Sintesi del 1918

Il 1918 è l'anno risolutivo della guerra; i vari fattori militari, politici, economici, sociali culminano negli urti estremi, in cui gli stati cercano la definizione della lotta. Ma più che dall'esito delle battaglie — specialmente sulla fronte occiden­tale — la fine è determinata dall'esaurimento di uno dei due gruppi di contendenti.

 

L'anno si apre con auspici poco lieti per l'Intesa: il fronte orientale è ormai annientato; l'Italia battuta a Caporetto; l'esercito francese risolleva­tosi appena da una non lieve crisi, quello inglese logorato dalle ingenti perdite. Tutto sembra, quindi, propizio agli Imperi Centrali per tentare un estremo sforzo offensivo, prima che l'afflusso delle forze americane venga a turbare l'equilibrio in favore degli avversari.

 

Da qui le tre offensive, sferrate dai Tedeschi, durante la primavera: il 21 marzo in Piccardia, il 9 aprile in Fiandra, il 27 maggio in Champagne. Con quest'ultima venne raggiunta, per la seconda volta, la Marna; ma quando, il 15 luglio, i Tedeschi tentarono di passare il fiume e di riprendere il cammino così bruscamente interrotto nell'agosto del 1914, trovarono gli avversari pronti e decisi alla riscossa. Tre giorni dopo questi, arrestata offensiva tedesca e salvata Parigi, passavano alla controffensiva. Si iniziava così, il 18 luglio, la gigantesca « battaglia di Francia », con la quale i Tedeschi dovevano essere inesorabil­mente respinti sempre più indietro dal suolo invaso e costretti alfine alla resa.

 

Gli austriaci, frattanto, riunite sul fronte italiano tutte le loro for­ze dopo la pace di Russia (3 maggio) e Romania (7 maggio) con gli Imperi Centrali avevano iniziato, il 15 giugno, quell'offensiva contro l'Italia, dalla quale si ripromettevano « lo sfacelo militare e politico dell'avversaria ». La battaglia, invece, si risolse in uno scacco gravissi­mo per la duplice Monarchia, con conseguenze incalcolabili per le sorti finali della guerra.

 

Invano, l'Imperatore Carlo ed il suo Governo tentarono gesti estremi di salvezza; dalla nota del 14 settembre ai neutri ed alla Santa Sede per una discussione preliminare delle eventuali condizioni di pace alla proclama­zione di una « Federazione dei popoli dipendenti dall'Austria » (18 ottobre).

 

Alla metà di settembre, improvvisamente, le truppe alleate attacca­vano e rompevano la fronte macedone; quasi contemporaneamente le forze dell'Intesa operanti in Palestina travolgevano le posizioni turche, deter­minando la fuga e lo sfasciamento di tre armate.

 

Il 24 ottobre, infine, l'esercito italiano prendeva l'offensiva, ed in otto giorni di accanita battaglia sconfiggeva irreparabilmente l'esercito austria­co, mentre nell'interno della Monarchia precipitava il movimento di disso­luzione. Il 3 novembre, veniva firmato l'armistizio tra Italia ed Austria. Il 30 ottobre, a Mudros, era stato concluso l'armistizio tra Turchia ed In­tesa. L'11 novembre, l'armistizio di Compiègne poneva fine anche alla lotta sulla fronte occidentale.

 

 

 

Fronte occidentale

 

