le tre indicazioni attraverso le correzioni che il marconista suggerisce al pilota sino al momento del contatto balistico.
Ma i radar, ceduti dopo lungo uso, sono deteriorati, e quando funzionano, hanno un cono d'azione di soli 15 gradi per cui è capitato che l'inseguito con una virata secca sia riuscito a disimpegnarsi, inoltre gli specialisti non ancora sufficientemente addestrati e la velocità in quota del Dornier è spesso inferiore a quella degli incursori.
Un bis all’abbattimento di Ammannato viene inoltre impedito dall’utilizzo, nelle incursioni della RAF su Milano dell'agosto 1943, delle windows, le striscioline di carta argentata che accecano i rilevamenti dei radar.
Quando sopraggiunge l’armistizio i velivoli sono requisiti dai tedeschi e fatti rientrare in Germania, mentre parte dei piloti e specialisti della 235a con due pullman riparano in Svizzera.
Storia pilota, aviatore
Vincenzo Lioy fu direttore de « La Rivista Aeronautica » e dell’Ufficio Storico della Regia Aeronautica. Nel suo libro “Gloria senza allori” racconta la storia degli aviatori italiani nella seconda guerra mondiale.
Il volume tratta tutte le specialità proprie dell’aviazione: da quelle popolarissime della caccia o del bombardamento per arrivare alle meno conosciute ma non meno importanti quali: soccorso aereo, trasporto, ricognizione. Per caccia notturna viene ricordato l’abbattimento da Aramis Ammannato, che l'Autore racconta sia stato ottenuto tramite l'utilizzo del radar, di cui in realtà l'aereo era privo. L'unica vittoria conseguita con un Do.217 ed una delle pochissime del magro carniere della specialità. (g)
CACCIA NOTTURNA
Il sogno di ogni pilota, sin dai suoi primi passi, è quello di divenire cacciatore, nella cui specialità vede il campo adatto per esternare la sua esuberante vitalità, per dimostrare tutte le risorse della propria personalità ed abilità professionale e per mettere in valore tutte le possibilità offerte dal progresso tecnico delle macchine.
Non è il cacciatore, quale l'hanno plasmato la realtà della guerra e quindi la tradizione, quell'uomo privilegiato, che meglio di qualunque altro ha il modo di dominare lo spazio, di misurarsi da pari a pari col nemico, d'impedirgli di volare, e perché no? di potere aspirare alla notorietà?
Ma il cacciatore, perché possa dirsi veramente tale, ha bisogno di un tirocinio lungo, non disgiunto da disillusioni, sconforti, irrequiete riprese a sfondo psicologico, che ne modellano lo spirito attraverso dure lotte interiori; ha bisogno insomma d'affinare la sua sensibilità al punto tale, che la sua macchina diventi un arto quasi del proprio organismo, arto che egli muove, trattiene, dirige, secondo la sua volontà intelligente e dominatrice.
Al periodo iniziale dell'esuberante generosità subentrano poi man mano, e nell'addestramento e soprattutto nell'azione bellica, l'audacia meditata e misurata, la prudente attesa, il cosciente controllo, la fredda valutazione di situazioni tattiche, l'attitudine ad intuire o a prevenire la mossa del nemico e, al momento giusto, l'improvviso, irrompente attacco, cose tutte che formano come la sfaccettatura della poliedrica psiche del cacciatore.
Negli scontri d'una certa complessità molto spesso il cacciatore deve assolvere mansioni di carattere diversivo e lasciare ad altri quelle principali; quell'attesa, che può significare la rinunzia allo scontro tante volte sognato, plasma il suo carattere ed affina in lui quelle complesse doti d'ardimento e di disciplina, di colpo d'occhio fulmineo e di vigilanza sulle vicende dello scontro e sulle manovre del nemico, doti che al tempo debito saranno utilmente messe in valore. Le qualità professionali e psichiche del pilota, così, lungamente affinate in un continuo esercizio di superamento, in sede addestrativa ed in ambiente bellico, molto spesso riescono ad aver ragione anche del numero e della superiorità qualitativa dei mezzi che l'avversario oppone.
