Russia tra guerra e rivoluzione - 2

La situazione militare

 

Rapporto presentato al VI Congresso dei so­viet

Mosca, 9 novembre 1918

 

Il VI Congresso straordinario panrusso dei soviet ebbe luogo dal 6 al 9 novembre 1918 in coincidenza con il primo anniversario della rivoluzione di ottobre. Punti all’ordine del giorno furono: 1) l'anniversario della rivoluzione; 2) la situazione internazionale; 3) la situazione militare; 4) l'or­ganizzazione del potere sovietico al centro, i comitati dei poveri e i soviet.


 

Russia rivoluzione d'ottobre

 

 

Nei quattro mesi che sono trascorsi dal Congresso di luglio, la si­tuazione mondiale e la vita interna del paese hanno subito enormi mo­difiche che si sono riflesse direttamente sulla vita e lo sviluppo della nostra Armata rossa.

 

Quando, nei memorabili giorni di luglio, attraversavamo una delle crisi piú acute dei nove mesi di vita della Repubblica sovietica, la no­stra Armata rossa era ancora debole, e, cosa ancora piú grave, nei no­stri ranghi, nei ranghi sovietici, il suo ulteriore sviluppo spesso veniva messo in dubbio. Per parecchi compagni sembrava quasi impossibile poter creare in un breve termine un'Armata rossa, istruita, compatta, pronta al combattimento, nelle condizioni di estrema stanchezza in cui si trovava la popolazione maschile adulta del paese e mentre l'organi­smo economico della Repubblica era dissanguato.

 

Allora, in luglio, come voi ricordate, un partito che occupava un certo settore in questa sala, contrapponeva per principio i distacca­menti di partigiani all'armata operaia e contadina. Il partito dei social­rivoluzionari di sinistra, che allora esisteva ancora, ci diceva che un regime rivoluzionario non poteva creare un'armata regolare, che doveva limitarsi a creare unità di partigiani. Era una pericolosa assurdità. I distaccamenti di partigiani sono adatti al periodo della lotta per il potere e durante la prima tappa. Ma, quando la classe dirigente comin­cia ad adoperare il potere per fini militari, essa passa dall'artigianato par­tigiano alla costruzione metodica dello stato e deve creare un'armata re­golare. Compagni, penso che oggi non troveremmo né cento, né dieci tra i nostri deputati che possano appoggiare il grido di allora dei socialrivoluzionari di sinistra: "Viva i distaccamenti partigiani," di fronte al grido: "Viva l'armata operaia e contadina".

 

Allora, in luglio, il nostro paese si trovava in condizioni terribili. La situazione era la seguente: da una parte, il graduale disfacimento della vecchia armata, che, disgregandosi, distruggeva le nostre unità nuovamente formate; dall'altra parte, queste unità, che avevano le nor­mali malattie della giovinezza, erano messe insieme in modo precario e erano sprovviste di ogni esperienza di combattimento. In queste con­dizioni noi indietreggiavamo dovunque incontravamo unità nemiche anche poco organizzate. È successo, per esempio, quando i cecoslovac­chi ci hanno attaccati sul fronte Est; ma quando unità efficienti comin­ciarono ad essere create, a poco a poco, a mano a mano che esse cre­scevano, la situazione si modificava.

 

Al principio, le unità dell'Armata rossa presentavano uno scarso grado di preparazione militare, e noi abbandonavamo una città dopo l'altra. Abbiamo lasciato il Volga, abbiamo abbandonato al nemico una parte della Siberia.

 

Quando gli anglo-francesi sbarcarono a Murmansk e poi si impos­sessarono quasi senza combattere, con un colpo di mano, di Archan­gelsk, ci siamo trovati di fronte al pericolo di un congiungimento del fronte anglo-francese del Nord con quello delle Guardie bianche a est, sul Volga e negli Urali. Questo gravissimo pericolo, a nord e a est, scosse la Repubblica sovietica.

