Volare è passione e vocazione, che riempie di sè una vita.
Adolf Galland
Caccia / Assalto
CANSA Fc.20, immagini, scheda e storia
Velivolo da attacco, monoplano ad ala bassa a sbalzo, bimotore, biposto a struttura interamente metallica.
[ vedi descrizione completa ]Scheda tecnica
CARATTERISTICHE
motori: Fiat A.74 RC. 38
potenza unitaria: cv 840 a 3.800 m
apertura alare: m 16,00
lunghezza totale: m 12,18
altezza totale: m 4,03
superficie alare: mq 40,00
peso a vuoto: kg 4.770
peso a carico massimo: kg 6.820
velocità massima: km/h 420 a 4.500 m
velocità minima: km/h 145
tempo di salita: 19'20" a 6.000 m
tangenza massima: m 7.350
autonomia: km 1.150
decollo: m 360
atterraggio: m 360
armamento: 1 da 37 mm nel muso, 2 da 12,7 mm alari, 1 da 12,7 mm dorsale
carico bellico: 252 kg di spezzoni
progettista: Giacomo Mosso
primo volo prototipo: MM. 403 il 12 aprile 1941
località: Cameri (Novara)
CANSA Fc.20 bis, Cerveteri, estate 1943
DESCRIZIONE TECNICA (riferita alla versione bis)
Velivolo da attacco, monoplano ad ala bassa a sbalzo, bimotore, biposto a struttura interamente metallica.
Fusoliera in tubi di acciaio al manganese, saldati, con ordinate in lega leggera e rivestimento in duralluminio, sino al bordo di uscita alare, in tela la parte rimanente, ad eccezione del cono di coda, nuovamente in duralluminio.
Ala in duralluminio costituita da due longheroni e centinatura; rivestimento in tela o in duralluminio; alettoni con struttura in duralluminio e rivestimento in tela; ipersostentatori ventrali in duralluminio.
Carrello retrattile per rotazione verso l'indietro, a scomparsa totale nelle gondole dei motori.
Ruotino di coda orientabile, non retrattile. Piani di coda a sbalzo con deriva doppia, completamente metallici tranne le parti mobili rivestite in tela.
Posto di pilotaggio con cappottina vetrata ribaltabile lateralmente.
Strumentazione standard.
Serbatoi autostagnanti per il carburante: quattro nel tronco centrale dell'ala, uno in fusoliera.
Motori con eliche tripale metalliche Fiat, a passo variabile in volo.
Un cannone Breda da 37 mm con 42 colpi, fisso in caccia nel muso; due mitragliatrici Breda-SAFAT da 12,7 mm con 250 colpi per arma, fisse in caccia alla radice delle ali e tiro al di fuori dei dischi delle eliche; una mitragliatrice da 12,7 mm con 500 colpi, in torretta dorsale tipo Scotti.
Vano bombe in fusoliera.
Due attacchi sub-alari per carichi di caduta.
PRODUZIONE
MM. 403 - primo prototipo (con successive modifiche)
MM. 404 - secondo prototipo (versione bis)
MM. 75566-75575 n. 10 (6 consegnati all’agosto 1943)
CREDITI
Autori Vari Dimensione Cielo Caccia Assalto volume 2, Edizioni Bizzarri, Roma 1972
Storia aereo
La ditta costruttrice e la prima impostazione del velivolo
La CANSA, che ha il proprio stabilimento sull'aeroporto di Cameri (Novara), diviene dal 1939 una sussidiaria della Fiat. Nel 1938 realizza, in risposta al bando di concorso del 1937 per un bimotore da osservazione terrestre, l'FC 20. Il velivolo riprende il complesso di ala, carrello e propulsori del CR.25, mentre di specifica progettazione dell'ingegner Mosso è la fusoliera con il muso piuttosto pronunciato e ampiamente vetrato e dei piani di coda bideriva. Presso la Ditta ne è pilota collaudatore Fausto Moroni.
Il velivolo non incontra i favori dei vertici della Regia Aeronautica che ritengono più promettenti i pariclasse Caproni Ca.310/3 ed il Ca.331, ad uno stadio di sviluppo più avanzato. Tale atteggiamento di sfiducia, coniugato alle difficoltà organizzative di un'azienda di medie dimensioni come la CANSA che non ha realizzato sino allora importanti progettazioni fa sì che il primo volo dell'FC20 avvenga nell'aprile 1941, mentre sono già in esecuzione le prime commesse per il Ca.313.
