Sintesi del 1917

Il 1917 fu anno di crisi per l'Intesa: dopo la scon­fitta della Romania, l'inasprimento della guerra sottomarina, proclamato dalla Germania nei primi giorni dell'anno; la rivoluzione russa, scoppiata in febbraio; il fallimento della grande offensiva francese in Champagne, a metà di aprile. Ed infine in autunno la sconfitta italiana sull'alto Isonzo, con la conseguente ritirata al Piave.

 

Unico fatto positivo l’intervento degli Stati Uniti, deciso nella primavera; ma questo non poteva convertirsi in un aiuto effettivo ed efficace, che nell'anno seguente.

 

Si presentavano, quindi, all'Intesa giorni difficili da superare; ma, per fortuna, anche gli avversari cominciavano a risentire, in maniera sem­pre più accentuata, della stanchezza per la lunghezza e i sacrifici imposti dalla guerra, della crisi degli effettivi, del desiderio di pace. Durante l'anno, gl'Imperi Centrali non intrapresero grandi operazioni of­fensive, salvo che in autunno, quando il crollo russo permise un'offensiva combinata austro-te­desca sul fronte giuliano.

 

Gli avvenimenti sul fronte italiano furono per l'Intesa una nuova dimostrazione della necessità di meglio coordinare gli sforzi sui singoli fronti e di perfezionare gli accordi presi nelle varie conferenze interalleate; a Rapallo, quindi, ove convennero i rappresentanti degli Stati Maggiori alleati per concretare i provvedimenti da adottare nei confronti della nuova  situazione creatasi in Italia, fu stabilita l'istituzione di un Consiglio su­periore di guerra interalleato e di Comitati finanziari, economici, tecnici; primo passo verso quella piena coordinazione ed unificazione di piani e di direzione, che doveva aversi solo più tardi, sotto la minaccia di nuovi e più gravi avvenimenti sulla fronte occidentale.

 

Erano previste, nell’anno, operazioni di rilievo nei Balcani, che non si poterono effettuare, a causa del crollo russo. In compenso, una più energica azione della Francia e dell'Inghilterra verso la Grecia riuscì ad ot­tenere, l’abdicazione in giugno di Re Costantino, favorevole alla Germania, cui successe Alessandro, che nominò primo ministro Venizelos, favorevole all’Intesa. Mentre verso la fine dell'anno cominciò la mobilitazione dell'esercito gre­co.

 

Questo successo diplomatico, l'intervento degli Stati Uni­ti d'America e la sensibile riduzione degli effetti della guerra sottomarina, alla fine del '17, valsero, senza dubbio, a rialzare le sorti dell'Intesa e ad irrigidirla nei propositi di resistenza e di lotta ad oltranza, così che i tentativi pacifisti dell'Austria e del Papa caddero nel vuoto. La guerra doveva finire, fatal­mente, per l'esaurimento di una delle due parti contendenti.

 

 

 

Fronte occidentale

 

Nella Conferenza interalleata di Chantilly di metà novembre 1916, era stato stabilito di sferrare in primavera offensive contemporanee e risolutive, con la massima sollecitudine, per non essere prevenuti dagli av­versari, com'era avvenuto nel 1916. Ma il Comando tedesco, venuto a cono­scenza dei preparativi, si sottrasse abil­mente all'attacco, ritirando le proprie truppe sulla Linea Sigfrido, precedentemente allestita, devastando tutta la zona interposta tra nuova e vecchia linea e rendendo disponibile, per l'accor­ciamento della fronte così ottenuto, un buon numero di divisioni (metà feb­braio - metà marzo).

 

Fatti rapidamente nuovi preparativi, sempre sotto la direzione del gen. Nivelle, gli Alleati poterono iniziare l’offensiva in Champagne, il 16 aprile; e già dal 9, gl'inglesi attaccarono nel settore di Arras, per fissare il nemico e richiamarvi, possibilmente, riserve.

 

La resistenza tedesca fu dappertutto tenacissima, così che i francesi non poterono ottenere che i consueti vantaggi locali, assolutamente spro­porzionati alle perdite (circa 135.000 uomini). Grave fu la ripercussione del mancato successo nell'opinione pubblica e nell'esercito francese, tra le cui file si manifestò una gravissima depressione morale. A questa pose riparo il generale Pétain, sostituito, d'auto­rità, al generale Nivelle nel Comando in Capo. L'esercito francese, però, rimase pressoché inattivo durante tutto il resto dell'anno, salvo due azioni locali: nel settore di Verdun, che restituì ai francesi il possesso del Mort Homme (20-25 agosto) ed a nord dell'Aisne, per la conquista del forte della Malmaison (23-26 ottobre).