È tutta una scuola insomma di formazione anche interiore, quella del cacciatore.
Ma dove questa scuola è ancora più esigente, è nella formazione del cacciatore notturno.
Per rendersi conto delle difficoltà che accompagnano l'opera del cacciatore notturno, è bene tener presenti le condizioni ambientali in cui il volo notturno si effettua.
Trasportiamoci con la mente in un campo d'aviazione attrezzato per il volo di notte, ed accompagnamo in ispirito il pilota nelle varie fasi del suo volo.
L'aeroporto è immerso nel buio più fitto; sembra impossibile che da quella uniformità di tenebre debba ad un certo momento sprigionarsi un'attività febbrile, nella quale tutto è regolato con la precisione di un cronometro.
Ad un dato momento, come per un colpo di bacchetta magica, compaiono varie linee di lampadine, che delimitano il campo, ed altre lampadine rosse più in alto, che indicano gli ostacoli.
In un settore ben precisato vi è il cosiddetto sentiero luminoso, che indica il tratto del prato, sul quale o presso il quale gli apparecchi dovranno posare le ruote al momento dell'atterraggio.
Il caccia notturno frattanto si trova sulla linea di volo; intorno ad esso gli specialisti si muovono circospetti, a dare l'ultima rifinitura per la sua preparazione al volo imminente. Il pilota sale a bordo, e dopo qualche tocco misterioso della sua mano il ronfare del motore rompe il silenzio diffuso nella quiete del campo.
I fari delle fotoelettriche sciabolano le tenebre, ed attraverso il violento irrompere del loro cono luminoso si vede il barbaglio metallico e sottilissimo del disco turbinoso dell'elica.
L'apparecchio intanto è pronto per la partenza. Percorre pochi metri per staccarsi da quanto lo circonda ed isolarsi quasi nell'imminenza del grande momento; quindi a pieno motore s'invola nella scia luminosa dei riflettori, librandosi nello spazio.
Sul campo si rifà il buio, rotto solo dalla catenaria delle lampadine marginali.
Nella fitta oscurità della notte il pilota sente di essere quanto mai solo; fuori non vede nulla e gli sembra di vivere momenti di vita irreale. Non la visione del paesaggio sottostante, che accompagna il volo di giorno, non il solito campanile, il noto bivio stradale, la solita ansa del fiume, che gli sono familiari e che in ogni inizio di volo fatto di giorno pare gli rivolgano il loro saluto confidenziale. Nulla di tutto questo, ma le tenebre misteriose, ostili, sinistre.
Il campo? Ma da che parte si trova? Il pilota vede in una lontananza che sembra enorme i filari di luce che lo delimitano; ma che forma strana esso ha mai assunta, e come diversa dalla normale! E da che parte si atterra? Quest'insieme di sensazioni prova ogni pilota ai suoi primi voli notturni, sensazioni che man mano si attenuano e spariscono, dando luogo poi al completo ambientamento.
Il pilota s'allontana intanto sempre più dalla sua base e, sparito anche quel tale riferimento delle file luminose di lampadine, non ha per compagnia che i pochi strumenti di bordo, fiocamente illuminati o iridescenti.
È possibile compiere in quelle condizioni una missione di guerra? È possibile soprattutto sostenere un combattimento aereo ed abbattere il nemico che non si vede? Già, perché per abbattere il nemico bisogna anzitutto vederlo. La tecnica e la scienza hanno risolto un ben complicato problema, nel dare al pilota il modo di vedere il nemico nella pienezza delle tenebre, d'abbatterlo o d'allontanarsi da esso in caso di pericolo.
La navigazione avviene sulla sola base degli strumenti di bordo e delle comunicazioni radio, che da terra vengono ad intervalli emesse al velivolo, che in ogni istante sa dove si trova. Quando il volo sta per finire e l'apparecchio si trova nei pressi della sua base, il pilota chiama la stazione in ascolto e chiede gli si accendano i fari d'atterraggio.