L'istallazione del cannone da 37 mm sul primo prototipo
Nel frattempo, però, il nuovo capo di S.M. Fougier rivaluta l'importanza dei caccia pesanti, ed in particolare di quelli atti alla lotta ai mezzi corazzati; tanto avviene sulla scorta delle esperienze maturate dalla Luftwaffe sul fronte russo con l'impiego di velivoli adattati (Ju.87, Ju.88) ovvero specificamente previsti per tale impiego (HS.129). La CANSA, recepito tale indirizzo provvede quindi a trasformare il prototipo (MM.403) dell'FC20 con l'istallazione di un cannone da 37 mm, che prelude alla versione bis.
La versione bis
L'FC20 bis è specificamente previsto quale velivolo « distruttore »; il lungo muso vetrato è sostituito da uno solido, molto corto, in cui è stato disposto un cannoncino Breda da 37 mm., sostanzialmente un'arma contraerea impiegata dalla Regia Marina, e quindi richiedente operazioni manuali di caricamento. L'armamento si completa con una mitragliatrice da 12,7 mm. alla radice di ogni semiala e con la torretta dorsale, munita di un'arma dello stesso calibro. Sotto le ali, possono essere agganciate due bombe da 100 kg. oppure, in vani interni, possono essere disposti 126 spezzoni da 2 Kg. Successivamente si deve procedere al rifacimento della parte posteriore della fusoliera, il carrello, i serbatoi per la benzina, l'impianto idraulico ed infine, su richiesta del Ministero ridisegnate alcune istallazioni di bordo.
L'FC20 bis è quindi un velivolo completamente differente: per destinazione operativa, progetto, distribuzione dei carichi.
La "serie zero" e l'immissione nella 173a squadriglia RST
La CANSA soddisfa con lentezza l'ordine per la «serie zero». Dal marzo all'agosto 1943 vengono approntate le cellule MM.075566 (marzo), 075567 (maggio), 075568 e 075569 (giugno), 075570 (luglio) e, forse, la MM. 075572 in agosto; poi gli avvenimenti armistiziali bloccano il completamento della commessa.
Tre esemplari raggiungono la 173a squadriglia Ricognizione Strategica, basata sull'aeroporto di Cerveteri. È questo il reparto che ha operato per molto tempo in Sicilia, con i CR.25: cinque piloti di tale reparto compiono il passaggio sulla nuova macchina effettuando anche prove di tiro presso il poligono di Furbara. Quando nel luglio 1943 le forze Alleate sbarcano in Sicilia la 173a ha un solo FC20 efficente e tre equipaggi addestrati, troppi pochi per un impiego operativo.
Quando il 1° agosto il reparto viene sciolto i due FC20bis efficienti vengono trasferiti presso l'aeroporto di Foligno dove, direttamente inviate da Cameri, giungono altre due macchine.
Il sopraggiungere dell'8 settembre non permette comunque di accertare pregi e difetti dell'FC20 bis; il cannone da 37 mm si rivela arma potente ma di facile inceppamento e laboriosa carica. La figura dell'armiere è addirittura patetica. Egli si trova a bordo, come secondo, alle spalle del pilota, in un abitacolo separato molto scomodo, sormontato dalla torretta blindata girevole con la mitragliatrice brandeggiabile: per l'esiguità dello spazio e dovendo provvedere al cambio manuale dei caricatori è praticamente seduto a cavalcioni del pezzo da 37 mm. Di pieno gradimento, per contro, risultano gli apparati radio. Il numero di ore di volo nel periodo di permanenza sul campo di Cerveteri (25 maggio - 27 luglio) è comunque esiguo certamente inferiore alle 30.
Il più grave incidente che vede protagonista un FC20 avviene sul campo di Foligno il 24 agosto 1943: il tenente colonnello De Wittembeschi decolla regolarmente per un volo di collaudo, ma poco dopo lo stacco l'ala sinistra si abbassa urtando il terreno; segue un'esplosione che disintegra il bimotore non lasciando scampo allo sfortunato pilota.
L'impiego da parte del mag. Corrado Ricci quale intercettore
L'unico impiego operativo del velivolo si svolge in maniera singolare ed in circostanze del tutto fortuite ed estranee all'indirizzo progettuale.
