Dal Patto di Londra al 24 maggio - 2

 LA DICHIARAZIONE DI GUERRA ALL' AUSTRIA

 

Vienna, 23 maggio 1915

 

Secondo le istruzioni ricevute da S. M. il Re suo augusto So­vrano, il sottoscritto ha l'onore di partecipare a S. E. il Ministro degli Esteri d'Austria-Ungheria la seguente dichiarazione:

 

Già il 4 del mese di maggio vennero comunicati al Governo Imperiale e Reale i motivi per i quali l'Italia, fiduciosa del suo buon diritto, ha considerato decaduto il Trattato d'Alleanza con l'Austria-Ungheria, che fu violato dal Governo Imperiale e Reale; lo ha dichiarato per l'avvenire nullo e senza effetto ed ha ripreso la sua libertà d'azione.

 

Il Governo del Re, fermamente deciso di assicurare con tutti i mezzi a sua disposizione la difesa dei diritti e degl'interessi ita­liani, non trascurerà il suo dovere di prendere contro qualunque minaccia presente e futura quelle misure che vengano imposte dagli avvenimenti per realizzare le aspirazioni nazionali.

 

S. M. il Re dichiara che l'Italia si considera in istato di guerra con l'Austria-Ungheria da domani.

Il sottoscritto ha l'onore di comunicare nello stesso tempo a S. E. il Ministro degli Esteri austro-ungarico che i passaporti ven­gono oggi consegnati all'Ambasciatore Imperiale e Reale, a Roma.

 

Sarà grato se vorrà provvedere a fargli consegnare i suoi.

 

Duca D’Avarna

 

 

 

 

 

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SONNINO,
A TUTTE LE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE

 

T. CIRCOLARE 319.          

Roma, 23 maggio 1915.

 

Il carattere eminentemente conservativo e difensivo della Triplice Alleanza risulta evidente dalla lettera e dallo spirito del Trattato e dalle intenzioni chiaramente manifestate e consacrate in atti ufficiali dei Ministri che fonda­rono l'alleanza e ne curarono i rinnovamenti. Agli intenti di pace si è co­stantemente ispirata la politica italiana.

 

Provocando la guerra europea, respingendo la risposta remissiva della Serbia, che dava all'Austria-Ungheria tutte le soddisfazioni che essa poteva legittimamente chiedere, rifiutando di dare ascolto alle proposte conciliative che l'Italia aveva presentato insieme ad altre Potenze, nell'intento di preser­vare l'Europa da un immane conflitto, che avrebbe sparso sangue ed accumulato rovine in proporzioni mai vedute e neppure immaginate, l'Austria-Ungheria lacerò colle sue stesse mani il patto d'alleanza coll'Italia, il quale, fino a che era stato lealmente interpretato, non come strumento d'aggressione, ma solo come difesa contro possibili aggressioni altrui, aveva validamente contribuito ad eliminare le occasioni e comporre le ragioni di conflitto e ad assicurare ai popoli per molti anni i benefici inestimabili della pace.

 

L'articolo primo del Trattato consacrava una norma logica e generale di qualsiasi patto di alleanza, cioè l'impegno di « procedere ad uno scambio d'idee sulle questioni politiche ed economiche di natura generale che potessero presentarsi ». Ne derivava che nessuno dei contraenti era libero di intraprendere, senza previo comune concerto, un'azione le cui conseguenze potessero produrre agli altri alcun obbligo contemplato dall'alleanza o comun­que toccare i loro più importanti interessi.

 

A questo dovere contravvenne l'Austria-Ungheria coll'invio alla Serbia della sua Nota in data 23 luglio 1914 senza previo concerto coll'Italia. L'Au­stria-Ungheria violò così indiscutibilmente, in una delle sue clausole fonda­mentali, il trattato.

 

Tanto maggiore era l'obbligo dell'Austria-Ungheria di previamente con­certarsi con l'Italia, in quanto dalla sua azione intransigente contro la Ser­bia derivava una situazione direttamente tendente a provocare una guerra europea. E sino dal principio del luglio 1914 il R. Governo, preoccupato dalle tendenze prevalenti di Vienna, aveva fatto giungere al Governo I. e R. ripe­tuti consigli di moderazione ed avvertimenti sugli incombenti pericoli di ca­rattere europeo.