Riprende così contatto con la visione del campo e, portandosi i direzione del sentiero luminoso, vi atterra, ponendo fine alla sua avventura nel regno dell'oscurità fonda.
L'assolvimento di missioni belliche aeree di notte presenta dífìcoltà di varia natura ed entità, a seconda che si tratti di azioni difensive al suolo o di azioni contro apparecchi in volo.
* * *
Il bombardiere notturno ha una certa elasticità nello scegliere la rotta verso l'obiettivo, che sta al suolo e non si muove. La sua partenza dalla base avviene in un'ora liberamente scelta, senza l'assillo dell'azione nemica in atto o in potenza. Il suo giungere sull'obiettivo è preceduto da un certo periodo di tempo, durante il quale l'animo si predispone alle varie presumibili fasi dell'azione, che si possono sviluppare anche senza incidenti bellici di rilievo.
Si sa che la reazione contraerea sarà vivace, ma quanto all'intervento della caccia nemica, esso può anche mancare. Se l'artiglieria d'altra parte spara, vuol dire che caccia in giro non ce n'è.
La partenza del cacciatore notturno invece avviene per lo più sotto l'assillo dell'allarme, non di rado quando il nemico è in vista. Nel primo caso, la partenza può avvenire anche con l'ausilio di riflettori, nel secondo no.
Il cacciatore notturno deve contenere il suo volo in limiti relativamente ristretti di spazio, ed appena in volo, un invisibile collegamento lo tiene a continuo contatto col radiolocalizzatore (radar) a terra, che segue la rotta del proprio apparecchio, come segue quella del nemico che avanza.
Mediante la percezione uditiva delle indicazioni che riceve da terra, il cacciatore regola il suo volo, accosta a destra di tanti gradi, accosta a sinistra di tanti altri, sale, scende, va diritto, sa a quale precisa distanza l'avversario si trova, vien guidato insomma lungo una rotta convergente o di collisione con quella del nemico, che non è fermo, come l'obiettivo al suolo del bombardiere, ma che a sua volta si muove.
Se si considerano le moderne velocità raggiunte dagli aerei, è facile rendersi conto che deviare, sia pure leggermente, dalla rotta imposta da terra, o non seguire tempestivamente le continue correzioni di rotta da terra suggerite, significa perdere l'opportunità d'incontrare il nemico e lasciare a quest'ultimo libertà d'azione.
Questa forma di lotta aerea poggia essenzialmente sul volo strumentale e sulla cieca fiducia, che il pilota deve avere nei suoi strumenti e nelle segnalazioni, che da terra vengono fatte.
Al cacciatore notturno è negata la soddisfazione di scorgere in lontananza il nemico, di studiarne le mosse; è negata la finta, l'impennata, a cui segue al momento giusto l'affondata rapida, culminante poi con la sventagliata dell'arma di bordo. Il suo è un volo di massima precisione, nel quale la sua personalità (così tipicamente informata, nella caccia diurna, ad un certo estro tutto individuale rimane in un certo senso acefala, perché rigidamente inquadrata ed intelligentemente potenziata dalla complessa organizzazione funzionante a terra. La sua manovra, così, lungi dall'essere la risultante delle forme più svariate dell'arte aerea, è una serie di linee spezzate di lunghezza ineguale.
Quando le due rotte sono perfettamente convergenti ed i due avversari sono a poca distanza, il cacciatore ne è avvertito dalla stazione a terra.
Tutta l'anima, i sensi, i nervi, i muscoli del pilota si condensano in quei brevi istanti, che rappresentano la sintesi spasmodica di tutta l'attesa paziente del cacciatore notturno.
La radio tace. Null'altro può dire ormai al pilota che è solo, magnificamente solo col suo destino, solo contro il nemico, solo contro la morte anche.
Le raffiche partono da una parte e dall'altra, se quest’ultima ha avuto il tempo di reagire. La gioia più grande pervade il cacciatore, quando vede improvvisamente una striscia di fiamma disegnare una linea tortuosa sempre più diretta verso il basso; ma la sua gioia è ugualmente grande, se riesce a far dirottare il nemico, costringendolo a rinunziare alla missione.
