Volare è passione e vocazione, che riempie di sè una vita.
Adolf Galland
Bombardieri / Ricognitori
CRDA Cant. Z506B Airone, immagini, scheda e storia
Idrovolante a scarponi per il bombardamento e la ricognizione marittima, monoplano ad ala bassa a sbalzo, trimotore, pluriposto a struttura lignea.
[ vedi descrizione completa ]Scheda tecnica
CARATTERISTICHE (riferite a velivoli di III serie)
motori: Alfa Romeo 126 RC.34
potenza unitaria: cv 750 a m 3.400
apertura alare: m 26,50
lunghezza totale: m 19,45
altezza totale: m 7,465
superficie alare: mq 92.8
peso a vuoto: kg 8.300
peso a carico massima: kg 12.300
velocità massima: km h 373 a 4.000 m
velocità minima: km h 121
tempo di salita: 14'6’’ a 4.000 m
tangenza massimo: m 7.870
autonomia: km 2.000
decollo: 26"
armamento: 1 mitragliatrice da 12,7 mm e 3 da 7,7 mm
carico bellico: kg 1.200
equipaggio: 5
costo al 1938: Lit. 1.538.000
progettista: Filippo Zappata
pilota collaudatore: Mario Stoppani
primo volo prototipo: MM. 291 il 19 agosto 1935
località: Monfalcone (Trieste)
CRDA Cant.Z.506B Airone
DESCRIZIONE TECNICA
Idrovolante a scarponi per il bombardamento e la ricognizione marittima, monoplano ad ala bassa a sbalzo, trimotore, pluriposto a struttura lignea.
Fusoliera a semi guscio di sezione ellittica in un sol pezzo, con struttura longitudinale costituita da una chiglia e da correnti in spruce e ordinate in spruce e pioppo con rivestimento lavorante in lamelle di legno « tulipier », secondo procedimento studiato dai CRDA: rivestimento realizzato con l’applicazione di una dima di strati sottili di compensato, costituito da listelli di spessore variabile da 0,5 a 2,5 mm e lunghezza di 400 mm, fino al raggiungimento dello spessore di guscio richiesto. Gli stati sono angolati a 45°, il secondo sul primo, intersecando lo strato inferiore ortogonalmente. A struttura longitudinale stabilizzata, la dima viene rimossa e la fusoliera intelata e verniciata.
Ala in un sol pezzo con struttura trilongherone a scatola in legno e rivestimento in compensato telato e verniciato; alettoni ed ipersostentatori in legno con rivestimento in tela verniciata.
Piani di coda in legno con parziale rivestimento in compensato; tutta la struttura è poi ricoperta in tela verniciata; stabilizzatore controventato con montanti e rompitratta in tubi di acciaio.
Galleggianti metallici in duralluminio, con riserva di spinta del 100%, rivestimento del fondo in chitonal, collegati alla fusoliera da una struttura ad N in tubi di acciaio carenati.
Motori con eliche tripale metalliche Alfa-Romeo a passo variabile in volo, a comando elettrico; otto serbatoi alari per un massimo di 4.148 litri.
Impianto elettrico alimentato da due generatori GR800/S collegati ai motori, più due batterie a 12 V. da 44 A/h.
Equipaggio previsto di cinque componenti.
Cabina di pilotaggio con posti in tandem; il motorista è subito dietro la postazione del marconista.
Strumentazione standard.
Nella postazione del marconista (dietro il 2° pilota) apparato ricetrasmittente AR8/RA 350 II, radiogoniometro P 63 N.
Cabina dell'osservatore nell'estremità anteriore della fusoliera con: 1 altimetro da 8.000 metri, 1 anemometro da 360 Km/h, 1 altimetro da 1.000 metri, traguardo di puntamento Jozza U3/A, comando portelloni e sgancio bombe, comando macchina fotografica.
Una macchina fotografico-planimetrica AGR 61 (oppure AL 30 o. AGR 90) nella parte posteriore della fusoliera, ed una macchina panoramica APR 3 sulla fiancata sinistra all'altezza della mitragliatrice.
Una mitragliatrice Scotti da 12,7 mm con 350 colpi in torretta dorsale Caproni-Lanciani “Delta E “; una mitragliatrice Safat da 7,7 mm brandeggìabile a mano con 500 colpi in postazione ventrale; due mitragliatrici Safat da 7,7 mm con 500 colpi per arma, brandeggiabili a mano e tiro da due portelli laterali in fusoliera.
Nel vano bombe può essere ospitata una delle seguenti combinazioni di carico offensivo: 1 da 800 e 3 da100 Kg; 1 da 800 e 3 da 50 Kg; 2 da 500 Kg; 2 da 250 Kg e 3 da 100 Kg; 2 da 250 Kg e 3 da 50 Kg; 6 da 160 Kg; 12 da 100 o 50 Kg; 16 da 20 o 15 Kg.
PRODUZIONE
MM. 291 - primo prototipo
MM. 292 - secondo prototipo
MM. 45192-45223 - n. 32 (novembre 1937-settembre 1938, CRDA, I serie)
MM. 45224-45255 - n. 32 (ottobre 1938-ottobre 1939, CRDA, II serie)
MM. 45256-45257 - n. 2 (novembre 1939, CRDA, reintegro)
MM. 45258-45278 - n. 21 (giugno-ottobre 1939, Piaggio, serie III)
MM. 45279-45282 - n. 4 (novembre-dicembre 1939, CRDA, reintegro aerei Spagna)
MM. 45283-45290 - n. 8 (ottobre-dicembre 1939, Piaggio, serie IV)
MM. 45291-45296 - n. 6 (aprile-maggio 1940, Piaggio, serie V)
MM. 45297-45308 - n. 12 (settembre 1940-giugno 1941, Piaggio, serie VII)
MM. 45309-45328 – n.20 (settembre 1931-giugno 1941, CRDA, serie VII)
MM. 45329-45340 - n. 12 (giugno-dicembre 1940, CRDA, serie VI)
MM. 45341-45345 - n. 5 (settembre-ottobre 1940, CRDA, serie X, ex commessa Polonia)
MM. 45346-45359 - n. 14 (maggio-novembre 1941, CRDA, serie IX)
MM. 45360-45377 - n. 18 (dicembre 1941-giugno 1942, CRDA, serie XIII)
MM. 45388-45415 - n. 28 (luglio-novembre 1941, Piaggio, serie VIII)
MM. 45416-45451 - n. 36 (novembre 1941-aprile 1942, CRDA, serie VIII, di cui 12 Cant.Z.506S)
MM. 45452-45483 - n. 32 (maggio-luglio 1942, Piaggio, serie XIV)
MM. 45484-45505 - n. 22 (luglio-novembre 1942, Piaggio, serie XV, Cant.Z.506S)
MM. 61279-61288 - n. 10 (novembre 1942-gennaio 1943, Piaggio, serie XVI, Cant.Z .506S)
Storia aereo
Il valore di un progettista e quello di un collaudatore
Anche in questa occasione insieme al valore del progettista va ricordata la capacità professionale di Mario Stoppani che porta il nuovo velivolo in voli innumerevoli di collaudo e di primato.
Il 7 luglio 1936 il CZ.506 I-CANT (piloti i cap. Mario Stoppani ed Amelio Novelli, motorista Remigio Visentin, ing. Marco Luzzatto) sul percorso Fiumicino-Antignano-Ansedonia-Fiumicino si aggiudica 8 primati mondiali di velocità per idrovolanti, su 1.000 e 2.000 km. fino a 2.000 kg. di carico, con le medie rispettive di 313,261 e 307,311 km/h.
CRDA Cant. Z.506 I-CANT (MM.291)
Il velivolo ha la livrea rossa, propria ai velivoli da competizione
Il 30 luglio 1936 l’I-CANT parte dall’’idroscalo di Cagliari-Elmas e raggiunge Nador nel Marocco Spagnolo, a bordo del velivolo si trovano il Generale Giuseppe Valle ed il console della M.V.S.N. Ettore Muti, esso funge da accertatore meteorologico ai 12 S.81 comandati da Ruggero Bonomi inviati a sostegno delle forze nazionaliste del Generale Francisco Franco.
Il 29 novembre ed il 1° dicembre 1936 lo stesso velivolo, ma con motori Alfa Romeo 126 RC.34 da 750 cv. (piloti Stoppani ed il ten. Vincenzo Baldini, motorista Guglielmo Rondioli) raggiunge rispettivamente le quote di 7.831 mt. con 2.000 kg di carico e di 6.727 mt. con 5.000 kg.
Il 27-28 maggio 1937 il CZ.506 I-LERO con motori Alfa 126 (piloti Stoppani ed il magg. Carlo Tonini, motorista Guglielmo Rondioli, radiotelegrafista Amedeo Suriano) vola ininterrottamente per 16 ore e 49 minuti sull'Adriatico settentrionale migliorando 6 dei suoi precedenti primati e conquistandone 4 nuovi. Le velocità su 1.000 e 2.000 km fino a 1.000 kg di carico, salgono rispettivamente a 322,043 e 319,778 km/h; nuovi primati di distanza le di velocità per idro sono i 5.200 km percorsi ad una media di 308,244 km/h.
CRDA Cant. Z.506B esposto al II salone Internazionale Aeronautico di Milano dell’ottobre 1937
Inizio dell’impiego civile del velivolo con l’”Ala Littoria”
Nell'estate 1936 la società «Ala Littoria» inizia l'impiego di sei esemplari del CZ.506 allestiti per trasportare 15 passeggeri e muniti di motori Wright Cyclone da 750 cv.: uno di essi (I-RODI) va perduto a Bengasi il 27 settembre 1936.
Al 30 giugno 1938 la Compagnia di bandiera ha in servizio 9 CZ.506 e ne attende 7 ulteriori, muniti di motori Alfa Romeo 126 RC.10.
L'idro viene impiegato, anche in servizio notturno, su tutte le rotte del bacino mediterraneo confermando eccezionali qualità nautiche e di volo.
Tra il 20 ed il 26 marzo 1938 il CZ.506 I-ALAL compie una transvolata sperimentale da Cagliari-Elmas a Buenos Aires per studiare e preparare regolari collegamenti con l'America del Sud. Il velivolo del comandante Carlo Tonini, co-pilota lo stesso presidente dell'Ala Littoria ing. Umberto Klinger, compie successivi scali a Bathurst, Bahia, Santos prima di giungere alla capitale argentina. Il ritorno è effettuato toccando Porto Alegre, Rio de Janeiro, Natal, Dakar, Melilla. e si conclude felicemente al Lido di Roma il 13 aprile 1938 compiendo 24.000 km di volo ad una media di oltre 300 km/h.
La versione terrestre
E’ interessante ricordare che il CZ.506 è trasformabile in poche ore di lavoro da idrovolante in velivolo terrestre a carrello fisso. La relativa sperimentazione è condotta tuttavia su un solo trimotore dell'Ala Littoria, l’I-POLA (nc. 298) convertito con il montaggio del carrello di un S.81 col proposito – prima rimandato quindi annullato – di compiere un volo primato da Elmas verso il Sud America. Il modesto carico pagante rispetto agli aerei nati come terrestri non giustifica l'attuazione di questa modifica su più larga scala ed il velivolo viene riportato allo standard di idrovolante per lo svolgimento del servizio di linea con la compagnia.
CRDA Cant. Z.506C I-POLA (nc.298) in configurazione idro ed in quella terrestre a carrello fisso
Il Cant. Z.506B
Dopo queste premesse, parliamo del CZ.506 B ossia della versione militare destinata al bombardamento ed alla ricognizione marittima. Essa si distingue per la posizione sopraelevata della cabina di pilotaggio, ora a posti in tandem, e per il lungo marsupio ventrale: a queste caratteristiche esterne, corrispondono all'interno le installazioni belliche.
Nell'ottobre 1937, il nuovo idro è esposto al II Salone Aeronautico Internazionale di Milano ma forse i visitatori non sono al corrente che il CZ.506 B ha superato ogni più rosea previsione dato che, con gli identici motori della versione civile, parecchie centinaia di kg. in più e ben superiori sezioni trasversali..., è più veloce del predecessore. L'unica spiegazione che si può dare al prodigio è che risulti più efficiente aerodinamicamente il raccordo tra ala e fusoliera.
L’I-LAMA batte nuovi records, le impegnative giornate di Mario Stoppani
Il 2 novembre 1937, nel cielo di Monfalcone, il CZ.506 B (MM. 45194)I-LAMA con motori Alfa Romeo 127 RC.55 da 700 cv. (piloti Stoppani ed il ten. col. Nicola Di Mauro, motorista Rondioli) sale con 2.000 Kg. di carico alla quota di 8.951 metri. Il 7 novembre, con 5.000 kg. di carico si raggiungono mt. 7.410 di quota ed il 12 novembre la salita è a ben 10.389 mt. con 1.000 kg. di zavorra a bordo; il velivolo è il terzo apparecchio della I serie ed ricevuto, per poter esperire i voli primato, l’omologazione da parte del Registro Aeronautico Italiano.
