Sintesi del 1916

La necessità di coordinare lo sforzo bellico rese necessarie conferenze tra i Capi politici e militari dell'Intesa (Chantilly, 6-8 dicembre e 12 marzo). In esse fu stabilito di sferrare offensive concomitanti, in primavera, ma tali piani furono prevenuti e sovvertiti dall'iniziativa avversaria: i Tedeschi sferrarono un’offensiva contro Verdun, nel febbraio; gli Austriaci in Trentino, nel maggio.

 

Entrambe si risolsero, però, in un duplice insuccesso. All'azione contro Verdun i Franco-Inglesi risposero con la battaglia della Somme, con la quale, pur non riuscendo a conseguire gli obiettivi prefissi, essi otten­nero un ulteriore, grave logoramento delle forze tedesche: all'offensiva in Trentino, Cadorna contrappose la vittoriosa azione contro Gorizia.

Nel frat­tempo, le Armate russe del sud avevano inflitto una sconfitta gravissima all'esercito austro-ungarico, in Galizia.

 

Questi successi in­dussero la Romania a schierarsi al fianco dell’Intesa. Pur­troppo, però, gl'Imperi Centrali poterono aver ragione, con una rapida e decisa manovra, della carente preparazione di quella nazione.

 

Così, l'anno 1916, che aveva favorito il nascere delle migliori speranze sui campi dell'Intesa, si chiuse con un insuccesso doloroso, non privo di conseguenze.

 

Sotto l'impressione degli avvenimenti sul fronte occidentale e su quello italiano, gl'Imperi Centrali adottarono il principio del Comando unico. Sostituito al gen. Falkenhayn, nel posto di Capo di Stato Maggiore tedesco, il maresciallo Hindenburg (affiancato dal generale Ludendorff) l'esercito austriaco fu posto sotto la direzione di quello tedesco, se pure mediante il correttivo di un Comando generale austro-tedesco, deferito all'Imperatore Gu­glielmo.

 

Anche nel Comando francese si ebbe, sul finire dell'anno, un importante cambiamento negli alti comandi: al gen. Joffre successe nel Comando in Capo il giovane generale Nivelle.

 

In Austria, morto il vecchio Imperatore Francesco Giuseppe (21 no­vembre) salì al trono il giovane e debole Arciduca Carlo.

 

 

 

Fronte occidentale

 

L'offensiva tedesca contro Verdun ebbe inizio il 21 febbraio. In un pri­mo periodo, fino al 4 marzo, l'azione si svolse solo sulla riva destra della Mosa, dove i francesi perdettero le tre prime linee di difesa. Ciò non ostan­te, anche per l'impulso dato alla difesa del gen. Pétain, chiamato ad assu­merne la direzione, i francesi irrigidirono la resistenza.

Anche nel se­condo periodo, in cui la lotta si estese all'altra sponda della Mosa, i tede­schi non riuscirono a cogliere il successo decisivo; e la lotta andò assu­mendo un carattere di usura.

 

Nella terza fase (maggio-giugno), i francesi, pur perdendo altre posi­zioni importanti, quali il forte di Vaux e Fleury, sferrarono violenti contrat­tacchi, con i quali riguadagnarono qua e là terreno. La lotta si risolse, infine, in operazioni locali; al principio dell'autunno, i francesi avevano riconquistato gran parte delle posizioni perdute.

 

Il 1° luglio, intanto, era incominciata la battaglia della Somme, il cui ini­zio fu molto promettente per gli Alleati, ma poi la lotta assunse an­che qui la fisionomia delle precedenti offensive: attacchi rinnovati, ad in­tervalli più o meno lunghi, ed infranti dopo penetrazione, in genere limi­tata, nel schieramento avversario; scarsi guadagni territoriali pagati con perdite enormi. Se la Germania aveva sacrificato alcune delle sue migliori divisioni nel carnaio di Verdun, i Franco-Inglesi, quando, nel novembre, la battaglia della Somme si andò spegnendo, avevano perduto non meno di mezzo milione di uomini.

