Caporetto - 2

 

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, CADORNA, ALL'AIU­TANTE DI CAMPO DEL RE, BRUSATI, AL PRESIDENTE DEL CON­SIGLIO, BOSELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, DELLA GUERRA, GIARDINO, DELLA MARINA, DEL BOSCO, SENZA PORTA­FOGLIO, SCIALOJA, E AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, THAON DI REVEL

 

BOLLETTINO DI GUERRA 887. 

Zona guerra, 28 ottobre 1917, ore 13.

 

La mancata resistenza di reparti della 2a Armata vilmente ritiratisi senza combattere ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia. Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti ad impedire all'avversario di penetrare nel sacro suolo della patria. La nostra linea si ripiega secondo il piano stabilito. I magazzini ed i depositi dei paesi sgombrati sono stati distrutti. Il valore dimostrato dai soldati in tante memorabili battaglie com­battute e vinte durante due anni e mezzo di guerra, dà affidamento al co­mando supremo che anche questa volta l'esercito, al quale sono affidati l'onore e la salvezza del paese saprà compiere il proprio dovere.

 

 

 

 

 

MEMORIA PRESENTATA DA CADORNA

ALLA COMMIS­SIONE D'INCHIESTA SU CAPORETTO

 

Di quello che io ritenni e ritengo la causa prima del disastro di Caporetto il pubblico fu informato dal mio bollettino del 28 ottobre. Poiché esso suscitò le più aspre critiche, e poiché anche nel Senato del Regno fu chiesto che, la Commissione d'inchiesta facesse le dovute indagini, desidero fare alcune dichiarazioni e osservazioni in proposito.

Il bollettino è firmato da me, fu da me riveduto e approvato, quindi è mio. Come assumo la responsabilità delle operazioni, assumo intiera la responsabilità del bollettino del 28 ottobre. Ne rispondo davanti al Paese, davanti alla storia, come ne rispondo dì fronte alla mia coscienza.

 

Sta di fatto però che essendo stato compilato da altri, come di consueto, qualche aggettivo e qualche parola possono, ad un più freddo esame, essermi apparsi diversi da quelli che io avrei adoperato per dire l'identica cosa. Come pure l'essere stato compilato, come tutti gli altri bollettini, solo in base ad una valutazione oggettiva dei fatti, senza altra preoccupa­zione se non quella di dire la verità e senza mie antecedenti istruzioni perché questa verità servisse a fini particolari, mi libera di fronte alla mia coscienza di soldato — e per me questo è l'essenziale — da qualsiasi rimorso di aver cercato meditatamente di gettare su gli altri, e soprattutto sull'esercito, le mie responsabilità. Io non ho mai cercato, né cercherò degli alibi.

 

La verità è che in quel momento chi viveva nell'ambiente del Comando Supremo e aveva le notizie dirette di quanto era avvenuto sulla prima linea e di quanto stava avvenendo nella ritirata; chi aveva la visione dello sbandamento che già appariva nei suoi caratteri di « sciopero militare » e sapeva nei suoi dettagli quale fosse stato il contegno di alcuni riparti, e ne vedeva i tragici effetti e l'enorme danno che ricadeva sul Paese, non poteva esprimere spontaneamente la sua valutazione della realtà che così come era stata espressa. In quell'ambiente, in quel contatto immediato ed evidente dei fatti, nessuno dubitò che ciò che il bollettino esprimeva con rude chiarezza era assoluta­mente vero e solo una parte del vero. Di fronte allo sfasciarsi di una Armata e alle conseguenze disastrose che potevano anche sembrare irrimediabili, nessuno poteva dubitare che il segnalare alla indignazione dell'esercito e del Paese alcuni riparti fosse un semplice atto di giustizia, non certo più impietoso di quello che fa affiggere i nomi dei disertori sulla porta della casa paterna. E questa fu la ragione per cui persona, estranea al Comando, ma per la sua posizione politica e sociale degna di essere interprete dell'opinione pubblica, essendo presente approvò la sincerità del bollettino e non ne sentì la sconvenienza. Questa è forse anche la spiegazione di come due ministri non interrogati in proposito, né in alcun modo partecipi alla sua compilazione, non dissero parola contraria che certo, nella loro coscienza di uomini di Governo, mi avrebbero detto subito se avessero avuto la sensazione di cosa assolutamente contraria agli interessi del Paese.