Sempre intense sono le giornate del nostro collaudatore: quella del 12 novembre comincia con 28 minuti di volo per una prova-motore su CZ.506 B, continua con 50 minuti effettuati come secondo collaudo del nuovo CZ.509, indi è la volta dei 95 minuti passati a bordo del CZ. 506 B per conseguire il record mondiale, termina quindi con 30 minuti , di volo per collaudare un CZ.506 B di serie.
CRDA Cant. Z.506 I-LAMA in un porto spagnolo
Il volo record Cadice – Caravelas dell’I-LAMA e la tragica perdita dell'aereo durante il volo di ritorno
Alle h. 13,35 del 28 dicembre 1937 Mario Stoppani, il cap. Enrico Comani, il serg. motorista Renato Pogliani, il maresc. radiotelegrafista Demetrio Jaria decollano con il Cant. Z.506 B I-LAMA dal porto spagnolo di Cadice, al carico totale di 16.800 kg. (rispetto agli 11.500 kg. della versione di serie), verso la cattura del primato mondiale di distanza senza scalo per idrovolanti. Dopo un laborioso decollo dalla durata di 56’’ l’I-LAMA affronta un magnifico volo di 7.013 km. della durata di 26 h e 25’ ad una quota tra i 3.500 e i 4.000 m, che termina poco prima delle h. 16 del 29 dicembre con l'ammaraggio dinanzi alla località brasiliana di Caravelas.
Dopo un periodo di permanenza in Brasile, l'attuazione del viaggio di ritorno è interrotta da una tragedia quasi improvvisa. Decollato da Natal alle h. 5,10 del 2 febbraio 1938, l'I-LAMA che ha a bordo i 4 uomini dell'equipaggio e per passeggero il cap. pil. Mario Viola (comandante della squadriglia acrobatica del I stormo CT) verso le h. 12 è vittima, in pieno Atlantico, di una avaria al motore sinistro seguita poco prima delle h. 15 da grave incendio. Stoppani ammara, si rifugia con tutto l'equipaggio sull'ala indenne ma è subito coinvolto nell'esplosione del velivolo: riesce, nuotando sott’acqua, a sottrarsi alle fiamme ed a raggiungere un relitto. Dopo un'ora e 35 minuti viene recuperato, unico superstite, da un idrovolante tedesco Do.18 della Lufthansa che, peraltro, non potendo ridecollare per le pessime condizioni del mare è costretto ad attendere l’arrivo della base galleggiante Schwabenland da cui era partito.
Il Cant. Z.509
Mentre l'I-ALAL del comandante Tonini compie il già citato collegamento sperimentale con il Sud America, a Monfalcone Stoppani riprende dopo breve convalescenza la sua attività di pilota. Abbiamo già parlato del suo secondo volo sul CZ.509 ed è bene ricordare che tale aereo è da lui collaudato il 10 novembre 1937. Esso può essere considerato una versione maggiorata del CZ. 506, destinata ad operare in servizio transatlantico. Tre prototipi del velivolo sono realizzati a rischio della CRDA, su specifica dell'Ala Littoria. I propulsori sono ora tre Fiat A.80 da 1.000 cv., l'ala è di maggior apertura (mt. 28,35) e superficie (mq. 100), aumentati i pesi a vuoto (kg. 9.000) ed a carico max. (kg. 15.500), i finestrini della fusoliera sostituiti da oblò circolari, maggiorate le dimensioni dei galleggianti e più grande il loro interasse: ne consegue la maggiore distanza dei motori laterali dalla fusoliera.
Il Cant. Z.509 riconquista il primato mondiale di velocità
Il 30 marzo 1938 il CZ.509 (piloti Stoppani ed il ten. col. G. Gorini, ing. M. Luzzatto, motorista Edoardo Accumolli) decolla da Vigna di Valle e quindi sulla base S. Marinella-Monte Vesuvio-Monte Cavo-S. Marinella riconquista otto primati mondiali di velocità per idro, su 1.000 e 2.000 km. e fino a 2.000 kg. di carico trasportato: le medie sono rispettivamente di 403,424 e 396,464 km/h.
Le prime assegnazioni ai reparti
Nel giugno 1938 i primi CZ.506 B sono assegnati al 35° stormo da Bombardamento Marittimo sull'idroscalo di Brindisi: 4 velivoli alla 190a squadriglia ed 1 alla 191a. In novembre, questo stormo (86° e 95° gruppo) ha 6 velivoli presso ciascuna delle squadriglie 190a, 191a, 230a ed 1 solo presso la 231a.
Il 3 dicembre 1938 anche il 31° stormo B.M. di Orbetello riceve due CZ. che vanno alla 196a e 197a squadriglia (93° gruppo). Il 1° giugno 1939 la 171a squadriglia (91° gruppo B.M.) di La Spezia-Cadimare ha 5 velivoli, il 31° stormo ne ha 9 efficienti, il 35° stormo 21 in carico. Il 16 luglio la dotazione si allarga ad un'altra squadriglia del 91° gruppo, la 170a, e nel dicembre 1939 l'intero reparto ne ha 15 esemplari, il 35° stormo 27, il 31° stormo 28 essendone ormai dotate anche le squadriglie 198a e 199a.
Brindisi 1939. L’idroscalo fotografato dalla motonave «Athen» della Deutschen Levante Linie, sono visibili numerosi esemplari di CRDA Cant.Z.506B; quello in acqua appartiene alla 231a Squadriglia (95° Gruppo, 35° Stormo BM). Il 35° è il primo Stormo a ricevere nel giugno di quell’anno tali velivoli, che sostituiscono gli oramai obsoleti S.55
La presenza in Spagna durante la guerra civile
Quattro Cant.Z. sono assegnati all'Aviazione Legionaria e basati sull'idroscalo di San Juan nell'isola di Majorca. Il 28 ottobre 1938 scompare nel mare di Valencia il CZ.506 B (73-1) pilotato dal ten. col. Ramón Franco, fratello del Caudillo e capo delle Forze aeree spagnole nelle Baleari: con lui sono altri quattro appartenenti all'Ejercito del Aire. Un altro Cant.Z. (73-4) va perduto durante un'operazione notturna di rimorchio.
Idroscalo di Pollenza, Majorca 1938. L’ultimo dei quattro CRDA Cant.Z.506B inviati in Spagna (aviationcorner.net)
CRDA Cant. Z.506B, I squadriglia (Grupo 62-73). Son San Juan (Majorca)
La situazione operativa all’ingresso dell’Italia nella II guerra mondiale
Quando l’Italia entra in guerra, 22 CZ.506 B sono con il 31° stormo B.M. ad Elmas, 25 con il 35° B.M. a Brindisi, 7 con la 287° squadriglia Ricognizione Marittima ad Elmas, 7 con la 170° ad Augusta, 6 con la 171° e 4 con la 288° a Brindisi, 2 con la 185° e con la 147° a Lero, 2 con la 143° a Menelao in Cirenaica; 4 CZ.506 civili sono militarizzati nel Nucleo Comunicazioni dell’Ala Littoria, dipendente dal Comando Servizi Aerei Speciali, per continuare l’esercizio della linea Roma-Siracusa-Tripoli-Bengasi.
La commessa polacca
Dei sei velivoli destinati alla Marina Polacca, solo uno fa in tempo a giungervi alla fine dell’agosto 1939, pochi giorni prima dell’inizio della II guerra mondiale e risulta distrutto da aerei tedeschi. I restanti velivoli, non consegnati, costituiscono la X serie per la Regia Aeronautica.
Prime operazioni belliche
La notte del 17 giugno 1940, 4 CZ. Del 31° stormo bombardano il porto di Biserta; sono anche eseguite ricognizioni fino ad Algeri ed Orano per controllarvi le forze navali francesi.
Il 21 giugno 4 idro del 31° cercano inutilmente, in mezzo al maltempo, di rintracciare unità navali tra la Sardegna e le Baleari.
Ancora prima dell’alba, 4 CZ,506 B del 35° stormo hanno bombardato la base di Biserta.
Dalla Sicilia comincia ad operare una squadriglia idrosoccorso, con un’efficienza media di 3-4 CZ.506, che nei primi mesi di guerra effettua 67 missioni e 203 ore di volo recuperando 25 naufraghi italiani ed inglesi. Anche in Libia è operativo un reparto similare (614a squadriglia) con 6 CZ.506 che dopo solo un bimestre di attività deve essere reintegrato con 2 nuovi velivoli. Entro il 6 febbraio 1941 essa effettua 29 missioni salvando 16 naufraghi; sono anche compiuti voli fra Tripoli, Bengasi e la Sicilia, trasportando 938 persone e 53 t. di materiali speciali.
Il 18 giugno 1940 viene inviata anche a Lero (Egeo) una Sezione Soccorso con 2 CZ.506 che già il giorno 22 interviene recuperando in mare l’equipaggio di un bombardiere S.81. Nei primi sette mesi di guerra questa Sezione effettua 52 missioni di ricerca, per 181 ore di volo, recuperando 37 naufraghi.
Lo scontro navale di Punta Stilo
Nel tardo pomeriggio del 9 luglio 1940, dopo la battaglia di Punta Stilo, intervengono sulla flotta inglese 9 CZ.506 B del 35° stormo da Bombardamento Marittimo.
CRDA Cant. Z.506B Airone, 190a squadriglia (86° gruppo, 35° stormo B.M.) Brindisi, aprile 1941
Le prime due medaglie d’oro attribuite ad appartenenti alla ricognizione marittima
Nel Mediterraneo occidentale avviene invece la tragedia di un idroricognitore Cant.Z. della 287° squadriglia (94° gruppo, 31° stormo). Partito da Cagliari-Elmas per un volo di esplorazione, esso viene attaccato violentemente da tre caccia nemici e colpito in termini tali da essere costretto all’ammaraggio. A bordo il sottoten. Di vasc. Oss. Bruno Caleari, gravemente ferito al petto ed alla testa, riesce a determinare la posizione ed aiuta ad inoltrare tali elementi, via-radio; accanto a Lui il marconista Gino Vesci, gravemente ferito ed egualmente incurante del proprio stato pur di salvare i compagni, lancia il segnale di soccorso e continua a trasmettere i dati fino a pochi minuti prima di morire: sono le prime due Medaglie d’Oro conferite alla Memoria di appartenenti alla Ricognizione Marittima nel corso del secondo conflitto mondiale.
Il 31° stormo ha inizialmente assegnato ai compiti esplorativi la 199a squadriglia, dipendente dal Comando Marittimo della Sardegna: alla ricostituzione dell’omonima squadriglia da bombardamento, quella destinata alla ricognizione viene risiglata come 287a.
CRDA Cant. Z.506B Airone.
Due modalità di caricamento delle bombe: in acqua, tramite una chiatta ed a terra.
Azione di bombardamento su un convoglio
Verso le h. 11 del 12 luglio 1940, ad est di Malta, 2 CZ.506 B del 35° stormo avvistano un convoglio nemico, lo attaccano con 3 bombe da 250 kg. e 6 da 100 kg., indi permangono in zona per oltre un'ora, emettendo segnali radio per facilitare l'arrivo delle formazioni da bombardamento. Altri due idrovolanti intervengono alle h. 14,30 e sei verso le h. 18, sganciando 4.600 kg. di bombe: una da 250 kg. causa probabili danni alla portaerei « Eagle ».
L’eroismo di un Capitano pilota
Il 15 luglio al rientro da una missione esplorativa sul mar Ionio, un Cant.Z. della 171° squadriglia R.M. ha un'avaria di motore seguita da incendio. Il Comandante del velivolo, cap. pil. Giorgio Mancini, nonostante la comparsa del fuoco fino nella cabina di pilotaggio ammara regolarmente tra onde molto alte, indi ordina ai suoi uomini di gettarsi in mare: Egli permane ai comandi nel generoso intento di allontanare il velivolo in fiamme dai naufraghi al fine di non coinvolgerli nell'esplosione di carburante e munizioni. Quando si getta in mare, il pilota è ormai in gravissime condizioni per le ustioni riportate e per la tossicità del fumo: l'idro esplode ed alla Memoria del generoso comandante di squadriglia sarà conferita la massima onorificenza militare.
CRDA Cant. Z.506B Airone, Rodi primavera 1941
la colorazione è ancora quella prebellica
L’impiego quale velivolo personale di autorità civili e militari
Il CZ.506 è frequentemente impiegato come velivolo personale da parte di Autorità militari e civili.
Il gen. Mario Roatta, capo del Servizio Informazioni Militari ha a disposizione un esemplare civile che viene comunemente chiamato « Jolly » in quanto appunto questa carta da gioco è effigiata sul lato interno del portello di accesso alla fusoliera.
Il Governatore dell'Egeo ha invece un normale CZ.506 B (MM.45233) che conserva tutto l'armamento difensivo.