 

Due grandi offensive furono invece effettuate dagli inglesi: Fiandre, iniziata ai primi di giugno, che si protrasse, con pause più o meno lunghe, fino al 10 novembre; costata perdite enormi (circa 450.000 uomini) non com­pensate dai vantaggi conseguiti e nel settore di Cambrai (20 no­vembre) che costituì il primo utilizzo, in grande stile, dei carri armati. Grazie a quali ed al numero straordinario di artiglierie, il fronte tedesco poté essere spezzato per un largo tratto, ma la spinta, non sufficientemente alimentata, fu ben presto arrestata; passati quindi alla controffensiva, i tedeschi riguadagnarono tutto il terreno perduto.

 

 

 

Fronte orientale

 

Scoppiata, alla metà di febbraio, la rivoluzione in Russia, un mese dopo lo zar era costretto ad abdicare; l'esercito andava precipitando ver­so la dissoluzione. Il socialista Kerenski, tentò un'ultima of­fensiva, nel settore Galiziano (1°-19 luglio). I progressi territoriali furono notevoli, ma i tedeschi, fatti intervenire rinforzi dalla fronte occidentale, riuscirono ad annullarli, attaccando, a loro volta, nel settore di Riga, attuando per la prima volta quelle tecniche di attacco rapide e violente, che dovevano, più tardi, dare notevoli suc­cessi sul fronte italiano e franco-inglese. Riga fu presa il 4 set­tembre, il 21 Jacobstadt, e con rapida azione navale, alla me­tà di ottobre furono occupate anche le isole estoni (Dagoë, Oësel e Mohn).

 

Ormai, era vano sperare che l'esercito russo potesse riaversi; il 15 di­cembre, fu segnato a Brest-Litovsk l'armistizio tra la Germania e la Re­pubblica Sovietica, proclamata il 12 novembre.

 

 

 

Fronte italiano

 

Il 12 maggio ebbe inizio la prima offensiva dell'anno sul fronte dell'Isonzo (decima battaglia dell'Isonzo). Il piano d'operazioni del Comando Supremo italiano prevedeva un duplice attacco successivo, con l'intento di espugnare il sistema difensivo a nord e ad est di Gorizia, e di tentare, sull'altipiano Carsico, la conquista dell'Ermada, che sbarrava la via di Trieste.

 

Dopo due giornate di preparazione di fuoco, le nostre fanterie mossero all'attacco e si impossessarono della cortina Kuk-Vo­dice, mantenendola contro tutti i contrattacchi avversari. La vetta del mon­te Santo, raggiunta il 19, fu poi riconquistata dagli Austriaci.

Il 23, si passò alla seconda fase dell'offensiva, sull'altipiano Carsico. Le truppe della III Armata compirono notevoli progressi, a sud di Castagnavizza, espugnando il saliente di Hudi-Log (Bosco Malo), sfondando la linea austriaca passante per Flondar e risalendo le pendici dell'Ermada, fino al villaggio di Medeazza. Gran parte dei vantaggi conseguiti, però, furono persi, col poderoso contrattacco austriaco del 3 giugno.

 

Mentre il Comando Supremo italiano preparava un secondo e più vasto urto offensivo sul fronte Giuliano, il 10 giugno faceva iniziare dalla VI Armata (unità di nuova formazione, che aveva assunto il settore degli Altipiani, già tenuto dalla I Armata) un'azione diretta a riconquista­re parte della catena montuosa interposta tra l'altipiano di Asiago e la val Brenta, fino al costone delle Portule, e ad accorciare quel tratto di fronte. L'attacco ebbe dapprima un parziale successo, con la conquista dell’Ortigara, (19 giugno) sul quale gli Alpini si mantennero per più giorni, respingendo continui contrattacchi avversari e subendo per­dite molto gravi; ma il giorno 25, gli Austriaci, ricevuti ingenti rinforzi, riu­scirono a rientrare in possesso della contesa posizione.

 

Il 18 agosto, invece, l'attacco principale fu lanciato nel tratto tra Tolmino e Gorizia, col concetto di giungere, attraverso l'altipiano della Bainsizza, a quello di Ternova, intercettando così le comunicazioni tra Tolmino e Go­rizia che si svolgevano per il vallone di Chiapovano, e di esercitare anche, una forte pressione da sud sulla testa di ponte di Tolmino. La III Armata, inoltre, doveva cercare, ancora una volta, di rimuovere le difese che bloccavano la nostra estrema destra.