 

Nell'approvare quel bollettino e nel porvi il mio nome, non certo distrattamente, io ho seguito due considerazioni che mantengono ancora per me tutto il loro valore.

 

Anzitutto io credevo che il biasimo, sia pure severissimo, inflitto a taluni riparti di una Armata, mentre si esaltava il valore di altri e si dimostrava fede che questi con le truppe della III Armata potevano e dovevano far fronte alla situazione, limitando le responsabilità, limitava anche la sfiducia che in quei giorni — lo sapevo e lo sentivo — avvolgeva tutto l'esercito. Io pensavo che, poiché quanto avveniva alla fronte non era ignoto al Paese, ma piuttosto esagerato dalla immaginazione, dalle false notizie, dai propa­gatori del disfattismo, meglio valeva colpire d'infamia chi meritava di essere colpito che lasciare il disprezzo e il dubbio avvolgere genericamente i combattenti e togliere la fede nelle truppe eroiche che dovevano salvare il Paese. Meglio che lasciare l'impressione caotica e paurosa di uno sfacelo generale era dir chiaramente ciò che era, per me, la verità: che in un punto della fronte dei riparti avevano tradito il loro dovere verso la Patria, lasciando all'avvenire giudicare quale preciso carattere abbia avuto questo tradimento.

 

Per chi, d'altronde, nascondere i fatti? Non per il nemico che sapeva, che vedeva. Il nemico infatti che aveva tutto l'interesse ad esagerare le difficoltà superate, e quindi il nostro valore, non ha saputo nascondere la realtà veduta da lui, come la stampa tedesca può dimostrare.

Non per gli alleati, a cui la frana che travolgeva due anni di successi presto o tardi doveva essere spiegata nella sua realtà dolorosa, per la stessa necessità di rimediarvi. Gli alleati, d'altronde, hanno dimostrato la più acuta e calma valutazione dei veri limiti del fenomeno che ci ha colpito, avendo essi l'esperienza di simili cedimenti morali. L'ho constatato nei primi miei rapporti a Versailles e in tutte le conversazioni avute con uomini rappresentativi del pensiero, della politica, degli eserciti alleati.

 

Non per il Paese, infine, che già tutto sapeva prima del bollettino, e più che il bol­lettino non dicesse; sapeva da quei testimoni oculari della disfatta che erano i profughi, sapeva dalle orde degli sbandati che avevano gettato il fucile, dalle parole con cui procla­mavano chiaramente la fine della guerra, dal loro atteggiamento cinico, e aveva compreso quanta viltà e ignominia fosse nella torbida tragedia da cui improvvisamente erano stati travolti. Nascondere con parole la verità si poteva; ma nessuno, né in Italia né fuori, avrebbe creduto a quella parola. Né l'opinione pubblica, per qualche diversa frase adoperata nel bollettino, avrebbe mutato la valutazione precisa dei fatti che risulta da troppe testimo­nianze perché qualche menzogna convenzionale o ufficiale la possa riformare.

 

L'altra considerazione era che le piaghe vanno curate a tempo col ferro e col fuoco, non con le ipocrisie di una falsa pietà patriottica.

 

Era necessario dire al Paese e all'esercito una parola grave e forte.

 

La macchia c'era, era meglio, secondo me, che l'esercito e il Paese sentissero subito la necessità di lavarla. Per più di due anni avevo scritto bollettini esaltanti il valore dell'esercito italiano; sentivo che, perché quelli avessero valore, e avesse valore l'eroismo vero, che ancora esisteva, che già si riaffermava, era necessario chiamare la vergogna di un'ora e di alcuni riparti col suo nome.

 

Di questo parere sono stati anche uomini che della vita e dell'onore militare e nazionale hanno altissimo sentimento. Cito per tutti il ..... che me lo ha affermato perso­nalmente.

 

Quanto all'effetto benefico che la verità ha in se stessa, anche se ingrata, so di non essermi ingannato. Qualunque possa essere stato l'effetto prodotto nel mondo politico, abituato ai mezzi termini, il bollettino che, nonostante le correzioni governative, fu nell’'esercito e in gran parte del Paese conosciuto nella sua forma originaria produsse una reazione violenta, ma risanatrice. La logica popolare è molto semplice, e il bollettino poneva con virile e militare chiarezza delle premesse, le cui conclusioni pratiche furono una ondata di sdegno contro ogni viltà, e una ondata di entusiasmo patriottico verso gli eroici difensori della Patria, che furono certo sostenuti sulla Piave da uno spirito profon­damente mutato di tutto il Paese.