 

 

 

Fronte italiano

 

Conformemente alle decisioni prese a Chantilly, ed allo scopo di impedire eventuali spostamenti di forze austriache verso il fronte occidentale, il Co­mando Supremo italiano, allorché i Tedeschi iniziarono l'attacco contro Verdun, ordinò alle Armate dell'Isonzo (IIe III) un'azione impegnativa, che fu iniziata l'11 marzo. Ad essa il nemico reagì con at­tacchi locali, nei settori di Tolmino e di Gorizia, che diedero luogo a com­battimenti vivacissimi ed a qualche lieve rettifica delle linee.

 

Anche nel settore montano nei mesi primaverili l’attività delle truppe italiane si mantenne molto viva. Tra le azioni più importanti: la conquista di monte Collo, in Val Sugana (4 febbraio), l'espu­gnazione del Passo della Sentinella, nell'alta val Padola (16 aprile); l'occu­pazione del Col di Lana, previo lo scoppio di una poderosa mina sotto la vetta, (18 aprile) ed infine una serie di operazioni, eccezionalmente ardite ed ardue, nell'elevatissimo settore dell'Adamello (12 aprile - fine maggio) che ci diedero il possesso di due successive linee di difesa avversarie.

 

Il 15 maggio ebbe inizio la grande offensiva austriaca in Trentino. Pri­ma ad attaccare, dopo una formidabile preparazione di artiglieria, fu XI Armata a. u., sull'altipiano di Folgaria; il giorno 20, passò all'attacco anche la III Armata, sull'altipiano di Asiago. Sotto la forte pressione avversaria, le truppe della I Armata italiana dovettero cedere dappertutto terreno; ma ben presto l'offensiva, contenuta decisamente alle ali, in Val Lagarina ed in Val Sugana, venne ad urtare contro una barriera, ogni giorno più salda, che per il Pasubio ed il Novegno si saldava alla linea di alture, che con­torna a sud e ad est l'altipiano di Asiago. Mentre la V Armata veniva rapidamente concentrata nella pianura veneta, per affrontare il nemico, qualora fosse riuscito a rompere gli ultimi diaframmi alpini. Questa even­tualità, però, non si avverò. Il 25 giugno, premuto dalla nostra controffen­siva (iniziata fin dal 16) e preoccupato dagli avvenimenti in Galizia, il Comando Supremo a. u. ordinava la ritirata sopra una linea, precedentemente scelta ed apprestata a difesa, contro la quale poco poterono i ripetuti attacchi italiani.

 

Mentre la lotta si andava spegnendo in Trentino, il generale Cadorna ordinava un rapido concentramento di forze sull'Isonzo, ed il mattino del 6 agosto la III Armata attaccava con decisione, sorprendendo il nemico, il campo trincerato di Gori­zia. Dopo tre giorni di aspra battaglia, la città fu conquistata, mentre e sull'altipiano Carsico, perduto il San Michele, il nemico fu costretto a ripiegare oltre il Vallone.

 

Con tre successive spallate, quindi — VII battaglia dell'Isonzo (14-16 settembre), VIII (9-12 ottobre) e IX (31 ottobre-4 novembre) — la nuova linea avversaria sul Carso fu notevolmente intaccata e perdette i capisaldi del Pecinka, del Veliki-Hrib e del Faiti; la zona d’occupazione italiana si spinse fino al meridiano di Castagnavizza.

 

Contemporaneamente a queste operazioni sull'altipiano Carsico, si svol­sero anche importanti azioni nella zona montuosa: sul Pasubio e sulle. Alpi di Fassa. Con le prime, si riconquistò parte del terreno perduto nell'offen­siva di primavera, allargando il respiro alla nostra occupazione del Pasu­bio, specialmente sul costone e sul pianoro della Lora; con le seconde, fu­rono conquistate importanti posizioni nelle valli Travignolo e Vanoi, (i passi di Colbricon e di Rolle, la cima Cavallazza, il monte Cauriol, la cima Cardinal e la Busa Alta) portando una diretta minaccia alle valli triden­tine di Fassa e di Fiemme.

 

 

 

Fronte orientale

 

Anche i Russi fornirono un aiuto indiretto agli Alleati occidentali, così duramente impegnati a Verdun; ma l'attacco, da essi ini­ziato il 12 marzo nel settore di Kovno, non conseguì vantaggi apprezza­bili, anche perché il disgelo precoce rese pressoché impraticabile la regione paludosa intorno al lago Naroz.