Anche Italo Balbo nel periodo del suo Governatorato della Libia impiega un CZ.506 accanto ad un SM.75, un Ca.309, un CZ.1012, un Fieseler Fi.156 Storch. Al 10 giugno 1940 presso l'idroscalo di Tripoli-Caramanlis è presente anche uno dei tre prototipi del Cant. Z.509 (la MM.351) rilevato insieme agli altri due (MM.349 e 350) dalla Regia Aeronautica, essenzialmente per il trasporto di Personalità. Alle h. 9,40 del 15 settembre 1940 decolla da Vigna di Valle il CZ.509 MM.350 che ammara all'idroscalo di Tripoli alle h. 11,30: sono a bordo, per effettuare un sopralluogo in Libia, il Capo di Stato Maggiore Regia Aeronautica Francesco Pricolo, il gen. Maceratini, il ten. col. tedesco von Donat, il cap. pii. Aldo Gasperi, l'equipaggio di volo. Il giorno successivo l'idro (con a bordo anche il gen. Attilio Matricardi) si trasferisce a Bengasi.
Il 21 settembre il CZ.509 ritorna a Tripoli e nella stessa giornata riporta a Vigna di Valle lo stesso gruppo di persone. Il 5 ottobre 1940 anche la MM. 351 lascia Tripoli alle h. 14,50 per ammarare sul lago di Bracciano alle h. 18,20 pilotato dal ten. Gennaro Balsamo e dal maresc. Neri. Esso è destinato, con gli altri due esemplari dello stesso tipo, ad eseguire le prove di volo per la verifica contrattuale ed a ricevere l'armamento difensivo nella forma della torretta dorsale Caproni-Lanciani Delta E con la 12,7 mm., e di 2 mitragliatrici da 7,7 mm. sparanti da portelli laterali della fusoliera. Il 22 novembre 1940 il CZ.509 MM.351, armato, torna sull'idroscalo di Tripoli-Caramanlís alle dipendenze del Comando Aeronautica della Libia ed è inquadrato nella 104a squadriglia ( I gruppo A.P.C.): esso viene impiegato in voli di scorta all'SM.75 che in varie occasioni trasporta tra Libia ed Italia il gen. Rodolfo Graziani, comandante in capo delle nostre truppe in Africa settentrionale, fino al 25 marzo 1941. Ancora il 31 luglio 1943, due di questi particolarissimi CZ.509 risultano efficienti al volo.
CRDA Cant. Z.506C n.c. 3548 I-HARR. L'aereo, durante il precedente utilizzo da parte di Italo Balbo immatricolato I-PAUL, viene re-immatricolato il 28 luglio 1940 con l'assegnazione a Rodolfo Graziani, subentrante nella carica di Governatore della Libia. Sulla deriva è visibile il rettangolo bianco con quattro stelle in diagonali competente al grado di Maresciallo d'Italia. La sigla C distingue i 506 con motori Alfa Romeo AR126 RC10 da quelli con Wright Cyclone.
Si potenziano le capacità difensive del velivolo
Nel novembre 1940 sono inoltrate agli idroscali di Elmas, Agusta, Lero n. 44 mitragliatrici SAFAT da 7,7 mm. per essere installate sui velivoli della ricognizione e garantirne la difesa laterale.
Istallazione delle mitragliatrici laterali Breda SAFAT da 7,7 mm su un CRDA Cant.Z.506B Airone
La battaglia navale di Capo Teulada
Il 27 novembre, i CZ. del 93° gruppo (31° stormo, 196a e 197a squadriglia) dell'Aeronautica della Sardegna partecipano agli avvenimenti della battaglia navale di Capo Teulada: di 3 idro, uno non trova unità navali nel proprio settore di ricerca, il secondo è abbattuto da 3 caccia ,nei pressi della costa africana, il terzo (h. 11,10) avvista e dà la posizione di un convoglio navale nemico formato da 3 piroscafi e 14 unità di scorta (comprese una corazzata ed una portaerei).
La guerra di Grecia, le operazioni d’occupazione delle isole ioniche
Sono intanto iniziate le ostilità contro la Grecia e ad esse partecipano i 23 CZ.506 B del 35° stormo da B.M., basati a Brindisi. Già il 28 ottobre questi aerei effettuano bombardamenti su obiettivi della costa greca. A partire dal 16 gennaio 1941 solo l'86° gruppo idi questo stormo rimane sugli idro mentre il 95° passa ai CZ.1007 bis.
Nell'aprile 1941, l'86° ha in carico 12 idro (9 efficienti) che vedono sporadico impiego nell'azione contro la Jugoslavia, scortando le formazioni da bombardamento in partenza dalla Puglia.
Alle h. 8,30 del 28 aprile 1941, 5 Cant.Z. dell'86° gruppo decollano da Brindisi e giungono a Corfù che è sorvolata in continuazione da nostre formazioni di bombardieri e di caccia. Il comandante di questa operazione di aviosbarco, che è poi il comandante del 35° stormo, si reca nel centro abitato per trattare le modalità di resa che si prolungano, con esito incerto, per varie ore. Nel pomeriggio ammarano altri 4 CZ.506 B con a bordo avieri armati e 24 carabinieri: meno di 100 uomini, in massima parte della Regia Aeronautica, occupano l'isola prima dell'arrivo, via mare di un battaglione di fanteria. Il 30 aprile, 5 idro partiti da Brindisi ammarano a Cefalonia e sbarcano un primo contingente di occupazione a cui si aggiunge il lancio di 60 paracadutisti da 3 SM.82.
Infine il 1° maggio 1941, due CZ. ammarano a Zante precedendo l'arrivo dei motovelieri con le truppe.
Brindisi, preparazione dei CRDA Cant.Z.506B Airone per lo sbarco a Corfù
Fasi dell'aviosbarco a Corfù.
Con identica modalità si procede all'occupazione dell'isola di Cefalonia.
Nelle foto CRDA Cant. Z.506B Airone alla fonda nella località di Argostoli.
Un sanguinoso e tragico impiego, eroici episodi bellici dell’”Airone” e dei suoi equipaggi
Tornando all'impiego più classico del CZ.506 B, è bene ricordare che esso sfugge ad una trattazione approfondita in quanto rappresentato da innumerevoli azioni quasi sempre eseguite da singoli velivoli. Gli equipaggi della Ricognizione Marittima, decollando dalle basi della Sardegna, Libia, Sicilia, Puglia, Egeo hanno giornalmente setacciato il Mediterraneo con missioni lunghissime, affrontando sacrifici e rischi molto gravi: il loro aereo è generoso, ha eccezionali qualità nautiche, assorbe estesi danni bellici, ma rimane pur sempre terribilmente esposto alla caccia nemica.
Uno dei pochi interventi in quella giornata di tempo pessimo audacemente sfruttata dalla flotta nemica per bombardare Genova (9 febbraio 1941) è quello di un CZ.506 B dell'Aeronautica della Sardegna che segnala una portaerei e notevoli forze navali 60 miglia ad est dell'isola di Minorca: dopo 15 minuti l'idro è abbattuto dai caccia inglesi.
Il 3 aprile 1941, il Cant.Z. 509 pilotato dal ten. Raffaele Fiocca ed appartenente alla 287a squadriglia di Cagliari-Elmas, durante la ricerca di nave portaerei nemica è violentemente attaccato da tre caccia: l'armiere Carmelo Raiti, seriamente ferito ad una gamba e ad un braccio, continua ad operare la torretta dorsale nella coscienza che la salvezza dell'aereo è tutta nell'accanimento della Sua difesa. Egli riesce ad abbattere un avversario ma viene a sua volta finito da un secondo mitragliamento dell'idro. Dopo 18 ore di permanenza in mare, i superstiti approdano sulla costa algerina, a Cap Bugarun, ed iniziano un complesso ritorno in Italia: chiederanno ed otterranno per la Memoria dell'umile, generoso compagno la massima ricompensa al Valor Militare.
CRDA Cant Z506 Airone
La suggestiva inquadratura al calar del sole fa dimenticare la tragedia della guerra.
Il 23 e 25 luglio vanno perduti altri due Cant.Z. inviati dalla Sardegna alla ricerca di unità navali. Ed ora il 26-27 settembre. Il primo giorno un CZ.506 B della 186° squadriglia (83° gruppo) decollato da Augusta e spintosi in esplorazione lontana, è attaccato e gravemente colpito da un caccia. Il capo-velivolo, sottoten. Di vascello osservatore Leonardo Madoni è ferito seriamente alla testa ed alla gola ma, nell’idro costretto ad ammarare, dà istruzioni al marconista per determinare il punto, riparare l’apparecchio radio, trasmettere i dati necessari. L’idro in acqua viene ancora mitragliato da aerei nemici ed il ferito conserva, nella terribile situazione, una grande serenità preoccupandosi solo delle condizioni degli altri. Alla fine l’equipaggio riesce a mettere in mare il battellino, ove Egli affronta 10 ore di lenta agonia: quando un idro-soccorso lo recupera e lo porta a Barce, la Medaglia d’Oro Leonardo Madoni giunge in ospedale solo per chiudere la Sua breve esistenza.
Non meno triste è l’episodio del 27 settembre 1941 in cui è coinvolto un Cant.Z della 287° squadriglia. Dopo l’avvistamento della flotta nemica, da esso si assiste all’abbattimento di un SM.84 silurante. L’idro manovra per intervenire in soccorso ma è a sua volta attaccato da 6 caccia. A bordo si difendono strenuamente abbattendo due velivoli nemici ma poi il CZ506 B, in fiamme, è costretto ad ammarare. Il sottotenente di vascello osservatore Giuseppe Majorana, ferito da tre proiettili ed impossibilitato a parlare in quanto colpito alla bocca, ha tuttavia la forza di passare al marconista i dati relativi alla posizione che vengono trasmessi prima di mettere in mare il battellino ed abbandonare il velivolo. Una volta in acqua, i naufraghi vengono mitragliati ed anche il sottoten. Pil. Giovanni bel Vento riporta serie ferite: dopo 17 ore di permanenza in mare i due superstiti potranno narrare la tragedia e la gloria di questo ennesimo episodio di guerra.
Il tenore delle perdite nella Ricognizione Marittima è dunque elevatissimo e ciò per le intrinseche caratteristiche delle missioni che portano velivoli isolati in prossimità di munite basi o di grosse formazioni navali, ove è regola incontrare la caccia nemica. Gli stessi trimotori terrestri si trovano a mal partito in simili frangenti ed ancor più lo sono i grossi, lenti, poco manovrieri velivoli idro.
Una delle squadriglie R.M. più provate è proprio la 287°: un suo appartenente, Raffaele Fiocca, ha la ventura di essere abbattuto tre volte e di tornare tre volte a combattere, ma attorno non è che una rotazione di nuovo Personale: la 287° ha due soli altri appartenenti anziani in quanto le perdite raggiungono il 70% degli effettivi.
CRDA Cant. Z.506B Airone, 146a Squadriglia R.M. Cagliari Elmas, ottobre 1942
Linea operativa del velivolo nel corso del 1941
Nonostante i discreti quantitativi prodotti, la linea dei CZ.506 B si mantiene nel corso del 1941 tra i 50 ed i 60 esemplari in carico a reparti operativi: il 15 marzo 1941 12 Cant.Z. sono con l’86° gruppo a Brindisi, 9 con il 93° e 6 con l’85° a Cagliari-Elmas, 8 con l’83° ad Augusta, 8 con la 171° squadriglia e 7 con la 288° a Taranto, 1 con la 185° ed 1 con la 147° a Lero (Egeo). Ma non si può contare su più di 30-40 velivoli contemporaneamente efficienti. Nel 1941 le perdite a terra riguardano 2 Cant.Z. abbandonati durante la prima evacuazione della Cirenaica, 4 distrutti durante mitragliamenti del porto di Siracusa (9 luglio, 17 agosto, 4 novembre 1941), 2 idrosoccorso gravemente danneggiati a Tripoli e Bengasi, 1 CZ.506 B con estesi danni ad Elmas (30 luglio).
Il Cant.Z.506 S
Al piccolo nucleo iniziale di idrosoccorso ricavati da esemplari ex-civili, si è poi aggiunta la produzione da parte della Piaggio di una speciale versione (CZ.506 S). Tra il 10 ed il 13 ottobre 1941 presso il Centro di Vigna di Valle una apposita Commissione esamina le installazioni di un velivolo ulteriormente perfezionato. I rappresentanti dell'Aerosanità, del Centro Sperimentale, di Costarmaereo trovano le modifiche rispondenti allo scopo: esse riguardano il prolungamento della scala rigida tra fusoliera e galleggiante che funge anche da guida per la barella recupero feriti e la possibilità (se il mare agitato non permette di impiegare il primo sistema) di recuperare i naufraghi attraverso la finestra posteriore già alloggiante l'arma ventrale. A questo scopo, internamente sono sistemate due puleggie di rinvio per poter utilizzare il verricello alla cui estremità sono fissate apposite cinghie di imbragatura a cui assicurare il naufrago da sollevare a bordo. Il verricello può essere in condizioni di sostenere, con 150 kg. di carico massimo, lo stesso soccorritore. Esternamente tutte le serie di CZ.506 S hanno lo stesso aspetto che le differenzia nettamente dai primi idrosanitari ricavati dalla versione civile.