 

Per questo non mi pento del bollettino del 28 ottobre e non mi lamento se esso fu rivolto come una grande accusa contro di me. Sebbene considerazioni di prudenza personale potrebbero oggi sconsigliarmi di ripubblicarlo nella stessa forma, pure, per considerazioni d'indole generale che debbono prevalere su tutto, e per il salutare rivol­gimento che esso contribuì ad affrettare in quei giorni, non esiterei a rimettervi, senza nulla mutare, il mio nome.

 

 

Documento riportato in: Cadorna Pagine polemiche Garzanti, Milano 1951, pp. 253-256.

 

 

 

 

 

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO, AGLI AMBASCIATORI
A LONDRA, IMPERIALI, E A PARIGI, SALVAGO RAGGI

 

T. GAB. 1747.          

Roma, 29 ottobre 1917, ore 21.

 

Trasmetto per conoscenza a V. E. copia di lettera inviata il 26 corrente dal generale Cadorna ai generali Foch e Robertson:

 

« L'attesa offensiva austro-tedesca iniziatasi, come è noto, nelle prime ore del giorno 24 corrente all'ala sinistra della fronte giulia ha condotto col favore di fittissima nebbia e di pioggia temporalesca che paralizzò completamente gli organi attivi della difesa alla rottura delle nostre linee di sinistra Isonzo nel tratto fra Plezzo e Tolmino.

 

La difesa prontamente riorganizzata lungo gli apprestamenti della linea di confine è riuscita, aspramente combattendo ieri ed oggi, a contenere l'ir­ruzione, non ad arrestarla; infatti anche la resistenza alla testata delle valli del Natisone e dei suoi affluenti, di fronte all'incalzante pressione nemica è stata vinta, determinando un arretramento della nostra fronte lento e graduale attraverso successive linee di resistenza da me stabilite.

 

Hanno contribuito ad aggravare la situazione ardite puntate offensive ne­miche lungo la valle dell'Isonzo che mi hanno indotto a sgombrare quasi completamente l'altipiano di Bainsizza onde evitare che arrivando il nemico sui ponti precludesse la ritirata alle truppe operanti sull'altipiano stesso. Il ripiegamento per quanto incalzati dal nemico anche su questa fronte si è potuto ordinatamente compiere.

 

Al presente ho stabilito un forte schieramento difensivo a tanaglia fronte a Nord (M. Maggiore - Pargessimo - Korada), schieramento che si salda ad angolo retto alla linea di difesa principale della fronte giulia (Korada - Sabo­tino - Isonzo - Vallone). Su tale fronte ho deciso di resistere ad oltranza e affrontando le sorti della battaglia tentare di argina l'irruzione e respingerla.

 

Però, nella doverosa previsione che le vicende della lotta ci siano avverse ho tutto predisposto per il ripiegamento a scaglioni delle forze impegnate sulla fronte giulia sulla linea del Tagliamento, nell'intento di riordinare le forze ed opporre qui una nuova resistenza. Ho altresì tutto predisposto perché in contemporaneità con questo movimento si effettui un primo ripiegamento delle forze dislocate in Carnia ed in Cadore sulle rispettive linee di resistenza ad oltranza creando così una situazione di transizione e sopratutto un avviamento allo schieramento a massa dell'Esercito che mi propongo di compiere quando fosse imposto dalla situazione fronte a nord nel Trentino e fronte ad est lungo il corso del Piave.

 

La situazione quale obiettivamente ho rappresentato sia in atto sia in rapporto alle possibilità future basta a porre in luce l'utilità somma dell'in­tervento diretto alleato nella misura concordata o anche in maggiore misura e nel segnalare siffatta utilità agli alti comandi alleati francese e britannico io mi faccio interprete anche dell'apprezzamento del R. Governo che per via diplomatica intende agire nello stesso senso presso i Governi dell'Intesa ».

 

 

 

 

 

IL MINISTRO A BERNA, PAULUCCI,
AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

 

T. GAB. 2875/66.     

Berna, 29 ottobre 1917, ore 8,40 (pervenuto ore 2 del 30).

 

Un diplomatico neutrale qui residente riferisce che i membri di questa Legazione di Germania con i quali è in quotidiana relazione, dicono aperta­mente che secondo il piano dello Stato Maggiore austro-tedesco l'esercito di invasione dovrebbe raggiungere Genova entro sei settimane e piombare poi sulle spalle dei francesi imponendo la pace prima dell'intervento americano.