Verso la fine del 1942, i « raids » dei bombardieri alleati su numerosi obiettivi della Penisola, sono ormai divenuti una pesante realtà. Per contrastarli, i nostri Gruppi da caccia hanno in linea poche ed antiquate macchine, in quanto tutta la nuova produzione è richiesta in Africa Settentrionale ed in Sicilia. Rimangono dunque i Macchi C.200 e, di nuovo, solo alcuni Re.2001, che certamente non eccellono come intercettori.
In questa situazione si trova anche il 22° gruppo, di stanza sull'aeroporto di Capua, e chiamato ad intervenire contro i B.24 che operano su obiettivi dell'Italia centro-meridionale. E' così, per pura combinazione, che il maggiore Corrado Ricci lega le proprie sorti a quelle del CANSA FC20.
Trovandosi un giorno sull'aeroporto di Guidonia, egli nota il velivolo e rimane colpito dalla bocca da fuoco che fuoriesce dal musone. Per chi è costretto a servirsi delle 12,7, un simile calibro promette molto bene, come molto promettenti sono le caratteristiche del velivolo, assai poco fedelmente illustrate da un tecnico della Ditta: buona maneggevolezza, buona velocità di salita, tangenza intorno agli 8.000 metri e velocità, a quella quota, di 350 km/h. Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per incontrare i B.24, alle loro quote operative.
Ricci chiede dunque di poter usare l'inutilizzato prototipo del CANSA FC20, MM.404, per compiti di intercettazione. Ai primi di marzo del 1943, giunge l'attesa autorizzazione ed il pilota può dunque andare a Guidonia per ritirare il velivolo, che ormai è « suo », a tutti gli effetti. Il breve ciclo dei voli di ambientamento e le prove di tiro sul poligono di Furbara, rivelano, purtroppo e subito, le vere caratteristiche: manovrabilità modestissima, prestazioni oltremodo limitate, instabilità, tendenza all'autorotazione, mancanza di potenza motrice, condotta di volo precaria durante lo sparo delle armi. Ormai però, il velivolo non può più essere rifiutato, da chi lo ha voluto a tutti i costi.
Rientrato a Capua Ricci ne tenta l'impiego. I primi voli su allarme danno risultati nulli, in quanto il velivolo impiega quasi mezz'ora per arrivare a 7.500 metri.
In un volo successivo, quando l'FC20 si trova per caso già in quota poco sotto ad una formazione di ventiquattro Liberators, il pilota deve fare un'ulteriore, amara constatazione: la velocità di crociera dei B.24 è superiore a quella dell'inseguitore.
Alla fine di marzo, l'F.C.20 viene riportato sull'aeroporto di Furbara,in occasione della visita di Mussolini e di un folto gruppo di Ufficiali superiori, italiani e tedeschi. Cosa sia successo davanti all'FC20, schierato tra le nuove armi destinate alla Regia Aeronautica, è già stato scritto, nei suoi ricordi, dal diretto protagonista. In sostanza durante la prova di fuoco a terra, il cannoncino non ha voluto sparare una partita di munizioni, poi rivelatasi mal costruita e tale da inceppare l'arma: pochi e vergognosi attimi, vissuti in solido tra il pilota, intento a premere il pulsante di sparo e l'armiere, è il caso di dirlo, armeggiante intorno all'arma.
Tornato a Capua, Ricci ha occasione qualche altra volta di avvicinarsi ai bombardieri nemici, senza però giungere a quote e distanze tali da poter effettuare il tiro. Vista la situazione, non c'è che un'ultima possibilità che ricorda molto da vicino quella adottata dai piloti di CR.32 in Spagna per intercettare i più veloci apparecchi nemici: studiare attentamente le rotte ed aspettare l'avversario in quota, là dove è solito passare.