Da Marsala-Stagnone opera la 612a squadriglia soccorso, da Cagliari-Elmas la 613a, da Tripoli-Caramanlis la 614a. Entro il 31 dicembre 1942 il soccorso aereo effettua 525 missioni-velivolo recuperando 231 naufraghi (167 italiani, 16 tedeschi, 11 francesi, 32 inglesi, 5 australiani) ma subisce perdite anche per diretta offesa aerea nemica che talora tiene in dispregio i contrassegni sanitari internazionali.
CRDA Cant.Z.506S ex C in volo
CRDA Cant. Z.506S (ex C), Tripoli Caramanlis, estate 1940
Messa in acqua di un CRDA Cant.Z.506S ex B
CRDA Cant. Z.506S, 612a squadriglia Soccorso, Marsala Stagnone
La situazione operativa nel luglio del 1942
Nel luglio 1942, tra le due grandi battaglie aeronavali dell'anno, la Ricognizione Marittima ha 12 CZ.506 B con la 146a e 12 con la 287a squadriglia a Cagliari-Elmas, 9 con l'83° gruppo ad Augusta, 9 con l'85° a Stagnone, 11 con la 171a e 10 con la 288a a Taranto, 3 con la 147a e 3 con la 185a a Lero, 6 con la 187a a La Spezia-Cadimare, 6 con la 139a a Prevesa, 4 con la 182a a Nisida, 5 con la 145a a Pisida (Libia). Il numero più elevato di questi idro viene toccato nel dicembre 1942 con 107 esemplari in reparto (64 efficienti). Ad essi bisogna aggiungere la versione sanitaria, quelli impiegati presso le Scuole di specialità (Pola-Puntisella, Orbetello ecc.), alcune unità utilizzate da speciali Sezioni Collegamento, gli esemplari presso i Magazzini Aeronautici.
Miglioramento delle difese passive e collaudo di nuove armi offensive
La versione « B » continua ad essere largamente utilizzata dalla Ricognizione Marittima anche in compiti di caccia anti-sommergibile e di scorta-convogli. Dalla fine del 1941, dopo sperimentazioni presso l'Ufficio Armamento del Centro di Furbara e la costruzione di un simulacro a Vigna di Valle, sono installate apposite corazzature sui CZ.506 B per migliorare le difese passive: nello stesso periodo l'idro effettua prove di lancio riguardanti i siluri tipo C, le motobombe F.F., razzi e bombe incendiarie.
L'aspetto migliore del velivolo è nelle eccezionali qualità nautiche che gli permettono di decollare anche con mare forza 4 ed ammarare in condizioni di forza 5: questo grazie al perfetto studio idrodinamico dei galleggianti ed alle buone doti di robustezza.
CRDA Cant. Z.506B Airone, 148a squadriglia R.M. Vigna di Valle (Lago di Bracciano)
Alcuni episodi operativi degli ultimi mesi di guerra
Vediamo cronologicamente qualche episodio nei mesi anteriori all'armistizio. Il 14 novembre 1942, il CZ.506 B MM.45424 della 186a squadriglia recupera 6 naufraghi tedeschi e poi, non potendo ripartire per il mare pessimo, flotta verso l'isola di Marettímo (Trapani); nello stesso giorno va perduto il Cant.Z MM.45404 della 144a squadriglia: del suo equipaggio, dopo lunga permanenza in mare, sono salvati il ten. col. pil. Giovanni Pezzani, il ten. vasc. oss. Gemelli, l'allievo montatore Francesco Squazzante mentre risultano dispersi gli altri tre occupanti.
l 24 dicembre, un idro della 144a si difende validamente da uno Spitfire che, colpito, desiste dall'azione.
Alle h. 9,10 del 5 gennaio 1943, un CZ.506 B della 188a viene attaccato da due Blenheims che sono abbattuti: i colpi ricevuti dal nostro aereo causano il ferimento dell'aviere scelto armiere Pietro Bonannini.
Il 10 gennaio, un CZ.506 B della 146a è attaccato da un Lockheed Hudson che, colpito dopo 10 minuti di combattimento, deve desistere dall'inseguimento; nello stesso giorno un altro idro della 146a avvista una zattera con 12 naufraghi e fa convergere su di essa unità navali.
Il 17 gennaio, un CZ.506 B della 144a ammara presso un idro danneggiato e lo rimorchia fino a Marettimo. Il giorno successivo alcuni idro collaborano con unità navali alla ricerca ed al recupero di naufraghi.
Il 2 febbraio il CZ.506 B MM.45417 della 144a è attaccato da 8 bimotori ed abbattuto in mare: un Cant.Z. della 188a recupera un solo superstite, quattro risultano deceduti e disperso l'ultimo occupante.
Va anche perduto il CZ.506 B MM. 45423 della 186a che, ammarato 14 miglia dall'isola Cani per recuperare l'equipaggio di un altro idro, non può ripartire per il mare pessimo e deve essere abbandonato alla deriva. Un CZ. della 197a, riesce invece a recuperare in mare aperto 12 naufraghi.
Il 7 febbraio, 4 Cant.Z. sono gravemente danneggiati sull'idroscalo di Elmas da incursione aerea nemica. Un mese dopo, un Cant.Z. della 144a squadriglia avvista 37° 45' - 11° 30' una nave cisterna in fiamme assistita da due torpediniere; non molto lontano è la torpediniera « Ciclone » con il settore di poppa completamente asportato ed abbandonata dall'equipaggio: circa 100 naufraghi sono in una scialuppa ed altri attaccati ai rottami. L'idro fa intervenire nella zona le torpediniere « Cigno » e « Groppo » in rotta per Tunisi, indi ammara recuperando 8 naufraghi tedeschi.
A metà aprile 2 CZ. 506 B sono con la 140a squadriglia a Torre del Lago, 1 con la 148a a Vigna di Valle, 1 con ]a 187a a Cadimare, 2 con la 149a a Pola-Puntisella, 5 con la 182a a Nisida, 3 con la 138a ad Olbia, 6 con la 146a a Santa Giusta, 6 con la 188a ad Arbatax, 5 con la 287a a Porto Conte, 9 con l'83° gruppo ad Augusta, 9 con l'85° a Stagnone, 7 con la 142a a Taranto, 4 con la 171a a Tolone, 7 con l'82° gruppo a Prevesa, 4 con la 147a a Lero, 1 con la 145a a Cadimare, 1 con la 143a a Venezia, 1 con la 183a a Divulje, 10 con la 288a a Taranto, 3 con la 185a a Lero. Nella vasta attività operativa del velivolo sull'area mediterranea, alcuni esemplari finiscono internati in Spagna ed altri cadono in mano inglese.
Il 14 maggio 1943 un Cant.Z. della 288° recupera 4 naufraghi costituenti l'equipaggio di uno Ju.88 della Luftwaffe, costretto ad ammarare.
La costituzione delle Sezioni Soccorso
Il 20 maggio vengono costituite 11 Sezioni Soccorso alle dipendenze di altrettante squadriglie: in ordine progressivo la l Sezione a Tolone presso la 171a, La Spezia-Cadímare (187a), Orbetello (144a), Nisida (182a), Elmas (188a), Ajaccio (146a), Siracusa (170a), Stagnone (197a), Brindisi (141a), Prevesa (139a), Lero (147a).
Le cospicue dimensioni del CRDA Cant. Z.506B Airone
sono chiaramente apprezzabili in questa inconsueta inquadratura
L’abbandono dell’idroscalo di Augusta e l’armistizio
L'11 luglio 1943 4 CZ.506 B e 2 CZ.506 C sono abbandonati nel corso dell'evacuazione dell'idroscalo di Augusta come si ha occasione di descrivere anche per gli RS.14 dell'83° gruppo: le altre perdite del mese riguardano 1 Cant.Z. abbattuto, 2 non rientrati, 2 distrutti per incidenti, 3 per incursione aerea nemica (compreso un CZ.506 S).
Alla vigilia dell'armistizio 58 Cant.Z. (32 efficienti) sono presso 20 squadriglie dell'Aviazione per la Regia Marina dislocate nella Penisola, Sardegna, Corsica, Francia meridionale, Sicilia, Dalmazia, Grecia, Egeo: circa 40 ulteriori unità sono in carico a reparti non bellici.
L’impiego presso le forze aeree cobelligeranti
Si sottraggono ai tedeschi gli idro Cant.Z. presenti in Puglia, in Sardegna, in Corsica: ad essi se ne aggiungono altri 13 che conducono a termine il tentativo di abbandonare le zone sotto controllo dell'ex-alleato. Già il 16 ed il 17 settembre 1943, due missioni di prelievo di feriti nell'isola di Corfù sono effettuate dai Cant.Z. della 141a squadriglia dislocata a Brindisi. Entrambe le missioni del 18 e 19 settembre portano alla perdita dei due idro impiegati, ad opera di velivoli della Luftwaffe, mentre il CZ.506 ammarato a Corfù il 21 settembre è mitragliato ed incendiato prima di poter ridecollare: nessuno dei tre episodi causa vittime negli equipaggi. Il 16 settembre un Cant. Z. della 147a è distrutto vicino all'isoletta di Stampalia (Egeo) da due Me.110 della Lufawaffe ed il giorno 18 un CZ.506 B dell'84° gruppo è messo fuori uso da un mitragliamento tedesco sull'idroscalo di Elmas.
CRDA Cant. Z.506B Airone, 139a squadriglia (I gruppo, Raggruppamento Idro) Taranto 1944
Nei primi tre mesi di attività i Cant.Z. co-belligeranti recuperano direttamente ventidue naufraghi alleati e contribuiscono al salvataggio di altri sette. Al 31 dicembre 1943 la Regia Aeronautica ha in carico 25 CZ.506 B, 5 CZ. 506 S, 1 CZ.506 C divisi tra il 1° Gruppo Idro di Taranto (139a, 149a, 183a), il II Gruppo Idro (141a a Brindisi, 288a a Taranto), l'84° Gruppo R.M. a Santa Giusta (140a, 145a, 146a), la Sezione Soccorso a Cagliari-Elmas.
Nel corso del 1944 la principale attività riguarda il recupero di dodici naufraghi (due jugoslavi, due italiani, otto inglesi), la scorta a navi alleate ed italiane in funzione antisommergibile, il trasporto dei feriti, collegamenti e speciali missioni di rifornimento ai partigiani lungo la costa jugoslava. Il numero dei velivoli in servizio sale lievemente con la ricostruzione di qualche esemplare da parte della S.A.C.A. di Brindisi e con il rientro in Italia nel febbraio 1944 della 147a squadriglia già trasferitasi nel settembre 1943 da Lero ad Abukir (Egitto).
Al 15 maggio 1944 i Cant.Z. armano l'82° gruppo a Taranto (139a e 149a), la 147a a Brindisi (83° gruppo), la 140a ad Elmas (84° gruppo), la 288a (84° gruppo) egualmente a Taranto, la Sezione Idrosoccorso di S. Nicola Varano (sull'omonimo lago costiero).
All'8 maggio 1945, questi reparti hanno in carico 36 CZ.506 (12 efficienti) e sono reduci da oltre 3.000 ore di volo nell'ambito della co-belligeranza.
Mare dalla Grecia settentrionale, gennaio 1945. Due fasi del recupero, effettuato da un CRDA Cant.Z.506B Airone cobelligerante del Leader squadron P.A.S. Payne e del Flight Sergeant E.M. Potts della RAAF, costretti all’ammaraggio in seguito ad avaria ai propulsori del loro Bristol Beaufighter (Australian War Memorial)
L’impiego presso l’ANR e la Luftwaffe
Qualche esemplare è sporadicamente impiegato presso l'Aviazione della Repubblica Sociale Italiana ed altri sono utilizzati dalla Luftwaffe, con equipaggi misti italo-tedeschi, in missioni di soccorso nell’alto Adriatico.
Patrasso (Grecia). Uno dei CRDA Cant.Z.506B Airone utilizzato dalla Luftwaffe successivamente all’armistizio e un Dornier Do.24 alla fonda nelle acque del porto
Il Cant. Z.506 C «Jolly»
L'unico CZ.506 C superstite è il « Jolly » che all'alba del 28 agosto 1943 sotto le false insegne di idro-sanitario trasferisce Mussolini dall'isola della Maddalena a Vigna di Valle; indi è inviato sulla costa jugoslava a Cattaro per poi rientrare in Puglia al momento dell'armistizio.
