Volare è passione e vocazione, che riempie di sè una vita.
Adolf Galland
Caccia / Assalto
Messerschmitt Bf.109, immagini, scheda e storia
Velivolo da caccia, monoplano ad ala bassa a sbalzo, monomotore, monoposto a struttura interamente metallica.
[ vedi descrizione completa ]Scheda tecnica
CARATTERISTICHE
motore: Daimler Benz DB.605A
potenza: cv 1.475
apertura alare: m 9,92
lunghezza: m 8,85
altezza: m 2,50
superficie alare: mq 16,20
peso a vuoto: kg 2.250
peso a carico massimo: kg 3.200
velocità massima: km/h 640 a 6.200 m
velocità minima: km/h -
tempo di salita: 5’ 6” a 6.000 m
tangenza massima: m 11.800
autonomia: km 850
armamento: 1 cannone da 20 mm, due mitragliatrici da 13 mm (G6) 3 cannoni da 20 mm, due mitragliatrici da 13 mm (G6/R6)
progettista: Willy Messerschmitt
pilota collaudatore: Knoetsch
primo volo del prototipo: settembre 1935
località: Ausburg Haunstetten
Messerschmitt Me.109G-6, 364a squadriglia, 150° gruppo autonomo, Sciacca luglio 1943
DESCRIZIONE TECNICA
Velivolo da caccia, monoplano ad ala bassa a sbalzo, monomotore, monoposto a struttura interamente metallica.
Fusoliera metallica con struttura a guscio in lega leggera e rivestimento lavorante.
Ala metallica monolongherone con rivestimento lavorante; alettoni a struttura metallica con rivestimento in tela; ipersostentatori completamente metallici; alette Handley-Page sul bordo d’attacco dell’ala.
Rarrello retrattile per rotazione verso l’esterno a scomparsa totale.
Ruotino di coda orientabile, retrattile.
Piani di coda a sbalzo completamente metallici tranne le superfici mobili rivestite in tela.
Posto di pilotaggio chiuso da cappottina vetrata ribaltabile lateralmente; seggiolino del pilota corazzato; dotazione di apparecchiatura radio ricetrasmittente.
Strumentazione standard.
Serbatoio del carburante in fusoliera in posizione baricentrica.
Motore con elica tripala metallica a passo variabile in volo.
Due mitragliatrici MG 131/13 da 13 mm montate sulla parte superiore della capottatura motore, sincronizzate e sparanti attraverso il disco dell’elica, 300 colpi per arma. Un cannone MG 151 da 20 mm con tiro attraverso il mozzo dell’elica, 150 colpi; nella sottoversione G6/R6 due MG 151 subalari, sparanti al di fuori del disco dell’elica, 120 colpi per arma.
DOTAZIONE
La quantificazione dei Me.109 impiegati dalla Regia Aeronautica risulta, come intuibile, difficile, i dati raccolti nelle sue ricerche dal Prof. Gregory Alegi sono i più certi fra quelli sinora forniti.
Versione |
Consegnati |
Consegnati |
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F.4 |
15 |
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G.2 |
6 |
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G.4 |
10 |
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G.6 |
91 |
circa 200 |
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G.10 |
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G.12 |
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G.14 |
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G.16 |
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K.4 |
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K.10/14 |
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Totale |
122 |
200 |
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Totale complessivo |
322 |
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CREDITI
Autori Vari Dimensione Cielo volume III caccia assalto Edizioni Bizzarri, Roma 1972
Nino Arena Bf-109 storia del caccia Messerschmitt Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri, Roma 1980
Gregory Alegi Messerschmitt Bf 109 italiani La Bancarella Aeronautica, Torino 2002
Storia aereo
Un monoplano per la Lufwaffe
Nell’estate del 1934 il Reichsluftfahrtministerium (RLM) bandisce un concorso per un caccia monoplano a carrello retrattile, in sostituzione dei biplani a carrello fisso He.51 e Ar.68. I progettisti Willy Messerschmitt e Walter Rethel, realizzano quindi uno snello monoplano ad ala bassa, posto di pilotaggio chiuso e carrello retrattile che s’impone sui concorrenti Ar.80, He.112, Fw.159.
