Volare è passione e vocazione, che riempie di sè una vita.
Adolf Galland
Bombardieri / Ricognitori
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero, immagini, scheda e storia
Velivolo da bombardamento, trimotore, monoplano a struttura mista.
[ vedi descrizione completa ]Scheda tecnica
CARATTERISTICHE
motori: Alfa Romeo 126 R.C.34
potenza unitaria: cv 750 a 2250 m
apertura alare: m 21,20
lunghezza totale: m 15,60
altezza totale: m 4,60
superficie alare: mq 61,70
peso a vuoto: kg 6.945
peso a carico massimo: kg 10.820
velocità massima: km/h 430 a 4.000 m
velocità minima: km/h 130
tempo di salita: 13' 15" a 4.000 m
tangenza massima: m 6.500
autonomia: km 1.900
decollo: m 275
atterraggio: m 350
armamento: 3 mitragliatrici da 12,7 mm, 1 da 7,7 mm
carico bellico: kg 1.250
equipaggio: 6
costo al 1939: Lit. 719.500
progettista: Alessandro Marchetti
pilota collaudatore: Adriano Bacula
primo volo prototipo: MM. 260 il 2 settembre 1935
località: Vergiate (Varese)
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero
DESCRIZIONE TECNICA
Velivolo da bombardamento, trimotore, monoplano a struttura mista.
Fusoliera in tubi d'acciaio al cromo-molibdeno o manganese-molibdeno ricoperta in dural (fusoliera anteriore e parte del dorso) in compensato (dorsale posteriore) in tela (fianchi, ventre ed impennaggi).
Cellula di tipo monoplano, ala bassa a sbalzo rastremata, in un sol pezzo, trilongherone, integralmente in legno; rivestimento in compensato protetto da tela sul dorso e parte anteriore del ventre; coefficiente di robustezza: 7.
Complesso degli ipersostentatori in legno rivestito in compensato protetto da tela verniciata, comprendente: alule Handley-Page al bordo d'attacco alare, flaps a fessura in prossimità dei motori, alettoni a doppio effetto per la restante lunghezza dell'ala.
Stabilizzatore irrigidito da coppie di montanti, ad incidenza variabile in volo; timone di direzione con aletta servomotrice; deriva irrigidita da tiranti in acciaio.
Carrello retrattile per rotazione all'indietro a scomparsa, totale nelle gondole motori ad attuazione idraulica tramite pompa meccanica sul motore centrale più pompa di emergenza. Ruotino di coda parzialmente alloggiato in fusoliera.
Eliche tripale metalliche Savoia Marchetti PWO.2 a passo variabile in volo a due posizioni (decollo e crociera); alimentazione tramite tre pompe meccaniche comunque incrociabili, o pompa a mano o per caduta; sei serbatoi in prossimità della fusoliera, due all'esterno dei motori, due ausiliari (tot. It. 820) nelle carenature posteriori delle gondole motori, tutti con rivestimento S.E.M.A.P.E. ed a diaframmi interni, per un massimo di It. 3.320.
Impianto elettrico alimentato da un generatore a mulinello più due batterie a 12 V da 44 A/h; faro d'atterraggio ventrale. Equipaggio previsto di quattro componenti (operativo cinque-sei).
Cabina di pilotaggio a posti affiancati, subito sul retro le postazioni del motorista a sinistra e del marconista a destra, sul cielo anteriore due portelli semifinestrati sganciabili per la evacuazione d'emergenza.
Strumentazione di cabina comprendente tra l'altro: due girorizzonti, due virosbandometri, due girodirezionali.
Ricetrasmittente nella postazione del marconista insieme al radiogoniometro P63N. Gondola di puntamento posteriore con gambali retrattili in lamiera, attrezzatura fotografica, comando idraulico azionamento portelloni, comando timone di direzione, traguardo Jozza e cruscotto con indicazioni di quota, velocità e prua.
Compartimento bombe dietro la postazione dei marconista, a fianco dei corridoio di passaggio; in posizione verticale bombe variabili tra 2 da 500 kg o 5 da 250 kg o 12 da 100 kg o 588 spezzoni da 2 kg; sul ventre di fusoliera attacchi orizzontali per due bombe o siluri.
“Gobba” superiore apribile posteriormente: Breda Safat cal. 12,7 con 350 colpi fissa in caccia, comandata dal pilota di sinistra (spesso non installata), un'arma analoga battente il settore poppiero per un angolo laterale di 30° per parte e 70° in elevazione, scatole per caricatori: 2 per 250 colpi. In fusoliera una ulteriore 12,7 in depressione nella gondola di puntamento con 350 colpi, una Safat cal. 7,7 sparante attraverso portelli laterali.
PRODUZIONE
MM. 260 - prototipo (costruzione SIAI)
MM. 20663-20686 - n. 24 (ottobre 1936-gennaio 1937, SIAI)
MM. 21051-21074 - n. 24 (luglio 1937-marzo 1938, Macchi)
MM. 21075-21156 - n. 82 (aprile-novembre 1937, SIAI)
MM. 21157-21180 - n. 24 (gennaio-aprile 1937, SIAI)
MM. 21181-21204 - n. 24 (ottobre 1937-maggio 1938, Reggiane)
MM. 21289-21312 - n. 24 (aprile-novembre 1938, Macchi)
MM. 21325-21372 - n. 48 (marzo-luglio 1938, SIAI)
MM. 21373-21380 - n. 8 (novembre 1937-gennaio 1938, SIAI)
MM. 21381-21396 - n. 16 (gennaio-marzo 1938, SIAI)
MM. 21403-21408 - n. 6 (luglio 1938, SIAI)
MM. 21409-21420 - n. 12 (luglio-ottobre 1938, Reggiane)
MM. 21421-21432 - n. 12 (novembre-dicembre 1938, Reggiane)
MM. 21433-21493 - n. 61 (settembre 1938-aprile 1939, SIAI)
MM. 21538-21544 - n. 7 (novembre-dicembre 1938, Macchi)
MM. 21545-21554 - n. 10 (agosto-settembre 1938, SIAI)
MM. 21555-21564 - n. 10 (gennaio-marzo 1939, Reggiane)
MM. 21627-21638 - n. 12 (gennaio-luglio 1939, Aeronautica Umbra S.A.)