Vigna di Valle (Bracciano), coppia di CRDA Cant. Z.506 davanti l’hangar dell’idroscalo. Il primo è un ex B, il secondo, invece, un C: l’I-DANO (MM.60637), più noto come “jolly” per la carta da gioco effigiata in fusoliera. Entrambe i velivoli vedono l’impiego SAR presso l’84° gruppo dell’AMI
Gli anni del dopoguerra
Nel dopoguerra, sull'idroscalo di Vigna di Valle, la sua sagoma contrasta nettamente con gli esemplari della versione ex B che per altri 15 anni svolgono brillantissimo lavoro col Soccorso Aereo. Quando alla fine viene l'ordine di radiarli e di conservarne uno per il Museo dell'Aeronautica, è il «Jolly» a subire per primo tale sorte, pagando il prezzo della minore rappresentatività nei confronti della versione bellica.
CRDA Cant. Z.506S, 85° gruppo SAR, Cagliari Elmas
Aeroporto di Vigna di Valle (lago di Bracciano), 14 maggio 1952. CRDA Cant.Z.506 (ex B) in flottaggio, la splendida immagine è relativa alla visita effettuata dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e dal Ministro della Difesa Randolfo Pacciardi al Centro di Soccorso Aereo dell’AMI. Nel dopoguerra l’AMI utilizza trentasei CRDA Cant.Z.506 ex B ed S (MM. 45198, 45201, 45204, 45246, 45274, 45298, 45325, 45337, 45339, 45360, 45363, 45366, 45368, 45374, 45375, 45376, 45378, 45377, 45388, 45395, 45402, 45425, 45427, 45430, 45433, 45452, 45457, 45466, 45467, 45468, 45476, 45484, 45485, 45488, 45497, 45500) ed un Cant.Z.506 ex C (MM. 60637) per compiti di ricerca e soccorso in mare. Gli ultimi quattro esemplari sono radiati tra il 5 ottobre ed il 21 novembre 1959 (Archivio Pacciardi/Camera.it)
Storia pilota, aviatore
Licenza, una cosa magnifica ma dannosa
[…]
La notte prima della ripresa dei voli dopo la lunga licenza non chiusi occhio; fu una notte interminabile, ma d'altro canto avrei voluto che mai spuntasse l'alba col suo fragore di motori messi in moto e riscaldati a regimi gradatamente crescenti.
Per fortuna, una volta ripreso nell'ingranaggio, le cose si sdrammatizzano un poco, appena quel tanto che permetta di presentare ai giovani Guardiamarina un volto se non allegro almeno leggermente sorridente.
Quella mattina vi erano in programma due ricognizioni indicate convenzionalmente con le sigle R.24 ed R.25. La prima toccava al G.M. Gandolfi, la seconda a me. Seguendo uno strano impulso decidemmo di scambiarcele, non senza aver accompagnato il baratto con una abbondante dose di scongiuri. Erano gli ultimi pietosi tentativi per togliere drammaticità alle nostre partenze così spesso prive di ritorno.
Dopo di che giù allo scivolo per i preparativi. Controllo se ho con me, nella borsa da avvocato (avvocato di una causa persa) tutto l'occorrente.
Prima di tutto la carta nautica: perché vi sembrerà strano ma una volta fui catapultato e, una volta per aria, mi accorsi di aver lasciato la carta nel mio camerino! Per fortuna ero in Adriatico che è quasi un mare interno.
E poi il codice «M» di procedura R.T.
E poi il codice S.M. 43, quello con la copertina di piombo che in alta quota sembrava pesare una tonnellata. E infine la tabellina di sopracifratura, stando bene attento che sia quella valida per la data odierna, 20 Novembre. E poi un libercolo con le sagome caratteristiche degli apparecchi nemici (di qualche anno prima), quasi fosse importante sapere come era fatto l'aereo che ti avrebbe assalito e forse abbattuto.
Infine le sagome delle principali navi inglesi presenti nel Mediterraneo.
La matita è legata al collo, come si fa per il ciucciotto dei bambini, perché altrimenti dopo pochi minuti l'avrei persa nel pagliolato. E poi l'inseparabile binocolo.
L'equipaggio mi risulta completamente nuovo.
Il primo pilota è il Tenente Franchini Fulvio di Ferrara; ha fama di buon pilota; i fatti, per fortuna, dimostreranno che si trattava di un pilota eccezionale. Il secondo pilota è il Sergente BARTOLAZZI: giunto da pochi giorni dalla scuola di pilotaggio arde dal desiderio di partecipare ad un volo di guerra. Approfittando del ritardo del collega titolare di questo volo ci convince, e noi accettiamo, di sostituirlo. È elegantissimo in una tuta bianca immacolata; non sporco e pieno di padelle come me. Gli altri tre sono:
Il 1° Av. radiotelegrafista LIPPOLIS, giovane ma già un veterano; a Menelao, nell'Africa settentrionale, aveva già sostenuto due combattimenti aerei.
Il 1° Av. motorista TRAVERSA, anche lui giovanissimo. L'« Aviere di governo » NORMA che all'umiliante ma scevro di pericoli servizio nelle cucine e nei cessi aveva preferito i rischi del volo. Solo di lui ricordo il volto, un volto quasi di bambino.
* * *
Il decollo risulta assai lungo data l'assenza di vento ed il forte carico di carburante; segue la solita mezz'ora di volo lungo la costa della penisola salentina e poi via verso il mare aperto.
Quasi due ore trascorrono così senza storia; il bravo Bartolazzi ne approfitta per fare esercizio di navigazione « alla bussola ».
Come al solito sono in piedi di fianco al 1° Pilota, perché questa è l'unica posizione che mi consenta di scrutare verso il basso col mio binocolo.
Ormai il volo ha ripreso la monotonia opprimente di tante centinaia di ore tutte uguali, tutte tese alla ricerca di quella sottile traccia bianca sul mare che indichi la presenza di una nave.
È strano come la continuità del rumore, la vibrazione che dalle gambe si propaga in tutto il corpo, la concentrazione dello sguardo negli oculari del binocolo portino ad uno stato di quasi ipnosi; tutto è teso alla ricerca della strisciolina bianca sul mare, tutto il resto non esiste.
Ecco perché un grido dell'armiere, l'unico che dalla torretta ha una buona visibilità, non provoca nessuna reazione da parte mia.
Ma poi sono costretto a svegliarmi dall'ipnosi perché l'armiere, venutomi vicino, grida eccitato:
« abbiamo un apparecchio in coda! »
È il momento della verità, atteso per centinaia di ore, nella solitudine fra cielo e mare.
Ora si vedrà se una mitragliatrice sola riuscirà ad imporsi a sei mitragliatrici avversarie; se questo accadrà sarà merito esclusivo del piccolo siciliano, umile aviere di governo.
Naturalmente gli dico di tornare in torretta e di sparare, sparare... Cosa altro potrei dirgli?
Perché la nostra sopravvivenza è affidata ad un'unica arma, per fortuna temibile, e ad un ragazzo che fino a poche settimane fa era inserviente di cucina.
Per un breve istante riesco a vedere l'avversario; si tratta di un bimotore che avanza velocissimo tenendosi esattamente sulla linea della nostra coda; se questa astuzia gli riesce il piccolo siciliano non potrà neppure sparare, perché colpirebbe i nostri piani ,di coda.
Ma l'astuzia non riesce sia per la non grande perizia dell'avversario sia perché il bravo Franchini « sente » qual è l'intenzione del nemico e con improvvisi cambiamenti di rotta lo spiazza sulla destra o sulla sinistra della nostra coda, lasciando campò libero all'armiere. Sta di fatto che il nostro bravo armiere comincia a sparare per primo; ed è giusto che sia così perché la nostra arma singola ha un calibro maggiore e quindi una gettata maggiore.
Purtroppo dopo pochi secondi comincia il fuoco dell'avversario: è chiaro che ha le solite sei mitragliatrici « in caccia » e le usa senza risparmio.
Per dare un'idea della mia impressione visiva del tiro avversario dirò che sembrava di essere davanti alla mola dell'arrotino; ogni striscia luminosa un proiettile tracciante. Esaurito l'attacco l'avversario ci supera sulla destra, quasi a contatto d'ala: ho modo di vedere benissimo il pilota perché il lungo muso del bimotore è vetrato; aveva un caschetto rosso scuro e mi parve che facesse un segno di saluto col braccio sinistro.
Che il gesto fosse poi a mano aperta in segno amichevole o a pugno chiuso in segno di scherno, proprio non saprei dire; anche fosse vera la seconda ipotesi, non avevo proprio tempo per avermene a male.
Quello che colpisce, oltre le pallottole, è il brevissimo intervallo che corre fra un attacco nemico e il successivo: solo pochi secondi. Bisogna dire che questo bimotore goda di una maneggevolezza sorprendente; al punto che si fece strada nella mia mente il non allegro sospetto che gli attaccanti fossero due che si alternavano al tiro al bersaglio.
Credo che sia stato dopo il terzo attacco che l'Armiere abbandonò per un momento la sua torretta e mi disse, mortificato quasi fosse sua colpa: « Comandante, sono ferito ».
Non mi sembrò vi fosse nulla di grave; sulla guancia sinistra aveva come tre colpi di scudiscio, non molto profondi. Non potei altro che incitarlo a riprendere il suo posto e sparare, sparare senza interruzione, a costo di esaurire le munizioni.
Nel frattempo il bimotore nemico continuava la sua esercitazione di tiro al bersaglio. Credo che i suoi attacchi siano stati cinque o sei. Il settimo attacco non arrivò. Almeno in via provvisoria il combattimento era cessato.
A Dio piacendo eravamo tutti incolumi, almeno come persone. Non così si può dire dell'apparecchio che era sforacchiato un po' dappertutto con preferenza per le due ali, perché il bravo Franchini, coi suoi sculettamenti, aveva impedito che ci prendesse d'infilata nello scafo.
Le antenne unifilari della radio erano strappate e frustavano l'aria.
Nonostante ciò dissi a Lippolis di trasmettere un S.O.S., sebbene fossi più che certo che nessuno lo avrebbe ricevuto.
Ad un certo momento vidi in basso, ormai a pelo d'acqua, un aereoplanino che, data la differenza di quota, sembrava piccolissimo; fu la visione di un istante, ma fu sufficiente per farmi tirare un sospiro di sollievo: uno dei due era mille metri sotto di noi e probabilmente aveva altro da pensare che rifare quota per tornare all'attacco. Il secondo avrebbe potuto insistere, ma non lo fece perché... non c'era. L'attaccante era uno solo. Per quasi quarant'anni ebbi a chiedermi se questo aereoplanino che stava per fare un tuffo in mare era stata un'illusione ottica od una realtà. Era, come narrerò, una realtà.
Un primo esame della situazione non portava a conclusioni pessimistiche. Le antenne radio erano
spezzate, ma i motori funzionavano regolarmente; in fin dei conti bastava una ventina di minuti di volo per raggiungere la costa della Grecia o di qualche isola dello Jonio.
Gli attacchi erano cessati; un apparecchio nemico era sparito in basso ed una picchiata così rapida faceva sperare che avesse qualcosa di grave e quindi non potesse più rappresentare per noi un pericolo. Per quanto riguardava il personale: I due piloti erano indenni forse per merito di uno scudo protettivo da poco istallato a loro protezione alle spalle del secondo pilota.
L'Armiere aveva le sue scudisciate sulla guancia, ma non si trattava di nulla di grave.
Il Marconista era ferito, ma in modo lieve al petto e sotto un occhio.
Il Motorista Traversa appariva indenne.
Un bilancio tutto sommato non tragico.
Però... una cosa strana si manifestava lungo l'ala sinistra; una striscia nera, quasi fosse verniciata, si stendeva sulla parte superiore dell'ala, in senso assiale. Dentro di me pensavo (e mi auguravo) che fosse una perdita di olio da un serbatoio perforato; nella peggiore delle ipotesi avremmo dovuto fermare il motore di sinistra causa grippaggio. Già altra volta ero rientrato con due soli motori, e non dopo pochi minuti, ma diverse ore di volo.
Ma un dubbio mi tormentava: e se quella striscia nera era fumo da incendio e non perdita d'olio? Con tremila litri di benzina a bordo la situazione sarebbe stata proprio senza speranza.
E dopo pochi secondi ecco, purtroppo la terribile realtà: Con un « ploff » cupo cede tutta la parete in legno compensato sul fianco sinistro del secondo pilota; nello squarcio si vedono fiamme crepitanti: un gigantesco forno.
Il bravo Bartolazzi, ancorché indenne, perde la testa alla vista di quelle fiamme; forse memore degli insegnamenti ricevuti ai terrestri indossa il paracadute e sembra deciso a lanciarsi. A nulla serve fargli segno con la mano che stiamo per ammarare.
Nel frattempo Franchini agiva sugli estintori tirando quei pirulini rossi che per centinaia di ore avevo adocchiato sperando che mai venisse il momento di adoperarli.
Forse furono proprio loro, quei pirulini rossi, ad evitare che l'incendio si tramutasse in una esplosione. Franchini, fermo al suo posto, con una picchiata decisa, tentava l'ammaraggio, unica, tenue speranza per tutti noi.
