I quattordici punti di Wilson

I 14 PUNTI DI WILSON
8 gennaio 1918

 

[…] Noi siamo entrati in questa guerra a causa delle violazioni del diritto che ci riguardano direttamente e rendono im­possibile la vita del nostro popolo a me­no che non siano riparate e il mondo sia assicurato per sempre che non si ri­peteranno. Perciò, in questa guerra, non domandiamo nulla per noi, ma il mon­do deve esser reso adatto a viverci; e in particolare deve essere reso sicuro per ogni nazione pacifica che, come la nostra, desidera vivere la propria vita, stabilire liberamente le sue istituzioni, essere assicurata della giustizia e della correttezza da parte degli altri popoli del mondo, come pure essere assicurata contro la forza e le aggressioni egoisti­che. Tutti i popoli del mondo in realtà hanno lo stesso nostro interesse, e per conto nostro vediamo molto chiaramen­te che, a meno che non sia fatta giusti­zia agli altri, non sarà fatta a noi. Per­ciò il programma della pace del mondo è il nostro stesso programma; e questo programma, il solo possibile, secondo noi, è il seguente:

 

1° - Pubblici trattati di pace, conchiu­si apertamente, dopo i quali non vi sa­ranno più accordi internazionali privati di qualsivoglia natura; ma la diplomazia procederà sempre francamente e pub­blicamente.

 

2° - Libertà assoluta di navigazione sui mari, al di fuori delle acque territo­riali, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, salvo il caso che i mari siano chiusi totalmente o parzialmente con un'azione internazionale in vista della esecuzione di accordi internazionali.

 

3° - Soppressione, nei limiti del possibi­le, di tutte le barriere economiche e sta­bilimento di condizioni commerciali u­guali per tutte le nazioni che consentono alla pace e si associano per mantenerla.

 

4° - Garanzie sufficienti date e prese che gli armamenti nazionali saranno ri­dotti all'estremo limite compatibile con la sicurezza interna del paese.

 

5° - Composizione libera, in uno spi­rito largo ed assolutamente imparziale, di tutte le rivendicazioni coloniali, fon­data sul rigoroso rispetto del principio che, nel regolare tutte le questioni di sovranità, gli interessi delle popolazioni interessate dovranno avere ugual peso delle domande eque del Governo il cui titolo si dovrà definire.

 

6° - Evacuazione di tutti i territori russi e regolamento di tutte le questioni concernenti la Russia, in guisa da assi­curare la migliore e la più larga coope­razione delle altre nazioni del mondo per fornire alla Russia l'occasione oppor­tuna di fissare, senza ostacoli né imba­razzi, in piena indipendenza, il suo svi­luppo politico e nazionale; per assicu­rarle una sincera accoglienza nella So­cietà delle nazioni libere sotto un go­verno che essa stessa avrà scelto; per as­sicurarle infine il massimo aiuto, qua­lunque possa essere o quale essa po­trebbe desiderare. Il trattamento accor­dato alla Russia dalle nazioni sue sorelle durante i mesi prossimi sarà la pietra di paragone che rivelerà la buona volontà e la comprensione di queste nazioni per i bisogni della Russia, a prescindere dai loro propri interessi e dalla loro intelli­gente simpatia.

 

7° - II. mondo intero sarà d'accordo che il Belgio debba essere evacuato e re­staurato, senza alcun tentativo di limi­tare la sovranità di cui fruisce alla stre­gua delle altre nazioni libere. Nessun atto meglio di questo servirà a ristabilire la fiducia delle nazioni nelle leggi sta­bilite e fissate per reggere le loro reci­proche relazioni. Senza questo atto di riparazione, la struttura e la validità di tutte le leggi internazionali sarebbero per sempre infirmate.

 

8° - Tutto il territorio francese do­vrà essere liberato, e le parti invase do­vranno essere interamente ricostruite. Il torto fatto alla Francia dalla Prussia nel 1871, per quanto concerne l'Alsazia-Lore­na, che ha turbato la pace del mondo per quasi cinquant'anni, dovrà esser riparato affinché la pace possa essere ancora una volta assicurata nell'interesse di tutti.