MM. 21681-21688 - n. 8 (gennaio-marzo 1939, Macchi)
MM. 21730-21753 - n. 24 (aprile-luglio 1939, Reggiane)
MM. 21790-21840 - n. 51 (aprile-luglio 1939, SIAI)
MM. 21850-21865 - n. 16 (luglio-novembre 1939, AUSA)
MM. 21930-21945 - n. 16 (luglio-settembre 1939, Reggiane)
MM. 21982-22000 - n. 19 (luglio-settembre 1939, SIAI)
MM. 22009-22032 - n. 24 (dicembre 1939-aprile 1940, AUSA)
MM. 22033-22056 - n. 24 (settembre-ottobre 1939, SIAI)
MM. 22057-22070 - n. 14 (ottobre-novembre 1939, Reggiane)
MM. 22071-22110 - n. 40 (ottobre-dicembre 1939, SIAI)
MM. 22111-22118 - n. 8 (luglio-agosto 1940, AUSA)
MM. 22119-22126 - n. 8 (agosto 1940, AUSA)
MM. 22127-22142 - n. 16 (dicembre 1939-marzo 1940, Reggiane)
MM. 22163-22207 - n. 45 (dicembre 1939-marzo 1940, SIAI)
MM. 22208-22235 - n. 28 (marzo-luglio 1940, Reggiane)
MM. 22268-22282 - n. 15 (luglio-ottobre 1940, Reggiane)
MM. 22283-22361 - n. 79 (marzo-giugno 1940, SIAI)
MM. 22546-22565 - n. 20 (giugno-luglio 1940, SIAI)
MM. 22566-22575 - n. 10 (novembre-dicembre 1940, Reggiane)
MM. 22576-22585 - n. 10 (luglio-ottobre 1940, Reggiane)
MM. 22586-22600 - n. 15 (settembre 1940-marzo 1941, AUSA)
MM. 22789-22794 - n. 6 (settembre 1940-marzo 1941, AUSA)
MM. 23827-23834 - n. 8 (dicembre 1940-gennaio 1941, Reggiane)
MM. 23838-23861 - n. 24 (luglio-settembre 1940, SIAI)
MM. 23862-23877 - n. 16 (settembre-novembre 1940, SIAI)
MM. 23878-23887 - n. 10 (gennaio-febbraio 1941, Reggiane)
MM. 23888-23891 - n. 4 (settembre 1940-marzo 1941, AUSA)
MM. 23892-23901 - n. 10 (marzo-maggio 1941, AUSA)
MM. 23935-23974 - n. 40 (febbraio-luglio 1941, Reggiane)
MM. 24076-24101 - n. 26 (agosto-novembre 1941, Reggiane)
MM. 24152-24163 - n. 12 (maggio-agosto 1941, AUSA)
MM. 24164-24177 - n. 14 (agosto-ottobre 1941, AUSA)
MM. 24210-24239 - n. 30 (novembre 1941-marzo 1942, Reggiane)
MM. 24479-24528 - n. 50 (giugno-settembre 1942, Reggiane)
MM. 24300-24314 - n. 15 (ottobre 1941-marzo 1942, AUSA)
MM. 24327-24346 - n. 20 (marzo-maggio 1942, Reggiane)
MM. 24347-24350 - n. 4 (ottobre 1941-marzo 1942, AUSA)
MM. 25366-25395 - n. 30 (1° semestre del 1943, Reggiane)
MM. 25488-25472 - n. 25 ( periodo mancante, AUSA)
MM. 25506-25525 - n. 20 ( 1943, AUSA)
MM. 25548-25597 – n. 50 (serie non realizzata, AUSA)
CREDITI
Autori Vari Dimensione Cielo Volume IV bombardieri ricognitori Edizioni Bizzarri, Roma 1972
Cesare Gori S.I.A.I. S.79 1934-1950 La Bancarella Aeronautica, Torino 2008
Autori Vari S.I.A.I. momenti di storia Edizioni Aeronautiche Italiane, Firenze 1978
Monografie Aeronautiche Italiane fascicolo 72 Claudio Tatangelo Editore, Roma 1985
L. Spaggiari C. D’Agostino SM-79 il gobbo maledetto Il Castello, Milano 1979
Alberto Borgiotti Cesare Gori Savoia Marchetti SM79 Sparviero Mucchi Editore, Modena 1994
Decio Zorini I primati aeronautici italiani Aeronautica Militare Ufficio Storico, Roma 1999
Cesare Gori Il Savoia Marchetti S.M.79 nel secondo conflitto mondiale Aeronautica Militare Ufficio Storico, Roma 2003
Giuseppe Federico Ghergo Angelo Emiliani Ali in Spagna Giorgio Apostolo Editore, Milano 1997
Carlo Unia Storia degli aerosiluranti italiani Edizioni Bizzarri, Roma 1974
Autori Vari Storia dell’Aviazione Fratelli Fabbri Editori, Milano 1974
Nino Arena L’Aeronautica Nazionale Repubblicana 1943-1945 (due volumi) STEM Mucchi, Modena 1974
Roberto Gentilli Savoia Marchetti S.79 in action Squadron/Signal publication, Carrollton (USA) 1986
Storia aereo
Numerosissime immagini d'epoca, disegni a colori, schemi, tabelle tecniche, ricordi di protagonisti, la più completa trattazione del Savoia Marchetti SM.79 "Sparviero" presente sul web.
SOMMARIO
LA GENESI, I PRIMATI, L’IMMISSIONE AI REPARTI OPERATIVI, LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA
Il Savoia Marchetti SM.79 I-MAGO
La versione militare: pregi e difetti
L’impiego nella guerra civile spagnola
Continuano le imprese sportive e la conquista di nuovi primati
Trionfo nella corsa Istres - Damasco – Parigi
La traversata dell’Atlantico meridionale
Esportazione e versioni bimotore predisposte per le aeronautiche militari irakena e romena
Il ponte aereo per l’occupazione dell’Albania, la distribuzione presso i reparti operativi
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Le operazioni belliche contro il territorio metropolitano e coloniale francese
L’Africa settentrionale, l’offensiva di Graziani verso l’Egitto e la prima offensiva britannica
Il nobile gesto dei motoristi Morettin e Zucco
La situazione in Africa settentrionale all’inizio del 1941
I successivi cicli operativi, l’Aviazione Presidio Coloniale
L’Africa Orientale Italiana
La guerra di Grecia e l’occupazione della Yugoslavia
Malta e il Mediterraneo orientale
L’impiego contro formazioni navali
La battaglia aereonavale di Punta Stilo
Successivi interventi contro formazioni navali e convogli
La guerra dei poveri
L’impiego per il trasporto di personalità e l'addestramento
Una tragica giornata
Gli studi e le esperienze di radio guida Il Savoia Marchetti SM.79 ARP
La sfortunata uscita operativa, nel quadro della battaglia aeronavale di “mezz’agosto”
Studio per l’istallazione dell’ ala metallica e di un impianto aviotrasportato di radiolocalizzazione
L’MPIEGO COME AEROSILURANTE
I precursori della specialità, un tormentato percorso
La nascita della specialità, il Reparto Sperimentale Siluranti
L’incursione contro il porto d’Alessandria d’Egitto del 15 agosto 1940
Il primo attacco coronato da successo
278a squadriglia autonoma siluranti: “i Quattro Gatti”
Si creano i Nuclei Addestramento Siluranti ed i primi reparti operativi
L’ultimo pensiero di Italo Fontanelli
Vengono conseguiti nuovi successi, altri reparti vengono impegnati nella lotta
Si costituiscono nuovi reparti operativi
Il contributo alla battaglia aereonavale di mezzo giugno
Ed a quella di mezz’agosto
La situazione della specialità al novembre 1942, lo sbarco alleato in Nord Africa
L’abbattimento di Buscaglia sulla baia di Bougie
Altre azioni del “Gruppo Buscaglia” contro porti algerini e unità navali in navigazione
Si apportano migliorie ai propulsori, l’ultima serie produttiva
L’incursione contro Gibilterra (Operazione Scoglio)
Si costituisce il “Raggruppamento siluranti”
L’ ultima azione bellica prima dell’armistizio
Gli sparvieri dell’aeronautica co-belligerante
Il Savoia Marchetti SM.79 nell'ANR
Il dopoguerra, gli ultimi voli con l’aeronautica libanese, il mito
Un'opportuna nota sulla sigla del velivolo
La corretta sigla del velivolo è S.79, avendo la Società costruttrice iniziato ad attribuire quella SM a partire dal giugno 1938. Per ragioni legate ai criteri d'indicizzazione nei motori di ricerca sono state utilizzate entrambe.
L’SM.79 CS I-FILU (Fiori, Lucchini) secondo classificato nella corsa Istrés-Damasco-Parigi ed un SM.79
silurante su un aeroporto di guerra. I giorni dei primati e quelli della guerra: due immagini che sintetizzano
oltre vent’anni d’impiego del Savoia Marchetti SM.79 Sparviero nell’aviazione italiana
Oltre 1.200 esemplari in servizio ed oltre vent'anni di volo coll'Aeronautica militare italiana, sono i primi dati con cui si presenta il Savoia-Marchetti S.79: le note seguenti, non potendo esaurire una così vasta realtà operativa, si propongono di fornire solo qualche elemento indicativo.
Il Savoia Marchetti S.79 I-MAGO
Nell'ottobre 1934, è Adriano Bacula a collaudare sull'aeroporto di Cameri (Novara) l'S.79P (passeggeri) I-MAGO, propulso da tre Piaggio P.IX da 610 cv. ciascuno. Si tratta di un prototipo civile a 8 posti, che non fa in tempo a partecipare alla corsa Londra-Melbourne, per l'assegnazione della coppa Mac Robertson.
La velocità massima a livello del mare è di 355 km/h., in quota superiore addirittura ai 400. Il 14 giugno 1935, il collaudatore effettua un volo da Milano-Linate a Roma-Urbe in h 1,10 alla media di 410 km/h.
Riequipaggiato con motori Alfa Romeo 125 RC.35 da 750 cv., il prototipo è impiegato nell'estate 1935 dal Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, Giuseppe Valle, per un sopralluogo in Africa orientale: l'equipaggio di volo è costituito dal magg. Attilio Biseo, dal cap. Gori Castellani e da tre specialisti. Il 5 agosto 1935 il percorso Massaua-Roma, escludendo una breve sosta sull'aeroporto del Cairo, è compiuto in h. 11,45 ad una media effettiva di 350 km/h.