Purtroppo Bartolazzi volle a tutti i costi lanciarsi col paracadute; per quanti sforzi abbia fatto negli anni successivi, non riuscii mai a ricostruire quando e come si lanciò; non certo dal portello di poppa che all'atto dell’ammaraggio era ancora chiuso; forse da un tettuccio fracassato e volato via.
A parte questo episodio di perdita di controllo, gli altri membri dell'equipaggio si comportarono con grande freddezza.
Al primo posto debbo mettere il Pilota Franchini che effettuò un ammaraggio perfetto nonostante fosse ormai avvolto dal fumo e lambito dalle fiamme. Quando, ad ammaraggio effettuato, mi spostai verso poppa, vidi che i tre ragazzi, Norma, Traversa e Lippolis, avevano con la massima compostezza indossato i salvagenti e preparato il battellino di salvataggio nei pressi del portello.
Tanta serenità da parte di tre ragazzi che, come potei constatare poco dopo, non sapevano neppure nuotare, è per me motivo di grande ammirazione.
Quando la velocità di ammaraggio era quasi smaltita il bravo Lippolis fece saltare il portello agendo sul dispositivo di sgancio di emergenza.
Lanciammo in acqua il battellino ancora confezionato nel suo involucro; poi saltarono i tre avieri a breve intervallo l'uno dall'altro.
Quando con la coda dell'occhio vidi Franchini abbandonare il volantino ed alzarsi dal suo sedile, mi lanciai io stesso. Il colpo di freddo che provai al contatto con l'acqua fu terribile; ebbi chiara la percezione che solo pochi minuti avremmo potuto resistere in quell'acqua gelida.
Essendoci lanciati in acqua con apparecchio ancora in moto, risultammo scaglionati ad una certa distanza l'uno dall'altro; io, in particolare, ero assai distanziato dai tre Avieri.
Quando li raggiunsi li trovai riuniti attorno al battellino. Si trattava ora di estrarre il battellino dal suo involucro: questo rappresentò un primo motivo di sgomento.
La chiusura dell'involucro era realizzata con un sistema simile all'allacciatura delle scarpe: tanti fori ed una spighetta incrociata che passava da un foro all'altro per una lunghezza di un metro e mezzo. Credo che solo per liberare il battellino dal suo involucro siano occorsi più di venti minuti.
Una volta estratto il benedetto battellino, mi resi conto che era veramente microscopico; era si e no capace di sostenere due o tre persone. Il sistema di gonfiaggio, poi, era assolutamente primordiale; era costituito da un comune soffietto di quelli che un tempo usavano i nostri avi per ravvivare il fuoco.
Ma la grossa delusione venne quando si trattò di innestare la parte terminale del soffietto nel bocchettone femmina posto sul fianco del battellino.
All'interno del bocchettone vi era una molla che spingeva in fuori un dischetto che assicurava la tenuta all’acqua prima e dopo il gonfiaggio: giustissimo. Ma per innestare il terminale del soffietto bisognava vincere la maledetta molla.
Bene, dopo due o tre tentativi via via più disperati mi resi conto che lo sforzo che potevo realizzare con le mie braccia non era nemmeno lontanamente sufficiente a comprimere la maledetta molla.
Un dubbio, che fu subito certezza, attraversò fulmineamente il mio cervello ed ebbe l'effetto paralizzante di una pallottola: « Quel tipo di battellino era stato collaudato a terra, quando il fatto stesso di poggiare sul solido permetteva uno sforzo con le braccia molto superiore a quanto poteva realizzare un povero diavolo immerso in acqua e privo di punti di reazione ».
Perché questo dubbio divenne così rapidamente certezza? Perché ero sicuro che nessuno, in passato, aveva voluto rendersi conto di persona se questo fagotto, buttato in un angolo dello scafo servisse o no a qualche cosa.
Facevo infatti credito ai colleghi dell'Aereonautica di entusiasmo e coraggio da vendere ma non di quella « pignoleria» per la quale, almeno ai miei tempi, gli Ufficiali di Marina erano tristemente famosi.
Ma poiché la speranza è dura a morire, volli fare ancora un tentativo una volta liberatomi della tuta che faceva « pallone » e delle scarpe.
Per far questo fui costretto ad affidare il soffietto ad un Aviere, mi pare Lippolis.
Ero quasi alla fine della svestizione quando sentii un urlo disperato; era Lippolis: « Signor Tenente, mi è sfuggito di mano il soffietto! » « Non ti preoccupare, risposi: siccome certamente galleggia lo ritroverò appena libero nei movimenti ».
« No, signor Tenente, il soffietto va a fondo ». Incredulo mi tuffai e lo vidi ormai alla profondità di cinque-sei metri; affondava lentamente.
Forse arrivai a mezzo metro dal raggiungerlo, ma i miei polmoni scoppiavano e non riuscii ad afferrarlo.
Una seconda immersione, dopo ripreso fiato, venne da me effettuata, ma senza più alcuna speranza. Ero d'altronde convinto che quel soffietto non sarebbe servito a nulla.
Vorrei che quanti sono preposti a collaudi di oggetti decisivi per la sopravvivenza in mare provassero, anche salo per cinque minuti, la disperazione che ci colse quando perdemmo qualsiasi fiducia di poter fare assegnamento sul battellino.
Il radiotelegrafista chiedeva disperato se ero sicuro che il nostro S.O.S. fosse stato captato; io rispondevo ogni volta affermativamente: ma era una pietosa bugia. Era chiara davanti ai miei occhi l'immagine dell'antenna unifilare che frustava l'aria, strappata ad un estremo. Mentre questa tragedia si svolgeva intorno al battellino, l'apparecchio continuava a girarci intorno, perché il motore di destra era rimasto in moto al regime minimo. Le munizioni della mitragliera da 12,7, ormai raggiunte dalle fiamme, esplodevano con un fragore sinistro.
Fu quasi una fortuna che fossimo talmente impegnati col battellino da non valutare il pericolo che costituiva per noi questo enorme falò che ci girava intorno proiettando frammenti infuocati di cartucce esplose.
Finalmente, dopo tre giri perfetti intorno a noi, il motore di destra si decise a fermarsi ed il falò cominciò ad allontanarsi verso sud, sospinto dalle onde e dal vento.
Avrei dovuto tirare un sospiro di sollievo, ma non fu così; perché quello che si perdeva verso sud era un piccolo mondo nel quale avevo vissuto per centinaia di ore; ore non certo serene, ma ravvivate dal pensiero che dopo la disperata solitudine del mare, sarebbe riapparsa la terra con tutte le sue cose belle: gli amici, la casa, la mia bambina.
Ormai eravamo proprio soli, tre o quattro uomini con un Comandante in mutande, piccoli puntini nell'immensità del mare.
Un mare niente affatto benevolo; le onde, non più alte di mezzo metro, sembravano, stando con la testa a fior d'acqua, molto più alte; e la pioggia non facilitava la visibilità.
Questo spiega come mai, sebbene vicini, ci accadeva di vederci l'un l'altro solo saltuariamente.
Per quanto riguarda Franchini, l'avevo visto alzarsi dal sedile, ma non sapevo se fosse riuscito a superare indenne la barriera di fiamme che separava il suo seggiolino dal portello di poppa e se fosse riuscito a lanciarsi in acqua. In verità non sapevo neppure se fosse capace di nuotare, perché questa era la prima missione che effettuavo con lui.
Non saprei dire quanto tempo restammo uniti attorno al battellino sgonfio; il mio orologio si era fermato sulle 9,25, ora in cui mi ero tuffato in mare e da quell’istante ogni minuto aveva assunto la dimensione di ore.
Per un lasso di tempo che mi è difficile definire, i tre ragazzi, pur non sapendo nuotare, riuscirono a trattenersi vicino al battellino sgonfio che, sebbene inutile, costituiva un punto di riferimento.
Ma si capiva che stava spegnendosi in loro la volontà di lottare.
Non riuscivano più, causa il freddo, ad articolare le parole.
Mi sembrava di capire che Lippolis ripetesse quasi meccanicamente la domanda: Avranno raccolto il nostro S.O.S.?
Ma la mia risposta affermativa, mormorata fra il battere dei denti, non poteva risultare credibile. Poi le onde e il vento cominciarono a piegare le loro volontà che la mancanza di ogni prospettiva rendeva disponibili alla resa. E i tre ragazzi vennero inesorabilmente trascinati lontano da me, verso Ovest. Le onde non erano alte; ma poiché io affioravo appena con la testa, esse facevano sì che già alla distanza da me di una diecina di metri, io li potessi vedere solo ad intermittenza.
Continuai a seguirli con lo sguardo.
Le loro apparizioni sulla cresta di un'onda divennero sempre più distanziate, , fino a che li persi completamente di vista. […]
Solo
Ed eccomi qui solo, Comandante in mutande di un battellino sgonfio!
L'amico Franchini è forse a pochi metri da me ma le onde e la pioggia mi impediscono di vederlo.
Sento la sua presenza più col cuore che con la ragione; perché questa mi spinge persino a dubitare che egli sia riuscito a superare la barriera di fuoco che si frapponeva fra il suo seggiolino ed il portello di poppa.
Forse dopo mezz'ora, forse dopo un'ora mi accadde di scorgere in lontananza, in direzione sud, un oggetto a forma conica che subito identificai per l'estremità di coda dell'apparecchio. Il cosiddetto « poppino ». Stremato ormai dallo sforzo di mantenermi a galla, mi misi a nuotare in direzione del « poppino », nella speranza di trovare qualcosa a cui aggrapparmi.
Penso che la distanza non fosse più di un paio di chilometri, ma, dato il freddo e lo stato di debilitazione, quella nuotata mi sembrò interminabile.
Alla fine di tanta fatica mi attendeva una amara delusione. La posizione verticale del poppino era assolutamente instabile; bastava che mi attaccassi a qualche sporgenza perché si rovesciasse in posizione orizzontale; non appena abbandonavo la presa, ritornava in posizione verticale.
Un gioco per nulla divertente.
Per fortuna a non molta distanza da questo inutile rottame avvistai qualcosa di ben più consistente: lo scheletro dell'ala in parte bruciacchiato ma ancora galleggiante perché in legno.
Con un ultimo sforzo raggiunsi questo scheletro di ala e mi infilai fra due centine.
Così ingabbiato cessò finalmente lo sforzo di mantenermi. a galla, ma rimase la sofferenza più terribile: il freddo.
Dopo circa un quarto d'ora, scandito dal battito dei miei denti, vidi un nuotatore che dirigeva faticosamente verso di me: era Franchini in completa divisa. Fortunato lui che non aveva avuto la brutta idea di denudarsi.
Forse avendo avvistato i miei segni, evitò il « poppino », raggiunse il rottame d'ala e si infilò vicino a me nello stesso intervallo fra due centine.
Non ci rimase altro che abbracciarci petto contro petto per scambiarci vicendevolmente un po' di calore ed attendere un forse inutile trascorrere del tempo.
Sapevo che verso le 16 un altro aereo di Taranto avrebbe percorso la nostra stessa rotta; è per me un fatto inspiegabile che allora fossi convinto che su quell'apparecchio ci dovesse essere il S.T.V. Mario MARTINA.
Il poveretto era stato abbattuto, lo appresi in seguito, da più di un anno a Nord di Marsa Matruh.
Sta di fatto che ad una certa ora del pomeriggio udii chiaramente il rombo dei motori, ma non vidi il nostro apparecchio; le nuvole e la pioggia non consentivano miracoli.
Dopo qualche minuto il rombo svanì verso Sud troncando un filo di speranza tenue come un filo di ragnatela.
Il tramonto
Ora non ero più solo; un altro corpo umano era avvinghiato al mio e mi trasmetteva, come io gli trasmettevo, un po' del calore che altrimenti sarebbe andato perduto nella pioggia e nel vento.
Ma il tormento del freddo era egualmente insopportabile.
Il continuo battere dei denti e l'irrigidimento delle mascelle impediva qualsiasi emissione di parole. Solo una volta Franchini riuscì a pronunciare una breve frase: « La mia bambina ».
Fu per me come un colpo al cuore, perché anch'io avevo una bambina della stessa età della sua. Quasi certamente nessuna delle due era destinata a conservare l'immagine del suo papà.
Verso il tramonto un'altra tortura si aggiunse a quella del freddo: il sonno. Un sonno così violento da costituire una sofferenza fisica capace di mettere in ombra qualsiasi altra sofferenza, fisica o morale.
Un sonno così violento non poteva che derivare da un inizio di assideramento. Mi ricordavo di aver letto appunto che l'assideramento provocava questo profondo sonno che rendeva indolore e sereno il trapasso dalla vita alla morte.
Era ormai questa l'unica speranza che mi era dato di poter nutrire.