Così fa Ricci, il 10 aprile 1943. Dodici B.24 sono a 7.500 metri di quota, in fase di rientro, verso sud, dopo una missione di bombardamento; l'FC20 è in rotta parallela, sulla destra, più alto di circa 200 metri. Scelta come obiettivo l'ultima pattuglia, il pilota vira per portarsi all'attacco, cui l'aereo risponde con una immediata autorotazione. Ripreso il controllo dopo un solo giro, Ricci si trova ora in coda alla pattuglia nemica che lo accoglie con un nutrito fuoco delle armi di bordo. Egli riesce tuttavia a collimare due aerei nemici, uno più vicino, l'altro più lontano e la cosa gli dà, per un attimo, l'illusione di un facile successo: qualunque possa essere la traiettoria del proiettile, uno dei velivoli verrà sicuramente colpito. Invece tutti i proiettili, compresi quelli avversari, si perdono misteriosamente nel nulla. A missione terminata, il pilota se ne può dare spiegazione nello «sprofondamento» dell'FC20, durante il tiro. La bassa velocità dell'aereo a 7.500 metri, unita all'incidenza data all'ala per le esigenze del tiro, sono state causa della «caduta» che ha portato i proiettili dell'FC20 sotto ai bombardieri, ed il tiro di questi ultimi, sopra l'aereo italiano. È l'episodio più cruento nella carriera dell'FC20, intercettore suo malgrado.
La versione quater
Un'interessante sviluppo sollecitato dallo stesso maggiore Ricci è l'FC20 quater (MM.075571), fornito dei più potenti Daimler Benz DB.601; il peso a vuoto è di 5.220 Kg. Viene prevista una velocità massima di 500 km/h. Questo esemplare è colto dall'armistizio, pronto presso la Ditta senza che sia stato possibile effettuare voli di collaudo.
Storia pilota, aviatore
Ecco il colorito racconto, toscano more, di Corrado Ricci sull’improvvido utilizzo del CANSA Fc.20bis come intercettore.
Alla fine di novembre ci avevano consegnato dei Re 2001, caccia del genere dei Macchi 202 ma con caratteristiche inferiori; ci voliamo di giorno e di notte, ma è solo nei primi mesi del 1943 che abbiamo la dotazione completa del gruppo. È un velivolo i cui impianti sono tutti comandati elettricamente, il che sarebbe un notevole vantaggio se l'impianto elettrico fosse sicuro; ma si tratta di materiale autarchico e abbiamo frequenti noie, specialmente alle eliche e al carrello.
Io cerco di scoprire dappertutto qualche aeroplano migliore di quelli dei quali dispongo, ma non ve ne sono nemmeno per i reparti della Tunisia o della Sicilia e le mie affannose richieste non sortiscono effetto alcuno. Proprio in Sicilia è entrato da poco in linea il 2° Stormo al quale sono stati dati alcuni ME 109 che, finalmente, i tedeschi si sono decisi a fornirci: quei piloti, invidiati da tutti, fanno vera mente miracoli. Ma noi non siamo così fortunati e dobbiamo contentarci degli avanzi. Una volta, trovandomi a Guidonia, avevo visto tra i tanti velivoli accantonati uno strano bimotore chiamato FC 20 che mi aveva affascinato per il suo poderoso armamento: nientemeno che una mitragliera da 37 mm che sporgeva da sotto il musone; era un'arma contraerea della marina sistemata su un velivolo, costruito con l'ala dei vecchi CR 25, che nella fase finale di sviluppo era poi stato trasformato in aeroplano da assalto, modificandone l'armamento e ridisegnandone il muso. Le caratteristiche di volo fornitemi erano sensazionali: 350 km/h a settemila metri, quota massima ottomila, buona velocità di salita, buona maneggevolezza. Era quello che ci voleva, secondo me, per andare ad attaccare i bombardieri.
Ne avevo parlato al generale e, ai primi di marzo, mi giunge un telegramma che ordina che l'FC 20 sia passato a una delle mie squadriglie per l'immediato impiego quale intercettore: io avrei dovuto portarlo in volo contro i Liberator. Corro subito a ritirarlo a Guidonia; faccio qualche volo di prova sotto il controllo di un tecnico della ditta, poi me lo porto via per fare un minimo di addestramento prima di cominciare il servizio di allarme. Debbo subito accorgermi che si tratta di un velivolo alquanto difficile, perché maledettamente instabile; per di più, le cifre sparate dalla ditta sono assai lontane da quelle reali. D'altro canto, è stato costruito per l'attacco al suolo e io invece mi ostino a volerlo impiegare a ottomila metri, per i quali non è assolutamente nato. A bordo siamo in due; alle mie spalle, seduto su una specie di sedile a cavallo della culatta, prende posto un armiere, un ragazzo pieno di entusiasmo, il cui compito è quello di sostituire i caricatori man mano che io li consumo: ciascuno contiene sei colpi.