Dopo una preserie di dieci esemplari utilizzata per apportare modifiche ad armamento e propulsore e impostare la produzione in serie, la prima serie produttiva del Bf.109 è la B (Bruno) i cui primi esemplari lasciano la catena di montaggio nel febbraio 1937 e quattro mesi dopo vedono il battesimo del fuoco con la Legion Condor in Spagna, qualificando il Bf.109 come il miglior caccia esistente al momento al mondo.
Al successo militare segue quello sportivo, prima al IV Raduno Internazionale Aeronautico di Zurigo del 24/31 luglio 1937 e nel novembre dello stesso anno, quando un Bf.109 dotato di motore in grado di erogare punte di 1650 cv. batte il record mondiale di velocità raggiungendo 610,43 km/h.
Le successive serie C (Christian o Caesar) e D (Darie) vedono una limitata produzione e rappresentano il punto di transizione verso la versione E (Emil) caratterizzata dall’adozione del propulsore Daimler Benz DB.601 che per potenza ed affidabilità rappresenta un ideale completamento della cellula. I primi esemplari della variante E-1 sono completati all’inizio del 1939 e alla fine dell’anno la produzione raggiunge le 1540 unità. Nel settembre 1939 il Bf.109E rappresenta il principale velivolo che equipaggia i reparti da caccia della Luftwaffe.
Le esperienze maturate con la Battaglia d’Inghilterra portano alla versione F (Fritz), dotato di una più potente versione del DB.601 e migliore aereodinamica.
Il 1942 vede l’apparizione della versione G (Gustaf) potenziata nel propulsore, il DB.605 da 1.475 cv. e nell’armamento.
Il vertice dello sviluppo è raggiunto sul finire del 1943 con la versione K (Karl), in grado di tenere testa ai più moderni caccia alleati.
La produzione continuata senza interruzioni dal 1935 al 1945 raggiunge l’eccezionale quantità di circa 35.000 esemplari, a dimostrazione della piena validità del progetto iniziale.
Nel corso dell’impiego bellico il Bf.109 avrà la capacità di adattarsi a una pluralità d’impieghi e sarà ceduto a tutte le aeronautiche di nazioni alleate della Germania.
Due momenti nella vita del caccia tedesco. Braunschweig (Germania, 1940); Bf.109E sospeso nella galleria del vento dell’Istituto di Ricerche Aeronautiche “Hermann Göring”. Africa settentrionale, primavera del 1941; manutenzione di Bf.109E della Luftwaffe su un aeroporto di guerra
Primi contatti tra i piloti italiani e il Me.109
Il primo contatto, non ufficiale, di un pilota della Regia Aeronautica con il Bf.109 avviene durante il IV Raduno Aereo Internazionale di Zurigo del luglio 1937. Una mattina all'alba, in grande segretezza, dopo un volo di ambientamento su un Bf.108 Taifun, il capitano Aldo Remondino, componente della squadriglia acrobatica italiana, decolla con un Bf.109 della rappresentanza tedesca. Quanto è ottenuto in virtù della personale amicizia del gen. Giuseppe Valle col collega tedesco Erhard Milch. Infatti, la Luftwaffe è molto gelosa dell’aereo tanto che in Spagna, ove Aviazione Legionaria e Legione Condor operano fianco a fianco, non sarà concesso ai nostri piloti di pilotare il Bf.109.
Il 7 agosto 1939 una missione militare tedesca presenta presso il Centro Sperimentale di Guidonia quattro esemplari del Bf.109E e altrettanti He.111 e Ju.87. I nostri piloti possono compiere diversi voli di prova su questi aerei. In particolare i Bf.109 portati in volo da Mario Bonzano, Carlo Del Prete, Enzo Sant'Andrea, si esibiscono in un completo programma acrobatico in formazione, mai effettuato dai piloti tedeschi, perché espressamente vietato dal manuale del velivolo. La permanenza a Guidonia, che dovrebbe protrarsi sino al 7 ottobre, s’interrompe bruscamente il 1° settembre, quando all'alba aerei ed equipaggi decollano dopo aver ricevuto comunicazione riservata dell'inizio delle operazioni contro la Polonia.