 

L'azione intrapresa dall'Austria-Ungheria contro la Serbia era inoltre di­rettamente lesiva degli interessi generali italiani, politici ed economici, nella penisola balcanica.

 

Non era lecito all'Austria pensare che l'Italia potesse restare indifferente alla menomazione della indipendenza serba. Non erano mancati a questo pro­posito i nostri moniti. Da molto tempo l'Italia aveva più volte in termini amichevoli ma chiari avvertito l'Austria-Ungheria che l'indipendenza della Ser­bia era considerata dall'Italia come elemento essenziale dell'equilibrio balca­nico, che l'Italia stessa non avrebbe mai potuto ammettere fosse turbato a suo danno. Né ciò avevano detto soltanto nei privati colloqui i suoi diplomatici, ma dalla tribuna parlamentare lo avevano altamente e pubblicamente procla­mato i suoi uomini di Stato.

 

L'Austria dunque, aggredendo la Serbia, con un ultimatum non preceduto, con disdegno di ogni consuetudine, da qualsiasi mossa diplomatica verso di noi, e preparato nell'ombra, con sì gelosa cura di tenerlo celato all'Italia, che ne avemmo notizia, insieme al pubblico, dalle agenzie telegrafiche, prima che per via diplomatica, si pose non solo fuori dell'Alleanza dell'Italia ma si eresse a nemica degli interessi italiani.

 

Risultava infatti al R. Governo, per sicure notizie, che tutto il complesso programma di azione dell'Austria-Ungheria nei Balcani portava ad una gra­vissima diminuzione politica ed economica dell'Italia, perché a ciò conduce­vano, direttamente ed indirettamente l'asservimento della Serbia, l'isolamento politico e territoriale del Montenegro, l'isolamento e la decadenza politica della Romania.

 

Questa diminuzione dell'Italia nei Balcani si sarebbe verificata anche am­mettendo che l'Austria -Ungheria non avesse avuto proposito di compiere nuovi acquisti territoriali.

 

Giova osservare che il Governo austro-ungarico aveva esplicito obbligo di previamente concertarsi coll'Italia, in forza di uno speciale articolo (7) del Trattato della Triplice Alleanza, che stabiliva il vincolo dell'accordo preventivo ed il diritto a compensi fra gli alleati in caso di occupazioni temporanee o permanenti nella regione dei Balcani.

 

In proposito il R. Governo iniziò conversazioni col Governo I. e R. sino dall'apertura delle ostilità austro-ungariche contro la Serbia, ritraendo, dopo qualche riluttanza, una adesione di massima.

 

Queste conversazioni erano state iniziate subito dopo il 23 luglio allo sco­po di rendere al trattato, violato e quindi annullato per opera dell'Austria-Ungheria, un nuovo elemento di vita, quale poteva derivargli soltanto da nuovi accordi.

 

Le conversazioni furono riprese con più precisi intenti nel mese di dicem­bre 1914.

 

Il R. Ambasciatore a Vienna ebbe allora istruzioni di far conoscere al conte Berchtold che il Governo italiano riteneva necessario procedere senza alcun ritardo ad uno scambio di idee e quindi ad un concreto negoziato col Governo I. e R. circa la situazione complessa derivante dal conflitto provocato dall'Austria-Ungheria.

 

Il conte Berchtold rispose dapprima con ripulse, concludendo non ritenere fosse il caso di venire per allora ad un tale negoziato.

 

Ma, in seguito alle nostre repliche, alle quali si associò il Governo germa­nico, il Conte Berchtold fece poi conoscere di essere disposto a entrare nello scambio di idee da noi proposto.

 

Esprimemmo allora subito un lato fondamentale del nostro punto di vista. E cioè dichiarammo che i compensi contemplati, sui quali doveva intervenire l'accordo, dovevano riflettere territori trovantisi sotto il dominio attuale del­l'Austria-Ungheria.

 

Le discussioni proseguirono per mesi, dai primi di dicembre al marzo, sola­mente alla fine di marzo dal barone Buriàn ci venne offerta una zona di ter­ritorio compresa in limiti lievemente a nord della città di Trento.

 

Per questa cessione il Governo austro-ungarico ci richiedeva a sua volta numerosi impegni a suo favore, fra cui piena ed intera libertà di azione nei Balcani.

 

È da notarsi che la cessione del territorio nel Trentino non doveva, nel pen­siero del Governo austro-ungarico, effettuarsi immediatamente, secondo noi chiedevamo, ma solamente alla fine dell'attuale conflitto.