Queste notizie sono sostanzialmente confermate da informatori giunti in Sviz­zera dopo l'apertura della frontiera svizzera-austriaca che com'è noto rimase ermeticamente chiusa dal 20 settembre al 19 corrente.

 

Questi per nostra norma aggiungono che in quest’ultimo mese transita­rono dalla Germania per Innsbruck 200 treni militari di 35 vagoni con 48 uomini ognuno, cioè circa 330 mila uomini, più numerosissimi treni di artiglieria e materiale ferroviario e provviste.

 

 

 

 

 

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

 

T. GAB. U. RR. 2383/484.   

Londra, 29 ottobre 1917, ore 22 (pervenuto ore 9,35 del 30)

 

Non debbo nascondere a V.E. che noto bollettino di ieri, per quanto non pubblicato dai giornali di oggi, non ha ricevuto meno larga circolazione e prodotto, secondo quanto mi viene riferito da varie parti, penosa impressione sulla grande maggioranza di coloro che l'hanno letto. I tristi avvenimenti così autorevolmente confermati accennano a generare in questa pubblica opi­nione, manifestatasi fin qui così spontaneamente cordiale, un senso di ap­prensione e di dubbio non solo sulla validità della resistenza ulteriore delle truppe ma anche sull'energico contegno col quale il paese nostro fronteggerà la grave situazione. Da vari autorevoli giornali amici vengo da ieri solle­citato concedere interviste, inviare messaggio alla nazione britannica allo scopo di rassicurare sulla saldezza di propositi dell'Italia e mantenere così intatta la corrente di calda simpatia ora prevalente per noi. Ho declinato. Per quanto intensa sia mia fiducia che nostro Paese saprà e potrà superare con onore l'arduo cimento, mi ripugna in principio tenere linguaggio equivalente a captazione di benevolenza. Non credo poi, nell'ignoranza in cui sono della situazione nostra interna, avventurarmi in pubbliche dichiarazioni e ritengo pure che al momento presente se si parla in nome dell'Italia occorre che la parola venga da bocca più autorevole della mia.

 

Sembrandomi però urgente affermare in modo solenne qui e dovunque che l'Italia unita e concorde farà il suo dovere fino all'ultimo e manterrà con onore i propri impegni senza vacillare, permettomi attirare l'attenzione tutta del R. Governo sulle considerazioni di cui sopra lasciando a V.E. giudicare se e sotto quale forma convenga provvedere per meglio raggiungere lo scopo.

 

 

 

 

 

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO,
AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, CADORNA

 

T. GAB. 1750.          

Roma, 30 ottobre 1917, ore 12,25.

 

Ambasciata inglese informa che generale Robertson ha lasciato Londra la sera del 28 per l'Italia avendo il Gabinetto di Guerra ritenuto opportuno un colloquio personale del Comando Supremo allo scopo di meglio stabilire l'aiuto che il Governo inglese è disposto a dare nelle presenti circostanze al Governo italiano.

 

 

 

 

 

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO,
AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, CADORNA

 

T. GAB. 1751.          

Roma, 30 ottobre 1917, ore 13.

 

Da rapporti telegrafici che ricevo dai nostri agenti in Europa ed in Ame­rica traggo consiglio sulla opportunità di tener conto dei nostri bollettini di guerra delle impressioni che essi suscitano all'estero. È stata specialmente richiamata la mia attenzione sul bollettino del 28 corrente che nella sua prima forma fu diffuso nel mondo per le vie di Basilea e di Coltano. Constatando e segnalando ufficialmente gravi deficienze delle truppe italiane si rischia: 1) di svigorire il desiderio dei Governi e delle nazioni alleate di mandare uomini e materiale per aiutarci: corriamo il pericolo di essere trattati come la Russia. Non si può attendersi che altri incontrino volentieri sacrifici per chi non si difende da se, supplendo alle deficienze morali nostre; 2) si disperde il capi­tale di simpatia stima e sentimento di solidarietà acquistato in due anni e mezzo di lotta — capitale che ci è tanto utile sia per ottenere constantemente, in mezzo a generali difficoltà, prestazioni d'ogni sorta, fra cui princi­pale il tonnellaggio, e più ancora per ottenere i più utili risultati della guerra quando si tratterà la pace in mezzo alle competizioni generali.

 

 

 

 

 

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI,
AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

 

T. GAB. 2903/488.   

Londra, 31 ottobre 1917, ore 21,50 (pervenuto ore 12 del 3 novembre).