 

Anche dopo il V Congresso dei soviet che fini all'inizio di luglio, abbiamo continuato a indietreggiare. All'inizio del mese di agosto ab­biamo abbandonato Kazan, centro di operazioni dove si trovava il Consiglio militare del fronte Est. La nostra incapacità a conservare Kazan era il simbolo del livello di sviluppo estremamente basso dell'Armata rossa.

 

In seguito a tutto questo, infine, iniziò la svolta che si operò ra­pidamente. Questa svolta nona si operò tanto all'interno dell'ammini­strazione militare quanto in tutta la Russia sovietica. Per la prima volta tutti compresero che il paese si trovava di fronte a un pericolo mortale e che l'amministrazione militare e l'Armata rossa operaia e contadina dovevano liberarsi di questo pericolo con le loro forze e con l'aiuto di tutta la classe operaia russa.

 

Ci siamo rivolti al Soviet di Pietrogrado, al Soviet di Mosca, ai sindacati, ai comitati di fabbriche e di officine e ai soviet di provincia più progressisti, anche se erano ancora lontani dall'uguagliare quelli delle capitali rivoluzionarie. Tutte queste organizzazioni hanno inviato sul fronte orientale i loro migliori lavoratori, i proletari più devoti.

 

Questi compagni, membri dei sindacati e lavoratori dei vari com­missariati, si sono inseriti in un'armata ancora sparpagliata e disorga­nizzata e hanno creato, come ho riferito al Comitato centrale, la sua salda colonna vertebrale. Senza questi ottimi lavoratori sovietici e senza il proletariato , di avanguardia, l'amministrazione militare non avrebbe potuto portare a termine il suo compito. Solo grazie alla loro straordi­naria dedizione, non soltanto non abbiamo ceduta Niznij-Novgorod, Vjatka e Perm, e non abbiamo permesso ai cecoslovacchi di congiun­gersi con gli anglo-francesi, ma anzi siamo passati all'attacco su questi fronti. Questo attacco si è sviluppato con sempre maggiore successo e ci ha portati a ripulire in poche settimane tutto il Volga dalle truppe di Guardie bianche. E io devo dire, davanti all'assemblea più impor­tante della repubblica, che queste vittorie noi le dobbiamo innanzi tutto ai Soviet di Pietrogrado e di Mosca, rappresentati dai proletari mandati da loro al fronte.

 

Negli Urali non abbiamo ottenuto il successo con la rapidità che speravamo. La maggiore difficoltà derivava dalle sommosse che le Guar­die bianche avevano fomentato nelle fabbriche di Izevsk e di Votkinsk, per cui queste fabbriche si erano trasformate in punti di appoggio per le Guardie bianche e per i cecoslovacchi. Le fabbriche li rifornivano di proiettili e di mitragliatrici. La controrivoluzione riuscì a trascinare nella ribellione non solo i kulaki, ma anche, senza dubbio, una parte degli operai, che si erano uniti a questi sotto la loro pressione. Comin­ciò la lotta per il possesso di questi centri di approvvigionamento mi­litare di estrema importanza. Questa lotta distoglieva una parte delle forze dall'offensiva contro Ekaterinburg e gli altri centri degli Urali. Ed ecco che ieri abbiamo appreso che le fabbriche di Ijevsk sono state prese dai reggimenti dell'Armata rossa e che la bandiera del potere sovietico sventola su di esse proprio in occasione dell'anniversario della repubblica. E tutti gli altri centri saranno liberati rapidamente. Così, queste fabbriche forniranno alla nostra armata cartucce, mitragliatrici e tutto ciò di cui ha bisogno. Questo ci fa sperare che in un prossimo futuro faremo progressi sul fronte più vicino. E i successi si sus­seguiranno a ritmo sempre più rapido. Si può sperare che nel prossi­mo periodo gli anglo-francesi saranno costretti a rinunziare a creare un fronte unico a nord-est. Abbiamo ragione di credere che sul fronte Nord gli anglo-francesi e i cecoslovacchi hanno perduto la speranza del successo, e, nello stesso tempo, ci sono evidenti segni di sgretolamento dell'esercito di sbarco. Dal fronte di Kotlass, ci comunicano che, per la prima volta, un distaccamento di 58 soldati inglesi è passato dalla nostra parte. È il primo passo che conta: certamente 58 soldati non sono un gran numero; ma bisogna tener conto del fatto che gli inglesi sono poco numerosi a nord, e che la loro situazione andrà peggiorando a causa dell'inverno; quindi è del tutto certo che gli inglesi saranno costretti a ritirare le loro truppe di sbarco al più presto, se non vo­gliono correre il rischio di essere completamente tagliati fuori.