 

9° - Una rettifica delle frontiere ita­liane dovrà esser effettuata secondo le linee di nazionalità chiaramente ricono­scibili.

 

10° - Ai popoli dell'Austria-Ungheria, di cui desideriamo salvaguardare il po­sto fra le nazioni, dovrà esser data al più presto la possibilità di uno sviluppo autonomo.

 

11° - La Romania, la Serbia, il Mon­tenegro dovranno essere evacuati; saran­no ad essi restituiti quei loro territori che sono stati occupati. Alla Serbia sarà accordato un libero accesso al mare, e le relazioni fra i diversi Stati balcanici dovranno esser fissate radicalmente su­gli amichevoli suggerimenti delle Po­tenze, secondo linee stabilite storicamen­te. Garanzie internazionali di indipen­denza politica, economica e d'integrità territoriale saranno fornite a questi Stati.

 

12° - Alle parti turche del presente Impero ottomano saranno assicurate pie­namente la sovranità e la sicurezza, ma le altre nazionalità che vivono attual­mente sotto il regime di questo Impero devono, d'altra parte, godere una sicu­rezza certa di esistenza e potersi sviluppare senza ostacoli; l'autonomia deve es­sere loro data.

I Dardanelli saranno aperti in perma­nenza e costituiranno un passaggio libe­ro per le navi e per il commercio di tutte le nazioni, sotto garanzie interna­zionali.

 

13° - Uno Stato polacco indipendente dovrà essere costituito, comprendente i territori abitati da nazioni incotestabil­mente polacche, alle quali si dovrebbe assicurare un libero accesso al mare; l'in­dipendenza politica, economica e l'inte­grità territoriale di queste popolazioni saranno garantite da una Convenzione internazionale.

 

14° - Una Società generale delle na­zioni dovrebbe esser formata in virtù di convenzioni formali aventi per oggetto di fornire garanzie reciproche di indi­pendenza politica e territoriale ai piccoli come ai grandi Stati.

 

 

 Il discorso inaugurale del secondo mandato presidenziale di Woodrow Wilson

 

Il discorso inaugurale del secondo mandato presidenziale di Woodrow Wilson. Gli americani approvarono la sua politica isolazionista, volta a tenere gli USA lontani dalla guerra mondiale.

(Foto Credito: Library of Congress)

 

 

PROPOSTE COMPLEMENTARI
12 febbraio 1918

 

1° - Ogni parte del regolamento finale dev'essere fondata sulla giustizia essen­ziale del caso particolare considerato e sulle soluzioni più atte a produrre una pace che sia permanente.

 

2° - I popoli e le provincie non de­vono costituire oggetto di mercato e pas­sare di sovranità in sovranità, come se fossero semplici oggetti o semplici pe­dine di un giuoco, sia pure del grande giuoco, ora screditato per sempre, dell’'equilibrio delle forze.

 

3° - Ogni regolamento territoriale ri­ferentesi a questa guerra dev'esser fatto nell'interesse e a vantaggio delle popola­zioni interessate, e non come parte di un semplice componimento o di un compro­messo di rivendicazioni fra Stati rivali.

 

4° - Tutte le aspirazioni nazionali ben definite dovranno ricevere la soddisfa­zione più completa che possa venir ac­cordata senza introdurre nuovi elementi di discordia o di antagonismo né perpetuarne di antichi suscettibili, col tem­po, di rompere la pace dell'Europa e di conseguenza del mondo.

 

 

 

 

 

IL MINISTRO A BERNA, PAULUCCI,
AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

 

R. 2322/701.  

Berna, 24 settembre 1917.

 

Sul Congresso Internazionale della Pace che dovrebbe aver luogo a Berna nel prossimo mese, la Nette Freie Presse e l'Az Est forniscono informazioni che, da quanto mi si assicura sarebbero esattissime.