E fu per accelerare una fine che consideravo inevitabile che decisi di allontanarmi da Franchini, spostandomi, sempre sull'ala, di qualche metro da lui. La separazione avrebbe aumentato il raffreddamento ed accelerato l'arrivo del momento liberatore.
Franchini dovette comprendere il motivo di questa separazione e non disse nulla. Non un gesto, non un tentativo di trattenermi.
Ma dopo un quarto d'ora ritornai sulla mia decisione: forse perché il mio fisico resisteva ancora o forse perché non potei a meno di riflettere che il mio distacco avrebbe aggravato anche la situazione di Franchini che, probabilmente non era deciso quanto me a farla finita. Ritornai quindi nel mio buco ed all'abbraccio con Franchini. Anche il tempo congiurava contro di noi: continuava a piovere e tirava un fastidiosissimo vento.
La notte
Al sopraggiungere dell'oscurità completa si calmò il vento, sparirono le nuvole per lasciare il posto ad un meraviglioso cielo stellato.
Così ebbe inizio la notte più lunga della mia vita.
Lo sguardo rivolto verso Nord osservavo il lento ruotare della volta celeste. Ogni quindici gradi di rotazione smarcavo mentalmente un'ora, ma tante ne restavano ancora da trascorrere.
L'interminabile veglia ebbe solo un momento emotivo di irragionevole speranza.
Ad un certo momento vedemmo in direzione Nord una luce correre velocemente sul mare.
Non fu di certo una allucinazione perché anche Franchini accennò eccitato in quella direzione.
Ma in ogni modo la visione durò solo un secondo o due e ci lasciò viepiù delusi e sfiduciati.
Mi sono chiesto spesso cosa sarà stata quella luce; oggi si parlerebbe di dischi volanti, extraterrestri e simili. Allora queste spiegazioni fantasiose non erano di moda e ci si limitava a riconoscere la nostra insufficienza di sapere.
L'alba
Finalmente dopo dieci ore che ci parvero un'eternità ebbe inizio l'alba, un'alba meravigliosa senza la benché minima nuvola.
E poi sorse il sole.
Questo miracolo che giornalmente si ripete viene osservato quasi distrattamente dagli uomini affaccendati. Ma questa volta, che sarà forse l'ultima, lo osserviamo affascinati e sgomenti. Perché il sole simbolizza la vita, anzi « è » la vita.
E la vita, ce ne accorgiamo ora, è tanto bella.
Così trascorsero un numero imprecisato di ore del mattino.
Data l'enorme limpidezza conseguente alla pioggia della notte, vedevamo, o credevamo di vedere la linea della costa.
Forse Capo Papas o qualche isola dello Jonio.
Per ore il nostro sguardo rimase fisso su questa linea indistinta, quasi la nostra volontà fosse in grado di far derivare il rottame verso di essa.
All'improvviso ci sembrò di distinguere verso terra quattro puntini scuri. Trattenemmo il fiato: erano proprio quattro apparecchi lentissimi che avanzavano a quota non superiore ai cento metri.
Li riconoscemmo per quattro apparecchi tedeschi Ju 52 da trasporto. Purtroppo la loro rotta passava alquanto discosta da noi. Stavamo per perderci d'animo quando vedemmo staccarsi uno di essi dal gruppo e venire deciso verso di noi. Ci girò intorno un paio di volte e lanciò in mare un battellino che cadde ad una distanza enorme. Altro non poteva fare perché era un terrestre. E poco dopo sparì all'inseguimento dei tre compagni. Ci trovammo quindi di nuovo soli e depressi, salvo un piccolo lume di speranza tenuto acceso dal fatto che qualcuno ci aveva visto e che la radio forse avrebbe fatto ancora una volta il miracolo.
Così passarono altre ore in un avvicendarsi di pessimismo ed ottimismo.
Il pessimismo derivava dal fatto che avevamo i nostri dubbi che questi camion dell'aria fossero a conoscenza delle procedure, frequenze e nominativi necessari per segnalare via radio a Taranto la nostra posizione. E solo dagli idrovolanti di Taranto poteva venire la nostra salvezza.
Un barlume di ottimismo derivava dalla speranza che i Tedeschi tenessero nella Grecia una sezione di idrovolanti di soccorso in ausilio al ponte aereo di cui i quattro apparecchi in rotta per la Sicilia dovevano evidentemente far parte.
Mentre, un po' rinfrancati dal sole, ci scambiavamo queste considerazioni, avevamo modo di osservare sull’ala .i risultati dei ripetuti mitragliamenti.
Solo una parte del rivestimento in compensato si era salvata dall'incendio; ma le superfici indenni denunciavano che le mitragliatrici del nostro avversario avevano operato senza risparmio: giudicai che non vi fosse un decimetro quadro di ala che non avesse un foro di pallottola.
Eppure tanto spreco non aveva menomato la capacità di volo del nostro « Airone ».
Con tutta probabilità una sola, incendiaria, ci era stata fatale.
E le ore si succedevano interminabili; il sole, superato lo Zenit, aveva iniziato la sua parabola discendente e nulla accadeva di quanto ardentemente speravamo. Né da Nord né da Est appariva nel cielo il tanto atteso puntolino nero.
Il DO 24
Ormai eravamo completamente sfiduciati ed avevamo rinunciato a scrutare l'orizzonte, anche perché il bagliore del sole ed il troppo sforzo imposto alle pupille ci facevano vedere una moltitudine di puntini neri, ma tutti ingannevoli. E fu per questo che scorgemmo solo all'ultimo momento un grosso idrovolante che dirigeva esattamente su di noi.
Era tedesco, un DO 24.
Mi preoccupò il fatto che dirigesse così esattamente sul punto segnalatogli: ciò era contrario alla mia teoria! E se ci avesse superato senza vederci? Non avrebbe più saputo se concentrare le ricerche sulla destra o sulla sinistra della rotta di avvicinamento.
E fu esattamente quanto accadde. L'apparecchio ci passò sulla testa e proseguì senza vederci.
Scomparve alla nostra vista. Lo rivedemmo in lontananza, lo riperdemmo. Era chiaro che la sua ricerca non seguiva un filo conduttore: il suo svolazzare a destra e a sinistra dava l'impressione di un moscone chiuso in una stanza.
È doloroso constatare che quasi tutti gli uomini si ricordano di pregare solo nell'ora del bisogno. Io ero fra questi.
In quei terribili momenti io pregavo che Dio guidasse quel pilota frastornato verso di noi.
Ad un certo momento sembrò proprio che il miracolo si avverasse: il moscone impazzito dirigeva dritto su di noi. Ancora qualche secondo su questa rotta e ci avrebbe visto.
Ma giunto a poche centinaia di metri da noi, ecco la beffa: l'aereo accostò a sinistra e riprese a svolazzare in zone assai discoste da noi.
Imprecazioni e preghiere sembrarono avere efficacia una seconda volta: nuovamente l'apparecchio diresse verso di noi, ma giunto a poche centinaia di metri cambiò rotta e scomparve.
Ora un altro dubbio cominciava ad insinuarsi nella nostra mente: non c'è pericolo che il buon tedesco, nonostante la perseveranza tipica della sua razza, consideri chiusa con esito negativo la sua ricerca e se ne rientri alla base? E l'aereo continuava a ronzare, talvolta vicino, talvolta lontanissimo.
Ancora una volta le mie preghiere parvero essere esaudite: l'aereo dirigeva esattamente su di noi. Quasi potessi essere udito mormoravo: Così... ancora su questa rotta per qualche secondo...
Ormai la salvezza è a meno di cinquecento metri da noi, questa volta deve vederci...
Infatti il pilota tedesco, con uno scuotimento d'ali segnalò di averci visto.
Rinuncio a descrivere i sentimenti che quello scuotimento d'ali suscitò in me e, penso, in Franchini. Rifletta il lettore che per più di trenta ore avevamo atteso la morte. Io personalmente l'avevo anche desiderata: ed ora un semplice scuotimento d'ali ci dice che vivremo ancora, rivedremo le nostre bambine, le nostre famiglie; mio padre, che accompagnandomi alla stazione l'ultima licenza era pallido come uno straccio, quasi provasse un presentimento.
La provvidenza è ancora benevola verso di noi. Il mare è calmo come l'olio e l'ammaraggio del nostro salvatore non presenta nessuna difficoltà.
L'apparecchio si avvicina a noi flottando fino ad una trentina di metri. Si apre un portello; un membro dell’equipaggio ci chiede, più a segni che a parole, se siamo in grado di raggiungere a nuoto l'apparecchio: il mio no è categorico. Nelle nostre condizioni sarebbe follia voler affrontare anche solo una ventina di metri a nuoto.
Allora con tutta calma l'Aviere tedesco gonfiò un battellino — con una bomboletta e non con un soffietto — e venne a prenderci.
Saliti a bordo ci fu data subito una tuta da ginnastica e qualche genere di conforto.
Una piccola dose di Cognac ebbe su di me l'effetto di una mazzata. Mi sdraiai su una brandina e caddi in un sonno profondo.
Ma il sonno non durò a lungo perché man mano che il mio corpo riprendeva calore, la sensibilità, per tante ore assopita dal freddo, tornava a ravvivarsi. Era come se il mio corpo avvampasse nelle fiamme. Una ispezione mi svelò il mistero: il compensato che costituiva la superficie alare era fissato alle centine da migliaia, forse milioni di chiodini di rame. Bruciato il compensato, erano rimasti sporgenti i maledetti chiodini che avevano infierito per più di trenta ore nella mia carne nuda senza che io sentissi, causa il freddo, il benché minimo dolore. Ma il dolore veniva fuori adesso, tutto in una volta. Un bruciore particolarmente violento sentivo al polpaccio della gamba sinistra. Sfilatami la tuta vidi che la causa di tanto bruciore era una coppia di staffilate solo superficiali: due sagge e benevole pallottole mi avevano appena sfiorato senza che io neppure me ne accorgessi, in un primo tempo per la tensione del combattimento e successivamente per il freddo.
Mentre alternavo queste ricognizioni sul mio corpo a qualche breve assopimento non potevo fare a meno di guardarmi intorno.
Nel capace scafo del DO 24 erano ammucchiate attrezzature di ogni genere. Contai non meno di mezza dozzina di battellini di salvataggio. Ognuno raccolto in un involucro fatto a guisa di busta da lettere e tenuto chiuso da un solo fermaglio. La facilità e la rapidità di gonfiaggio avevo potuto constatarla mentre ansiosi attendevamo che ci venissero a ricuperare sull'ala.
* * *
Se mi chiedeste cosa pensavo, durante questo volo di ritorno verso la vita non potreste che ricevere risposte confuse.
Era un alternarsi di felicità, tristezza e rammarico. Felicità al pensiero che avrei rivisto la mia bimba. Felicità al pensiero che avrei assistito all'arrivo del secondo nato.
Felicità al pensiero che avrei potuto condurre a termine i miei studi di Ingegneria che tanto mi appassionavano. Tristezza per l'immatura perdita di quattro giovani vite, tre delle quali avrebbero potuto salvarsi.
Rancore verso gli sconosciuti la cui leggerezza era alla base di queste perdite.
Il Partenone
Dopo un .paio d'ore di questo dormiveglia affollato di pensieri, sentii il rumore caratteristico del comando elettrico che comandava i flaps. Stavamo per ammarare. Ed infatti quasi subito ammarammo nel porto di Pireo. Una imbarcazione ci trasferì a terra dove puntualmente ci attendeva una ambulanza.
Non ricordo se il Comandante dell'aereo (Ten. Wargan) mi lasciò la tuta da ginnastica, ma penso di si perché sarebbe stato indegno di lui consentire che un collega transitasse in mutande di fronte alle vestigia di una antica civiltà.
La strada che univa Atene al Pireo era, a quei tempi, poco più che un sentiero. L'ambulanza avanzava lentamente e sobbalzando.
Era ormai il tramonto di una limpida giornata allietata da un magnifico sole.
Ad un tratto, attraverso i vetri dell'ambulanza mi si presentò lo spettacolo radioso dell'Acropoli in tutto il suo roseo splendore.
L'emozione fu intensa, quasi un’estasi.
Non solo ero rinato in quel 21 Novembre a vita nuova, ma voleva il caso che vedessi davanti ai miei occhi quanto di più grandioso, di più duraturo l'Umanità aveva prodotto. Si, in questo mondo c'erano piccoli uomini trascurati e incoscienti, ma c'erano anche grandi uomini capaci di cose la cui bellezza sfidava il tempo e riusciva ad emozionare anche un povero naufrago che di emozioni ne aveva provate già tante.
Con questa seconda nascita avvenuta al cospetto del Partenone penso sia opportuno che io chiuda questo capitolo. Quanto mi riservò la guerra in seguito apparirebbe al confronto molto banale.
Un ricovero in un ospedale di Atene per una diecina di giorni.
Il rientro a Taranto con un nostro apparecchio. L'emozione di rivedere la mia bambina ignara, al pari di mia moglie, di quante traversie mi fossero occorse durante quei dieci giorni di assenza.