 

Durante l'inverno nessun pericolo minaccia il paese a nord. Lo ripeto, non vi è alcun dubbio che il nemico rinunzi a questo fronte.

 

Ad est, le operazioni si svolgeranno secondo il piano previsto, cioè un'offensiva sistematica e metodica da parte nostra. Compagni, trovo giustificata una certa impazienza perché la capitale degli Urali — Eka­terinburg — non è ancora nelle nostre mani. Ma dovete constatare che sul fronte Est la nostra offensiva è estremamente regolare, metodica e sistematica e per niente affidata a sporadici attacchi di partigiani. Là, siamo garantiti da qualunque sorpresa. E questo non impedisce ai nostri distaccamenti di partigiani di agire, seconde le direttive del centro trasmesse dai comandi delle armate regolari, sui fianchi del nostro fronte di offensiva e nelle retrovie nemiche, e di agire con un considerevole successo.

 

Sul fronte Sud, compagni, per il momento, le cose vanno meno bene che sul fronte Nord e sul fronte Est. A sud, la nostra armata si è formata diversamente da quelle degli altri due fronti.

 

Il nemico non è lo stesso e lo sviluppo delle operazioni militari si svolge diversamente. Negli ultimi tempi, il nostro fronte Sud era, per così dire, il nostro parente povero; lo avevamo preso un po' sotto gamba, soprattutto perché dovevamo concentrare la tensione, le forze e i mezzi sul fronte Nord. Lassù vi erano gli inglesi, i francesi, i ceco­slovacchi, e sul fronte Est cominciavano a premere gli americani e i giapponesi. Ma un grave e imprevedibile pericolo è comparso per noi anche al sud, dove si trovavano le bande di Krasnov. Durante il primo anno della rivoluzione, ci eravamo abituati ad avere troppo facilmente il sopravvento sulla controrivoluzione interna e la borghesia naziona­le, sulle bande di Krasnov e di Kaledin, con l'aiuto di distaccamenti operai improvvisati, poco organizzati, di mille o duemila operai di Pie­trogrado inesperti ma che prendevano i fucili e se la sbrigavano benissimo. Da tutto questo è derivato un atteggiamento negligente riguardo al fronte Sud: l'impressione che prima o poi avremmo avuto il soprav­vento sui nostri nemici. Questo è solo un aspetto della faccenda. L'al­tro aspetto sta nel processo stesso della formazione delle unità che mantengono il nostro fronte Sud. Per la maggior parte queste unità sono costituite di cittadini dell'Ucraina, della regione del Don, del Kuban, del Caucaso settentrionale. Alcune unità sono esperte, sono passate attraverso la dura scuola della guerra partigiana. Hanno coman­danti che hanno diviso con esse per molti mesi tutte le vicissitudini, in Ucraina, sul Don, nel Caucaso settentrionale103; ma nello stesso tempo queste unità hanno ancora, e più di tutte le altre nostre unità degli altri fronti, i tratti negativi del periodo della guerriglia. Ogni coman­dante di distaccamento partigiano considera la sua unità, che egli chia­ma divisione, come un mondo chiuso. Esige dai soldati della sua divi­sione una disciplina dura, assoluta e spesso la sa mantenere. Ma, nello stesso tempo, manca di disciplina verso i centri di comando su­periori. Fare di questi distaccamenti unità regolari, divisioni di un'ar­mata centralizzata che agiscano normalmente, non è facile. Perciò ab­biamo bisogno di un gran numero di militanti preparati, e abbiamo nuovamente fatto appello ai Soviet di Pietrogrado e di Mosca, sotto­lineando quanto fosse necessario disciplinare e unire il fronte Sud secondo il modello del fronte Est. E ancora una volta i Soviet di Pie­trogrado e di Mosca ci hanno dato parecchie centinaia di militanti per il fronte Sud. Ma questo si è verificato soltanto in questi ultimi giorni, e probabilmente ancora non sono stati tutti smistati nelle diverse unità. Fino ad oggi sul. fronte Sud non vi erano commissari nei reggimenti, né nelle divisioni; quelli di voi, compagni, che hanno rapporti con l'armata sanno quale importante ruolo abbiano i commissari reclutati tra i vecchi militanti del partito. I nostri comandanti sono molto gio­vani, gli ex soldati dell'armata di ieri, e la loro forza e la loro atten­zione sono completamente assorbite dalle esigenze militari, e i compiti del controllo politico e dell'educazione rivoluzionaria delle armate spet­tano, normalmente, a un altro capo, al commissario. Nelle nostre ar­mate del sud, molto importanti per il loro numero, non vi erano quasi unità che avevano commissari, eccetto i reggimenti e le divisioni che sono stati trasferiti recentemente su questo fronte e quelli che conti­nuano ad esservi inviati. Solo ora è stato creato sul fronte un apparato di commissari. I nostri nemici chiamano il nostro regime un regime di commissari: noi siamo pronti ad accettare questo appellativo che i nostri nemici considerano ingiurioso. Sì, la nostra armata ha bisogno di commissari, e siccome è legata ad essi, possiamo chiamare il nostro regime un regime di commissari. Se ci darete commissari preparati e che sappiano morire, 1a nostra causa è sulla buona strada.