Rapporto del Gabinetto del Ministro dell’Aeronautica alla Segreteria Particolare di Mussolini circa
l’arrivo dei Me.109 e di altri velivoli della Luftwaffe a Guidonia il 7 agosto 1939
Il terzo incontro avviene nel dicembre 1940, un G.50 del CAI al rientro sulla costa belga trova un nebbione che lo costringe a volare alla cieca per parecchi minuti. In un momento di schiarita, il pilota avvista un campo di aviazione, che saprà essere quello di Menden, e vi si porta all'atterraggio, poco gentilmente accolto dalla contraerea. Poco dopo l'aereo è ispezionato da alcuni ufficiali tra cui il generale Adolf Galland, che sottolinea la sua sorpresa nel notare che l'aereo è privo di radio, battellino, pistola lanciarazzi, tuta elettroriscaldata. Pochi giorni dopo, Galland, in visita ai nostri reparti da caccia, parlando con i piloti, li definisce degni eredi di Garibaldi per il coraggio e la spensieratezza sempre dimostrata nel portare in volo macchine tanto superate quanto i caccia di cui dispongono. E, con un gesto più da amico che da alleato, offre ai nostri piloti di compiere un ciclo di addestramento sui Bf.109E. Nei primi giorni del gennaio 1941, 10-12 piloti italiani, a turno, raggiungono quotidianamente con un Ca.133 da Maldegen Cazaux in Francia, ove iniziano l'attività di volo sui 109. Questa iniziativa non dura più di un paio di settimane perché la grave situazione in Grecia e Libia richiede l'afflusso di tutti i piloti su quei fronti. Se l'addestramento fosse continuato, già nel mese di febbraio i nostri piloti avrebbero operato nel settore della Manica con i Me.109.
Maldegen (Belgio). Il maresciallo Giuseppe Ruzzin seduto sul bordo della cabina di pilotaggio del Messerschmitt Me.109F “11 nero”. La partecipazione alle fasi finali della Battaglia d’Inghilterra offre occasione ai piloti italiani per avvicinare le moderne macchine dell’alleato tedesco
Immissione dei Me.109 nella Regia Aeronautica
L'ingresso del caccia tedesco nei nostri reparti avviene nella primavera del 1943, motivato dall'insufficiente gettito produttivo delle nostre industrie. Dal novembre 1942 al 30 giugno 1943 la Regia Aeronautica perde circa 1.600 velivoli da caccia e bombardamento. Da novembre ad aprile, essa riceve soltanto 160 bombardieri e 758 caccia.
La Luftwaffe assegna una prima trentina di Me.109. Questi velivoli, presto incrementati da altri, sono dati al 150° ed al 3° gruppo. Il primo reparto è operativo con i nuovi velivoli, sin dal mese di aprile: sotto il comando del maggiore Antonio Vizzotto, il gruppo si porta prima a Caltagirone, poi a Sciacca.
Alla vigilia dello sbarco alleato, il 150° gruppo (363a, 364a, 365a squadriglia) ha in carico 25 Me.109; altri diciassette sono con il 5° gruppo (153a, 154a, 155a squadriglia) a Comiso. L’organico di questi reparti costituisce circa un terzo della caccia italiana presente in Sicilia ed è rapidamente distrutto dai bombardamenti alleati. Il 12 luglio i due reparti hanno quasi esaurito la dotazione di velivoli: a metà luglio il 150° gruppo è a Ciampino con tre Bf.109 superstiti. Il 28 luglio il solo Personale è trasferito a Torino-Caselle, sede raggiunta anche dal 3° gruppo, pure rimasto privo di velivoli.