 

Assai più considerevoli furono i risultati dell'offensiva sferrata dal Gruppo delle Armate del sud (gen. Brussiloff) contro le linee austriache in Ga­lizia; l'attacco, iniziato il 4 giugno, investì le ali austriache: verso Lutzk e sul Dniester. L'avanzata russa fu addirittura travolgente; in pochi giorni gran parte della Bucovina fu di nuovo invasa: Czernowitz, Kolomea, Kimpolung prese; circa 400.000 prigionieri catturati; i Carpazi minacciati.

 

Con l'aiuto di rinforzi tedeschi e turchi, la spinta russa poté essere contenuta; tuttavia, con una ripresa offensiva, nella seconda metà di luglio, i Russi poterono estendere ancora la loro occupazione in Galizia ed in Bu­covina e raggiungere i Carpazi. Per le energiche disposizioni prese da Hin­denburg, ma sopratutto per la stanchezza e la deficienza di munizioni dell'esercito russo, l'offensiva si esaurì in settembre, proprio quando en­trava in azione la Romania.

 

Questa, dichiarata la guerra il 27 agosto, gettò subito il suo esercito al valico delle Alpi Transilvaniche; superata la resistenza delle deboli forze di copertura, le forze rumene dilagarono in pianura. Ma ai primi di set­tembre, Mackensen moveva all'attacco della Dobrugia con un forte nerbo di truppe bulgaro-turco-tedesche, avanzando rapidamente fino alla ferrovia Costanza-Bukarest; qualche giorno dopo un'armata austro-tedesca, al coman­do del generale Falkenhayn, marciava sulla sinistra dell'esercito rumeno, in Transilvania. Il disastro apparve inevitabile, né la precipitosa ritirata dei rumeni valse ad impedirlo; battuto, alla fine di settembre, nella batta­glia di Sibiu o Hermannstadt e premuto quindi dalle due masse avversa­rie, congiuntesi il 26 novembre, l'esercito rumeno combatté sull'Argesul la batta­glia per la difesa della capitale (3-4 dicembre) ma anche questa fu occupata dal nemico, ed il Governo costretto a cercare un rifugio a Jassy, in Moldavia.

 

Alla fine dell'anno, l'esercito rumeno aveva perduto oltre un terzo dei suoi effettivi e quasi tutto il suo armamento, ed aveva dovuto raccogliersi sul breve fronte fra il Sereth, i Carpazi e la foce settentrionale del Da­nubio. La coalizione avversaria aveva potuto, così, eliminare dalla lotta il nuovo nemico ed occupare un territorio ricco di risorse e utilissimo per le comunicazioni con l'Oriente.

 

Per cercare di prestare in qualche modo aiuto, per quanto indiretto, alla Romania, l'esercito alleato di Salonicco, cui si era aggiunta nell'agosto la 35a divisione italiana, il 12 settembre passò all'attacco dal Vardar al Lago di Ostrovo, ma purtroppo il contributo fu quasi nullo, perché le operazioni dell'esercito d'Oriente, per le difficoltà del terreno, le intemperie sopravvenute nell'ottobre ed anche per l'am­bigua politica della Grecia, che manteneva segrete intese con il nemico, ebbero un ritmo lento ed inceppato. In un primo periodo, tuttavia, respingendo i Bulgari da Florina, fu di gran lunga migliorata la situazione strategica della base alleata in Oriente, e nel novembre si poté occupare la capitale della Macedonia, Monastir, mentre truppe italia­ne avanzavano, combattendo; nell'ansa della Cerna, dove poi furono la­sciate a presidiare il difficile settore di quota 1050, che valorosamente di­fesero, per 26 mesi, contro ripetuti contrattacchi avversari.

 

Un accenno meritano, infine, le operazioni delle truppe italiane in Al­bania. Il 23 febbraio gli Austriaci, ch'erano riusciti a occupare, dopo la Serbia, anche il Montenegro, attaccarono Du­razzo, ove gl'Italiani avevano creato una base, per raccogliere ed imbar­care i resti dell'esercito serbo. Sotto la pressione nemica, Durazzo fu sgom­berata tra il 25 e 26 febbraio, e le truppe si raccolsero a Va­lona, ove fu costruito e rafforzato un campo trincerato. Di qui i reparti italiani mossero, in agosto, per occupare quasi tutta l’Albania meridionale e località dell'Epiro (Tepeleni, Argirocastro, Santi Quaranta).