 

Compagni, ripeto quello che ho detto più di una volta al Comi­tato centrale esecutivo: nessuna unità, con un capo risoluto e un com­missario deciso, indietreggerà presa dal panico, mancherà di coraggio e avrà disertori. In ogni unità vi è sempre un nucleo di soldati-rivoluzio­nari coscienti e agguerriti, di comunisti, fedeli difensori della lotta so­cialista. Se il commissario resta al suo posto, soldato inflessibile della rivoluzione, se, nel momento del pericolo più grave, si mette in prima linea e dice alla sua unità: "Non vi muovete," questo commissario è appoggiato dai migliori soldati, e la condotta di tutti gli altri soldati è assicurata, poiché ogni unità, anche se poco cosciente, possiede nella sua anima una voce che le suggerisce: "Non si deve tradire, non si deve disertare." E anche se il personale di comando tace — e si sa che l'istinto animale può avere il sopravvento sulla coscienza — basta che risuoni la voce del dovere: "Compagni non vi muovete," perché l'unità non indietreggi. Io non conosco esempi di paura in queste condizioni. Ecco perché abbiamo introdotto un regolamento che ad alcuni sembra duro, ma che invece ha tutta la sua indispensabile necessità: i comandanti e i commissari sono i primi responsabili di ogni ritirata provocata dal panico, di ogni diserzione. Se non hanno preso tutte le misure necessarie, se sono rimasti sani e salvi, se hanno disertato con la loro unità, essi per primi cadranno sotto la spada della giustizia rivoluzionaria.

 

Certi compagni pensano che noi agiamo in modo troppo crudele, senza pietà. La nostra epoca, in linea generale, è un'epoca crudele e senza pietà per la classe operaia, costretta a difendere il suo potere contro la muta dei nemici esterni. E se vogliamo non soltanto celebrare il primo anniversario della Repubblica sovietica, ma anche difendere vittoriosamente il potere sovietico, conquistare il futuro della classe operaia e della classe dei contadini lavoratori, noi siamo costretti, in quest'epoca senza pietà, ad essere senza pietà verso ogni uomo, che, nei nostri ranghi, non dimostri il massimo di energia, di coraggio, di fermezza, se gli è stato affidato un posto di responsabilità. E non esiste nessun posto con maggiore responsabilità di quello di commissario.