Mi trasferisco a Capua e mi dedico al servizio di allarme; dopo diversi tentativi a vuoto, causati dal ritardo con il quale vengo fatto partire, riesco una volta a giungere a settemila metri mentre stanno passandomi, quasi sulla testa, ben ventiquattro quadrimotori. Mi metto subito a inseguirli, ma già dopo qualche secondo comincio ad avere dei seri dubbi sulla riuscita della manovra perché la formazione nemica si allontana visibilmente, lasciandomi vergognosamente indietro. Disperato, scarico allora tutto un caricatore i cui colpi se ne vanno, ovviamente, a disperdersi per il cielo: lo faccio per puro scrupolo, nella speranza che almeno la portata della mitragliera corrisponda a quella vantata.
Torno a terra avvilito e deluso una volta di più; l'aeroplano non mi permette di lasciare i comandi nemmeno per il tempo occorrente a infilarmi la maschera dell'ossigeno e, quando devo attraversare qualche strato di nuvole, devo faticare non poco per portarlo dove voglio io. Per guadagnare tempo, nelle salite lascio sempre i motori come li ho usati al decollo: li riduco solo quando ho deciso di scendere a terra; reggono male alla fatica e ogni quattro o cinque voli debbo farne cambiare uno.
Alla fine di marzo ricevo l'ordine di portare l'FC 20 su un certo aeroporto dove Mussolini avrebbe passato in rivista « i nuovi velivoli » in dotazione all'aeronautica. La maggior parte sono degli S 79 siluranti, con degli S 84: sono «nuovi» nel senso che sono di costruzione recente. Vi è un Re 2001 che porta un corto siluro antinave, un Macchi 200 che sgancia bombe aeree a tempo per l'attacco delle formazioni da bombardamento e un quadrimotore P 108 nell'interno del quale è stato sistemato un cannone navale da 105 col quale dovrebbe attaccare, e affondare, il naviglio nemico: al colpo di prova sparato a terra: tutto il musone del velivolo era saltato per aria e, per poterlo far partecipare alla mostra, è stato necessario ricostruirglielo in tutta fretta con del cartone, verniciato alla meno peggio. Il mio FC 20 viene addirittura presentato come «distruttore».
Infatti, è nato quale distruttore di, veicoli corazzati e ricevo l'ordine di tenermi pronto a levarmi in volo per sparare alcuni colpi contro un avanzo di carro armato sistemato in un angolo del campo per servirmi, appunto, da bersaglio. Mi vengono anche forniti i proiettili perforanti incendiari che daranno un pizzico. di realtà alla dimostrazione incendiando un fusto di benzina messo dentro il rottame. Ma io so quanto sia instabile, anche nel tiro, il mio aeroplano e subito chiedo al comandante dell'aeroporto di lasciarmi fare un volo di prova per sparare un caricatore contro il carro armato, onde farmi un'idea del comportamento del distruttore: la richiesta non viene accolta.
All'indomani mattina arriva Mussolini circondato da un folto stuolo di generali italiani e tedeschi passa in rivista equipaggi e velivoli soffermandosi a chiedere informazioni, su questo o su quel particolare, procedendo lentamente verso di me. Quando è all'altezza del mio velivolo rimira a lungo rivolgendo un sacco di domande al suo più vicino accompagnatore; suppongo che stia chiedendo le caratteristiche e le prestazioni dell'aeroplano; io sono a bordo, al posto di pilotaggio, pronto a rispondere se interrogato. A un certo punto Mussolini si avvicina all'ala e mi chiede a bruciapelo: « Spara, questo aeroplano? ». Evidentemente non si fida molto di quello che gli raccontano. Rispondo subito di si, salutando militarmente. Allora mi ordina con voce secca: «Sparate dunque qualche colpo!».
Il caso è stato previsto e l'armiere è già pronto, seduto sul nostro cannoncino; chiudo il tettuccio e do l'ordine «pronto»; alla risposta affermativa schiaccio il bottone di sparo, che però dà origine a un «ciac» soffocato, senza alcun rumore di esplosione. Chiedo, sorpreso, cosa stia accadendo: il ragazzo mi risponde che non lo sa, ma intanto sento che mena martellate a tutta forza; mi invita poi a ritentare: nulla. Proviamo tre o quattro volte di seguito, ma sempre invano...