Non molto tempo dopo, il 23 e 24 settembre 1935, Biseo, Castellani, Erminio Gadda, decollati da Roma-Urbe, sul circuito Monte Cavo-Monte Nerone-Orbetello battono sei primati mondiali di velocità sui 1.000 e 2.000 km., con 500-1.000-2.000 kg. di carico. Le medie sono rispettivamente di 390,971 e di 380,952 km/h
Savoia Marchetti SM.79 I-MAGO con l’originaria motorizzazione dei Piaggio Stella II R.C.2. Sulla destra del portello d’accesso la sigla G.Q. (Grande Quota) all’epoca attribuita agli aerei civili muniti di impianto d’inalazione dell’ossigeno.
A fianco le indicazioni dei carichi del velivolo
Savoia Marchetti SM.79 I-MAGO con Alfa Romeo AR.125 RC.35 da 750 cv.
Savoia Marchetti SM.79 I-MAGO
CARATTERISTICHE (Tratte da una pubblicità della Casa costruttrice) motori: Piaggio Stella IX R.C. - potenza unitaria: 570 cv a 4000 m - apertura alare: m 21,20 - lunghezza totale: m 16,20 - altezza totale: m 4,10 - superficie alare: mq 60 - velocità massima: km/h 400 - velocità minima: km/h 105 - tangenza massima: m 7.100 - autonomia: km 1.500/2.500 - equipaggio: 4 - passeggeri: 8
.
Il prototipo del Savoia Marchetti SM.79 nell’originaria configurazione di trasporto civile a otto posti.
Notare la finestratura nastriforme e le cappottature dei motori laterali bugnate
Il Savoia Marchetti SM.79 I-MAGO con motori Alfa Romeo AR.125 RC.35, sulla deriva sono riportati i risultati del volo Massaua-Roma effettuato il 5 agosto 1935 e dei sei primati di velocità conquistati il 23 e 24 settembre dello stesso anno. L’I-MAGO sarà velivolo di grande longevità risultando ancora in carico al I Centro Sperimentale di Guidonia nel marzo 1942
La versione militare: pregi e difetti
La Savoia-Marchetti sottopone alla Regia Aeronautica quattro diversi studi per una versione militare del velivolo. Si tratta di due soluzioni trimotori, rispettivamente con gli Alfa Romeo 125 RC35 o i Gnóme-Rhóne K.14, e di due soluzioni bimotori monoderiva con i K.14 o con motori Hispano-Suiza 79.
Il 9 ottobre 1935, la Segreteria tecnica dello S.M. Aeronautica invia al Sottocapo di S.M. un promemoria in cui, pur ribadendo le ottime qualità del trimotore civile, la capacità progettuale di Alessandro Marchetti e la perizia tecnica della Ditta, critica con decisione le quattro proposte. Dei trimotori, si lamentano il costo eccessivo ed i problemi inerenti al puntamento, data la presenza del motore centrale che non consente installazioni nel muso. Dei bimotori, si esclude a priori la versione con gli Hispano-Suiza, per evitare ulteriori eterogeneità nel campo dei propulsori, e si considera soltanto quella con i K.14 (350 km/h. di velocità massima, in luogo dei 415 preventivati coi trimotori) suggerendo però l'adozione di una deriva sdoppiata per avere coppia minore in caso d'arresto di un motore.
Ma l'appunto più deciso di tutta la relazione è dedicato alle pessime condizioni di stivaggio del carico offensivo in una fusoliera che non è più alta di mt. 2,20. Data l'inconsueta disposizione degli ordigni, appesi verticalmente, se ne prevede uno sgancio scorretto e si sottolinea l'impossibilità di trasportare le bombe da 800 kg. che sono alte mt. 3,60. Il promemoria si conclude con il suggerimento di chiedere al progettista lo studio di un velivolo bimotore completamente nuovo che, dimenticando il brillante S.79 I-MAGO, rispetti la formula degli altri concorrenti (Ca.135, P.32, BR.20, B.G.A., Ba.82, CZ. 1011). Ma non sarà così, il prototipo militare rimane trimotore sia pure con una configurazione molto particolare dovuta all'installazione dell'armamento e alle esigenze d'impiego operativo. Nasce la caratteristica « gobba » dorsale per le due armi da 12,7 mm. anteriore e posteriore, nasce la gondola ventrale per il puntamento e per la terza mitragliatrice da 12,7; un'altra arma da 7,7 mm., nel settore centrale della strettissima fusoliera, può far fuoco indifferentemente da uno dei portelli laterali.
Le prove di tiro sul poligono di Furbara confermano le già ricordate previsioni: le bombe compiono indescrivibili capriole al momento dello sgancio, prima di stabilizzarsi nell'assetto di caduta. Per lo studio diretto di questi fenomeni, si monta un'apposita cinepresa nella gondola ventrale così da poter riprendere l'intera sequenza del lancio. Il materiale filmato fornisce prove inequivocabili. Ma tutta la successiva pratica operativa, su obiettivi terrestri come su obiettivi navali, sta a dimostrare che i nostri puntatori hanno preso una tale confidenza con queste « stravaganze » balistiche da riuscire a tradurle in lanci egualmente perfetti.
Fasi del caricamento di bombe da 100 kg. a bordo di un Savoia Marchetti S.79 Sparviero. La sistemazione del carico bellico a bordo è una delle questioni, derivanti dall’origine non bellica del velivolo, più controverse
Il Generale Luigi De Siena, all’inizio del conflitto comandante della 256a Squadriglia (108° gruppo, 36° Stormo) con il grado di capitano esprime la sua opinione circa il controverso stivaggio verticale del munizionamento di caduta.
Il problema era in realtà un non problema; il tiro dei bombardieri era assolutamente preciso se poteva svolgersi in condizioni ideali, ma questo richiedeva che l’aereo fosse tenuto in assetto orizzontale, che l’andamento del vento fosse costante con la quota e che le bombe fossero perfette almeno nelle loro superfici aerodinamiche.
Invece capitava che in mezzo alle cannonate della contraerea l’aereo non potesse volare come in parata, che qualche sicura non si svitasse nei tempi desiderati o che durante il caricamento la lamiera dell’impennaggio di qualche bomba prendesse un colpo deformandosi: garantito che così la bomba andava per conto suo, ma che colpa poteva avere lo stivaggio verticale o l’S.79? si possono riempire volumi per dimostrare la tesi della cattiva disposizione delle bombe e altri per dimostrare la sua contraria, ma poi in pratica tali e tanti erano i fattori che allontanavano dalle condizioni ottimali per il lancio, che tutte le disquisizioni rimarrebbero solo mere esercitazioni.
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero
cestelli con elemento mobile per bombe da 500 kg.
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero
cestelli con elemento mobile per bombe da 250 kg.
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero
cestelli per bombe da 100 kg.
Savoia Marchetti SM.79 205a squadriglia (41° gruppo, 12° stormo) Roma Ciampino Nord, maggio 1940
L'uscita del nuovo monoplano da bombardamento a carrello retrattile, invero una macchina d'avanguardia, trova grosse aliquote del Personale psicologicamente e tecnicamente impreparate, al punto che nel primo periodo d'impiego si deve far ricorso a vari piloti provenienti dalla caccia. L'addestramento è comunque progressivo ed accurato e questo evita che intorno al velivolo si crei un dannoso alone di difficoltà o pericolosità: se esso fosse stato immesso nei reparti con le stesse approssimative adottate col Caproni Ca. 135 ed il Piaggio P.32 , anche l'SM.79 sarebbe andato incontro ad un sicuro disastro. Il velivolo, con ottime caratteristiche di maneggevolezza e di velocità, è relativamente leggero e poco stabile tanto che se ne ritarda la pratica di volo notturno e lo si considera non sicuro in condizioni atmosferiche avverse. Ma tutto è relativo. Chi lamenta questi inconvenienti, evidentemente non ha occasione di volare con gli ancora più instabili concorrenti: fa eccezione il solo Fiat BR.20. D'altra parte la formula trimotore è l'unica a fornire una adeguata potenza complessiva usando motori di così modesta erogazione unitaria come sono quelli prodotti (per giunta su licenza) dalle nostre industrie: inoltre, l'S.79 dimostra di mantenersi egregiamente in volo con due soli propulsori, dote preziosa sia di fronte all'avaria tecnica come all'offesa bellica. Non meno importanti le caratteristiche di galleggiamento in caso di ammaraggio forzato (mediamente circa mezz'ora) più che sufficienti per consentire un ordinato abbandono dell'aereo. Inoltre la struttura (trilongherone in legno per l'ala, traliccio in tubi di acciaio per la fusoliera) assorbe con disinvoltura anche gravi danni bellici.