Un terzo reparto riceve il caccia tedesco: il 23° gruppo del 3° stormo (70a, 74a, 75a squadriglia) basato a Cerveteri con undici Me.109G in carico al 9 luglio 1943.
Due mesi dopo in Italia centrale si trovano solo quattro Me.109G del 150° gruppo a Ciampino.
Sciacca, maggio 1943. Messerschmitt Me.109 F-4 della 369a squadriglia (150° gruppo autonomo)
prossimo ad uscire dal decentramento, sullo sfondo due Aer. Macchi C.200 Saetta
L’utilizzo da parte dell’Aviazione Nazionale Repubblicana
Anche per l’ANR il passaggio ai Me. 109 G e K avviene quando risulta impossibile mantenere una linea di volo con aerei di produzione nazionale. Il primo reparto a riceverli è la 4a squadriglia “Gigi tre osei” del 2° gruppo che compie rapidamente il passaggio, avendo molti piloti già volato sul 109, ad Aviano, verso la metà del giugno 1944. All'inizio di luglio, questa squadriglia insieme alle altre due dotate di G.55, si trasferisce dagli aeroporti emiliani di Ghedi (Brescia) e Ganfardine-Villafranca (Verona). In un mese e mezzo, sino alla sospensione dei voli in agosto, i Me.109G partecipano alle 32 vittorie (15 bombardieri e 17 caccia) del reparto. Dopo la crisi dell'agosto, il 2° gruppo torna a combattere il 19 ottobre e a fine mese, l'intero reparto passa sui Me.109G. A quadri completi, il 2° gruppo torna ad una intensissima attività. Gli anglo-americani, dinanzi alle rilevanti perdite, intervengono, dall'11 al 23 novembre, con violentissimi bombardamenti sui campi della regione veneta utilizzati dal 2° gruppo. Dato il decentramento preventivo degli aerei, l'azione riduce ma non annulla l'attività del reparto: nel mese di dicembre si ha solo una lieve diminuzione negli abbattimenti.
Messerschmitt Me.109/G.10, 3a squadriglia (1° gruppo caccia) Asso di Bastoni
Aviazione Nazionale Repubblicana, Italia settentrionale 1945
A metà del mese, il 2° gruppo riceve un primo esemplare di Me.109K. Nel gennaio 1945, l'attività del Gruppo è molto ridotta mentre tra febbraio e marzo si abbattono 21 bombardieri e 9 caccia. Questi risultati sono molto importanti specie se rapportati alla penuria di aerei e carburante, in cui versa l'ANR, a poche settimane dalla fine. Il 19 aprile il 2° gruppo compie la sua ultima intercettazione.
Altro reparto a ricevere i Me.109G e K, è il 3° gruppo-caccia. Dopo la crisi dell'agosto 1944 e il trasferimento sugli aeroporti di Lonate Pozzolo e di Orio al Serio, in novembre il Personale del reparto è inoltrato in Germania ove compie i passaggi sui Messerschmitt. Il rientro in Italia avviene nel febbraio 1945 con la 7a e 8a squadriglia in condizioni di operatività. Il gruppo utilizza gli aeroporti di Orio al Serio e Ganfardine-Villafranca oltre a Cascina-Vaga (Pavia), come campo di appoggio. Il 7 marzo 1945, il Gruppo compie la sua prima uscita operativa abbattendo un bombardiere ed un caccia. Seguono, sino alla sospensione dei voli nella seconda metà di aprile, altre dodici missioni d’intercettazione: una media elevata, se si pensa all'avvenuta cessione di tutti i Me.109K, per integrare l'organico del 1° gruppo. Vediamo quest'ultimo reparto. Alla fine dell'ottobre 1944, anch’esso prende la strada della Germania (aeroporti di Memmingen e Holtzkirchen) per compiere i passaggi sui Messerschmitt. Il rientro in Italia avviene nel gennaio 1945 sul complesso aeroportuale di Lonate Pozzolo, con zone di decentramento che arrivano sino alle Cascine Malpensa e Costa. Nei boschi ai margini dell'aeroporto della Malpensa, è infatti realizzata un'imponente rete di piazzole e piste di raccordo ricavate tra gli alberi d'alto fusto.