Mi volto un attimo sulla destra per dare un'occhiata alle autorità in attesane lo spettacolo che offrono mi rimane stampato nella memoria: alle spalle di Mussolini, a gambe, larghe e con le mani sui fianchi, tutta una massa di ufficiali dei gradi più elevati si sta agitando freneticamente mentre gesti stranissimi vengono rivolti al mio indirizzo senza che venga pronunciata una sola parola. Quando i pezzi grossi si accorgono che sto guardando verso di loro, le braccia prendono ad agitarsi con ritmo ancor più frenetico e certamente ognuno mi grida, in cuor suo: «Spara! Ma spara, dunque, disgraziato...!». Non avevo mai concepito tanta agitazione in personalità di così alto rango; il volto del capo di stato maggiore, Fougier, appare addirittura verde. Alle mie spalle risuona, flebile e accorata; la voce dell'armiere: «È inceppato... non riesco a smuovere l'otturatore...». Niente da fare! Riapro il tettuccio, sporgo mano e, agitando il pollice e l'indice bene aperti, faccio il classico gesto che significa, appunto: niente da fare.
Mussolini, scurissimo in volto perché teme sempre che gli vengano raccontate delle bugie, mi volta bruscamente le spalle e si mette a discutere con i suoi accompagnatori mentre il velivolo trema sotto le violente martellate che l'armiere dà a viva forza per tentare di far chiudere l'otturatore, rimasto leggermente aperto. Alla fine, proprio mentre uno dei tanti aiutanti di volo si arrampica sull'ala accanto a me e, con il viso stravolto dall'emozione, mi chiede con voce contenuta, ma sdegnosa, perché mai «mi rifiuti di sparare», l'armiere mi dice: «Adesso deve funzionare, provi ancora!».
Riferisco al collega che il cannoncino ha avuto un inceppamento, ma che adesso dovrebbe poter sparare. La luce torna a splendere sul suo viso mentre si precipita a dare la lieta novella ai superiori. Mussolini, subito informato, si riavvicina, e, su suo invito, premo di nuovo il bottone: ma il solito silenzio e un singhiozzo soffocato del mio povero aiutante sono la sola eco che ottengo. Chiedo a mezza voce: «Ma che c... fai?». Mi risponde che non c'è piú niente da fare: l'otturatore non si è ancora chiuso completamente,e perciò il percussore non scatta! L'arma è definitivamente inceppata.
Scoraggiato, mi volto verso il gruppo fremente delle autorità e, tanto per salvare la faccia, dico ad alta voce: «Si è rotta una tubazione dell'aria l'arma non può sparare!». Ne segue un definitivo dietro front dei gerarchi e un nuovo attacco dell'aiutante di volo: «Quello che hai fatto è molto grave! L'Eccellenza è indignato! Temo che dovrai pagarla cara: tu ne sarai tenuto responsabile!».
Ho la netta sensazione che, per colpa mia, l'Italia abbia perduto la guerra... Scendo dall'aeroplano sul quale subito si precipitano tutti i tecnici della ditta che hanno assistito, ansiosissimi, alla tragedia e, mentre tutti gli altri aeroplani, meno il P 108, se ne vanno in volo, rimango accanto al mio cassone in attesa del responso. Ma solo all'indomani riesco a sapere qualcosa: da quando l'arma è nata, è la prima volta che si vuol farle sparare un proiettile perforante - incendiario, fabbricato proprio per quella mitragliera e per il tiro anticarro. L'esame, dopo la laboriosa estrazione, ha dimostrato che la corona di forzamento era stata maggiorata di alcuni decimi di millimetro: quel tanto che bastava perché l'otturatore rimanesse bloccato senza chiudersi completamente e nessun colpo dovesse mai partire! Quello che m'indigna è il fatto che tutta la partita di munizioni è già stata approntata per la spedizione in prima linea, che tutta presenta quel difetto e che, nonostante i pretesi collaudi superati, è tutta inutilizzabile! Ma l'unico provvedimento preso è la semplice restituzione alla ditta... è tanto triste il dover pensare a un evidente sabotaggio! Ricordo che pressò alcuni reparti da caccia, in Africa, sono avvenuti incidenti per arresto di motore; le indagini hanno appurato che nei serbatoi di benzina erano stati introdotti degli stracci che, dopo un certo tempo, andavano a otturare i filtri impedendo l'afflusso del carburante. I sabotaggi avvengono presso le ditte e chi paga sono, al solito, gli equipaggi di volo.