Come si vede, l'opera del cacciatore notturno non è semplice; non solo implica la graduale formazione di una capacità professionale molto affinata, ma suppone un elevato grado d'affiatamento con la complessa organizzazione tecnica a terra.
Dovendo il cacciatore notturno avere la padronanza assoluta della macchina, che deve poter manovrare con la stessa disinvoltura
con cui muove il braccio o la gamba in tutte le contingenze, il suo allenamento per ottenerla è lungo, metodico, variato, intenso, ed avviene con la luna, al buio, col buono e col cattivo tempo anche: le quattro condizioni che si verificano nel caso concreto.
Varie sono le prove che deve superare nei vari corsi, che gli daranno l'abilitazione al suo compito: corso di volo cieco, in cui tutte le manovre avvengono sulla base degli strumenti di bordo, corso di acrobazia al buio, quindi un intenso addestramento a farsi guidare da terra col radar nelle esercitazioni di finta caccia notturna, per familiarizzarsi col suo misterioso cruscotto a tavola luminosa, nei cui settori s'abitua a ricevere ed a trasmettere comunicazioni attraverso la fonia funzionante nei due sensi.
Da quanto si è detto si deduce che il cacciatore notturno è il tipo completo di pilota, perché alle non comuni capacità del cacciatore diurno deve unire la perizia di navigatore scientifico propria del bombardiere, la pazienza del ricognitore marittimo e la precisione di rotta del ricognitore fotografico sulla striscia del terreno che deve rilevare.
Insomma deve fare il cacciatore, in un certo senso, con la mentalità del bombardiere e del ricognitore.
Il che non è facile conciliare.
* * *
Bellissima, la. notte dal 16 al 17 luglio 1943. Ma notte insidiosa anche, perché la luna fa da richiamo alle incursioni nemiche.
Le squadriglie d'intercettori notturni sono infatti in abituale stato d'allarme in quella fase lunare, e con esse la complessa organizzazione a terra a base di radar, che ne indirizza e guida le azioni.
Verso la mezzanotte le sirene danno l'allarme e non finisce il loro lungo, lugubre ed irritante ululato, che già qualche boato lontano annunzia lo scoppio delle prime bombe.
Una formazione nemica è andata a bombardare la centrale elettrica di Cislago, nel Varesotto.
I piloti della 235a Squadriglia Intercettori Notturni partono subito in volo e, guidati dal radar, si danno alla ricerca del nemico.
L'ultimo a partire è il Capitano Aramis Ammannato.
Appartiene ad una famiglia, che all'Ala Italiana ha dato il fior fiore della propria gioventù: tre ufficiali piloti, Athos, Aramis e Porthos, detti scherzosamente i tre moschettieri dell'Aeronautica.
Hanno il petto ornato d'azzurro tutti e tre: Porthos, due medaglie di bronzo; Athos, Medaglia d'Oro, tre d'argento ed una di bronzo, ed Aramis, tre medaglie d'argento e due di bronzo. Athos, dopo una lunga, valorosa attività bellica, non rientrava da una difficile missione al largo del Mediterraneo, sostituito poi nel comando della Squadriglia dal fratello Aramis, sicché il reparto continuò ad essere Squadriglia « Ammannato », ed Aramis fu degno successore del fratello.
Il Cap. Ammannato, dunque, col bombardamento nemico già in atto, è costretto a partire senza l'illuminazione notturna del campo, aiutato solo da una fioca lampadina in fondo ad esso, come punto di riferimento durante il rullaggio.
Dirigendosi in zona a 500 metri di quota, dal radar è guidato verso un grosso bombardiere: è un quadrimotore monocoda.
L'attacca per tre volte di seguito; il barbaglio delle traccianti però delle sue mitragliatrici gli fa perdere di vista l'apparecchio, nel momento che lo vede puntare verso terra.
Ha eseguito l'attacco un po' in distanza, con un certo nervosismo anche, prodottogli dalle traccianti avversarie, ed aumentatogli dal vocio del motorista e del marconista, che a bordo involontariamente fanno un po' di tifo per l'emozione. È la prima volta poi che attacca il nemico di notte.