 

Nel dubbio che il detto giornale austriaco e quello ungherese non siano ancora giunti a codesto Ministero, trascrivo qui appresso quanto riferiscono         i periodici summentovati: « I congressisti che sarebbero ospiti della Municipalità di Berna si divideranno in sette sottocommissioni. I progetti di risoluzioni sottoposti al Congresso si riferiscono ai punti seguenti:

 

a) Non potrà aver luogo alcuna annessione o cessione di territori contro l'interesse od i voti delle popolazioni. Le rettificazioni di frontiera debbono

essere precedute da un plebiscito;

b) I diritti delle nazionalità, entro i limiti degli Stati, debbono essere garantiti;

c) Protesta contro la guerra economica;

d) Libertà dei mari;

e) Disarmo;

f) Controllo parlamentare della politica estera;

g) Tribunali d'arbitrato obbligatorio. Gli Stati s'impegnano ad iniziare un'azione diplomatica economica o militare contro la Potenza che rifiuterà di sottomettere una vertenza al Tribunale d'Arbitrato o di accettare il parere della Commissione Internazionale d'Inchiesta e di conciliazione e che preferirà ricorrere alle armi;

h) Gli Stati devono mettersi d'accordo per una riduzione degli armamenti

 

L'Az Est nomina come partecipanti al Congresso i delegati seguenti:

 

Germania: il prof. Schucking, i signori Wehberg, Quidde ed Edoardo Bernstein.

Austria: Prof. Lammasch ed il Dr. Fried.

Ungheria: il Conte Karolyi, Monsignor Giesswein, Edoardo Makei, il Dr. Oscar Jasci.

 

Per le Potenze dell'Intesa: i Francesi Romain Rolland, il Dr. Cabba (sic),   G

il Dr. Denys (sic).

Gli italiani: Umani e Colajanni.

Gli inglesi: Ch. R. Buxton, Dr. A. Hobson e K. Williams.

I belgi: Paolo Otlet e H. Lamberg.

Fra i delegati svedesi si dice vi sarà Branting e fra gli olandesi i signori Dressel-Huys, Lowen e Futgers.

 

Da un'intervista accordata da Monsignor Giesswein ad un redattore del Neues Wiener Journal, risulterebbe che il deputato inglese Dickinson parteciperebbe ai lavori del congresso ».

 

 

 Il presidente Woodrow Wilson presenta al Senato la dichiarazione di guerra alla Germania

 

Il presidente Woodrow Wilson presenta al Senato la dichiarazione di guerra alla Germania.

(Credito foto: Bettmann / CORBIS)

 

 

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, MACCHI DI CELLERE,
AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO

 

R. R. 3653/374.         

Washington, 14 dicembre 1917.

 

Con riferimento ai miei telegrammi Gab. n. 262 e n. 267 del 4 e del 10 corrente, mi onoro di trasmettere qui unito il testo integrale del recente messaggio di Wilson al Congresso, il testo della dichiarazione di guerra degli Stati Uniti all'Austria-Ungheria, il resoconto della relativa discus­sione tanto al Senato che alla Camera, e da ultimo il proclama col quale venne determinato lo stato giuridico dei cittadini austro-ungarici in America (allegati 1, 2, 3 e 4).

 

Nel discorso del Presidente, oltre alla più volte enunciata determinazione della nazione americana di vincere la guerra ad ogni costo, due parti emer­gono: la proposta dichiarazione di guerra all'Austria e l'enunciazione dei fini della guerra.

 

La raccomandazione di estendere la guerra al Governo austro-ungarico è commentata da Wilson con la necessità di eliminare un ostacolo che si frappone al conseguimento della vittoria. Nell'ideologia di Wilson la guerra americana è guerra al principio autocratico rappresentato da Berlino e dal militarismo prussiano. Il Governo austriaco non è che uno strumento nelle mani di Berlino, così come lo è il popolo tedesco. A Berlino si appuntarono quindi anzitutto le armi americane. Ma poiché non combattere apertamente anche il Governo austriaco poteva pregiudicare ormai il successo finale, Wilson chiede di por­tare le armi pure contro l'Austria-Ungheria.