Subisco alcune decise strapazzate dai miei superiori; ma quando posso parlare mi difendo facilmente ricordando loro che, fin dal pomeriggio precedente alla prova, avevo chiesto di fare un volo: se mi fosse stato concesso, l'incidente si sarebbe verificato in tempo per mettere l'arma in condizioni di sparare almeno le mie solite granate esplosive. Il fulmine va a scaricarsi su quel povero comandante che mi aveva negato il permesso e ch e viene tacciato di « grave imprevidenza »: come se anche lui avesse mai potuto supporre che quel munizionamento, già pronto e imballato, fosse invece difettoso e inutilizzabile.
L'FC 20, causa della grande battaglia disciplinare, mi viene subito restituito e me ne torno a Capua; dopo avervi fatto montare una radio di nuovo tipo, molto efficiente. Provo ancora diverse partenze su allarme: mi sono messo d'accordo con i piloti del 22° Gruppo che, in caso d'incursione, loro rimarranno con i 202 nei dintorni in attesa che io riesca, col mio tiro, ad abbattere almeno un capopattuglia nemico in modo da disgregare la formazione e consentire l'attacco a velivoli isolati. Un pomeriggio sono in volo in mezzo a cumuli sparsi: vedo i Macchi agitarsi da tutte le parti mentre io, alla massima quota consentita, passeggio maestosamente, in attesa degli eventi. A un tratto, una formazione di quattro Liberator spunta proprio all'estremità dell'ala sinistra, poco piú bassa di me,che mi trovavo sulla loro testa senza scorgerli. Do motori in pieno, virando e buttandomi: ma la differenza di quota è troppo scarsa, non riesco a prendere velocità sufficiente e quelli se ne vanno senza che io sia arrivato nemmeno alla distanza utile per poter tentare il tiro. Lanciano le bombe nei pressi di Castellammare di Stabia, senza far danni, e si ritirano indisturbati perché gli altri caccia, secondo gli accordi, si sono accodati a me, rimasto impotente.
A terra viene fuori qualche critica sgradevole; allora domando ai piloti che erano in volo se avevano la radio a bordo: alla risposta affermativa, chiedo perché a nessuno sia venuto in mente di adoperarla per avvertirmi che avevo i nemici proprio sotto di me. Silenzio; ma siamo tutti irritati, per ovvie ragioni. Ricostruisco il percorso degli americani: sono sbucati dalle nubi dietro di me, poi hanno girato a sinistra mantenendosi così, a loro e mia insaputa, proprio nei settori posteriore, e inferiore del mio aeroplano nei quali non ho alcuna visibilità. Inutile recriminare; ma decido che,d'ora in poi, farò tutto di testa mia.
Verso la metà di aprile mi ritrovo ancora una volta spedito in volo col solito sistema del razzo rosso sparato dalla palazzina del comando; successivamente mi avvisano che l'obiettivotivo pare debba essere ancora Napoli. Questa volta voglio mettermi in condizioni di poter finalmente sparare a colpo sicuro; è inutile che io tenti di attaccare prima del bombardamento, e allora, dato che gli americani seguono sempre lo stesso percorso, mi metto a far quota tra Napoli e Capri. Infatti li vedo, più alti di me quando li incrocio,`diretti verso la città. Continuo a far quota tenendo d'occhio i due pattuglioni di dodici Liberator ciascuno e, quando io sono a quasi ottomila metri, la formazione è già sulla rotta di rientro. Tener fermo il mio aeroplano a quella quota è una vera fatica, ma mi lascio avvicinare dai nemici che, ben presto, mi raggiungono. Il primo gruppo comincia a sorpassarmi, ma ho deciso di attaccare il secondo per non trovarmi tra due fuochi, tanto più che non ho alcuna visibilità in un ampio settore di coda. Sono degli enormi bestioni dipinti di rosa (*) quelli che mi passano accanto sulla sinistra a circa trecento metri di distanza e duecento metri più bassi; poco dopo arriva anche la seconda ondata, più vicina, quasi alla stessa quota.