 

Perdurando per i noti motivi nei giornali, malgrado mie raccomandazioni a lord Derby (mio telegramma Gab. n. 483), polemiche insinuazioni sulla esagerata entità dei contingenti nemici contro di noi, sulla nessuna responsa­bilità di questo Stato Maggiore ecc, ho creduto di attirare oggi stesso sul fatto la seria attenzione di Balfour. Ho osservato non sembrarmi da un lato digni­toso profittare delle nostre disgrazie per controversie interne che non ci con­cernono, sembrarmi invece dannoso alla causa comune alimentare in queste difficili circostanze polemiche e discussioni che, conosciute poi in Italia, dove il pubblico ignorando i retroscena, avrebbero per unico scopo di travisare i sentimenti reali della nazione britannica della quale era sicuro si sarebbero apprezzate le dimostrazioni di genuina cordialità. Ciò tanto più poi in quanto che tutte queste tendenziose informazioni sono tutt'altro che esatte, secondo risulta dalle varie comunicazioni del generale Cadorna. Ha replicato Balfour che condividendo pienamente le mie vedute avrebbe provveduto per quanto stava in lui a troncare tali postume inutili discussioni da lui sinceramente deplorate.

 

Nel corso della conversazione ho detto essere ormai assai probabile che nelle pianure venete abbiansi a decidere le sorti della guerra generale. Occorre quindi che gli alleati si rendano ben conto che aiutando poderosamente l'Italia aiutano se stessi e favoriscono il trionfo della causa comune. Il ministro ha replicato sulla prima mia osservazione non parergli possibile ancora pronun­ziarsi in modo assoluto, l'importanza però dell'azione militare nel Veneto essere comunque di piena evidenza, ed al riguardo della medesima avere questo Governo, al pari di quello francese, gli « occhi bene aperti ».

 

 

 

 

 

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO,
AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

 

T. s. N.           

Roma, 1 novembre 1917, ore 0,40.

 

S. M. il Re ha accettato dimissioni Ministero Boselli, incaricando Orlando. Nuovo Gabinetto cui partecipo come Ministro Esteri prestato oggi giuramento.

 

 

 

 

 

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO,
ALL'AMBASCIATORE A PIETROGRADO, CARLOTTI

 

T. GAB. 1765.

Roma, 1 novembre 1917, ore 20.

 

Nostro informatore in Svizzera assicura Kerensky avrebbe promesso uffi­cialmente che nel caso Potenze centrali riuscissero far scoppiare rivolu­zione Italia egli per incoraggiare italiani pace concluderebbe pace separata per Russia. Le comunico quanto precede con ogni maggiore riserva.

 

 

 

 

 

IL MINISTRO DEGLI ESPERI, SONNINO, AL PRESIDENTE DEL CON­SIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, ORLANDO, AGLI AMBASCIA­TORI A LONDRA, IMPERIALI, A PARIGI, SALVAGO RAGGI, A PIE­TROGRADO, CARLOTTI, E A WASHINGTON, MACCHI DI CELLERE

 

T. GAB. 1768.          

Roma, 1 novembre 1917, ore 21.

 

Il generale Robertson che veniva dal nostro fronte mi comunicava fran­camente dietro mia richiesta le sue impressioni.

 

Egli ritiene tutto riparabile a patto di volerlo fortemente, di un energico lavoro di tutti gli ufficiali superiori, mantenendosi 'in contatto diretto e di persona con le truppe; di severa punizione e vigorosa riorganizzazione dei reparti che si sono sbandati o hanno fallito al loro dovere. Occorre arrestare con la massima fermezza ogni propagazione del contagio di rilassamento mo­rale e di apatia nelle truppe. La sua impressione è che converrebbe difendere il Tagliamento ma si rimette per questo ai giudizi del nostro Comando.

 

L'ho assicurato quanto al contegno del Paese, e quanto ai decisi propositi del Governo, pregandolo di ringraziare il Governo inglese della spontaneità delle sue offerte e contando sulla sua azione personale presso i maggiorenti a a Londra per gli opportuni maggiori concorsi.

 

 

 

 

 

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI,
AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

 

T. GAB. RR. 2905/486.        

 

Londra, 1 novembre 1917, ore 20,10 (pervenuto ore 6,25 del 2).