Compagni, possiamo essere certi che con un orientamento proletario così deciso realizzeremo, molto presto, sul fronte Sud un lavoro efficace per quanto riguarda la disciplina, la coesione e la centralizzazione dell’armata

 

Ho visitato le armate disposte sui fronti di Voronez, di Balasovo, di Caricyn e di Astrakan. Ho esaminato nella maniera più attenta e minuziosa la loro condizione, e posso dire in tutta coscienza che al sud abbiamo un'armata ottima e numerosa, molto più importante di quanto

non immaginino parecchi di voi. Essa riceverà ora l'organizzazione di comando necessaria e un vero corpo di commissari. Lo ripeto, ne vedremo i risultati molto presto.

 

Per quanto riguarda i cosacchi e le Guardie bianche, attualmente costituiscono un avversario molto più temibile di quanto non sembrasse fino a poco tempo fa. Abbiamo contro di noi forze considerevoli: le bande di Krasnov, appoggiate fino a questi ultimi giorni dalla Germania, e le bande di Denikin e di Alekseev appoggiate dagli anglo-francesi. Adesso si sta effettuando la congiunzione del fronte di Alekseev-Denikin e del fronte di Krasnov che fino a ieri si appoggiavano separatamente alle coalizioni nemiche tedesca e anglo-francese; sperano, come due parti di un fronte unico, di approvvigionarsi a spese del solo imperialismo vittorioso, l'imperialismo anglo-francese. Il problema del fronte meridionale si pone in una maniera molto acuta per noi. Il militarismo tedesco crolla. Abbiamo appena sentito un comunicato che dice che il processo del suo sfacelo avviene con una rapidità vertiginosa.

I tedeschi sono costretti a difendere l'Ucraina. Il militarismo anglo-francese cerca di sostituirsi ad essi in Ucraina, sul Don e nel Caucaso settentrionale. E noi ci dobbiamo insinuare tra il militarismo tedesco che se ne va e il militarismo anglo-francese che si avvicina.

Dobbiamo occupare il Don, il Caucaso settentrionale e le coste del Mar Caspio, appoggiare gli operai e i contadini dell'Ucraina, eliminare i nostri nemici e entrare nella nostra casa sovietica — in questa casa che comprende il Caucaso settentrionale, il Don e l'Ucraina; dobbiamo occupare la nostra terra e dire che il suo ingresso è vietato sia alle canaglie inglesi, sia alle canaglie tedesche. Queste sono le ripercussioni sull'Armata rossa dei cambiamenti della situazione internazionale di

cui ho parlato all'inizio. Ora passo ai problemi di organizzazione.

Noi abbiamo — non è un segreto — difficoltà nell'organizzazione dell'approvvigionamento e del personale di comando.

 

La crisi maggiore è passata; l'armata esiste, è amministrata e approvvigionata. I recenti dubbi sulle nostre possibilità di creare una armata adatta al combattimento sono dissipati. L'armata esiste, si batte, e diventa un fattore internazionale di cui il nemico già tiene conto.

Non molto tempo fa, la nostra stampa sovietica riportava notizie pubblicate nella stampa straniera, specialmente nel Times, il più importante giornale inglese, e nel Lokal-Anzeiger, giornale borghese tedesco. Questi scrivono che la nostra Armata rossa cresce con una rapidità