Concentrate sulla fronte anglo-francese tutte le forze che poterono sottrar­re dai vari teatri di operazioni (192 divisioni e tre brigate, contro 176 alleate), Hindenburg e Ludendorff si disposero a giocare la partita estrema, non ap­pena consentito dalla stagione. Il 21 marzo, fu sferrato il primo attacco, nel settore tra 1'Oise e la Sensée (Piccardia), tenuto dalla III e V armata inglese. La III resistette, pur perdendo terreno; la V, invece, cedette rapi­damente, aprendo un vuoto pericolosissimo proprio, alla saldatura tra unità francesi ed inglesi. Seguirono gior­nate veramente drammatiche: Noyon e Roye ricade­vano in mano dei tedeschi, che si spingevano fino a Montdidier, cinquan­ta chilometri dalle loro linee di partenza; la ferrovia Parigi-Amiens, principale ar­teria di comunicazione con l'Inghilterra, era minacciata; circa 160.000 pri­gionieri ed oltre 1000 cannoni perduti. Sotto la pressione degli avvenimenti fu attuato, alfine, il concetto del  comando unico », il quale venne affidato al generale Foch; per le energiche disposizioni adottate, i Tedeschi furono alla fine arrestati (4 aprile).

 

Appena terminata la battaglia in Piccardia i tedeschi, il 9 aprile attaccavano nelle Fiandre, verso il mare, in direzione di Calais e di Boulogne. Anche qui, dopo aver conseguito un notevole successo inizia­le, dopo un paio di settimane furono fermati sopra un vasto arco, tra Ypres e Béthune. Nuove, gravi perdite si aggiunsero, per gli Allea­ti, a quelle già toccate in Piccardia (300.000 uomini soli per gl’inglesi), ma anche i tedeschi subirono un logorio considerevole.

 

Hindenburg e Ludendorff, tuttavia, non desistevano dal mantenere l’offensiva. Pur mirando al mare non perdevano di vista Parigi, ed il 27 maggio iniziavano una terza spallata, in Champagne. La fronte tra Soissons e Reims fu rotta per largo tratto, l'Ailette superata, lo Chemin des Dames perduto, Soissons presa, varcato anche l'Aisne, ed il 30 maggio, dopo quattro giorni di avanzata travolgente, i tedeschi raggiungevano di nuovo la Marna, tra Dormans e Chàteau-Thierry.

 

Ma lo sforzo tedesco aveva ormai raggiunto il culmine. I francesi riuscirono ad impedire che il nemico dilagasse sia ad est, verso Reims, sia ad ovest, oltre Soissons, e quando i tedeschi, dopo un nuovo attacco in Piccardia, che diede loro qualche ulteriore gua­dagno di terreno oltre Montdidier e Noyon (9-12 giugno) tentarono di at­taccare il massiccio boscoso che si estende presso Reims, urtarono in una resistenza insormontabile (12-23 giugno).

 

Tuttavia il Comando tedesco predispose un’ulteriore offensiva, che ebbe inizio il 15 luglio. Concetto di es­sa era di attaccare sulla Marna, per richiamare le riserve alleate a sud, per ritentare poi il colpo nelle Fiandre, contro gl'inglesi. Ma questa volta i tedeschi non erano più in possesso né della superiorità di forze, né della sor­presa tattica. Contenuti nettamente nella zona di Reims (4a Armata francese) essi riuscirono a passare la Marna ed a spingersi ver­so Epernay (5a Armata) ma il 16 l'avanzata era frenata ed il 17 arrestata. Sull'Ardre, piccolo affluente della Vesle, si batterono, ac­canto agli Alleati, le truppe del II Corpo d'armata italiano (gen. Albricci).

 

Si disponevano i tedeschi a passare alla seconda fase del loro piano, nelle Fiandre, allorché il 18 luglio, improvvisamente, la 6a e 10a Armata francese attaccavano sul fianco occidentale del saliente tra Chà­teau Thierry e Soissons, conseguendo la rottura delle linee e costringendo a sgombrare tutta la tasca della Marna, fino alla Vesle.

 

La partita era, ormai, irrimediabilmente persa. Alla Germania non rimaneva che continuare nella lotta, per ottenere le migliori condizioni di pace.

 

Col 24 luglio, gli Alleati, decisi ad ottenere la vittoria, iniziano una battaglia colossale, risultato di molteplici battaglie locali. I tedeschi, per contro, si dispongono alla resisten­za sulla linea « Siegfried » (o « Hindenburg »), e allestiscono una linea retrostante (Hermann, Hunding, Brunhild e Stellung).