Quando l'ultima pattuglia di tre è al mio traverso viro decisamente per andare all'attacco; ma il velivolo, trattato un po' bruscamente a quella quota per lui impossibile, se ne va in autorotazione. Riesco a fermarlo dopo un solo giro e, per fortuna, mi trovo proprio in coda all'ultima pattuglia, come volevo. Mentre do un'occhiata alla situazione per fare i miei conti e scegliermi il bersaglio, già cominciano a volare contro di me le loro pallottole traccianti. Non ho idea di quella che sia la traiettoria del mio proiettile a questa quota e allora prendo di mira il capopattuglia della penultima terna sperando che, se il tiro fosse risultato corto, avrei forse potuto colpire quello dell'ultima, perfettamente allineato con lui. Le traccianti dirette verso di me sono adesso una fiumana: tutti e dodici i nemici mi sparano e l'effetto è decisamente deprimente. Ma io mi concentro nella mira e sparo due colpi di prova: non accade nulla; correggo il tiro alzando il puntamento e sparo altri due colpi: per ognuno debbo correggere la mira! perché sembra che i nemici stiano facendo quota rispetto a me. Gli ultimi due colpi partono col velivolo molto cabrato, sparati addirittura contro il capoformazione, sempre sperando nella fortuna perché il solito collimatore a visuale fissa non mi è di alcun aiuto. Ma non accade nulla; non mi rendevo ancora conto del fatto, importantissimo che, nonostante la violenta reazione nemica, il velivolo non era ancora stato colpito: a terra ricorderò poi un leggero, continuo tremito alla gola, effetto fisico delle constatazioni che in quel momento mi rifiutavo inconsciamente di analizzare.
Mentre sparavo avevo visto un Re 2005 volteggiare sulla pattuglia di testa, sparando una raffica dopo l'altra; era l'ultimo prodotto della serie dei nostri caccia e vi avevo fatto un volo di prova,trovandolo entusiasmante; inoltre, era armato di tre cannoncini da 20 mm oltre che di due 12,7. Tuttavia, quando abbandono la formazione, ormai alta e lontana, ho la netta impressione che nessuno dei nemici sia stato colpito dai miei colpi o da quelli del solitario 2005.
Atterro sconsolato, ma sicuro di aver fatto del mio meglio. Quando fermo l'aeroplano, mi accorgo che la vernice del dorso dell'ala è screpolata su ambedue le semiali, all'esterno dell'attacco dei motori; evidentemente la struttura, maltrattata, ha subito una deformazione permanente, come poi mi conferma l'ingegnere che effettua la visita tecnica. Ripenso al breve combattimento per trarne qualche conclusione, e ritengo alla fine di aver scoperto la chiave del mio insuccesso: ricordo perfettamente che la massa delle pallottole nemiche passava regolarmente al di sopra della mia testa, tranne poche eccezioni che parevano ben dirette o pili basse: ne concludo che, mentre miravo, cioè mentre tenevo il mio aeroplano in linea di volo praticamente orizzontale, questo stava perdendo quota. Infatti, a settemilacinquecento metri, e con la scarsa velocità di cui disponevo, l'incidenza che imponevo all'ala non dava a questa una portanza sufficiente a farmi mantenere la quota: il vero cassone sprofondava tranquillamente sottraendomi, si, al tiro nemico, ma provocando evidentemente anche un sensibile abbassamento nella traiettoria dei miei proiettili che certamente erano passati, più o meno inavvertiti, al di sotto della formazione avversaria.
'Mi metto a discutere il problema col tecnico della ditta; faccio ancora qualche volo su allarme, ma il ritardo con il quale ricevo la partenza non mi consente di arrivare al contatto con gli incursori e allora riporto 1'FC 20 a Guidonia, chiedendo la sostituzione dei suoi motori A 74 con due DB 601, quelli dei Re 2001. La proposta viene accolta e il velivolo torna in ditta: al momento dell'armistizio un telegramma mi avvertirà che il velivolo era pronto al ritiro. Ma il ritiro non avvenne mai.
[…]
Ho abbandonato ogni tentativo d’impiego dell’FC20, ma verso la fine di maggio ricevo l’ordine di andarlo nuovamente a ritirare a Cameri perché deve partecipare a una mostra dei nostri possenti mezzi, che questa volta si sarebbe dovuta effettuare alla presenza del re. Non devo fare tiri in volo e la mia esibizione si conclude nello sparo, a terra, di un intero caricatore. Tutto sta crollando e i nostri capi perdono tempo nell’imbrogliarsi a vicenda con queste esibizioni della malora…
(*) Molto probabilmente appartenevano allo stormo USAAF battezzato «Liberando» allora comandato dal colonnello K.K. Compton, dislocato in Cirenaica sull'aeroporto Berka Due.