 

Ieri S. M. il re Giorgio mi fece chiamare per telefono. Disse che in questo momento così doloroso per noi e per l'Intesa tutto il suo pensiero si rivolgeva affettuosamente al nostro Sovrano Augusto cui inviava caldo mes­saggio di simpatia esprimendo piena fiducia nella ripresa attività vittoriosa nostro esercito. Inghilterra presterà il massimo possibile appoggio alla Nazione alleata. Risposi che la causa dell'Italia è oggi più che mai la causa degli alleati. Aiuto prestatoci quindi in questa occasione si risolve in un vantaggio generale. Ad una domanda di Sua Maestà di esprimergli con massima fran­chezza ed in via affatto personale la mia impressione su contegno del nostro Paese, risposi essere mia assoluta incrollabile convinzione che Paese unito e compatto farà il suo dovere fino all'ultimo e di ciò non esitavo a rendermi mallevadore. Replicò il re che le mie assicurazioni gli cagionavano conforto. Ritornando sul tema militare col calore e impulsività di linguaggio noto a V. E. disse non arrivava a consolarsi dell'avvenuto e che nessun avvenimento del principio della guerra gli ha recato maggiore penosa impressione. I piani di Cadorna erano perfetti, le truppe ampiamente sufficienti a fronteggiare sicuramente il nemico disponente, in realtà, di effettivi assai minori di quanto si è detto. Ciò nonostante si è verificato così immane disastro dovuto a defe­zione del quarto corpo d'armata composto in maggioranza di meridionali. Rilevai in risposta:

 

1) anzitutto il numero delle truppe nemiche era assai più considerevole di quanto, non so perché, si vuole qui in certi circoli sostenere, senza parlare della preponderanza schiacciante d'artiglieria, già preannunziata dal generale Cadorna;

 

2) quanto al contegno IV corpo d'armata la storia insegna che di panico sono stati a momenti suscettibili tutti indistintamente gli eserciti più valorosi del mondo e mi bastava ricordare il contegno di intere divisioni francesi a Charleroi ed in Lorena;

 

3) meridionale io stesso, per quanto prima e soprattutto italiano, non potevo inchinarmi senza osservazione ad un addebito fatto ai soldati del sud che in due anni di continue vittorie hanno non meno di quelli del nord dato prove tangibili di eroismo incontestabile. Replicò Sua Maestà contegno quarto Corpo non derivava da panico ma da preordinata defezione, conseguenza di intensa propaganda socialista e clericale. Ciò era dimostrato dal fatto che altre truppe avevano splendidamente resistito. E qui il Re cominciò ad impre­care contro il Papa, i socialisti neutralisti, ecc. Proseguendo disse che pur­troppo il recente successo avrebbe ringalluzzito l'Austria che, come egli sapeva « di certa scienza era finita al punto che l'Imperatore mostravasi disposto a fare pace a qualunque costo ed a qualunque prezzo ». Vittoria conseguita però non varrà a migliorare disperata situazione economica duale monarchia, la quale non potrà tirare a lungo avanti. Risposi che mi permettevo dissentire. Non avevo mai creduto a questa chimera qui accarezzata di una possibile pace separata austriaca e meno che mai vi credevo ora che la Germania ha preso sotto la sua ferrea direzione la totalità dell'esercito austro-ungarico. Non vedevo come in tale stato di cose potrebbe l'Impero separarsi dal predomi­nante alleato. Replicò il Re che messa alla disperazione l'Austria farebbe la pace lo stesso deponendo semplicemente i « tools ».
In conclusione Sua Maestà insistette sull'intera fiducia inspiratagli dal generale Cadorna che ha dimostrato di non perdere la calma neanche in momenti così terribili. D'altra parte la costituzione del nuovo Gabinetto presieduto dall'onorevole Orlando e con la partecipazione di V. E. gli dava pieno affidamento che l'Italia avrebbe vitto­riosamente superata la grave crisi. Risposi tale essere il mio fermo con­vincimento.

 

Sul linguaggio di Sua Maestà evidentemente rispecchiante le impressioni raccolte a destra e a manca faccio i seguenti rilievi:

 

1) Le osservazioni sull'entità delle forze nemiche vengono evidente­mente dallo Stato Maggiore che si studia di diffonderle dovunque per argi­nare forse l'intensità della segreta campagna inspirata da Lloyd George in certa stampa contro Robertson.

 

2) Sulla questione della pace separata austriaca avrei ogni motivo di ritenere impressioni del re non ugualmente condivise dai membri più auto­revoli del Governo a cominciare da Balfour e ormai mi assicurano da ogni parte e me lo ripeteva ieri anche Cambon, tutte le persone serie si rendono conto della falsa strada battuta nello accarezzare la speranza di svincolare l'Austria.