 

Abilmente coltivato dagli Imperi Centrali, il disegno vagheggiato da Wil­son era stato fino ad oggi quello di separare l'Austria-Ungheria dalla Ger­mania. Forti ragioni d'ordine interno, onde venisse confermato alla guerra ame­ricana carattere di lotta per la libertà e venissero attenuate a un tempo le opposizioni degli elementi di origine tedesca e dei pacifisti, confermavano Wilson in questo disegno. Perciò questo Governo alla rottura di relazioni dichia­rata all'Austria si era guardato dal rispondere colla dichiarazione di guerra. All'Austria-Ungheria stanca della guerra, insoddisfatta della dominazione prus­siana, divisa internamente per le lotte dei suoi popoli, battuta sul fronte italiano, gli Stati Uniti avrebbero rappresentato al momento voluto la possi­bilità di far pace separata colle potenze dell'Intesa. E colla Germania isolata, la vittoria sarebbe stata sicura e pronta. Per alimentare fino all'ultimo questa illusione gli Imperi Centrali mentre più viva si sferrava l'offensiva austro-tedesca contro l'Italia non esitarono a far diffondere da Copenaghen la notizia che le vittorie sul nostro fronte erano accolte con amarezza in Austria perché tali da ritardare la pace agognata.

 

Le stesse vittorie austriache però, gli avvenimenti russi, la necessità viep­più palese di un'azione coordinata presente e avvenire fra tutti gli alleati, con la conseguente immediata possibilità che le forze degli Stati Untiti potes­sero dover agire nell'Adriatico e sul fronte italiano, sono state altrettante ra­gioni che sorrette dal consenso dell'opinione pubblica hanno indotto Wilson ad uscire dalla più equivoca delle situazioni per schierarsi recisamente contro l'Austria-Ungheria.

 

Il proposito di rincorare lo spirito pubblico italiano e con esso la resi­stenza delle nostre truppe è stato pure un valido coefficiente nella delibe­razione di Wilson. Nella discussione al Congresso il Governo faceva partico­larmente accentuare infatti, a mezzo di parlamentari che v'hanno portato il suo pensiero, la nota delle necessità militari.

 

Dacché però, almeno nella sua parte formale, la guerra americana è guerra al principio autocratico rappresentato dal Governo germanico, così la dichia­razione di guerra odierna è rivolta al Governo e non al popolo d'Austria-Ungheria verso il quale Wilson mostra nel suo messaggio una sollecitudine amichevole pari a quella già dimostrata al popolo germanico. Sollecitudine che vuol essere ancora di lusinga ai governi di Turchia e Bulgaria contro i quali la dichiarazione di guerra non è stata estesa malgrado le pressioni del Con­gresso e dello spirito del paese. A questo riguardo menzionai a V. E. nei citati miei telegrammi il colloquio ch'ebbi con Lansing.

 

La raccomandazione per la dichiarazione di guerra all'Austria-Ungheria, è preceduta nel messaggio presidenziale dalla enunciazione dei fini della guerra. Wilson riprende a questo riguardo il suo messaggio del gennaio scorso, nel quale, dopo essersi riferito all'appello rivolto ai due campi belligeranti perché formulassero i propositi e le mire della lotta e dopo averne enunciate le risposte ricevute, egli espose al Congresso il punto di vista americano nella guerra d'Europa e le condizioni da lui ritenute indispensabili ad una pace durevole nel mondo. Gli Stati Uniti sono entrati da allora anch'essi nel novero dei belligeranti; e come già prima fra i neutri, essi hanno coscienza di pri­meggiare in forza fra gli Stati in contesa. La loro volontà di influire in modo profondo, materialmente e moralmente, sulle sorti della guerra e della pace, è manifesta.

 

Wilson ha parlato in un'ora assai grave per le sorti della guerra, in con­fronto di gravi avvenimenti militari, della defezione russa e delle voci di un minor fervore di lotta serpeggianti nel campo alleato. L'idea primordiale del suo discorso è stata perciò la vittoria ad ogni costo, per il trionfo della libertà e della giustizia; vittoria quindi senza rappresaglie, a pro' dei vincitori e dei vinti; libertà pei popoli di vivere e di organizzarsi secondo ragione e volontà, per la ricostituzione finale del mondo su basi solide ed eque.