 

Tuttavia, Foch (nominato maresciallo il 7 agosto) non spera di rag­giungere la vittoria finale che nel 1919, quando l'America avrà potuto in­viare le 100 divisioni promesse. Il colpo finale sarà invece, dato inopinata­mente dalla rottura della fronte macedone e dalla vittoria italiana sull'esercito austriaco.

 

Il 24 luglio, gli Alleati sferrano il primo grosso attacco in Piccardia; man mano la battaglia si estende a nord (tra Somme e Scarpe) ed a sud (fra Oise ed Aisne). Sotto la formidabile pressione alleata, i Tedeschi ripiegano sulla linea Siegfried, della quale gli Alleati si portano a contatto.

 

Ai primi di settembre, Foch ordina una nuova offensiva generale dalla Mosa al mare. Nei giorni 12-15 la 1a Armata americana compie un'azione felicissima, eliminando il saliente di St. Mihiel; tra la fine di settembre, poi, e la prima quindicina di ottobre gli Alleati intaccano profondamente la linea Hindenburg, nel tratto centrale, tra Reims ed Arras, costringendo i tedeschi a ripiegare sulla seconda linea fortificata Hermann-Hunding.

 

Alla fine di ottobre, anche questa seconda linea era superata in alcuni tratti, quando sopravvenne il crollo austriaco. Il maresciallo Foch pensava ad una grande, decisiva offensiva in Lorena, ma il precipitare degli avvenimenti gl'impedì di cogliere la vittoria completa. L'8 novembre, abdi­cato l'Imperatore, il Comando tedesco chiedeva l'armistizio, firmato l’11, in base alle cui condizioni, gli Alleati avanzavano fino alla sponda sinistra del Reno, occupando al di là tre teste di ponte (Coblenza, Magonza e Colonia).

 

 

 

Fronte italiano

 

L'esercito italiano, riordinato e riarmato durante l'inverno, non tardò a dar prova in varie azioni locali, di aver ritrovato il suo spirito offensivo: la riconqui­sta della linea M. Valbella-Col del Rosso, Col d'Echele (detta anche « batta­glia dei tre monti », 27-29 gennaio '18); la riconquista del m. Corno di Vallarsa (10 maggio) e di parte della testa di ponte austriaca di Capo Sile, sul basso Piave (27 maggio); le operazioni, infine, nella zona Tonale-Adamello (25 maggio) che ci diedero il possesso delle posi­zioni di Cima Presena, e dei monti Maroccaro e Zigolon, dominanti la Val Camonica.

 

L'Austria, intanto, preparava una grande offensiva, con la speranza di completare il successo ottenuto nell'autunno precedente. Erano previsti tre grandi attacchi: il primo, dal Tonale verso Edolo, che doveva precedere quello principale di qualche giorno (azione valanga); il secondo nella zona Altipiani-Grappa, affidato al gruppo d'esercito Conrad (offensiva Radetzki); il terzo sul Pia­ve (operazione Albrecht) che doveva essere guidato dal maresciallo Bo­roevich, già Comandante della 5a Armata nella zona Goriziana-Carsica.

 

L'attacco dal Tonale, sferrato il 13 giugno, fallì fin dall'inizio, prontamente contenuto dalle truppe alpine del III Corpo d'armata italiano.

Il mattino del 15, ebbe inizio l'attacco principale, dall'Astico al mare. Nella zona montana si risolse, nella giornata stessa, in un completo insuccesso. Sia sugli Altipiani, infatti, dove accanto ai reparti italiani com­battevano cinque divisioni alleate, sia sul Grappa (4a Armata) do­po avere, in un primo tempo, guadagnato terreno, gli austriaci, fin dalle prime ore del pomeriggio, arrestati e contrattaccati, furono costretti a la­sciare quasi tutte le posizioni conquistate.