 

 

 

Fronti minori

 

In Asia Minore, il Granduca Nicola, ch'era stato inviato, dopo aver la­sciato il Comando in capo dell'esercito russo, ad assumere le operazioni in quel lontano settore, predispose, in pieno inverno, un grande attacco alla piazza di Erzerum. Dopo cinque giorni di poderosi attacchi la piazza capitolò il 16 febbraio, con molte migliaia di prigionieri e 300 cannoni. Non ostante le difficoltà enormi di clima e terreno, i russi proseguirono quindi nella vittoriosa avanzata, ed alla metà di aprile si impadronirono di Trebisonda, base principale dei turchi in Armenia.

 

Contemporaneamente, altre forze russe, al comando del generale Bara­toff, operavano in Persia, occupando anche colà importanti località e cer­cando di unirsi alle truppe inglesi, che risalivano la valle del Tigri, in direzione di Bagdad.

 

Grazie a rinforzi ricevuti al principio dell'estate, dopo il fallimento dell'azione dell'Intesa nei Dardanelli, i Turchi, alla fine di giugno passa­rono alla controffensiva. I Russi poterono mantenere i loro vantaggi all'ala destra, ove occuparono, anzi, la città di Erzinghian (25 luglio) ma al centro ed alla sinistra furono costretti a ripiegare, anche per riflesso di un grave scacco toccato dagl'Inglesi in Mesopotamia. Qui il generale Townsend, che dopo la sconfitta di Ctesifonte si era chiuso in Kut-el-Amara, fu costretto, dopo centoquarantatrè giorni di assedio, a capito­lare, consegnando ai Turchi circa diecimila uomini, ma avendo distrutto tutte le armi e le munizioni.

 

Notevoli successi, per contro, conseguì il generale Murray, in Siria, riu­scendo a battere più volte i Turchi in aspri combattimenti ed impadro­nendosi, alla fine dell'anno, di El-Arish e di Rafa. Così all'inizio del 1917, le forze turco-tedesche erano espulse dal territorio egiziano, la penisola del Sinai riconquistata ed il canale di Suez liberato da ogni minaccia.

 

 

 

Guerra marittima

 

L'avvenimento più importante sul mare fu la battaglia dello Jutland (31 maggio), tra le flotte inglese e tedesca. La squa­dra inglese incrociava quel giorno al largo di Helgoland; una poderosa avanguardia, al comando dell'ammiraglio Beatty, vincitore di Dogger Bank, precedeva il grosso al comando dell'ammiraglio Jellicoe, Coman­dante in capo della R. Marina britannica.

 

Analogamente la flotta tedesca, uscita quella mattina dalle basi di Cux­haven e di Wilmenhafen, constava di una squadra d'incrociatori da bat­taglia e di incrociatori leggeri, al comando dell'ammiraglio Hipper, che pre­cedeva il grosso, agli ordini del comandante in Capo, ammiraglio Scheer.

 

La battaglia, iniziò verso le ore 14,30 del 31 e proseguì fino alla notte, con esito incerto; con entrambe i contendenti che proclamarono di aver vinto. La flotta tedesca riportò i danni più ingenti (19 unità perdute e 17 danneggiate contro 14 navi inglesi affondate ed 11 danneggiate).

 

Salvo un'altra sortita, tentata il 20 agosto 1916, la flotta tedesca non uscì più dalle sue basi; sul mare la Germania non osò più sfidare i suoi po­tenti avversari, se non con la lotta sottomarina, che nel 1916 fu ancora ina­sprita. Le cifre del tonnellaggio perduto dalle marine degli Stati dell'In­tesa salirono in un modo impressionante; da 190.000 tonnellate nel mese di agosto, si passò a 350.000 in dicembre.

 

Anche le marine da guerra subirono danni notevoli sia per l'opera dei sottomarini sia per gli sbarramenti di mine. Tra le unità di maggiore im­portanza affondate: le corazzate francesi Suffren, Gaulois, Amiral Charner, gl'incro­ciatori inglesi Arethusia e Russel, tutti affondati da sottomarini; le co­razzate italiane Regina Margherita, per urto contro mine nella rada di Valona, e Leonardo da Vinci, fatta saltare, nel mar Piccolo di Taranto, ad opera di spie.

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