 

Balfour, mi risulta da buone sorgenti, ha manifestato nel Gabinetto di guerra la sua convinzione che è ora di farla finita con questi da lui defi­niti « side shows », di possibili intese separate con Austria, Bulgaria ecc. — A tali concetti generali si è appunto inspirato il linguaggio di lui alla Camera ieri, nonché le recentissime dichiarazioni di Cecil il quale disse: « Gli alleati hanno messo tutto in comune anche il loro onore. »

 

3) Circa il contegno del nostro paese ritengo invece apprensioni visibili del re riproducono fedelmente l'impressione generale. Ciò mi venne confermato nel massimo segreto da persona di fiducia mia dalla quale ho saputo che già da due mesi erano giunte a Lloyd George da fonte privata non responsabile, informazioni allarmanti sulla situazione in Italia. Segnalavasi ostilità generale contro la guerra, animosa avversione contro l'Inghilterra, intensa propaganda nell'esercito. Rodd interpellato qui, escluse tali catastrofiche previsioni, ridu­cendo queste voci alle loro reali proporzioni. Donde ora in certi circoli risen­timenti e critiche contro Rodd tacciato d'ingiustificato ottimismo, preconcetta italofilia ecc. ecc. Confido che il mio risoluto linguaggio con Sua Maestà, con Derby ed oggi con Balfour varrà a rimuovere queste apprensioni. Su di esse indubbiamente porrà una pietra finale l'energico concorde patriottico contegno del nostro paese, del quale già s'intravvedono confortanti disposizioni, nonché la vittoriosa e valorosa resistenza delle nostre truppe. Feci dare stamane la massima diffusione al telegramma del presidente del Consiglio a Cadorna e provvedo stasera perché i giornali di domani mattina pubblichino il telegram­ma di V. E. del quale detti oggi conoscenza a Balfour. Egli mi disse in via privata ed a titolo personale e confidenziale che erasi apprezzato il mio con­tegno calmo e fiducioso. Gli ho risposto che avevo resistito alle personali sollecitazioni di giornali per interviste, messaggi rassicuranti ecc. perché il farlo mi sarebbe sembrato equivalente ad ammettere la possibilità di un dubbio sul patriottismo dei miei concittadini, dubbio contro il quale mi ribellavo con tutto l'animo di italiano.

 

 

L'AMBASCIATORE A LONDRA, IMPERIALI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

 

T. GAS. BR. 2908/485.        

Londra, 1 novembre 1917, ore 20,10 (pervenuto ore 6,30 del 2).

 

A fornire a V. E. dimostrazione tangibile dello stato d'animo qui preva­lente e purtroppo alimentato da quei fatali bollettini, riferisco, con vero orrore, voce sparsasi ed oggi riferitami che defezione quarto corpo d'armata sia stata conseguenza vero tradimento di cui sarebbero stati complici anche i generali comandanti di unità. A parlare con necessaria franchezza impo­stami dalla gravità circostanze, io ritengo necessario che nessun mezzo si tralasci che valga agli occhi di questo pubblico a ridurre penosissimo isolato episodio alle sue reali proporzioni.

 

 

 

 

 

L'AMBASCIATORE A PIETROGRADO, CARLOTTI,
AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

 

T. GAB. 2914/451.   

Pietrogrado, 1 novembre 1917, ore 23,59

(pervenuto ore 13,35 del 3).

 