 

Sul Piave, invece, riuscivano a passare il fiume, ed a costituire due teste di ponte, abbastanza vaste in corrispondenza del Montello e della ferrovia Treviso-Montebelluna e nella zona di Fa­garè-Musile. Ma anche qui la pronta reazione dei reparti di linea ed il tempestivo intervento di riserve fecero sì che ben presto l’offensiva perdesse il carattere della sorpresa per assumere quello di una lotta di logoramento. Mentre, infatti, le masse austriache pas­sate al di qua del Piave venivano contenute ed energicamente contrattaccate, l’artiglieria, distruggendo i ponti a tergo, ne rendeva sempre più difficili i rifornimenti. Un'improvvisa piena del fiume venne, poi, ad accrescere le difficoltà avversarie. Il 18 il Comando Supremo ordinava di passare alla controffensiva ed il 23, gli austriaci ripassavano il Piave.

 

Da quel giorno, com'ebbe a dire Ludendorff, « l'esercito austriaco cessò di rappresentare un pericolo per l'Italia ».

 

Con parziali operazioni successive furono tolti tutti i pochi guadagni di terreno ri­masti agli austriaci dopo la disastrosa offensiva: il ri­dotto di Cima Valbella-Col d'Echele (29-30 giugno); il Col del Miglio, sul Grappa, il 2 luglio; la zona tra Piave vecchio e nuovo, nella pri­ma settimana di luglio.

 

Le ripercussioni della sconfitta nell'interno della du­plice Monarchia, ove già da mesi andavano crescendo tra le varie nazionalità movimenti secessionisti, furono gravi; la vi­sione, ormai chiara, dello sfacelo militare non fece che affrettare quello politico.

 

L'esercito a. u., tuttavia, si manteneva ligio alla sua tradizionale di­sciplina e fedeltà all'Imperatore. Se ne ebbe la prova anche nelle azio­ni intraprese, durante l'estate: sul Tonale, ad esem­pio, ove un’operazione, diretta alla conquista dei Monti­celli, dovette limitarsi a progressi locali, in gran parte, poi, anch'essi riper­duti (metà agosto) ed in molteplici contrattacchi, tentati per contro dall'avversario, in vari punti della fronte: sul monte Cornone (val Brenta), sul Doss alto di Zurez, allo sbarramento di La Grottella.

 

Gli Alleati avrebbero desiderato che l’esercito italiano passasse al più presto alla controffensiva, per assecondare le operazioni, che si anda­vano svolgendo sulla fronte occidentale; ma sulle decisioni del Co­mando Supremo dovente pesare, in senso negativo, la considerazione che gli effettivi dell'esercito erano piuttosto limitati (era già stata impiegata tutta la classe 1899, che in Francia non era stata ancora chiamata alle ar­mi) mentre non era esclusa la possibilità di dover sostenere un altro anno di guerra.

 

Il gen. Diaz aveva, perciò, progettato d'eseguire un'azione limitata, sugli Altipiani e sul Pasubio, per la riconquista delle Portule e del Col Santo; riservandosi, però, di passare all'offen­siva a fondo, qualora le circostanze lo avessero consigliato.

 

Lo sfondamento del fronte bulgaro e l'andamento favorevole della battaglia in Francia parvero, alla fine di settembre, determinare situa­zione propizia ad una più vasta e decisiva offensiva; senza indugio, quindi, il Comando Supremo diede, il 25 settembre, gli ordini re­lativi alle Armate.

 

Per l'attacco, venne scelto l'angolo Grappa-Pia­ve, af fine di rompere la saldatura del fronte montano austriaco col tratto in pianura e di avvolgere i due tronconi dell'esercito avversario.