 

Passato il fiume tra Doblar ed Anhovo, le truppe della II Armata (generale Capello) infransero le prime linee di difesa austriache sulla sinistre di esso; poi, con un'abile manovra avvolgente dalla destra (XXIV e II Cor­po d'armata) abbatterono, ad uno ad uno, i capisaldi difensivi dell'altipia­no, spingendosi fino quasi all'orlo di esso, affacciante sul vallone di Chia­povano. Ma la mancata azione del XXVII C. d'a. sulla sinistra, la stanchezza delle truppe, il difetto di riserve fecero si che l'avversario, ricevuti rinforzi, riuscisse a fermare l’avanzata.

 

Sul Carso anche questa volta furono compiuti notevoli progressi, e le fanterie italiane poterono raggiungere ancora le pendici dell'Ermada e risa­lirle per qualche tratto; un contrattacco avversario, il 4 settembre, le riso­spinse in basso, nella palude del Lisert.

 

Pur senza aver conseguito vantaggi strategici, il nostro esercito aveva compiuto, con queste tre successive offensive, uno sforzo formidabile, su­bendo la perdita di oltre 300.000 uomini; innegabilmente si era raggiunto lo scopo di tenere impegnate sulla nostra fronte tutte le forze di cui poteva disporre l'esercito avversario e di logorarle in modo tale, che il Comando austriaco, preoccupato di una nuova offen­siva italiana, si vide costretto a sollecitare l'aiuto tedesco.

 

Il 24 ottobre, una forte Armata austro-tedesca (11 divisioni) al coman­do del gen. tedesco von Below, attaccava il tratto di fronte tra Plezzo e Tolmino, da Hindenburg giudicato « il più manifestamente debole ». Gli avversari colsero un successo rapido a determinare il quale concorsero molteplici elementi: l'eccezionale violenza dell’attacco attacco, ed il sistema nuovo di esso (quello già esperimentato dai Tedeschi a Riga); la debolezza intrinseca delle nostre linee in quel tratto di fronte ed il dominio assoluto che su di esse avevano le posizioni avversa­rie; le condizioni particolari, in cui si svolse, nell'imminenza dell'offensiva nemica e durante la prima fase di essa, l'azione dei nostri Comandi.

 

Decisa, sotto la pressione degli avvenimenti, la ritirata venne attuata prima sul Ta­gliamento e poi sul Piave. Il 9 novembre il Comando dell'eser­cito passava da Cadorna a Diaz, già Coman­dante di un Corpo d'armata sul Carso.

 

Al termine della ritirata l’esercito italiano venne a trovarsi schierato su una linea, più breve rispetto alla precedente di circa 200 km., che, rimasta immutata dallo Stelvio ad Asiago, saldava, al monte Grappa, il tratto mon­tano con quello che, seguendo il corso del Piave, giungeva fino al mare.

 

Contro questa, le truppe austro-tedesche urtarono più volte, tra il 10 novembre ed il 25 dicembre, con particolare accanimento sull’altipiano di Asiago e sul Grappa, ma, pur cedendo terreno, le truppe italia­ne, seppero ritrovare vigore e sbarrare all'avversario gli ultimi diaframmi montani che proteggevano la pianura veneta. Particolarmente violenti furono gli attacchi austriaci del 22 novembre e del 4 dicembre, sugli Altipiani, e quelli austro-tedeschi, del 15 novembre e dell'11 dicembre, sul Grappa.

 

Sul Piave, reparti austriaci riuscirono a traghettare il fiume, il 12 no­vembre, ed a costituire una piccola testa di ponte nell'ansa di Zenson, a stento mantenuta per qualche settimana.

 

L'esercito italiano, così, aveva trovato da solo la via della salvezza; è da ricordare, infatti, che se, con lodevole sollecitudine, erano scese in Ita­lia undici divisioni alleate per sostenere il nostro esercito in ritirata, nes­suna di esse, però, venne impiegata in linea se non quando l'offensiva ne­mica era ormai esaurita.

 

 

 

Fronti minori

 

Balcani

Le forze dell'Intesa dislocate a Salonicco non intrapresero nell’anno soltanto operazioni locali. Gli avversari, invece, tentarono ripetuti attacchi, sempre respinti, specialmente a quota 1050, presidiata da truppe italiane.

 

Anche nel settore albanese non si ebbero che azioni locali; da ricordare, l'occupazione di Ersek (12 febbraio) che consentì l’unione tra le forze albanesi e macedoni.

 

Mesopotamia

Gl'inglesi organizzarono, sulla fine del 1916, una seconda campagna in Mesopotamia, affidandone il comando al generale Maude. Questi, operando sulle due sponde del Tigri, costrinse i turchi ad una rapida ritirarsi verso Bagdad, ed il 26 febbraio rientrava in Kut-el-Amara. Gl’inglesi si spinsero ancora per una settantina di chilometri a nord, arrestandosi ad Aziziè, per riordinarsi e rifornirsi; ripresero, quindi, la marcia su Bagdad, che occuparono l'11 marzo. Questa bella vittoria, che coronava un’avanzata nel deserto di 180 chilometri, in quindici giorni, an­nientava tutte le speranze di tedeschi e turchi in Oriente e nell'Islam.