Il primo grosso combattimento affrontato dal gruppo di Adriano Visconti avviene sulla Lombardia il 3 marzo 1945. Il 14 dello stesso mese avviene un altro durissimo scontro sulla zona del lago di Garda, tra Me.109 del 1° gruppo e B-17 scortati da P-47. Al termine risultano abbattuti sette aerei americani ed un Me.109. Anche per il l° gruppo, il 19 aprile 1945 è il giorno dell'ultima uscita operativa: da Lonate Pozzolo decollano quattro Me.109K pilotati dai tenenti Oddone Colonna ed Aurelio Morandi e dai sergenti Pedretti e Franciosi: essi si portano alla intercettazione di tre B-24, impiegati nell'aerorifornimento di reparti partigiani e segnalati nel cielo sopra Varese. Mentre due quadrimotori riescono a guadagnare la Svizzera, il terzo dopo essere riuscito ad abbattere l'aereo di Morandi, è centrato dai colpi sparati da Colonna.
Finisce così la vita operativa del 1° gruppo, mentre la sua storia deve annoverare un ultimo, tragico episodio. Poco prima della conclusione del conflitto, il maggiore Visconti pone ogni attenzione per evitare agli appartenenti al suo Gruppo, azioni di rappresaglia. Dopo aver radunato i 700 uomini del reparto (piloti, specialisti, avieri), egli tratta personalmente la resa, richiedendo innanzitutto la loro incolumità. Il 29 aprile, il 1° gruppo cessa di esistere. Adriano Visconti, offertosi in volontaria garanzia, è lì per tutti gli altri. In una caserma di Milano, mentre viene portato a un interrogatorio, è falciato con una raffica di mitra alle spalle, insieme all'Aiutante di Volo, sottotenente Valerio Stefanini.
Contemporaneamente cinque Me.109 già appartenenti al 1° gruppo, sono rilevati, per accertamenti, da una Commissione della Regia Aeronautica proveniente da Roma. Più tardi, un tenente del 1° gruppo è invitato a stendere una relazione sul periodo passato in Germania in preparazione all'impiego dei Me.163 Komet: per una serie di situazioni contingenti (forti nevicate, bombardamenti, avanzata delle truppe sovietiche) i nostri piloti non hanno comunque fatto in tempo a volare su questo aereo, come sul Me.262, egualmente destinato ai reparti italiani.
Complessivamente l’ANR ha ricevuto circa duecento Me.109 causando non poche difficoltà agli avversari. Ma anche questa volta, il nemico ha trovato nella grande abbondanza dei mezzi impiegati, una delle ragioni del suo successo.
Messerschmitt Me.109 G.6, 2° gruppo caccia
Aviazione Nazionale Repubblicana, Aviano 1945
Storia pilota, aviatore
Io e il Gustav
ricordi e impressioni di un pilota italiano
Nell’estate del 1943, all’aeroporto di Vicenza, feci la prima conoscenza col “Gustavo” un caccia Messerschmitt della versione G.6. mi trovavo con altri piloti del 23° e 150° Gruppo Caccia per effettuare il passaggio sul velivolo tedesco, da qualche mese in assegnazione anche all’aeronautica italiana, ed avevamo come istruttore il Ten. Fausto Filippi che possedeva un notevole bagaglio di esperienza anche bellica, per aver pilotato il “Gustav” nei combattimenti in Sicilia nella primavera-estate dello stesso anno nei ranghi del 150° Gruppo “Gigi 3 Osei”.
La partecipazione di Filippi si limitò però ad alcuni preziosi consigli pratici sulla condotta del velivolo, in quanto non essendo disponibile un Messerschmitt doppio comando tipo G.12 usato per la scuola e l’addestramento, fu giocoforza adattarsi alla situazione e iniziare il passaggio direttamente sul velivolo operativo.