minacciosa. Parlando della sua importanza numerica, i giornali indicavano la cifra di 400.000 - 500.000 soldati. Per ovvie ragioni non darò le cifre esatte. Dirò solo che, oggi, la cifra riportata dal Times e dal Lokal-Anzeiger è inferiore, molto inferiore alla realtà. Il nostro personale di comando attraversa una crisi legata all'ampliamento dell'armata. Ma la stiamo superando. La prova è che il congresso ha potuto vedere oggi, sulla piazza davanti al Teatro, i nostri nuovi ufficiali, i nostri giovani ufficiali rossi. Ve ne sono migliaia, ne abbiamo preparati decine di migliaia,  ed essi accresceranno i ranghi della nostra Armata rossa. Il congresso li ha visti. Dal punto di vista della preparazione non sono in niente inferiori ai migliori junkers dell'armata zarista, ma, compagni, sono i nostri junkers, i junkers operai e contadini. Sono i nostri

combattenti più agguerriti, uomini che vanno incontro alla morte come a una festa. Lo dico con una convinzione completa, fondata sulle mie osservazioni.

 

Ora abbiamo i commissari rossi più sicuri. Essi hanno preso il loro posto nell'Armata rossa e l'aiuteranno a riportare la vittoria.

 

Il problema dell'approvvigionamento è più difficile, soprattutto nelle attuali condizioni dell'economia del paese. In questo campo è stata creata un'organizzazione centralizzata e a capo è stato messo un ingegnere-organizzatore molto competente, il compagno Krasin al quale è stato affidato l'incarico di utilizzare tutte le forze e tutti i mezzi del paese per l'approvvigionamento; prodotti alimentari, effetti di equipaggiamento e munizioni, I sindacati, le organizzazioni sovietiche, i co­mitati dei poveri di tutta la repubblica sono tenuti a porre questo com­pito al primo posto dell'ordine del giorno. Voi sapete che il Comitato centrale esecutivo ha proclamato lo stato di assedio nel nostro paese. Questo proclama non è stato ancora applicato dovunque.

 

Le esigenze dell'amministrazione militare impongono spesso re­strizioni alle forze locali, poiché la gravità della situazione costringe a trasformare il paese in un campo militare, e bisogna sacrificare molte cose per raggiungere lo scopo comune. Sono pronto a riconoscere da­vanti alle organizzazioni sovietiche locali che molto spesso i rappresen­tanti dell'amministrazione militare esigono più di quanto occorra e con un tono che non si dovrebbe adoperare; ma sono errori di poca impor­tanza e dobbiamo passarci sopra davanti al compito storico che abbia­mo di fronte. Questo compito è di una tale importanza che tutti gli altri passano in seconda linea.

 

 

Russia rivoluzione d'ottobre

 

 