Al momento della sua comparsa, l'S.79 è un brillante strumento offensivo, ma diviene anche vettore per una poco realistica propaganda di supremazia aerea. Dal fronte spagnolo, giungono foto di questi aerei orrendamente crivellati: nella carlinga devastata, dinanzi ad un posto di pilotaggio sconvolto che fa solo pensare al poveraccio che lo ha occupato, il cronista dell'epoca ripete con monotonia: « Il bombardamento non si arresta, ha possibilità illimitate ». Sono le tesi in voga al momento, quelle che irresponsabilmente tralasciano l'aggiornamento ed il potenziamento della caccia italiana in nome di un'aviazione offensiva che poi sarà arrestata.
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero 204a squadriglia (41° gruppo, 12° stormo), Montecelio 1937
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero MM 20672, primo lotto produttivo SIAI di 24 esemplari.
Si noti la caratteristica bugna presente su entrambe i lati della parte fissa della gobba, caratterizzante i primi esemplari
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero
Nei profili 1 e 2 allestimenti iniziali della gobba, nel 3 quello definitivo
L’impiego nella guerra civile spagnola
L'immissione sul teatro operativo spagnolo è comunque un evento importante, condotto con larghezza di vedute. Basti pensare che gli S.79 sono in consegna al 12° stormo dall'ottobre 1936 e che, nella primavera successiva, solo 48 esemplari sono in reparto. Eppure il 12 febbraio 1937 Castellani, De Prato, Pucci sono alle Baleari con i primi velivoli. Da qui, alcune azioni preliminari sulla costa spagnola (aeroporto di Reus, altiforni di Sagunto, arsenale di Cartagena) poi in maggio i velivoli si trasferiscono a Tablada (Siviglia).
Il 21 maggio, cinque SM.79 colpiscono nel porto di Almeria la vecchia corazzata « Jaime I », quindi il Gruppo si porta a Soria per partecipare al ciclo operativo intorno a Bilbao. Il 24 maggio su questa città, l'aereo del magg. Aramu è ripetutamente colpito, ma torna egualmente alla base. Il 5 giugno, 8 SM.79 (289a squadriglia) bombardano Somorrostro ed il giorno successivo tre velivoli attaccano truppe concentrate a Villasanta: è l'inizio di una interminabile serie di azioni in cui i nuovi trimotori confermano le loro possibilità offensive, la velocità, il buon grado di difesa nei confronti della caccia nemica.
Seguono altri equipaggi con Attilio Biseo, Ranieri Cupini. Nel settembre 1937 il reparto è a Palma di Maiorca con dodici aerei, i « Sorci Verdi ». Da qui iniziano le missioni su Cartagena e Valencia, attaccata il 2 ottobre da 10 SM.79. Equipaggi e velivoli, provenienti dal 12° stormo (41° gruppo, 204a e 205a squadriglia, 42°gruppo, 200a e 201a) assumono in Spagna un diverso inquadramento e nell'aprile 1938 formano il 111° stormo da bombardamento veloce (29° gruppo, 280a e 289a; 30° gruppo, 281a e 285a).
Gli altri S.79 sono con l'8° stormo (27° gruppo, 18a e 52a; 28° gruppo, 10a e 19a). Questo reparto che ha ricevuto i nuovi velivoli a Bologna-Borgo Panigale nel gennaio 1937, a fine novembre 1937 affluisce a Palma di Maiorca. Le « Galline » poi « Falchi delle Baleari », sotto il comando dl ten. col. Gennaro Giordano, si dedicano con particolare impegno al martellamento dei porti (Barcellona, Valencia, Alicante, Cartagena) ed alla intercettazione del traffico navale: la duplice azione mette in grave crisi il rifornimento marittimo avversario.
E' indubbio che l'impiego operativo di un centinaio di SM.79 ha dato un contributo notevole alle sorti di questo conflitto. I soli velivoli appartenenti all’Aviazione Legionaria hanno totalizzato oltre 2.500 missioni, 20.000 ore di volo bellico e circa 100 combattimenti aerei con i caccia repubblicani.
In due anni di guerra ne sono perduti per cause belliche solo quattro velivoli: due di essi cadono il 28 marzo 1938 nel settore di Alcaniz per una collisione dovuta ai danni del tiro contraereo. Un terzo il 12 aprile a nord di Cherta: Il velivolo della 289a squadriglia pilota ten. Rovis precipita in fiamme per la prematura esplosione del munizionamento di caduta, costituito da spezzoni. L’equipaggio perisce interamente. Il quarto ed ultimo velivolo viene centrato dalla reazione contraerea e in Val de Linares, un solo componente dell’equipaggio riesce a porsi in salvo.
Dovendo aggiungere gli incidenti e gli aerei non suscettibili di riparazione, nel maggio 1939 soltanto 80 velivoli sono ceduti all'Aeronautica militare spagnola.
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero
111° stormo Bombardamento Veloce, Aviazione Legionaria, Spagna 1938
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Savoia Marchetti SM.79 Sparviero
XII gruppo Sorci Verdi, Aviazione Legionaria, Spagna Estate 1937
I Sorci Verdi sulla fusoliera di un Savoia Marchetti SM.79 dell’Aviazione Legionaria
L’ORIGINE DI UN NOME
Tre topini ritti sulle zampe posteriori e reciprocamente ammiccanti in una frivola conversazione.
Su quale sia l’origine di uno dei distintivi di reparto più noti dell’aeronautica italiana non vi è concordanza. La più valida tesi fa risalire l’origine del simbolo alla guerra civile spagnola. Nel marzo 1937 il sottotenente Aurelio Pozzi avrebbe disegnato i tre topi dopo aver udito un sottufficiale esclamare in dialetto romano: ”Domani annamo su Barcellona e je famo vede li sorci verdi”, significante il provocare un estremo spavento.
il successivo 7 settembre il Generale Valle dispone con apposita nota che:
“il distintivo dei Sorci Verdi [con i tre topi in posizione eretta] contrassegnante i velivoli che parteciparono alla gara aerea internazionale Istres-Damasco-Parigi venga adottato come distintivo ufficiale del 12° Stormo B.T.”.
Formazione di Savoia Marchetti SM.79 Sparviero
dell'Aviazione Legionaria in volo lungo la costa spagnola
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero
10a squadriglia (XXVIII gruppo 8° stormo Bombardamento Veloce) Palma de Majorca, maggio 1938
Continuano le imprese sportive e la conquista di nuovi primati
Intanto a Guidonia l'S.79 continua a migliorare i propri records. L'8 luglio 1937 Biseo, Gadda, Bruno Mussolini portano sul circuito Fiumicino-Antignano-Ansedonia un esemplare speciale munito di motori Piaggio P.XI da 1.000 cv. alla media di km/h. 423,618 su 1.000 km. di percorso e con 2.000 kg. di carico. Lo stesso record sale a 430,622 (21 novembre 1937, Biseo-Mussolini), a 444,115 (30 novembre 1937, Bacula-D'Ambrosis). fino alla eccezionale media di 472,825 stabilita il 4 dicembre 1938 da Angelo Tondi e Giovanni Pontonutti. Presso il Centro sperimentale è anche provato un unico esemplare munito di motori con eliche a passo reversibile in volo: durante una prova esso va distrutto in un atterraggio di fortuna compiuto presso le cave di travertino di Bagni di Tivoli.
Trionfo nella corsa Istres - Damasco - Parigi
All'inizio del 1937, sempre con motori Alfa 126, la Savoia Marchetti appronta esemplari privi delle installazioni belliche, per voli su lunghe distanze: inizialmente si prevede una corsa sul Nord Atlantico, ma poi essa non è voluta dagli statunitensi i quali, essendo in fase organizzativa di regolari trasvolate civili, temono che eventuali incidenti di gara, possano pesare sul destino commerciale delle nuove linee.