 

I fini della guerra s'impostano di tal guisa, nel messaggio presidenziale, così alti e il loro contenuto ne deriva così disinteressato e puro, da eliminare ogni sostanziale opposizione e da cementare unanimità di consensi. Mentre d'altra parte la dichiarazione enfatica della volontà di vincere mira a ravvi­sare fervore di entusiasmo e di propositi in America e nei paesi alleati.

 

Se anche Wilson parli a nome del popolo americano l'obietto del suo di­scorso è l'umanità. E le ideologie tradizionali su cui la nazione americana riposa i propri ordinamenti sociali e politici ed alle quali guarda con fierezza come al proprio patrimonio ideale, improntano profondamente di sé questa parte del messaggio presidenziale. Nel quale la nazione americana, come ma­nifestano i commenti della stampa, trova espressa la propria volontà e di cui si compiace fino a professare di ritenere il discorso di Wilson il portavoce degli ideali e della volontà nonché dell'America, di tutti gli Alleati. Oltre ai denari la libera America ama dare e vuol dare ai paesi europei direttive e ideali.

 

A mò d'applicazione e di esemplificazione delle sue dichiarazioni sui fini della guerra, Wilson chiede nel messaggio odierno la restituzione del Belgio e del nord della Francia; la liberazione dell'Austria, degli Stati balcanici e della Turchia dal potere tedesco; il diritto dei popoli di questi Stati di vivere indipendenti e di prosperare; il libero sbocco al mare per tutte le nazioni, grandi e piccole, amiche e nemiche. E alla Germania assicura che nessun male le sarà fatto, nè che intromissione avverrà nei suoi affari interni e che la si ammetterà nei liberi rapporti del mondo civile se il suo governo dia le volute garanzie di onestà e di rispettabilità. Per rispetto alla Russia, addita fra le cause dei recenti avvenimenti l'inesatta conoscenza dei fini della guerra.

 

La studiata indeterminatezza di siffatte enunciazioni tende ad escludere d'altra parte ch'esse rappresentino qualcosa di rigorosamente definito e di pre­ciso nella coscienza del popolo americano e nella mente di Wilson. È più ragionevole ammettere che pur esprimendo un ordine di pensiero profonda­mente sentito, esse abbiano carattere di espediente politico e mirino essenzial­mente a cementare unità di consensi ed a raccogliere le forze della nazione americana per la lotta comune. Il contenuto pratico che queste stesse enuncia­zioni assumeranno a guerra finita sembra perciò dover essere determinato so­prattutto dagli eventi, dalle circostanze dalle esigenze e dai voleri degli Stati interessati, se anche tutti questi fattori debbano in certa guisa improntarsi a quello ch'è il sistema wilsoniano della guerra.

 

Fra le affermazioni presidenziali sono più specialmente degne di nota nei nostri rispetti quelle che riguardano il libero accesso al mare dell'Austria-Ungheria e il suo diritto di organizzarsi a propria soddisfazione, assieme colla dichiarazione che la nazione americana non intende di menomare né di ingerirsi a riordinare in alcuna guisa l'Impero austro-ungarico. Anche per il fatto che cotali enunciazioni assumono forma alquanto più concreta di altre, il pensiero che esse manifestano sembra contrastare le nostre rivendicazioni adria­tiche. Che se anche Wilson abbia voluto ribadire con esse il concetto che la guerra americana è guerra al principio autocratico e militarista e non alla nazione austriaca, la loro apparizione non richiede meno da parte nostra, avvisata opera in difesa delle nostre finalità e dei nostri diritti.

 

Le rivendicazioni italiane nell'Adriatico non possono dirsi ancora intera­mente apprezzate qui al loro giusto valore. Nel faticoso lavoro che questo paese sta compiendo per penetrare nel pensiero europeo e per familiarizzarsi colle poste politiche del gran giuoco che si svolge in Europa, molte idee sono ancora imperfettamente conosciute e molti dati sono tuttora mal valutati. All'epoca della nostra entrata in guerra quando l'America era neutrale, la stampa e la propaganda tedesca si sforzarono di far apparire la nostra azione mossa da sentimenti egoistici di tornaconto e di ambizioni espansionistiche. La stampa e la propaganda jugo-slava aiutate da certi quartieri inglesi hanno costruito su queste imputazioni nemiche il castello dell'imperialismo italiano nell'Adriatico. Wilson, nelle sue dichiarazioni precedenti all'entrata in guerra degli Stati Uniti e in quelle susseguenti ha per contro esaltato il valore morale della guerra, la necessità che le sue aspirazioni siano pure e generosi i suoi fini. L'opera nostra, intesa a rivendicare di fronte al pubblico la verità storica e il diritto italiano è rimasta in parte paralizzata da deficienza di mezzi oppor­tuni, mentre a quella ufficiale, necessariamente costretta in limiti determinati, si è opposta e si oppone dagli avversari una campagna vasta ed audace. A ciò conviene porre rimedio.