Oggi si lavora febbrilmente nel campo del compagno Lunacarskij, quello dell'Istruzione pubblica. Questo lavoro consiste nell'erigere su tutte le piazze sovietiche monumenti ai grandi uomini, ai leaders del socialismo. Siamo convinti che questi monumenti d'arte sono cari a tut­ti gli operai e alle masse. Ma, nello stesso tempo, dobbiamo dire a cia­scuno di loro, a Mosca, a Pietrogrado, nei posti più lontani della pro­vincia: guardate, il potere sovietico ha eretto un monumento a Lassalle. Lassalle vi è caro, ma se la borghesia spezzerà il fronte e arriverà qui, distruggerà questo monumento insieme al potere sovietico e a tutte le sue conquiste. E quindi tutti gli operai, tutti coloro ai quali è caro il potere sovietico devono difenderlo con le armi. Attraverso l'immagine concreta della nostra propaganda questa necessità deve penetrare nella coscienza del paese, diventare una parte di questa coscienza. L'obietti­vo militare è il più importante nell'ora attuale. Sul nostro fronte Sud batte il polso del destino del nostro potere. Tutte le organizzazio­ni, tutti i soviet locali devono inviarvi tutte le loro forze e tutti i loro mezzi. In parecchie regioni questo non è stato ancora fatto. E succede spesso che le organizzazioni sovietiche locali non pensino che i beni che essi posseggono — munizioni, automobili, fucili — devono essere in­viati prima di tutto al fronte. Permettere adesso simili atteggiamenti sarebbe un crimine contro la classe operaia. Bisogna organizzare tutte le forze del paese, e prima di tutto per il fronte Sud. Se certe amministrazioni considerano la pressione dell'amministrazione militare co­me una pressione crudele della nuova soldatesca sovietica rossa, io ri­peto che viviamo in un'epoca dura, che esige la trasformazione del pae­se in un campo di guerra. Se i nostri soldati indietreggiano presi dal panico, una severa giustizia li attende. Questo destino sarà diviso dalle organizzazioni sovietiche che oseranno, come è avvenuto in passato, ab­bandonare la zona del fronte. È vero che questo oggi succede molto più di rado; anzi, quando il fronte ripiega e si avvicina ai soviet di distretto o ai soviet urbani, queste organizzazioni non fuggono più, ma prendono le armi e raggiungono la nostra armata; malgrado questo, siamo ancora lontani dall'avere una retrovia stabile, disciplinata e riso­luta. Quando avremo tale retrovia, passeremo all'offensiva sul fronte Sud. L'importanza che può avere la conquista della regione del Don è evidente a tutti. Essa si ripercuoterà sull'Ucraina e sul mondo intero, poiché gli sforzi che faremo ci permetteranno di combattere per il pos­sesso del Mar Caspio. Proprio tre giorni fa ero ad Astrakan e ne sono ritornato con sette grandi battelli strappati a Biéerachov. Questi battel­li ci occorrevano, perché tre di questi erano i più grandi del mar Caspio e noi non ne avevamo di questa grandezza. Installeremo a bordo i nostri cannoni da cento millimetri, e né i turchi, né Bicerachov li prenderanno. Penso che il fiume sovietico, il Volga, presto si getterà in un mare so­vietico, il Mar Caspio. Senza cadere in un eccessivo ottimismo,, dobbia­mo riconoscere che la nostra situazione generale è soddisfacente.

 

Sul fronte Est, la demoralizzazione delle unità che combattono contro di noi è totale. Noi aumenteremo ancora questa demoralizzazio­ne con le notizie degli avvenimenti accaduti nell'Austria-Ungheria, con la notizia che la Boemia è diventata un paese indipendente. Ora, ogni cecoslovacco comprende e sa che il cammino verso la Boemia libera non passa per l'Inghilterra o la Francia, ma per la Russia sovietica, per l'Ucraina sovietica. In quanto al fronte Sud, tutto dipende dal no­stro lavoro. Non dobbiamo lasciare ai nostri nemici la possibilità di so­stituirsi l'uno all'altro. Krasnov, che fino a ieri combatteva contro Alekseev e che era il suo rivale, oggi si associa a lui; Bicerachov oggi fa la guerra alla Turchia, domani le si alleerà. I tedeschi, certamente, apriranno la strada agli inglesi e ai francesi e li aiuteranno anche nella lotta comune contro di noi. Il ritmo è la cosa più importante e noi dob­biamo andare molto in fretta per poter difendere la Russia degli assalti controrivoluzionari.

 

Sono ritornato dal fronte con la convinzione che vi è molto da fare e che vi sono difficoltà soggettive; per esempio, tutti i lavoratori sovietici non hanno ancora compreso che esiste una direzione centra­lizzata, che tutti gli ordini emanati dall'alto devono considerarsi irrevocabili.