 

Rispondemmo che l'offerta non poteva soddisfarci, e formulammo il mini­mo delle cessioni che potevano corrispondere, in parte, alle nostre aspirazioni nazionali, migliorando equamente la nostra situazione strategica nell'Adriatico.

 

Tali richieste comprendevano un confine più ampio nel Trentino, un nuovo confine sull'Isonzo, una situazione speciale per Trieste, la cessione di alcune isole dell'Arcipelago Curzolari, il disinteresse dell'Austria nell'Albania ed il riconoscimento dei nostri possessi di Valona e del Dodecanneso.

 

Alle nostre richieste furono opposti dapprima dinieghi categorici. Solo dopo un altro mese di conversazioni l'Austria-Ungheria si indusse ad aumentare la zona di territorio da cedere nel Trentino limitandola a Mezzolombardo, ma escludendo territori italiani come un lato intero della Vallata del Noce, Val di Fassa e Val di Ampezzo e lasciandoci una linea non rispondente nemmeno a scopi strategici.

 

Restava poi sempre fermo il Governo austriaco nel negare qualsiasi effet­tuazione di cessione prima del termine della guerra.

 

I ripetuti dinieghi dell'Austria-Ungheria risultarono esplicitamente con­fermati in un colloquio che il barone Buriàn tenne col R. Ambasciatore a Vien­na il 29 aprile u. s. nel quale risultò che il Governo austro-ungarico pur ammettendo la possibilità di riconoscimento di qualche nostro prevalente inte­resse a Valona e l'anzidetta cessione territoriale nel Trentino, persisteva a pronunciarsi in modo negativo circa tutte le altre nostre richieste e precisa­mente circa quelle che riguardavano la linea dell'Isonzo, Trieste e le isole.

 

Dall'atteggiamento seguito dall'Austria-Ungheria dai primi di dicembre alla fine di aprile risultava chiaro il suo sforzo dì temporeggiare senza venire ad una pratica conclusione.

 

In queste condizioni l'Italia si trovava di fronte al pericolo che ogni sua aspirazione, avente base nella tradizione, nella nazionalità e nel suo deside­rio di sicurezza nell'Adriatico, si perdesse per sempre; mentre altre contingenze del conflitto europeo minacciavano i suoi maggiori interessi in altri mari. Da ciò derivava all'Italia la necessità e il dovere di riprendere la sua libertà di azione cui aveva diritto e di ricercare la tutela dei suoi interessi all'infuori dei negoziati condotti inutilmente per cinque mesi ed all'infuori di quel patto d'al­leanza che per opera dell'Austria-Ungheria era virtualmente cessato sino dal luglio 1914.

 

Non sarà fuori di luogo osservare che cessata l'Alleanza è cessata la ragione della acquiescenza determinata per tanti anni nel popolo italiano dal deside­rio sincero della pace, mentre rivivono ora le ragioni della condoglianza per tanto tempo volontariamente repressa per il trattamento al quale le popola­zioni italiane in Austria furono assoggettate.

 

Patti formali a tutela della nostra lingua della tradizione e della civiltà italiana nelle regioni abitate dai nostri connazionali sudditi della Monarchia non esistevano nel trattato. Ma quando all'Alleanza si fosse voluto dare un contenuto di pace e di armonia sincera, appariva incontestabile l'obbligo morale dell'alleato di tener in debito conto, anzi di rispettare con ogni scrupolo, il nostro vitale interesse costituito dall'equilibrio etnico nell'Adriatico.

 

Invece la costante politica del Governo austro-ungarico mirò per lunghi anni alla distruzione della nazionalità e della civiltà italiana lungo le coste dell'Adriatico. Basterà qualche sommaria citazione di fatti e di tendenze ad ognuno già troppo noti: sostituzione progressiva dei funzionarii di razza italiana con funzionari di altra nazionalità; immigrazione artificiosa di centinaia di famiglie di nazionalità diversa; assunzione, a Trieste, di cooperative di braccianti estranei; decreti Hohenlohe diretti ad escludere dal Comune di Trieste e dalle industrie del Comune gli impiegati regnicoli; snazionalizzazione dei principali servizi del Comune di Trieste e diminuzione delle attribuzioni municipali; osta­coli di ogni sorta alla istituzione di nuove scuole nazionali; regolamento elet­torale con tendenza anti-italiana; snazionalizzazione dell'Amministrazione giudiziaria; la questione dell'Università, che formò pure oggetto di trattative diplo­matiche; snazionalizzazione delle Compagnie di navigazione; azione di polizia e processi politici tendenti a favorire le altre nazionalità a danno di quella italiana; espulsioni metodiche, ingiustificate e sempre più numerose di regnicoli.