In luogo della Parigi-New York e senza la partecipazione della squadra statunitense, il 20-21 agosto 1937 è disputata la corsa Istres Damasco (km. 2921) Damasco-Parigi (km. 3269). Ad essa sono destinati alcuni S.79C (corsa). Sui quattro eterogenei velivoli francesi e sull'unico inglese De Havílland D.H.88 Comet, i nostri equipaggi hanno buon gioco: a Damasco i primi cinque posti sono degli S.79 di Fiori-Lucchini (I-FILU, 424 km/h. di media), Cupini-Paradisi (I-CUPI), Biseo-Mussolini (I-BIMU), Tondi-Moscatelli (I-TOMO), Rovis Trimboli (I-ROTR, 415 km/h.); seguono i due BR.20A ed all'ottavo posto è l'SM79C I-LICA di Lippi e Castellani con 351 km/h. di media, dovuti alle difficoltà incontrate per il cattivo funzionamento di un'elica. Ripartendo da Damasco, lo stesso aereo imbarda e riporta gravi danni, poi sono i BR.20A a dover interrompere la gara che si conclude a Parigi con l'I-CUPI primo assoluto alla media generale di km/h. 352,789, secondo è l'I-FILU, terzo l'I-BIMU, sesto l'I-TOMO, ottavo l'I-ROTR.
Savoia Marchetti SM.79 I-CUPA, vincitore della corsa Istres-Damasco-Parigi
I Savoia Marchetti SM.79 della corsa Istres-Damasco-Parigi schierati a Guidonia
Damasco (Siria), 21 agosto 1937. Uno dei Savoia Marchetti SM.79 CS in sosta.
A sinistra è visibile uno dei concorrenti francesi: il quadrimotore Bloch 160 F-ARFA (Francois e Laurent)
Roma – Littorio (oggi Urbe), 25 agosto 1937.
Folla attorno ai Savoia Marchetti SM.79CS appena rientrati dalla competizione
La traversata dell’Atlantico meridionale
Alle h. 7,28 del 24 gennaio 1938, 3 S.79 decollano da Guidonia per un altro stupendo volo. Dopo 4.500 km. sono a Dakar (h. 18,15) per uno scalo prima della traversata atlantica. Il 25 mattina (h. 9,10) l'I-BISE (A. Biseo-A. Paradisi), l'I-BRUN (B. Mussolini - R. Mancinelli), l'I-MONI (A. Moscatelli - G. Castellani) partono alla volta di Rio de Janeiro. Alle h. 22,45 dopo 5.350 km. di volo giungono i primi due aerei realizzando una media di 404 km/h. sul percorso generale (km. 9.850): l'I-MONI è dovuto atterrare a Natal dopo una traversata condotta con due soli motori a causa di avaria ad un'elica. I tre aerei sono lasciati all'aeronautica militare brasiliana. Anche se vengono chiamati S.79T (transatlantici), essi sono perfettamente identici agli esemplari della precedente competizione: ad esempio l'I-MONI altro non è che l'aereo già impiegato da Cupini e Paradisi.
La pagina di “Libro e moschetto” con le foto degli equipaggi della trasvolata atlantica
Roma – Dakar – Rio de Janeiro (24 – 25 gennaio 1938)
PRIMATI DEL SAVOIA MARCHETTI SM.79 REGISTRATI DALLA REGIA UNIONE NAZIONALE AERONAUTICA
23/24 settembre 1935 – Classe C. – Aeroplani 390,371 km/h – MM.260 I-MAGO
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 2000 kg e, con lo stesso volo,
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 1000 kg e, con lo stesso volo,
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 500 kg e, con lo stesso volo,
primato di velocità su 1000 km senza carico commerciale
equipaggio: Attilio Biseo, G. Castellani, E. Gadda
motori: Alfa Romeo AR125 RC35 da 650CV
circuito: Monte Cavo – Monte Nerone – Orbetello
23/24 settembre 1935 – Classe C. – Aeroplani 380,952 km/h – MM. 260 I-MAGO
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 2000 kg e, con lo stesso volo,
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 1000 kg e, con lo stesso volo,
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 500 kg
equipaggio: Attilio Biseo, G. Castellani, E. Gadda
motori: Alfa Romeo AR125 RC35 da 650CV
circuito: Monte Cavo – Monte Nerone – Orbetello
8 luglio 1937 – Classe C. – Aeroplani 423,618 km/h – MM. 21137
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 2000 kg e, con lo stesso volo,
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 1000 kg e, con lo stesso volo,
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 500 kg
equipaggio: Attilio Biseo, Bruno Mussolini, E. Gadda
motori: Piaggio PIX RC da 900 CV
circuito: Fiumicino – Antignano – Ansedonia
Per tale impresa vengono proposte per la medaglia d’argento al valore aeronautico: la S.I.A.I. Marchetti, quale costruttrice del velivolo e la Piaggio, costruttrice dei propulsori. Ai due piloti oltre l’onorificenza, l’elargizione di un premio di 5.500 £.
21 novembre 1937 – Classe C. – Aeroplani 430,622 km/h
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 2000 kg e, con lo stesso volo,
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 1000 kg e, con lo stesso volo,
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 500 kg
equipaggio: Attilio Biseo, Bruno Mussolini, E. Gadda, D. Risaliti
motori: Piaggio PXI RC40 da 1000 CV
circuito: Osservatorio Vesuvio – Santa Marinella – Monte Cavo
30 novembre 1937 – Classe C. – Aeroplani 444,115 km/h
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 2000 kg e, con lo stesso volo,
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 1000 kg e, con lo stesso volo,
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 500 kg e, con lo stesso volo,
equipaggio: Adriano Bacula, P. D’Ambrosis, L. Merizzi, D. Risaliti
motori: Piaggio PXI RC40 da 1000 CV
circuito: Osservatorio Vesuvio – Santa Marinella – Monte Cavo
30 novembre 1937 – Classe C. – Aeroplani 401,965 km/h
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 5000 kg
equipaggio: Angelo Tivegna, Giovanni Lucchini, Biagio Di Giuseppe
motori: Alfa Romeo AR126 RC34 da 750 CV
Circuito: Osservatorio Vesuvio – Santa Marinella – Monte Cavo
1937 – Classe C. – Aeroplani 448,095 km/h
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 2000 kg e, con lo stesso volo,
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 1000 kg e, con lo stesso volo,
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 500 kg e, con lo stesso volo,
equipaggio: Adriano Bacula, Paolo De Ambrosis, L. Merizzi, D. Risaliti
motori: Piaggio PXI RC40 da 1000 CV
4 dicembre 1938 – Classe C. – Aeroplani 468,811 km/h
primato di velocità su 2000 km con carico commerciale di 2000 kg e, con lo stesso volo,
primato di velocità su 2000 km con carico commerciale di 1000 kg e, con lo stesso volo,
primato di velocità su 2000 km con carico commerciale di 500 kg
equipaggio: Angelo Tondi, G. Pontonutti, D. Risaliti, Rozzano
motori: Piaggio P.XI RC40 da 1000 CV
4 dicembre 1938 – Classe C. – Aeroplani 472,825 km/h
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 2000 kg
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 1000 kg
primato di velocità su 1000 km con carico commerciale di 500 kg
equipaggio: Angelo Tondi, G. Pontonutti, D. Risaliti, Rozzano
motori: Piaggio P.XI RC40 da 1000 CV
Esportazione e versioni bimotore predisposte per le aeronautiche militari irakena e romena
All'eco suscitata dall'impiego bellico, ai primati, ai voli su lunga distanza, si accompagna la produzione della versione bimotore destinata all'esportazione. Dotato di Fiat A.80 da 1.000 cv. o di Gnome-Rhone K.14 da 950 cv. ciascuno, l'S.79B ha velocità massima nell'ordine dei 410 km/h. ed è contraddistinto dalla sezione anteriore completamente ristrutturata: nel 1938 quattro velivoli con gli A.80 sono consegnati all'Iraq e 24 con i K.14 alla Romania.
Nell'estate 1939 fanno seguito (per la Romania) altri 24 esemplari con motori Junkers Jumo 211D da 1.220 cv. ciascuno, senza gondola ventrale, con piani di coda di nuovo disegno (S.79 JR). La velocità massima sale a 445 km/h.
Nel 1941 la « Industria Aeronautica Romena » ne produce 16 esemplari su licenza. Quarantacinque trimotori, analoghi a quelli della Regia Aeronautica, sono invece consegnati alla Jugoslavia.
Savoia Marchetti SM.79 della Reale Aviazione Jugoslava.