Avvenimenti sul fronte italiano producono qui vivissima emozione. Mani­festazioni di simpatia e caldi auguri al nostro indirizzo mi giungono da ogni classe di persone. Parimenti la stampa, salvo rare eccezioni nel campo estremo (lo Novaja Gisni, per esempio, che ha anche sfruttato l'accenno del comu­nicato italiano alle manchevolezze della seconda armata), è concorde nel rico­noscere che gran parte delle forze nemiche riversatesi su noi furono tratte dal fronte orientale, nel deplorare l'inerzia russa, nell'esprimere voti e salda fiducia nella riscossa delle nostre armi. Una corrente in favore della ripresa dell'of­fensiva da parte della Russia si va disegnando. In altri tempi un simile mo­vimento dell'opinione pubblica avrebbe giustificato buoni pronostici per il concorso effettivo che la [gruppo indecifrato] alleata in uno dei suoi slanci avrebbe potuto prestare. Oggi purtroppo sulle sue stesse migliori intenzioni non si potrebbe fare assegnamento. Tuttavia a noi conviene comunque di alimentare e colti­vare quelle ancora esigue correnti per i risultati che possono darci nell'av­venire non fosse altro sotto il riguardo politico. A quest'uopo deve concorrere anche la nostra propaganda. Essa dovrebbe in primo luogo fornire alla stampa ogni elemento atto a porre in evidenza che sul fronte italiano stanno per de­cidersi le sorti di tutta la guerra, che tutti gli alleati hanno quindi il dovere e l'interesse di intensificare le loro attività, di tendere i loro sforzi per tron­care od infrangere i tentativi nemici d'imporci la sua pace e la sua legge. Converrebbe poi negli opportuni modi far sempre più risultare la responsa­bilità del lungo armistizio di fatto se non di nome esistente sul fronte russo, segnalando unità artiglieria che ne provengono, scelta potuta fare dei più agguerriti reparti, pienezza loro efficienza dopo gli indisturbati riposi. Infine l'entità della grandiosa lotta che l'Italia sostiene per quanto sia nota dovrebbe venire rappresentata in modo da popolarizzare ammirazione e fede nell'opera nostra e nell'immancabile suo finale successo. Elemento episodico nelle relative notizie dovrebbe occupare ampio posto. Nel sottoporre a V. E. queste princi­pali direttive che anche ufficio propaganda di Pietrogrado terrà presente nel suo lavoro, permettomi di attirare benevola sua attenzione sull'opportunità che nei telegrammi a quell'ufficio destinati, siano densamente raccolte nella maggior copia possibile tutte le notizie ai detti scopi conducenti. Permettomi chiederle altresì se non ritenga opportuno che da Pietrogrado si mandino alle legazioni in Danimarca e Svezia brevi cenni sugli articoli comparsi nei gior­nali russi in seguito alla nostra propaganda. Non sarebbe forse inutile che si diffondesse e si insinuasse a Berlino che la Russia non rimane malgrado tutto indifferente agli avvenimenti sul fronte italiano.

Prego V. E. voler comunicare quanto precede a S. E. il ministro Scialoja.

 

 

 

 

 

L'AMBASCIATORE A PIETROGRADO, CARLOTTI,
AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

 

T. 3958/1137.

Pietrogrado, 2 novembre 1917, ore 4

(pervenuto ore 9,50 del 3).

 

31 ottobre.

 

Commentando operazioni sul fronte italiano Vecernie Vremia scrive: « No­stra valorosa alleata trovasi critico momento vittima dello sfacelo esercito rus­so. Undici divisioni germaniche e otto austriache trasportate dal fronte russo e da quello balcanico hanno ingrossato forze nemiche sull'Isonzo e loro urto ha scosso resistenza italiana. Uomini e organizzazioni che lavorano sul fronte russo per dissoluzione esercito hanno recato gravi colpi anche agli alleati fa­cilitando piani tedeschi. Ma italiani sorti a difesa libertà dei popoli mercè loro numerose riserve di uomini e di materiali sapranno anche questa volta arre­stare avanzata orde germaniche, aiutare alleati a riportare trionfo su tiranni imperialismo tedesco ».

 

Birsgevia Viedomosti scrive che situazione militare italiana non è mai stata tanto minacciata come ora. Austro-tedeschi distogliendo sempre maggiori forze dal fronte russo fanno contro Italia isolata sforzo disperato. Un'avanzata dell'esercito russo in questo momento avvicinerebbe pace molto più facilmente di tanti discorsi e deliberazioni.

 

Russo Volia dopo aver rammentato aiuto che italiani portarono ai russi quando questi ritiravansi da Tarnopoli, scrive che Hindenburg per prevenire grave colpo che esercito italiano minacciava portare all'Austria ha ora preso poderosa offensiva servendosi di numerose truppe tolte dai fronti russo e ro­meno.

 

Entente invia rispettoso saluto a valorosa Italia e dichiara che avveni­menti che la colpiscono possono rattristare non scoraggiare alleati. Tali avve­nimenti dimostrano che Austria è lungi dall'essere esaurita e che occorrerebbe diffidare dei preconcetti e luoghi comuni. Confida che italiani sapranno presto riparare colpo subito e spera che Russia malgrado difficoltà interne possa ten­tare sul fronte salutare diversione.

http://www.squadratlantica.it/