 

L'influenza degli Stati Uniti alla conferenza della pace per il riassetto delle cose europee non può stimarsi abbastanza. I governanti americani d'altra parte ubbidiscono forse più che altrove alla volontà popolare che essi magari si foggiano. Convincere l'opinione pubblica americana della purezza, del disin­teresse e della legittimità della nostra causa si presenta quindi come coeffi­ciente necessario del successo finale. Se finora, per mancanza di mezzi dispo­nibili non si è potuto opporre alla propaganda avversa una propaganda ade­guata ogni ulteriore indugio da parte nostra potrebbe riuscire di grave danno.

 

Attorno a questo lavoro di propaganda e ai mezzi necessari per compierlo, che le abitudini del paese richiedono necessariamente larghi, ho intrattenuto anche ultimamente S. E. Gallenga col telegramma del quale mi onoro di alle­gare copia (allegato 5). Dalla opportuna e sagace impostazione delle nostre rivendicazioni nel sistema teorico nel quale Wilson delinea la guerra e al quale questo popolo crede profondamente, e dall'accorta diffusione di queste stesse rivendicazioni, le nostre ragioni e i nostri diritti troveranno qui, è lecito credere, valido riconoscimento ed appoggio. Potranno accompagnarle, altrimenti diffidenza e sconoscenza.

 

Pei cittadini austro-ungarici intanto Wilson ha già fissato lo stato giuri­dico esonerandoli dalle limitazioni per vero non gravi da lui fissate di recente pei cittadini tedeschi. Il fatto che cittadini austro-ungarici in America siano in maggioranza di nazionalità non tedesca e che molti di essi simpatizzano più per la causa degli Alleati che non per quella degli Imperi centrali, creava in considerazione anche del loro largo impiego in imprese minerarie e indu­striali dalle quali sarebbe stato dannoso per l'economia americana di disto­glierli, un grave problema che Wilson ha risolto o almeno ha inteso risolvere usando verso tutti i cittadini austro-ungarici indistintamente clemenza e bontà.

 

Oltre al proclama che fissa lo stato giuridico dei cittadini austro-ungarici unisco quello, già emesso da alcune settimane, che fissa lo stato giuridico dei cittadini dell'Impero germanico. (Allegato N. 6).

 

 

 Wilson dopo la firma del Trattato di Versailles

 

Wilson dopo la firma del Trattato di Versailles; nelle trattative di pace sostenne con successo la creazione della Società delle Nazioni, come un mezzo per il mantenimento della pace nel mondo. Per tale attività nel novembre del 1920, fu insignito del Premio Nobel per la Pace.
(Credito foto: Bettmann / CORBIS)

 


Wilson, Thomas Woodrow. - Uomo politico statunitense (Staunton, Virginia, 1856 - Washington 1924).
Governatore del New Jersey (1910), presidente degli USA per due mandati (1913-17 e 1917-21). All'inizio della prima guerra mondiale assunse una posizione neutrale, che non poté mantenere di fronte alla Germania, con la quale gli USA entrarono in guerra nel 1917. Raccolse le sue idee per una pace mondiale duratura in "quattordici punti", che vennero accettati dagli Alleati ed ottenne l'approvazione del covenant della S.d.N. Insignito del premio Nobel per la pace (1919).