 

Alla fine di ottobre gl'Inglesi ripresero le operazioni, dirigen­dosi verso Mossul, capitale dell'alta Mesopotamia, anche per congiungersi con le truppe russe, operanti in quella regione.

 

A fine dicembre, avevano raggiunto Kara-Tepé (120 chi­lometri a nord di Bagdad) quando sopravvenne la morte del generale Maude, colpito da febbri maligne, cui successe il generale Marshall.

 

Armenia

Nell’anno il fronte rimase pressoché stazionario; in Persia, invece, i russi discesero dagli altipiani verso la Mesopotamia, per congiungersi con l'Armata anglo-indiana. Battuta una divisione turca al passo di Bissoutoun (frontiera tur­co-persiana) il generale Baratoff, nella prima quindicina di marzo, arrivò in vista delle avanguardie inglesi, mentre una colonna, avanzante più a nord, occupava Soulémanié in direzione di Mossul. La rivoluzione troncò, come altrove, le operazioni russe.

 

Palestina

Le forze turche, che, dopo la vittoriosa campagna del gen. Murray, ritiratesi sulla linea Bir-Seba-Gaza, a sud del mar Morto, furono nuovamente attaccate dagli inglesi, in marzo ed aprile, senza esito. In autunno il nuovo comandante delle forze britanniche, generale Allemby, impresse rinnovato vigore alle operazioni, deciso ad en­trare in Gerusalemme. Alla fine d'ottobre, superato, con un'abile manovra di cavalleria, il forte punto d'appoggio di Bir Seba, forzava le linee turche, si impadroniva anche di Gaza (6 novembre) e di Giaffa (17 novembre) tagliando le comunicazioni di Gerusalemme col mare. La città capitolava il 9 dicembre, ed il giorno seguente, vi entravano solennemente i contingenti alleati, dei quali faceva parte anche un piccolo distacca­mento italiano.

 

 

 

Guerra marittima

 

Nel mare del Nord, teatro principale della guerra marittima, non si ebbero scontri importanti, dato il sottrarsi della flotta tedesca. Durante la primavera, flottiglie leggere, talvolta in coincidenza con incursioni aeree, eseguirono qualche attacco di sorpresa sulle coste inglesi e francesi, con scarsissimi risultati. Mentre da parte inglese, in maggio e giu­gno, si rispose con attacchi combinati, terrestri e per navali, alle basi di Osten­da e di Zeebrugge.

 

Un'operazione di qualche rilievo fu quella che una squadra tedesca eseguì nell'ottobre, nel golfo di Riga. Debol­mente ostacolata dalla flotta russa, occupò le isole Dagoe, Mohn ed Oesel, acquistando in tal modo il pieno dominio del Baltico.

 

Se la Germania, però, teneva quasi del tutto inoperosa la sua flotta d'alto mare, tentava di reagire rabbiosamente al blocco dell'Intesa, procla­mando, ai primi dell'anno, l'inasprimento della guerra sottomarina. I risul­tati, nei primi mesi, furono veramente disastrosi per l'Intesa: 540.000 t. di naviglio affondate nel febbraio; 585.444, in marzo; 880.000 in aprile. Ben presto, però, le misure, adottate dagli Al­leati rivelarono la loro efficacia, tanto che le perdite, nei mesi seguenti, seguirono una curva discendente (il minimo, di 280.000 t, si ebbe in novembre) mentre la guerra sottomarina alienava alla Germania le simpatie dei neutrali e determinava l'intervento in guerra degli Stati Uniti d'A­merica.

 

Per quel che riguarda la flotta italiana, è da ricordare che fra la seconda metà del 1916 ed il 1917 ebbero inizio, da parte di audaci ufficiali, tentativi di violazione dei porti nemici, mediante i MAS: imbarcazioni leggere, di naviga­zione e fabbricazione nazionale. Tra essi ricorderemo i capitani di corvetta Costanzo Ciano e Mario Pellegrini, i tenenti Gravina, Berardinelli e Pagano, il martire triestino tenente Nazario Sauro (catturato dagli Austriaci, in occasione dell'incagliamento del sommergibile Pullino, e giustiziato a Pola), il tenente di vascello Luigi Riz­zo, che nella notte dal 9 al 10 dicembre, penetrava, con una sezione di MAS, nel porto di Trieste, e vi silurava la corazzata Wien.

Infine, dopo la ritirata sul Piave, la Marina assunse validamente anche la dife­sa di Venezia.

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