Incontrammo sin dall’inizio due difficoltà già durante i rullaggi di prova sul terreno dell’aeroporto vicentino:
1) la manetta del gas aveva un movimento invertito rispetto a quella dei velivoli italiani
2) i freni erano idraulici a pedale (senza servo freno) anziché pneumatici a comando differenziale come in tutti i caccia italiani.
Durante una rullata e l’altra, i radiatori surriscaldati per insufficiente ventilazione, venivano raffreddati con una manichetta d’acqua. I pochi velivoli disponibili avevano ancora le insegne della Luftwaffe e quello sul quale io provai i primi approcci confidenziali, era veterano di tanti combattimenti poiché metteva in bella mostra una vistosa toppa di tela incollata sull’ala sinistra per nascondere alla meglio uno squarcio provocato, pare, da un colpo di Curtiss P.40. Sulla fusoliera campeggiava una testa stilizzata di lupo con la scritta in tedesco: Wander zircus Ueben (Circo viaggiante e addestrato) e proveniva dal 77° JG. che aveva appunto tale emblema nel suo 3° Gruppo unitamente all’Asso di cuori (Herzas) insegna dello stormo. Poiché il velivolo era della sottoversione G.6R.6, provvedemmo con i pochi specialisti disponibili a smontare le due MG.151/20 nelle gondole subalari per migliorare le caratteristiche di volo e acrobatiche dell’aereo, e quindi iniziammo a volare …!
La sorte giocata con gli altri piloti, mi attribuì il primo turno e così con la coda del “Gustavo” quasi a ridosso dell’argine del Bacchiglione all’estremità ovest del campo, attesi piuttosto nervosamente, il via al decollo che doveva darmi Filippi in piedi vicino alla cabina col tettuccio aperto. Allorché mi decisi a chiuderla, il tonfo provocato dal bloccaggio dalla pesantissima e quadrata cappottina fu piuttosto sgradevole, si sentiva forte la pressione dell’aria alle orecchie e dava l’impressione del coperchio di un sarcofago…! La posizione nell’interno era invece comodissima malgrado le gambe fossero un po’ divaricate per lo spazio occupato dalla culatta del cannone centrale che entrava nell’abitacolo occupando un bel pezzo di pavimento. Il puzzo tipico della vernice surriscaldata dal sole, rendeva ancor più spiacevole l’attesa del decollo.
Finalmente al momento del via e mentre mi accingevo a partire un sottufficiale motorista mi fece segno di volermi urgentemente parlare: aprii il finestrino laterale sempre più nervosamente e mi sentii dire: “Sior tenente, gh’è forte spussa de recupero”, diedi una rispostaccia qui non riferibile, e piano, piano aprii la manetta del gas aspettandomi dal “Gustavo” quella consueta “carognata” iniziale che Filippi mi aveva anticipato e avvertito a più riprese; difatti, non appena presi velocità e alzata la coda, il muso del velivolo tentò decisamente di spostarsi con una brusca imbardata sulla sinistra (il G.6 era sprovvisto di trim sulla deriva) ma poiché ero preparato e vigile sulla manovra, diedi una pronta e robusta scarpata sulla destra e si raddrizzò…! Mi ritrovai in aria che ancora non dato tutto motore. Il carrello a comando idraulico rientrò bene ma il pulsante di colore rosso che lo comandava, nello scartare di colpo mi procurò un acuto dolore al pollice sinistro. Filippi mi aveva consigliato di insistere a premere il pulsante, per avere la sicurezza della completa retrazione del carrello.
Il velivolo saliva regolarmente con grande stabilità. A circa 1.500 metri di quota mi trovai già su Padova intento a sorvolare un banco compatto di nubi. Su questo ideale e provvidenziale “tappeto”, effettuai due atterraggi simulati con mia grande soddisfazione. La manovra manuale dei flaps richiedeva un notevole impegno muscolare e provocava un forte, accentuato e istintivo appesantimento del muso dell’aeroplano: la mano sinistra era quindi costretta ad un continuo movimento che andava dalla manetta del gas al volantino dei flaps ed a quello del trim orizzontale.