E poi altra permanenza in ospedale seguita da una lunga licenza.
E la, nuova destinazione presso il 2° Corpo Aereo Tedesco che bombardava Malta.
Sarei tentato di narrare di questo mio inserimento in una grande unità tedesca. Avrei tanti spunti meritevoli di un racconto.
Ma la narrazione riprenderebbe fatalmente il tono scherzoso che mi è congeniale ed allora mi sembrerebbe di mancar di rispetto ai quattro compagni di equipaggio che non furono così fortunati come io ancora una volta lo fui.
Crediti
Mario Loffredo, Ali di legno sul mare, Bizzocchi Editore, Reggio Emilio 1983
Foto Istituto Luce, Archivio Centrale dello Stato
Italians Airplane story and details
Bruno CALEARI
nato il 1° giugno 1908 a Sussak (Fiume).
Deceduto nel cielo del Mediterraneo Occidentale il 9 luglio 1940 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 28 settembre 1940 (B.U. 1940 suppl. 9 pag. 2 e disp. 44 pag. 1583) in commutazione della
Medaglia d'Argento di cui al R.D. 6 agosto 1940 (B.U. 1940 disp. 31 pag. 1018)
SOTTOTENENTE DI VASCELLO R.S. M.M.
Osservatore del 31° Stormo 94° Gruppo, 287.a Squadriglia
Già combattente nell'Africa Orientale Italiana non aveva conosciuto alcun limite di coragg'o e di sacrifici nel superamento di se stesso per servire la Patria oltre il dovere. Osservatore a bordo di un idrovolante in ricognizione strategica, attaccato da tre velivoli da caccia nemici veniva mortalmente ferito al petto mentre si accingeva alla difesa. Colpito, una seconda volta, al capo e, sempre sotto il fuoco dell'avversario, mentre l'idrovolante era costretto ad ammarare per le avarie riportate, stoicamente determinava l'esatta posizione dell'apparecchio impartendo al marconista istruzioni e consigli per la trasmissione dei segnali di soccorso, onde i camerati potessero trarne possibilità di salvezza. Prossimo all'agonia cosciente del suo stato, con sovrumana energia e con disperata volontà, dava ancora preziosi consigli per l'organizzazione della difesa. Quindi serenamente decedeva. Col suo ultimo respiro passò sul mare un soffio di epopea.
Mediterraneo Occidentale, 9 luglio 1940.
Giovanni DEL VENTO
nato il 12 febbraio 1920 a Canosa di Puglia (Bari).
Deceduto il 13 dicembre 1989
MEDAGLIA D'ORO
R.D. 5 marzo 1942 (B.U. 1942 disp. 14 pag. 639 e disp. 29 pag. 1424)
SOTTOTENENTE A.A.r.n.
Pilota di Complemento della 287a Squadriglia Autonoma
Primo pilota a bordo di un idro da ricognizione marittima, dopo aver avvistato una formazione navale e dopo che l'osservatore ne avesse trasmessi i dati relativi al moto, mentre dirigeva per eventuale opera di soccorso verso un apparecchio silurante che precipitava in mare, veniva attaccato da sei caccia di cui due venivano abbattuti sicuramente ed uno probabilmente. Nonostante fosse ferito in più parti ed avesse altri membri dell'equipaggio colpiti portava all'ammaraggio l'apparecchio in fiamme. In mare, mentre attendeva il salvataggio dei superstiti, veniva attaccato e colpito da proiettili di mitragliatrice. Disponeva per il salvataggio dei superstiti e faceva allontanare il battellino per evitare che venisse investito dalle fiamme. Abbandonava per ultimo l'apparecchio, quasi sommerso, gettandosi a nuoto e, raggiunto il battellino ove si trovavano l'osservatore mortalmente ferito ed il marconista, nonostante le proprie condizioni, si prodigava per portarli in salvo. Dopo 17 ore di permanenza in mare veniva raccolto da un apparecchio da ricognizione inviato sul posto. In combattimento e durante l'opera di soccorso col suo comportamento dava un supremo esempio di 'eroismo e di abnegazione umana.
Cielo del Mediterraneo Occidentale, 7 gennaio - 27 settembre 1941.
Leonardo MADONI
nato il 20 novembre 1902 a Manciano (Grosseto).
Deceduto a Barce (Cirenaica) il 26 settembre 1941 per ferite riportate in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 3 luglio 1942 (B.U. 1942 disp. 30 pag. 1472 e disp. 39 pag. 2061)
SOTTOTENENTE DI VASCELLO
Osservatore in S.P.E.
dell'83° Gruppo Autonomo, 186a Squadriglia
Abilissimo, valoroso ed intrepido ufficiale osservatore, partecipava con oltre 400 ore di volo a numerosissime rischiose missioni belliche alturiere per la ricerca di navi nemiche. Durante un'esplorazione a grande distanza dalla base, il suo velivolo veniva improvvisamente attaccato da un aereo nemico e costretto all'ammaraggio coi comandi tranciati. Colpito, fin dalla prima raffica alla testa, alla gola e alla spalla, nonostante il dolore lancinante le la perdita di sangue generoso dalle multiple ferite, organizzava la difesa contro il nemico che dall'alto per un'ora intera mitragliava il velivolo ormai inerme sul mare. Sotto le incessanti raffiche, con serena fermezza e altissimo senso del dovere, conscio che le forze lo avrebbero presto abbandonato, suggeriva al marconista le riparazioni da fare all'apparato radio per chiedere i soccorsi e determinava sulla carta il spunto. Poi, mentre il velivolo affondava, e soltanto dopo che tutto l'equipaggio si era imbarcato, consentiva a farsi trasportare sul battellino di salvataggio. Durante dieci lunghe penose ore passate in mare in attesa dei soccorsi, il suo contegno sereno e fiducioso, nella comune salvezza infondeva fede e conforto in tutti i suoi uomini. Trasportato alla base da un aereo di soccorso, decedeva dopo poche ore, pago di aver compiuto il suo dovere verso la Patria e di essere riuscito con il suo ultimo eroico sforzo di volontà, ad assicurare la salvezza degli uomini a lui affidati. Sublime esempio delle più alte virtù di comandante e di soldato, profondamente intese e virilmente dimostrate con l'estremo sacrificio.
Cielo del Mediterraneo, giugno 1940 - 26 settembre 1941.
Giuseppe MAJORANA
nato il 2 luglio 1910 a Nervi (Genova).
Deceduto nel cielo del Mediterraneo Occidentale il 27 settembre 1941 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
D.L. 5 marzo 1942 (B.U. 1942 disp. 14 pag. 638 e disp. 29 pag. 1424)
SOTTOTENENTE DI VASCELLO
Osservatore di Compl. della 287a Squadriglia Autonoma
Abile e valoroso osservatore a bordo di un idro da R.M., dopo aver avvistata una formazione navale ed averne trasmesso i dati relativi al moto, mentre, d'accordo con il primo pilota, dirigeva per eventuale opera di soccorso verso un apparecchio silurante che precipitava in mare, veniva attaccato da sei caccia di cui due venivano abbattuti ed uno probabilmente. Dopo l'ammaraggio avvenuto con l'apparecchio in fiamme, nonostante fosse già ferito, si prodigava, malgrado l'abbondante perdita di sangue per approntare il battellino di salvataggio. Raggiunto da altri proiettili, ferito mortalmente alla bocca, impossibilitato ad articolare parola e conscio della propria imminente fine, determinava stoicamente la posizione del battellino e con cenni indicava la rotta migliore da seguire per raggiungere la terra, onde i camerati potessero trarne possibilità di salvezza. Prossimo all'agonia, cosciente del suo stato, con sovrumana energia, indicava ancora ai compagni il lontano profilo della costa, quindi serenamente e gloriosamente decedeva.
Cielo del Mediterraneo Occidentale, luglio - 27 settembre 1941.
Giorgio MANCINI
nato l'8 aprile 1906 a Gualdo Tadino (Perugia).
Deceduto nel cielo dello Jonio il 15 luglio 1940 in azione di guerra.
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 18 aprile 1941 (B.U. 1940 disp. 44 pag. 1578 e B.U. 1942 disp. 8 pag. 366).
CAPITANO
A A r.n. Pilota in S.P.E. della 171a Squadriglia Autonoma
Comandante di squadriglia, pilota di grande perizia e prode comandante, al ritorno da una missione bellica su trimotore da R.M., subiva gravi avarie ai motori che determinavano l'incendio del velivolo. Nonostante che nella cabina di pilotaggio l'aria fosse ormai irrespirabile, con eroica decisione vi permaneva per tentare l'ammaraggio che avrebbe salvato da sicura morte tutto l'equipaggio. Riusciva infatti, nonostante le avverse condizioni del mare e il divampare del fuoco che già in parte lo investiva, a portare l'apparecchio sull'acqua. Incurante di se stesso ordinava ai suoi compagni di buttarsi in mare mentre egli dirigeva il velivolo fuori della zona di ammaraggio per evitare che il prevedibile scoppio dei serbatoi del carburante e delle munizioni di bordo potesse arrecare danni all'equipaggio ormai salvo. Quando egli si buttava ire mare la morte stava per coglierlo per le ustioni riportate e per l'avvelenamento determinato dai vapori di benzina. Quindi decedeva da prode in servizio della Patria. Nel rogo del velivolo scoppiavano intanto le cartucce delle mitragliere e i serbatoi di carburante. La generosità eroica spinta fino al sacrificio del comandante che aveva tutto previsto e a tutto provveduto, contribuiva ancora una volta a salvare la vita dei gregari. Esempio del più puro eroismo, del più alto spirito di sacrificio e dell'umana nobiltà.
Cielo dello Jonio, 15 luglio 1940.
Carmelo RAITI
nato il 25 settembre 1917 a Sortino (Siracusa).
Deceduto nel Mediterraneo Occidentale il 3 aprile 1941 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 10 ottobre 1941 (B.U. 1941 disp. 43 pag. 1908 e disp. 52 pag. 2550)
1° AVIERE A.A.r. spec.
Armiere in comm. ferma della 287a Squadriglia Autonoma
Armiere a bordo di aereo da ricognizione marittima lontana, compiva numerosi voli di guerra, dando costante e luminosa prova della sua non comune perizia e di superbo sprezzo dei pericolo. In un'azione, con il preciso fuoco della sua arma, respingeva l'attacco di due caccia nemici, colpendone uno e fugando l'altro. Con immutato entusiasmo, partiva volontario su apparecchio isolato avente il rischioso compito di ricercare una formazione navale nemica, comprendente una nave portaerei. Attaccato da tre caccia, conscio che dal suo comportamento dipendeva la sorte dei compagni di volo e l'esito della missione con la consueta ammirevole calma rispondeva al fuoco nemico con efficaci raffiche della sua arma. Gravemente ferito al braccio ed alla gamba destra, vincendo lo strazio della carne martoriata, non desisteva dalla lotta, ma dal copioso e generoso sangue che gorgogliava dalle sue ferite, traeva incitamento a combattere e con preciso tiro abbatteva uno degli assalitori. In un successivo attacco, le mitragliere avversarie lo colpivano a morte. Le sue mani, nell'attimo del trapasso, restavano avvinghiate ancora all'arma fedele e la mantenevano puntata ancora verso il nemico che si dileguava.
Cielo del Mediterraneo, 3 aprile 1941.
Gino VESCI
nato il 17 dicembre 1916 a Mantova.
Deceduto nel Mediterraneo Occidentale il 9 luglio 1940 in combattimento aereo
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 28 settembre 1940 (B.U. 1940 suppl. 9 pag. 3 e disp. 44 pag. 1583) in commutazione della
Medaglia d'Argento di cui al R.D. 6 agosto 1940 (B.U. 1940 disp. 31 pag. 1018)
1° AVIERE A.A.r. spec.
Marconista in Commut. ferma del 31° Stormo 94° Gruppo, 287.a Squadriglia
Marconista a bordo di un idrovolante in ricognizione strategica, che era costretto ad ammarare perché avariato dalle raffiche di tre caccia nemici, non abbandonava il suo posto di combattimento, sebbene mortalmente ferito. Stremato di forze per il gorgoglio incessante del suo sangue generoso, costretto dalle sofferenti ferite ad una parziale immobilità riusciva, in piedi, con indomita energia, ad approntare l'apparato radio con mezzi di fortuna ed a lanciare il segnale di soccorso. Incurante di sé stesso, cosciente del proprio stato e solo preoccupato della salvezza dei camerati, con stoicismo ineguagliabile continuava la trasmissione sino al suo ultimo anelito. La morte lo coglieva così al suo posto di combattimento e spirava nella serena soddisfazione che l'olocausto della sua fiorente giovinezza avesse potuto contribuire a trarre in salvo i compagni di volo. Esempio magnifico di fulgido eroismo di soldato e di sublime abnegazione umana.
Mediterraneo Occidentale, 9 luglio 1940.