Ripensa a tutto ciò durante la fase in cui ha perso contatto col nemico, ed impone ai suoi compagni di non parlare, soprattutto durante l'avvistamento ed il fuoco. Per il resto si porrà nelle migliori condizioni d'attacco.
Dopo un po' vede nella cellula del suo cruscotto un altro aereo: è un Lancaster, quadrimotore bicoda.
S'accinge ad attaccarlo con tatti gli accorgimenti suggeriti dalla precedente esperienza.
Manovra in modo da mettersi in coda al nemico e da tenerlo contro luna; con qualche difficoltà ci riesce, quindi con moltissima calma gli s'accosta il più possibile e comincia a scaricargli le sue armi. Il nemico risponde immediatamente. Lui insiste ed alla terza raffica vede una fiamma provenire dal motore sinistro avversario, che cerca ora disperatamente di sottrarsi alla stretta mortale.
Ad un certo momento il Lancaster s'impenna, stagliandosi in tutta la sua imponenza contro la luna. Dopo altre due o tre raffiche, comincia a precipitare verso il sottostante letto del Ticino.
Individuato il punto approssimativo della caduta, secondo glie lo permette la luce lunare, Ammannato riprende quota e continua la sua caccia.
A bordo intanto grande gioia. Gli giungono per fonìa le congratulazioni del Comando della sua Brigata (Tortona) e del suo Stormo (Tradate), che hanno seguito passo passo la sua fortunata avventura.
Alle 4,30, senz'altra novità, atterra; quindi con una macchina si avvia verso il luogo, dove il Lancaster è precipitato.
Raggiuntolo, vede sei uomini dell'equipaggio deceduti ed a quella vista s'irrigidisce per alcuni istanti nel saluto militare, assieme con i suoi compagni di viaggio.
Dai carabinieri, che han preso in custodia le salme ed i rottami del grosso bombardiere, sa che l'armiere dell'apparecchio si è salvato e trovasi presso la loro vicina stazione.
Ve lo trova infatti, ancora sotto la depressione nervosa, provata durante tutta la fase del combattimento e della caduta. E' l'unico rimasto incolume.
E' un inglesino imberbe, biondiccio, di 21 anni.
Ammannato riesce a sapere che lo stesso equipaggio con lo stesso apparecchio la notte precedente ha bombardato Torino, che il 1° pilota era un ufficiale canadese, e che non si aspettavano la reazione della nostra caccia notturna. Non gli riesce di sapere la rotta seguita dal Lancaster, per giungere in Italia.
Queste informazioni gliele cava a stento, perché l'armiere ogni tanto piange, pensando alla mamma, che a quell'ora lo crederà morto.
Il Capitano e gli altri lo confortano come possono; riescono a farlo fumare ed a distrarlo un po'.
Quindi con una cordiale stretta di mano lo salutano e fanno ritorno al campo.
È un po' triste il Capitano nel viaggio di ritorno.
La gioia della vittoria riportata gli è stata molto attenuata dalla visione di quelle salme, e dalla figura piangente di quel biondiccio inglesino, preoccupato della madre lontana.
Debolezza? no. Sensibilità d'animo del pilota che, reso inoffensivo il nemico, vorrebbe non esistessero le conseguenze, che appunto han portato a renderlo inoffensivo.
È così intricato nelle sue reazioni l'animo umano di fronte alla morte, anche quando questa, nella foga del combattimento, si va a rifugiare dalla parte del nemico!
Dopo un'intensa vita bellica con tanti bersagli terrestri ed aerei colpiti dalla sua mira sicura, Ammannato, divenuto Ten. Colonnello, ha dovuto rinunziare per sempre alla gioia degli splendidi panorami aerei, tante volte contemplati dai suoi occhi, inebriati d'azzurro.
Il Ten. Col. Aramis Ammannato oggi è cieco: cieco di guerra.
Vincenzo Lioy Gloria senza allori Associazione culturale Aeronautica Roma 1953 (II) pag. 333/341