I quarantacinque velivoli ordinati sono utilizzati dal 7° stormo e dall’81° gruppo autonomo
Savoia Marchetti SM.79 della Reale Aviazione Jugoslava
catturato intatto revisionato dagli specialisti della Regia Aeronautica
Savoia Marchetti SM.79B dell’aviazione irakena, 1938
Savoia Marchetti S.79B
CARATTERISTICHE motore: FIAT A80 RC41 - potenza unitaria: cv. 1.030 al decollo - apertura alare: m 21,20 - lunghezza totale: m / - altezza totale: m 4,10 - superficie alare: mq 61,70 - peso a vuoto: kg 6.600 - peso a carico massimo: kg 10.100 - velocità massima: km/h 420 - tangenza massima: m 7.100 - autonomia: km 1.600 (col massimo carico bellico) - carico bellico: kg 1.175
Savoia Marchetti SM.79B irakeno. Da notare la gondola ventrale di forma aerodinamicamente più curata, anche la sezione dorsale presenta un disegno meglio risolto della versione trimotore. La parte prodiera ha, inoltre, una sezione trasversale minore grazie alla configurazione in tandem dei posti di pilotaggio, che rimanda alla soluzione adottata nelle progettazioni di Filippo Zappata. La finestratura prodiera richiama la soluzione adottata sull’SM.81B. I quattro esemplari irakeni furono distrutti dalle incursioni della RAF durante la rivolta filo-Asse della primavera del 1941
Savoia Marchetti SM.79 JR
Savoia Marchetti SM.79JR
CARATTERISTICHE motore: Junkers Jumo 211D - potenza unitaria: cv 1.220 al decollo - apertura alare: m 21.20 - lunghezza totale: m / - altezza totale: m 4,30 - superficie alare: mq 61,70 - peso a vuoto: kg 7.200 - peso a carico massimo: kg 10.800 - velocità massima: km/h 445 - tangenza massima: m 7.300 - autonomia: km / - carico bellico: kg 1.175
L’occupazione dell’Albania, la distribuzione presso i reparti operativi
Nell'aprile 1939 quatto stormi su S.79, 12° « Sorci Verdi » da Roma, l’11° da Ferrara, 30° da Forlì, 36° da Bologna, collaborano, insieme agli S.81, al ponte aereo per l'occupazione dell'Albania. Le 105 macchine sono concentrate a Foggia effettuando scorte e lancio di manifestini. I soli velivoli del 36° stormo vengono avanzati a Tirana.
L'S.79, prodotto in serie presso SIAI, Macchi, Reggiane, Aeronautica Umbra, è ormai col 9° (Viterbo), 11° (Comiso), 30° (Sciacca), 32° (Cagliari-Elmas), 34° (Catania), 36° stormo (Castelvetrano). Al 1° novembre 1939 si sono aggiunti altri tre stormi 10°, 33°, 41° (Gela) portando ad 11 i reparti che si dividono il carico di 388 S.79 mentre solo tre velivoli di questo tipo si trovano in A.O.I.
Al 10 giugno 1940, gli S.79 salgono a 612, di cui 18 in A.O.I.: il velivolo è in dotazione anche al 14° - 15° - 46° stormo. Dietro a questi numeri vi è un impegno addestrativo e logistico veramente imponente.
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero, 11a squadriglia (26° gruppo 9° stormo) Sicilia estate 1939
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Le operazioni belliche contro il territorio metropolitano e coloniale francese
Nelle operazioni contro la Francia, gli SM.79 intervengono sulla Corsica, la Tunisia, contro unità in navigazione e... sull'arco alpino.
Il 15 giugno 6 velivoli del 90° stormo attaccano l'aeroporto di Ghisonaccia, 5 aerei del 46° bombardano il porto di Calvi, 6 SM.79 dell'8° un campo-appoggio a sud di Ajaccio. Le azioni sugli aeroporti continuano il 16 giugno (Campo dell'Oro da parte di 6 S.79 dell'8°), il 17 (Borgo, attaccato da 5 aerei del 46°), il 19 giugno (11 velivoli del 9° contro Borgo, 15 del 12° stormo contro Ghisonaccia, 11 dell'8° contro Campo dell'Oro e Calvi).
Le missioni sulla Tunisia sono iniziate il 12 giugno da 21 S.79 del 32° stormo che bombardano la base aeronavale di Biserta. I tiri sono eseguiti molto bene e conseguono la distruzione di due bimotori da collegamento Caudron Goeland e di tre idro trimotori Loire 70, l'affondamento della nave « Finisterre », l'incendio di 40.000 litri di carburante, il danneggiamento di numerose infrastrutture. Il 13 giugno, 33 S.79 del 30° e 36° stormo intervengono contro alcuni aeroporti tunisini e la notte del 17 cinque aerei dell'8° tornano su Biserta.
Tra il 21 ed il 23 giugno, mentre il 59° gruppo del 41° stormo da Milano-Bresso è mandato a bombardare le Alpi nord-occidentali in condizioni meteorologiche ed operative pessime, continuano le azioni su Biserta, si ha un'isolata azione su Marsiglia (il 21 giugno, 9 S.79 del 46° stormo), si effettua l'intercettazione di unità navali francesi.
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero, 253a squadriglia (104° gruppo 46° stormo) Pisa, estate 1940
Pisa – San Giusto, 14 giugno 1940. Galeazzo Ciano, Umberto Nannini, Alessandro Pavolini
e altri aviatori prima dell’azione di bombardamento sui campi di aviazione della Corsica
L’Africa settentrionale, l’offensiva di Graziani verso l’Egitto e la prima offensiva britannica
Contemporaneamente in Africa settentrionale, la situazione è già molto meno allegra. Vi si trovano il 33° stormo con 31 velivoli (Bir el Bhera), il 10° con 30 S.79 (Benina), il 15° con 35 aerei (Maraua), il 14° con 12 SM.79 (El Adem).
La grave inferiorità sul fronte terrestre (carri armati ed autoblindo) obbliga subito all'impiego dei mezzi aerei in onerosissimi voli per la ricerca e l'attacco delle colonne motorizzate avversarie. Tale impiego limita le azioni a carattere strategico e logora prematuramente aerei ed equipaggi.
Intanto alle h. 17,40 del 28 giugno, l'S.79 con Italo Balbo ed otto sfortunati compagni di volo è abbattuto in fiamme da una batteria di 20 mm. della difesa contraerea di Tobruk. Il tragico errore è dovuto ad una incursione appena effettuata da 9 Bristol Blenheims e dal fatto che i due S.79 (scampa al fuoco l'aereo del gen. Felice Porro) si sono portati all'atterraggio verso Tobruk-T.2 con modalità non regolamentari per il riconoscimento.
Il 3 luglio, il Maresciallo Rodolfo Graziani sollecita il Comando Supremo al fine di ottenere un potenziamento dell'Aeronautica della Libia: in effetti, nel giro di due settimane si ottengono altri 167 aerei tra cui 12 S.79 per reintegrare gli organici ed i 16 S.79 del 33° gruppo (59a e 60a squadriglia). Viene anche costituita una apposita squadriglia, la 175a, con compiti di ricognizione lontana: i suoi S.79 si spingeranno frequentemente sul portò di Alessandria e perfino sulla baia di Suda (Creta) di cui il cap. Giulio Marini effettuerà un importante rilevamento fotografico.
L'11 settembre 1940 giungono a Castel Benito i 32 S.79 del 90° stormo (26° gruppo, 11a e 13a; 29° gruppo, 62a e 63a) in sostituzione del 10° che rientra in Italia: si trasferiscono quindi a oriente per contribuire all'occupazione di Sidi Barrani (13-18 settembre 1940). Tra settembre ed ottobre sono anche compiute tre importanti azioni di bombardamento su Marsa Matruch, rispettivamente con 40-43-26 S.79 scortati da forti aliquote di CR.42.
Il 21 ottobre giunge a Benina il 41° stormo (59° gruppo, 232a e 233a; 60° gruppo, 234a e 235a) in avvicendamento al 33° che torna in Italia.
Queste sostituzioni danno chiaramente idea del grave attrito bellico a cui i reparti sono sottoposti, sia durante l'azione che per offesa aerea nemica sui nostri aeroporti: per quest'ultima ragione nei primi otto mesi di guerra in Africa settentrionale, vanno perduti ben 20 S.79, altri 17 sono danneggiati gravemente, una cinquantina lievemente. Ciò dipende dal fatto che gli aeroporti hanno una difesa contraerea scarsa o addirittura inesistente. Questa situazione pesa sul Personale che troppo spesso ha come unica risorsa la forte miopia del puntatore nemico , o la non esplosione degli ordigni. Altrettanto drammatica è la situazione alimentare e quella sanitaria, peggiorata dal clima torrido e dalla denutrizione. In queste condizioni, piloti e specialisti fanno anche tre missioni giornaliere, sempre che abbiano il carburante e le bombe per poterle eseguire.