Nella fase di planata, a circa 220 chilometri orari di velocità, il forte carico alare e il grosso motore rendevamo molto rischioso effettuare le classiche spuntate come si usava in forma comune con i caccia italiani, e si correva il pericolo se non prontamente corretto, di una improvvisa rovesciata con caduta di piatto come già accaduto in precedenti episodi con gravi conseguenze. L’atterraggio non presentava invece particolari difficoltà come mi accadde di dover constatare prendendo terra sull’aeroporto vicentino dopo il primo volo col “Gustavo”. Fu un atterraggio classico, alla “vasellina”, come si dice tra i piloti, e dopo aver toccato il suolo riaprii subito la manetta in velocità con meno trepidazione di prima e mi rituffai obliquamente verso l’alto sino a 1.500 metri dove iniziai, ormai rinfrancato e più sicuro, quello che avrebbe fatto ogni pilota italiano con un velivolo da caccia per lui nuovo: un magnifico tonneau sull’asse che mi risultò di una straordinaria facilità! Cominciavo ad apprezzare veramente le qualità del “Gustav” e continuai nel programma acrobatico. Il looping che feci successivamente costituì invece una sorpresa poiché fu molto laborioso come esecuzione anche se il risultato fu ugualmente buono come mi confermò la “scoppola” di scia all’uscita dalla manovra. Infatti allorché si trova in posizione rovesciata, il pilota si sforza di vedere al più presto la terra per correggere eventuali imperfezioni della manovra, ma sul “Gustavo” le normali difficoltà di esecuzione erano provocate anche da una fastidiosa distorsione ottica causata dal raccordo semicircolare trasparente del parabrezza corazzato e il piano del tettuccio, ed era quindi necessario non tenere conto del fenomeno di deformazione ottica constatato. In picchiata il muso del velivolo tendeva a sollevarsi in forma naturale, aspetto questo tipico dei velivoli autoequilibranti, mentre in cabrata si verificava invece il fenomeno inverso. In sintesi le manovre sul piano orizzontale risultavano facili e piacevoli, quelle sul piano verticale erano invece complesse e faticose poiché impegnavano tutta la muscolatura del pilota. Altro aspetto importante dell’aereo tedesco erano le alette tipo “Handley Page” che permettevano virate strettissime, ma considerando che non vi era fra esse alcun collegamento meccanico o comandi idraulici poiché funzionavano automaticamente in qualunque condizione di stallo, sorgevano in proposito ragionevoli dubbi sulla loro effettiva funzionalità in fase di atterraggio. Cosa sarebbe successo, ad esempio, se l’aletta dell’ala sinistra rimaneva incastrata per un qualsiasi motivo o tardava a uscire rispetto a quella destra che usciva fuori regolarmente e nel tempo previsto? Tale dispositivo fu causa di molti incidenti poiché l’aereo se incappava in tale inconveniente subiva un improvviso rovesciamento nella delicata fase dell’atterraggio con conseguenze mortali, come accadde in seguito al Capitano Bartolozzi o ferite gravissime come nel caso occorso al Capitano Barioglio.
La manutenzione dell’aeroplano risultava invece molto semplice e funzionale: il motore si scoperchiava con due cofani laterali che si sollevavano sfilando semplicemente una sbarretta di collegamento tra i due cofani; ugualmente accessibile e ribaltabile risultava il radiatore del lubrificante. Un motorino elettrico serviva per la ritrazione del carrello e per l’armamento dei cannoncini. Il ruotino di coda era fisso come il seggiolino di pilotaggio. Complessivamente il Messerschmitt era quindi da considerarsi come una efficientissima macchina da guerra, di costo molto contenuto per la semplicità costruttiva, di facile e razionale manutenzione. Da un punto di vista personale, debbo aggiungere che il pilotaggio del docilissimo Macchi 205, che perdonava qualsiasi errore del pilota, mi aveva fatto conoscere una macchina splendida da guidare nel cielo rispetto alla condotta più rozza e meno piacevole del “Gustavo”.