 

L'azione ebbe inizio il 24 ottobre, anniversario di Caporetto. Prima ad attaccare fu l'Armata del Grappa (gen. Giardino). Per la sera del 24 era stato predisposto il passaggio del Piave, ma un improvvisa piena del fiume ritardò il passaggio di due giorni. La 4a Armata, quindi, si trovò a dover sostenere da sola il peso della battaglia per tre giorni. Durante quelle aspre e sanguinose giornate, l'esercito a. u. dimostrò, fino all'ultimo, la sua ferma volontà di difendersi, ad ogni costo: aggrappandosi tenacemente al terreno e contrattaccando con impeto, riuscì a contendere passo passo il terreno ed a riprendere, quasi sempre, quello che era costretto a cedere. Così, dopo tre giorni di lotta, alle nostre fanterie non rimase altra conqui­sta che il Pertica, più volte perduto e ripreso; e perfino il mattino del 29, quando ormai il Piave era stato varcato ed ogni speranza per l'Austria per­duta, l’esercito imperiale trovò ancora la forza per respingere un attacco all'Asolone ed al Col della Berretta.

 

Fin dalla sera del 26, intanto, il Piave era stato passato, e tre teste di ponte si protendevano dalla sponda sinistra: la prima, nella zona di Valdob­biadene (10a Armata italo-francese, gen. francese Graziani) ; la seconda, in corrispondenza della piana di Sernaglia (8a Armata, gen. Caviglia) ; la terza, nella zona di Papadopoli (12a Armata italo-inglese, gen. conte di Cavan).

 

Con tenacia, tuttavia, gli austro-ungarici cercavano di impedire che l’offensiva dilagasse sull'altra sponda, mentre una piena imponente del fiume ed il mancato getto dei ponti sul fronte dell'VIII Corpo d'armata (Montello) pone­vano in gravi difficoltà i reparti italiani.

 

Il giorno 28, però, mediante un'ardita manovra ordinata dal Comando dell'8a Armata (per la quale un Corpo d'armata di riserva, il XVIII, fu fat­to passare al di là sui ponti della 12a Armata, e risalendo la sponda sini­stra del fiume minacciò sul fianco il nemico che resisteva sulle alture di Cornigliano) la crisi poté essere superata. Gettati tutti i ponti, tutto il resto delle truppe potè essere lanciato al di là, costringendo gli austriaci a ri­piegare sulla seconda linea di difesa.

 

Il 30 entrò in azione, a sud, anche la 3a Armata (Duca d'Aosta) ; il giorno dopo, anche il Corpo di cavalleria, (Conte di Torino), si lanciava all’inseguimento del nemico.

 

Il 2 novembre, infine, passarono all'attacco dal Tonale la 7a Armata (gen. Tassoni), e passata in val Vermiglio, risaliva quindi rapidamente al Passo della Mendola e puntava su Bolzano; mentre la 1a (gen. Pecori Giraldi) in val Lagarina, sfondati gli sbarramenti austriaci di Serravalle, raggiungeva la sera del 2 Rovereto, e nelle prime ore del pomeriggio del 3, Trento.

Quasi nella stessa ora, reparti italiani sbarcavano a Trieste.

 

I resti dell’esercito austro-ungarico cercavano tumultuosamente di raggiungere la frontiera. La guerra era vinta.

 

Già dal 29 ottobre erano iniziate trattative d'armistizio; questo venne firmato, nel pomeriggio del 3 novem­bre a Villa Giusti, presso Padova, con decorrenza dalle ore 15 del giorno successivo.

 

 

 

Fronti minori

 

Fronte balcanico

Alla metà di giugno, nel Comando delle forze interalleate d'Oriente, al gen. Guillaumat era successo il gen. Franchet d'Esperey che realizzò l'offensiva progettata dal suo predecessore.

 

Il 15 settembre tre divisioni (due francesi ed una serba) attaccavano nel tratto Dobropolje-Sokol, col concetto di separare le forze bulgaro-tede­sche della regione Vardar-Struma da quelle di Monastir. Il nemico, sor­preso, cedette rapidamente; truppe inglesi ed italiane intervennero, quindi, ad allargare il successo. Il 26 settembre, il generale bulgaro Teodoroff chie­deva al gen. Franchet d'Esperey l'armistizio, ed alla fine del mese la Bul­garia capitolava, lasciando aperta la via per attaccare l'Austria-Unghe­ria dal Danubio, mentre re Ferdinando abdicava in favore del figlio Boris.