Noi saremo spietati verso i lavoratori sovietici che non l'hanno ancora capito, li cacceremo dai nostri ranghi, li colpiremo con la re­pressione. Vi sono ancora molte difficoltà, soprattutto sul fronte meri­dionale, ma le nostre forze sono aumentate e abbiamo maggiore espe­rienza e sicurezza. Se voi tutti, compagni, lasciate il Congresso dei so­viet rafforzati dall'unione generale, se voi andate nelle province e rife­rite quello che avete ascoltato qui, se voi dite che avete un'Armata ros­sa forte e unita, se partite con questa certezza e se spiegate che il com­pito principale consiste nell'inviare tutte le forze libere o semi-libere sul fronte, che bisogna frugare in tutti gli angoli e mobilitare tutte le baionette, tutte le munizioni e inviarle al fronte, che se vi sono auto­mobili bisogna privarsene e inviarle tutte al fronte; se fate tutto que­sto, se militarizzate tutte le organizzazioni sovietiche, il nostro paese sarà posto in una situazione tale che né gli imperialisti tedeschi né gli imperialisti anglo-francesi gli faranno più paura. Allora la nostra Armata rossa e le nostre retrovie si svilupperanno di giorno in giorno, di ora in ora. E la parola d'ordine lanciata dal compagno Lenin nella sua let­tera al Comitato centrale esecutivo, secondo la quale ci occorre un'ar­mata di tre milioni di uomini, potrà diventare realtà.

 

Mentre negli altri paesi si effettua un processo di decomposizione interna, solo con differenze di grado per ogni paese, mentre la guerra provoca la frattura tra i soldati e gli ufficiali, tra le classi dominanti e le masse, mentre vi si vive un periodo che noi abbiamo conosciuto in febbraio, marzo e aprile di quest'anno, da noi si effettua il processo in­verso. Noi ci costruiamo, ci formiamo, ci agguerriamo. Da noi, i soldati, che vengono in parte dalla vecchia armata, adempiono oggi dei com­piti storici, compiti che non possono essere un fermento di decomposizione, come avviene nei paesi della borghesia in fallimento. In questi paesi, l'armata si è disgregata o si sta disgregando, o si disgregherà do­mani grazie soltanto all'agitazione rivoluzionaria. Quanto ai nostri sol­dati, essi non temono nessun agitatore e, per confermarlo, vi informo che sul fronte Sud, là dove ci troviamo in difficoltà di fronte agli impe­rialisti di Germania, di Francia, e di Inghilterra, laggiù, non solo i social-rivoluzionari di destra, ma anche quelli di sinistra ordiscono as­surdi complotti, senza risultati. I dettagli di uno di questi complotti all'interno della nostra Armata rossa (grida: "Vergogna") che combatte contro l'imperialismo anglo-francese saranno pubblicati in questi giorni.

 

È stata pronunziata qui la parola "vergogna." Sí, vergogna, tre volte vergogna! La nostra Armata rossa oggi non teme nessun agitato­re. Essa sa che tutto il paese non ha altro compito che l'approvvigio­namento dell'armata. L'armata ha il suo personale di comando. Tutte le forze che esistono nel paese sono date all'armata. Noi non nascondia­mo i nostri obiettivi. Compagni! Mettete al primo posto il compito di servire l'Armata rossa sia con i mezzi materiali, sia con quelli morali. Tutto il paese deve essere mobilitato materialmente e moralmente. Tut­te, le sue forze e tutti i suoi mezzi appartengono all'Armata rossa, che deve battersi meglio di quanto non abbia fatto fino a ora. L'esperienza dell'Armata rossa si accumula e forma un capitale incrollabile. Tutti devono sorvegliare nelle province affinché alle unità in via di formazio­ne non manchi niente, né dal punto di vista materiale né dal punto di vista morale. Esse devono sentirsi appoggiate dal potere sovietico. Il vostro dovere è di ripartire da qui con la convinzione che non esiste compito maggiore che consolidare l'Armata rossa.

 

E quando questo compito sarà compiuto e il nostro fronte sarà in­crollabile, allora celebreremo l'anniversario non soltanto da noi, ma an­che a Rostov, a Kiev, a Vienna, a Berlino, e forse quel congresso inter­nazionale che F. Adler voleva convocare nel luglio 1914, alla vigilia della guerra, quel congresso lo convocheremo noi in una delle nostre capitali sovietiche. Noi diremo allora alla Terza Internazionale: vi siete riuniti da noi a Mosca o a Pietrogrado perché il vostro congresso è difeso dall'Armata rossa operaia e contadina, dalla prima armata comu­nista di tutta la storia mondiale.

 

 

Russia guerra civile

 

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