Nel Messerschmitt la migliore posizione del pilota evitava i fastidiosi dolori alla schiena causati dal paracadute dorsale tipo “Salvator”. L’utile serbatoio supplementare del carburante da Lt. 300, che si sganciava normalmente prima del combattimento facendo apparire la scritta in rosso “Keine bombe” (senza bomba – leggasi serbatoio) garantiva una maggiore autonomia operativa e le caratteristiche di volo non risultavano apprezzabilmente variate dalla presenza del grosso involucro ventrale. In fase di decollo e atterraggio avveniva l’esclusione automatica del parzializzatore dei radiatori glicolo che restavano quindi nella posizione aperta. Il parabrezza del blindovetro era dotato di un dispositivo esterno di lavaggio molto utile (simile a quello delle moderne automobili odierne) che a comando spruzzava benzina per ripulire il vetro da macchie d’olio o altro. Un finissimo reticolo in rame era incorporato tra i vari strati del blindovetro per il suo riscaldamento antiappannante/antighiacciante, tale reticolo, normalmente invisibile sfavillava in modo intenso e fastidioso in determinati angoli d’incidenza della luce solare provocando abbagliamenti momentanei. La radio di bordo, un Telefunken G.16 era dotata in sintonia a quarzi con figure geometriche che indicavano i diversi canali, aveva due posizioni di comando: Fern/nah dotate di interruttori per indicare conversazioni a breve o lunga distanza. Un dispositivo di autodistruzione del Fu.G. ne prevedeva l’uso in caso di abbandono del velivolo. L’antennina sulla cappottina portava la dicitura: nicht anfassen (non afferrarsi), un rettangolo tratteggiato in nero sulla giunzione fra ala e fusoliera ammoniva con la scritta Nur hier betreten (appoggiarsi solo qui); vicino al bocchettone di carico del carburante un triangolo rosso segnalava il tipo di benzina da adottare indicando il numero di ottani, altre scritte segnalavano la posizione della cassetta di medicazione e viveri di emergenza (cerchio con croce rossa), il tipo di lubrificante (normalmente Rotring), ed altre utili indicazioni. Il collimatore Re.Vi.Zeiss era all’incira simile al nostro San Giorgio ma aveva il vantaggio di essere imbottito nella parte inferiore per evitare pericolose lesioni in caso d’urto ed era inoltre sganciabile in caso d’emergenza. Tutti i pulsanti elettrici erano disposti su un pannello a sinistra della plancia centrale, e poiché avevano scritte in tedesco non facilmente comprensibili, era piuttosto difficile per i piloti italiani rendersi pienamente conto di cosa significavano anche se intuivano il funzionamento e non di rado era possibile vedere in pieno giorno un “Gustav” con le luci di posizione accese o un tubo di Pitot rovente in agosto … a motore fermo.
Pesante circa 3.300 kg., il “Gustav” aveva un coefficiente di robustezza molto basso: (alcuni dicevano 3,5) ed una manovra “all’italiana” portava a volte al distacco della coda (come accadde al Serg. Magg. Sanson) o di una semiala. Per questo motivo l’altimetro aveva segnata in rosso la velocità massima da raggiungere alle varie quote. Sulla cappottina, una linea rossa trasversale, segnava l’angolo massimo di picchiata che era permesso raggiungere. Ho pilotato successivamente anche le ultime versioni del Messerschmitt 109 – la G.10 e la K.4 – ma il pilotaggio non differiva molto dalla G.6 anche se i velivoli risultavano più docili, erano più veloci e possedevano un poderoso armamento.
Feci l’ultimo combattimento con un Bf.109/G.10 alla fine della guerra, abbattendo il 19 aprile 1945 un B.24 nel cielo della Lombardia al comando di una pattuglia del 1° Gruppo Caccia.
Oddone Colonna
Ufficiale pilota del 150° Gruppo Autonomo CT Regia Aeronautica
e del 1° Gruppo Caccia dell’Aviazione Nazionale Repubblicana