 

L'esercito alleato, intanto, continuava la sua marcia attra­verso la Serbia liberata, e le truppe del contingente italiano, staccatesi da Monastir, coprivano un percorso di oltre 350 chilometri, fino al Danubio, attraverso una zona montuosa, difficilissima e priva di risorse. Ad Elbas­san, le avanguardie alleate si congiungevano, il 7 ottobre, con le truppe ita­liane d'Albania, le quali, dopo avere con lunga e tenace offensiva, iniziata alla metà di luglio, ricacciato il nemico dal massiccio della Malakastra ed ol­tre il Semeni, lo avevano poi vittoriosamente inseguito fino a Tirana e Durazzo. Il 31 ottobre fu occupata Scutari, il 4 novembre Antivari.

 

 

Asia Minore

Dopo una brillante vittoria sui Turchi, il generale inglese Marshall rag­giungeva, alla fine di marzo 1918, Bagdad, proseguendo l’offensiva ver­so Mossul.

 

Nel settembre, quasi contemporaneamente all'offensiva inglese in Palestina, l'Armata di Mesopotamia si spingeva su Kirkuk (24 ottobre) e, dopo una battaglia di sei giorni, costringeva alla capitolazione le forze tur­che ed il 3 novembre entrava a Mosul.

 

Il giorno precedente, era stato firmato, a Mudros, l'armistizio, che poneva fine alle ostilità.

 

Intanto dopo la presa di Gerusalemme il gen. Allemby aveva conti­nuato la sua marcia verso nord, occupando Rafaat, Gerico ed altre impor­tanti località. Quindi, il fronte si stabilizzò, per qualche tempo.

 

Il 19 settembre 1918, gl'inglesi ripresero l'offensiva. L'attacco princi­pale fu sferrato tra Rafaat ed il mare. In poche ore, i turchi furono som­mersi e costretti alla ritirata. Il 21, gl'Inglesi occuparono i passaggi sul Giordano. Ai turchi, con la via di ritirata tagliata verso nord; non rimase che gettarsi ad ovest, dove le truppe arabe, comandate dall'Emiro Faisal, ne completarono l'eccidio.

 

Il 1° ottobre, il gen. Allemby entrava a Damasco, il 27 ad Aleppo, mentre una squadra francese si era ancorata il 7 a Beirut. La Siria, così, era comple­tamente in mano degli Alleati.

 

 

 

Guerra marittima

 

Il 1918 vide il fallimento della campagna sottomarina, sulla quale la Germania aveva fondato tante speranze. Da una parte, diminuiva rapi­damente il numero delle perdite; dall'altra cresceva quello dei sottomarini affondati. In luogo dei due milioni di tonnellate e più di naviglio, affon­dati nel primo trimestre del 1917, nel periodo corrispondente del 1918 non ne furono persi 950.000, non ostante l'intensificato traffico interalleato.

 

Un'operazione molto importante, compiuta dalla flotta inglese, fu l'im­bottigliamento delle basi navali di Zeebrugge (22-23 aprile) e di Ostenda (9-10 maggio) rendendo pressoché inutilizzabili due fra le più impor­tanti basi dei sommergibili tedeschi.

 

Due ultimi colpi furono inferti anche alla marina austriaca: il pri­mo del comandante Rizzo che, alla vigilia della battaglia del Piave, affrontò, con una sezione di MAS, una divisione austriaca, diretta all'attacco del canale di Otranto, affondando la corazzata Szent Istvan. Il secondo dal maggiore del genio navale Raffaele Rossetti e del capitano medico della R. Marina Raffaele Paolucci, che, penetrati con un mezzo d’assalto nel porto di Pola, la notte dal 31 ottobre al 1° novembre, vi affondavano la corazzata Viribus Unitis.

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