La situazione precipita a metà dicembre sotto la violenta offensiva nemica. Il 16 dicembre 1940 a Sidi Omar, durante un'azione contro mezzi meccanizzati 6 S.79 del 9° stormo sono attaccati da una ventina di caccia inglesi: vengono abbattuti gli aerei del col. Mario Aramu (comandante di stormo), del ten. col. Guglielmo Grandjacquet (comandante del 29° gruppo), del cap. Victor Hugo Girolami (comandante della 63a squadriglia).
In pochi giorni il 29° ed il 33° gruppo, il 14° stormo, debbono essere ritirati dalla lotta perché ormai privi di efficienza bellica: giungono soltanto 12 nuovi aerei per il 41° stormo e 44 S.79 con il 34° (52° gruppo, 214a e 215a; 53° gruppo, 216a e 217a). Il 12 gennaio anche il 26° gruppo lascia la Libia: i ripiegamenti sono costati l'abbandono di 30 S.79 incidentati, non suscettibili di trasferimento.
Personale di volo e di terra nell’imminenza del decollo di un
Savoia Marchetti S.79 Sparviero da un campo libico
Il nobile gesto dei motoristi Morettin e Zucco
In questa drammatica situazione, merita di essere ricordato l'atto generoso del maresciallo motorista Ferruccio Morettin e dell'allievo motorista Ezio Zucco, appartenenti alla 54a squadriglia (47° gruppo, 15° stormo). Incaricati di provvedere alla riparazione di un S.79 costretto ad un atterraggio di fortuna, con una squadra di specialisti lavorano alacremente per alcuni giorni: all'ultimo momento, quando si deve attendere un equipaggio per il prelievo, la linea di ripiegamento investe la zona. Un ufficiale dell'Esercito invita gli specialisti a ritirarsi e a distruggere l'aereo se non può immediatamente decollare. Ed ecco i due uomini compiere il gesto incredibile: per salvare l'S.79 « curato » dalla loro fatica salgono a bordo e facendo appello alle loro cognizioni, o forse al loro amore, riescono a decollare ed a raggiungere l’ aeroporto di Misurata: anche se l’atterraggio su quel campo non si può definire propriamente perfetto, questo volo va considerato tra i più belli di tutta la storia dell'aviazione.
Specialisti al lavoro. Le tre immagini ben documentano come gli specialisti della
Regia Aeronautica garantiscano l’efficienza dei velivoli in condizioni ambientali estreme
La situazione all’inizio del 1941
Alla fine del febbraio 1941 in Tripolitania sono presenti 40 S.79. Ad essi, il 4 aprile si aggiungono i velivoli del 27° gruppo (8° stormo) seguiti dalla 19a squadriglia del 28° gruppo (30 aprile), poi dalla 10a (in maggio). Le squadriglie dell'8° stormo, insieme alla 174a e 175a da ricognizione strategica, costituiscono i reparti della Libia con S.79 per la rimanente parte del 1941. L'8° stormo perde quattro velivoli in azione bellica ed altrettanti la ricognizione strategica. Sugli aeroporti sono distrutti 5 S.79 e 25 più o meno gravemente danneggiati.
I successivi cicli operativi, l’Aviazione Presidio Coloniale
Col rimpatrio dell'8° stormo (dicembre 1941) la specialità da bombardamento in Libia non è più con gli S.79: essi rimangono in carico alla sola 103a squadriglia sahariana ad Hon, per compiti di polizia coloniale. Ma nel settembre 1942, non molto prima della decisiva battaglia di El Alamein, tutti gli S.79, compresi quelli aerosiluranti, debbono tornare al bombardamento per contrastare le infiltrazioni dei nuclei di camionette nemiche. Poi, dal 16 al 22 settembre gli S.79 contribuiscono ad impedire l'occupazione di Gialo da parte di una forte colonna motorizzata. Il 1° dicembre 1942. si costituisce la 102a squadriglia sahariana con S.79 lasciati dagli equipaggi aerosiluranti. Le due squadriglie sahariane sono impiegate esclusivamente nella protezione di nostri reparti in ripiegamento. A metà gennaio 1943, quando ormai è quasi conclusa la lunga ritirata verso la Tunisia, l'Aviazione Sahariana ha esaurito il suo compito e viene sciolta: 11 S.79 rientrano in Italia.
La foto ben documenta gli strettissimi spazi a bordo del Savoia Marchetti S.79.
Le due Breda SAFAT DA 7,7 mm soppiantano la singola Lewis dopo le prime settimane di guerra
L’Africa Orientale Italiana
Mentre in Libia già alla fine del 1940 il velivolo è facile preda di Hurricanes e Spitfires, è tale la povertà di mezzi in Africa orientale che l'S.79 vi rimane aereo di punta rispetto ad S.81 e Ca.133. Nella sterminata regione ve ne sono soltanto 18 con il 44° gruppo autonomo perché dal marzo 1940 non è più consentito il sorvolo dell'Egitto e del Sudan anglo-egiziano, in precedenza si è ricorso allo stratagemma di fornire i velivoli di immatricolazioni civili di comodo.
Essi partecipano alla conquista della Somalia britannica indi a quelle azioni anti-nave dell'inizio di settembre, già ricordate per l'S.81. Unico modo per far giungere altri S.79 è quello del trasferimento diretto in volo dagli aeroporti delle oasi libiche. Ma anche da Auenat o da Cufra si richiedono 1.500 o 1.900 km. di volo su territorio nemico prima di giungere in A.O.I. E specialmente il primo campo, sulla frontiera libico-egiziana, è talmente esposto a colpi di mano nemici che non vi si possono concentrare eccessive scorte di carburanti e ricambi. Comunque entro il 14 novembre 1940, altri 23 S.79 giungono in A.O.I. Purtroppo la disastrosa apertura della campagna di Grecia e poi in dicembre l'azione inglese contro la Cirenaica (perdita di Cufra ed Auenat), complicano ulteriormente la situazione. Si provvede ad inviare speciali S.79 ad autonomia maggiorata al fine di poter affrontare il volo di 2.700 km. da Bengasi all'Asmara. Entro il 3 febbraio 1941 giungono così altri 16 S.79. Il 4 febbraio, evacuata Bengasi, l'invio di aerei diviene ancora più complesso. AI 17 marzo è giunto soltanto un ulteriore S.79. Rioccupata Bengasi (4 aprile) la deteriorata situazione in A.O.I. sconsiglia ulteriori invii. Nonostante questi sacrifici, durante l'offensiva britannica all'inizio del 1941 l'efficienza degli S.79 in Africa orientale è ormai molto bassa: 5 velivoli al 10 gennaio, 7 al 31 gennaio, 9 al 10 febbraio, 4 in marzo, l’ultimo esemplare viene abbattuto nel maggio 1941.
Nelle prime due settimane del marzo 1941, l'Aeronautica A.O.I. scompare dai cieli della battaglia: è uno strattagemma per far credere un totale annientamento. Ma il 15 marzo 1941, al momento dell'offensiva generale inglese contro Cheren, 12 CR.42, 3 S.79, 2 Ca.133 ricompaiono improvvisamente, attaccano di sorpresa gli aeroporti nemici e per undici giorni sono sulla linea del fuoco: una conclusione leggendaria per l'attività operativa dei pochi e modestissimi mezzi di questa Aeronautica, gloriosa anche in questo essere isolata e « dimenticata » dall'Italia.
Al termine della campagna la South African Air Force recupera almeno due S.79 che vengono lungamente impegnati per servizi di trasporto, collegamento, addestramento alla navigazione toccando Kenia, Sud Africa, Egitto, Madagascar.