 

La costante politica del Governo I. e R. riguardo alle popolazioni italiane soggette, non fu unicamente dovuta a ragioni interne ma attinenti al giuoco delle varie nazionalità contrastanti nella Monarchia. Essa invece appare in­spirata in gran parte da un intimo sentimento di ostilità e di avversione ri­guardo all'Italia dominante in alcuni circoli, più vicini al Governo austro-ungarico ed aventi una determinante influenza sulle decisioni di questo. Fra i tanti indizi che si possono citare basterà ricordare che nel 1911, mentre l'Italia era impegnata nella guerra contro la Turchia, lo Stato Maggiore a Vienna si apparecchiava intensivamente ad una aggressione contro di noi e il partito mi­litare proseguiva attivissimo il lavoro politico inteso a trascinare gli altri fattori responsabili della Monarchia. Contemporaneamente gli armamenti alla nostra frontiera assumevano carattere prettamente offensivo. La crisi fu sì risoluta in senso pacifico, per l'influenza, a quanto si può supporre, di fattori estranei; ma da quel tempo siamo rimasti sempre sotto impressione di una possibile inattesa minaccia armata quando, per cause accidentali, prendesse sopravvento a Vienna il partito a noi ostile.

 

Tutto questo era noto all'Italia ma, come si disse più sopra, il sincero desi­derio della pace prevalse nel popolo italiano.

 

Nelle nuove circostanze l'Italia cercò di vedere, se e quanto, anche per tale riguardo, fosse possibile dare al suo patto coll'Austria Ungheria una base più solida ed una garanzia più duratura. Ma i suoi sforzi condotti per tanti mesi, in costante accordo con la Germania, che venne, con ciò, a riconoscere la legittimità dei negoziati, riuscirono vani. Onde l'Italia si è trovata costretta, dal corso degli eventi, a cercare altre soluzioni.

 

E poiché il patto dell'alleanza con l'Austria-Ungheria aveva già cessato virtualmente di esistere e non serviva ormai più che a dissimulare la realtà di sospetti continui e di quotidiani contrasti, il R. Ambasciatore a Vienna fu incaricato di dichiarare al Governo austro-ungarico che il Governo italiano era sciolto da ogni suo vincolo decorrente dal Trattato della Triplice Alleanza nei riguardi dell'Austria-Ungheria.

 

Tale comunicazione fu fatta a Vienna il 4 maggio.

 

Successivamente a tale nostra dichiarazione e dopo che noi avevamo già dovuto provvedere alla legittima tutela dei nostri interessi, il Governo I. e R. presentò nuove offerte di concessioni, insufficienti in sé, e nemmeno cor­rispondenti al minimo delle nostre antiche proposte; offerte che, ad ogni modo, non potevano più essere da noi accolte.

 

Il R. Governo tenuto conto di quanto è sopra esposto, confortato dai voti del Parlamento e dalle solenni manifestazioni del Paese, ha deliberato di rom­pere gli indugi ed ha dichiarato oggi stesso in nome del Re all'Ambasciatore austro-ungarico a Roma di considerarsi da domani, 24 maggio, in stato di guerra con l'Austria-Ungheria.

 

Ordini analoghi sono stati telegrafati ieri al R. Ambasciatore a Vienna.

 

Prego V. E. di render noto quanto precede a codesto Governo.

 

 

 

 

 

IL PROCLAMA DEL RE

 

Soldati di Terra e di Mare

 

L'ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l'esempio del mio Grande Avo, assumo oggi il comando supremo delle forze di terra e di mare con sicura fede nella vittoria, che il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire.

 

Il nemico che vi accingete a combattere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti dell'arte, egli vi opporrà tenace resistenza, ma il vostro indomito slancio saprà di certo superarlo.

 

A voi la gloria di piantare il tricolore d'Italia sui termini sacri che la natura pose ai confini della Patria nostra. A voi la gloria di compiere, finalmente, l'opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri.

 

Gran Quartiere Generale, 24 maggio 1915.

 

Vittorio Emanuele

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