 

Di famiglia presbiteriana, si laureò all'università di Princeton, dove più tardi (1890) fu professore di diritto ed economia politica e dal 1902 preside. Eletto governatore del New Jersey (1910), adottò una serie di riforme tese a combattere la corruzione e a proteggere l'amministrazione pubblica dalle ingerenze dei grandi trust. Candidato democratico alla presidenza (1912), vinse le elezioni con una schiacciante maggioranza sui suoi avversari. In carica dal 4 marzo 1913, avviò una profonda azione riformatrice, promuovendo, tra l'altro, la riduzione delle tariffe doganali, il controllo federale sul sistema bancario, l'applicazione della tassazione progressiva e la legalizzazione dello sciopero. In politica estera, tentò di gettare le basi per una effettiva cooperazione con gli stati dell'America Latina, ripudiando, almeno in teoria, l'intervento governativo in questi paesi a protezione degli interessi economici statunitensi (diplomazia del dollaro). Tuttavia, al momento in cui erano direttamente minacciati gli interessi politico-strategici ed economici statunitensi, non esitò di fronte all'intervento militare: nel 1915 gli USA assunsero il controllo diretto di Haiti e l'anno seguente sbarcarono a Santo Domingo, ove instaurarono un governo militare; una forte ingerenza statunitense si ebbe anche nelle travagliate vicende interne del Messico, giungendo all'invio di una spedizione contro Pancho Villa (1916).

Allo scoppio della guerra mondiale, proclamò la neutralità degli USA tentando di porsi come mediatore tra i belligeranti, ma si trovò ben presto impegnato a combattere una battaglia diplomatica in difesa dei diritti dei neutrali, violati dal blocco navale inglese sulle coste della Germania e soprattutto dalla indiscriminata guerra sottomarina condotta dai Tedeschi.
La politica di neutralità, accompagnata da una ferma reazione contro gli eccessi della Germania, gli valsero la rielezione alla presidenza (1916), ma con uno scarto di pochi voti sul candidato repubblicano.
Dopo un inutile negoziato con i belligeranti in favore della pace e la ripresa della guerra sottomarina indiscriminata da parte dei Tedeschi, presentò al Senato la dichiarazione di guerra alla Germania (6 aprile 1917).
Entrati in guerra gli USA, si pose l'obiettivo di assicurare al mondo una pace perpetua, raccogliendo le sue idee nei "quattordici punti". Questi ultimi stabilivano sia principi a carattere generale (rinuncia alla diplomazia segreta, libertà dei mari, libertà di commercio, riduzione degli armamenti, emancipazione graduale dei popoli sotto dominio coloniale, creazione di una Società delle Nazioni), sia criteri diretti alla soluzione dei problemi politico-territoriali sollevati dal conflitto e ispirati ai principi di nazionalità e di autodeterminazione. Dopo che i "quattordici punti" furono accettati dagli Alleati, Wilson si impegnò personalmente alla loro realizzazione durante la conferenza della pace, scontrandosi con le difficoltà della situazione europea, poco adatte a risolversi con idealistici enunciati, e con gli stessi obiettivi di guerra delle altre potenze vincitrici. Riuscì comunque a ottenere, attraverso non pochi compromessi, un effimero successo con l'approvazione del covenant della S.d.N. e il suo inserimento nei trattati di pace.

Tornato negli USA, presentò (10 luglio 1919) al Senato il trattato di Versailles, ma incontrò la fortissima opposizione dei repubblicani, proprio in ragione del covenant, che questo includeva. Ostile a ogni emendamento, si appellò direttamente al popolo, compiendo un'estenuante campagna propagandistica in favore della S.d.N., durante la quale fu colpito da paralisi. Respinta la ratifica del trattato di Versailles da parte del Senato (marzo 1920), Wilson ritenne ancora possibile un'affermazione delle sue idee in caso di vittoria del candidato democratico J. M. Cox, nella prima campagna elettorale in cui, su iniziativa dello stesso Wilson, le donne ebbero diritto di voto. La schiacciante maggioranza ottenuta dal repubblicano W. G. Harding mise fine a ogni speranza di Wilson, che, lasciata la presidenza (marzo 1921), si ritirò dall'attività pubblica.

Socio straniero dei Lincei (1918).



CREDITI

Ettore Anchieri La diplomazia contemporanea CEDAM, Padova 1959
www.treccani.it

http://www.squadratlantica.it/