Atterraggio sul campo di Dire Daua, ormai occupato dagli inglesi, di un Savoia Marchetti SM.79 con a bordo il plenipotenziario per la resa di Addis Abeba. La mimetizzazione del velivolo è quella “mediterranea” con due toni di verde bordati di color sabbia, mentre in fusoliera la fascia bianca è attraversata da una croce di Sant’Andrea, propria ai velivoli della Regia Aeronautica del settore. Lo Sparviero è quindi uno fra quelli giunti in volo dall’Italia, dopo l’entrata in guerra. Gli SM.79 compiono scalo intermedio presso l’oasi di Gialo o l’ancor più remoto campo di Auenat posto nell’estremo sud libico per compiere quindi il balzo verso l’AOI
Catturato dagli inglesi sul campo di Addis Abeba questo Savoia Marchetti SM.79 Sparviero
vede l'impiego quale velivolo da trasporto, la numerazione in fusoliera è quella italiana
La guerra di Grecia e l’occupazione della Yugoslavia
Alle ostilità contro la Grecia partecipano i 31 S.79 del 46° stormo (104° gruppo, 252a e 253a; 105° gruppo, 254a e 255a) trasferiti da Pisa-S. Giusto a Tirana tra il 24 ottobre ed il 4 novembre 1940. Durante questo ciclo operativo i due Gruppi effettuano circa 300 missioni e sostengono trenta combattimenti con la caccia nemica.
Ricordiamo un singolare episodio: un PZL ellenico attacca un nostro “Sparviero”, l’esaurimento delle munizioni non fa desistere il cacciatore greco che danneggia la deriva del trimotore con l’elica; costretto in tale modo l'aereo all’atterraggio scende a sua volta ed ingiunge la resa all’equipaggio. L’episodio, espressivo della determinazione greca nei confronti dell’aggressione italiana, è ricordato da un’emissione filatelica di quella nazione del 1968.
L’aeronautica greca (Ellenika Vassiliki Aeroporia) ha altresì utilizzato come trasporto un S.79 della 254a squadriglia abbandonato sull’aeroporto di Koriza alla capitolazione di quella località (novembre 1940), il velivolo viene distrutto al suolo a Larissa da un attacco di caccia tedeschi il 6 aprile 1941.
Il 104° e 105° gruppo partecipano quindi alle brevi operazioni per occupare la Jugoslavia: quasi tutti i 42 (la fornitura iniziale era di 45 velivoli ma almeno tre macchine sono andate perdute prima dell’inizio delle ostilità) S.79 di quella aeronautica militare sono distrutti al suolo dalla immediata, preventiva azione della Luftwaffe: con il collasso Jugoslavo diversi esemplari superstiti tentano di raggiungere l’URSS ma solo tre riescono nell’intento. Uno atterra nella Transilvania Ungherese ed è proprio il col. Umberto Nannini, già comandante del 46° stormo, a ritrovarne uno qualche mese dopo le ostilità su un aeroporto magiaro. L'S.79 catturato ed impiegato dagli ungheresi è in ottime condizioni di manutenzione per cui Nannini chiede a Roma di poterne trattare l'acquisto in cambio di due CR.42. Qualche tempo dopo, egli porta personalmente in Italia il velivolo che finisce così per operare presso tre aeronautiche militari.
Altri quattro SM.79 Jugoslavi riparano in medio oriente e vengono recuperati dalla RAF.
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero della 253.asquadriglia (104° gruppo, 46° stormo). Il 4 novembre 1940 il 104° gruppo completerà il trasferimento da Pisa – San Giusto a Tirana. Le operazioni belliche contro la Grecia stanno per entrare in una fase altamente critica e richiederanno il massimo concorso della componente aeronautica
Savoia Marchetti SM. 79 Sparviero, 252a squadriglia (104° gruppo 46° stormo) Scutari dicembre 1940
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero 253a squadriglia (104° gruppo, 46° stormo)
in volo sulle montagne albanesi ed a terra nelle terribili condizioni ambientali di quel fronte operativo
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero 252a squadriglia (104° gruppo, 46° stormo) Scutari (Albania) dicembre 1940
Malta e il Mediterraneo orientale
Nel primo periodo di guerra gli S.79 sono anche usati per effettuare i bombardamenti su Malta. Al 10 giugno 1940 si trovano in Sicilia l'11° stormo a Comiso, il 41° a Gela, il 34° a Catania-Fontanarossa, il 30° a Sciacca, il 36° a Castelvetrano, per un totale di 137 velivoli: ma presto questa imponente aliquota deve essere distolta per altri compiti.
L'11 giugno 1940, 35 aerei attaccano La Valletta, l'aeroporto di Hai Far, l'idroscalo di CaIafrana e nel pomeriggio dello stesso giorno vi ritornano altri 38 bombardieri: non si avvistano navi, notati solo 2-3 Gloster Gladiators. Sino al 25 giugno saranno effettuate solo missioni di ricognizione o di valutazione della munitissima difesa contraerea. Le azioni sono riprese il 26 giugno (26 S.79), il 30 (16 velivoli), il 6 luglio (due missioni con un totale di 36 S.79). Il giorno successivo è abbattuto in fiamme un nostro trimotore: la caccia nemica è più attiva, sempre molto consistente il tiro contraereo.
Il 10 luglio per l'azione dei Gloster Gladiators sono già perduti due S.79, da una formazione di 24. Nella notte del 13 luglio, bombardamento notturno su La Valletta di 8 S.79, di cui uno non rientrato; il 21 fa seguito l'azione di sei velivoli su Calafrana e la perdita di un S.79 inviato in missione fotografica. Seguono le azioni notturne del 24 luglio (6 velivoli), del 27 (8 velivoli), del 12 agosto (8 velivoli). Fino a dicembre è condotta un'altra dozzina di azioni, integrate a quelle dei primi CZ.1007 e degli Ju.87B. Sono sganciate 283 tonnellate di bombe senza tuttavia ottenere alcun risultato duraturo sulle potenzialità strategiche dell'isola.
All'inizio del 1941, in concomitanza all'intervento su Malta del X Corpo Aereo Tedesco, l'Aeronautica della Sicilia conserva il solo 30° stormo integrato, il 25 aprile, dal 10°. Ma il 31 maggio 1941 il X C.A.T. lascia la Sicilia, con 81 velivoli in meno, e la Regia Aeronautica ha il dispiacere di trovare l'isola avversaria sempre meglio difesa, ora anche con radiolocalizzatori e caccia notturni. I tre Gladiators del giugno 1940 hanno lasciato il posto a numerosi velivoli di tutte le specialità: nel novembre 1941 la nostra ricognizione fotografica accerta la presenza di ben 220 aerei sugli aeroporti di Malta.
Nel 1942 l'Aeronautica della Sicilia conserva una media di 10-18 S.79 efficienti, ormai impiegati nella scorta-convogli o nell'esplorazione sul mare.
Anche il porto egiziano di Alessandria è soggetto all'azione degli S.79. Il 4 luglio 1940 comincia il 34° gruppo (11° stormo), proveniente da Rodi: ritorna con 4 S.79 per l'azione notturna del 27 luglio e con 6 velivoli per quella del 5 ottobre. Inoltre tra agosto e settembre, circa venti bombardamenti notturni di Alessandria sono condotti da pattuglie di S.79 della Libia.
L'Aeronautica dell'Egeo si dedica al porto palestinese di Haifa, con importanti raffinerie collegate mediante oleodotto ai campi petroliferi medio-orientali. Il 15 luglio 1940 l'attacco è portato da 10 S.79 del 41° gruppo (12° stormo) che sganciano 5.000 kg. di bombe, il 24 luglio tornano 12 SM.79 con 6.000 kg., seguono gli attacchi del 6 e 27 agosto con 10 velivoli ciascuno. Poi queste impegnative missioni sono temporaneamente sospese per la penuria di carburante.
Il 1° novembre 1940, 14 S.79 attaccano invece la baia di Suda (Creta), vi tornano il 13 marzo 1941 (3 velivoli), il 19 (10 aerei), il 20 marzo (3 velivoli), il 20 aprile (2 velivoli); si effettuano anche azioni sugli aeroporti di Creta il 13, 15, 16 febbraio, il 20 aprile. Gli stessi S.79 dell'Egeo bombardano gli aeroporti di Cipro per venti volte, tra il 4 maggio ed il 4 ottobre 1941.
Savoia Marchetti SM.79, 193a Squadriglia (87° gruppo 30° stormo) Sicilia 1941.
Sulla fusoliera L’Omino elettrico, emblema del reparto, è privo del motto “Ardisco colpisco me ne infischio”
Decentramento di Savoia Marchetti S.79 Sparviero
su aeroporto siciliano visti dalla postazione di una mitragliatrice antiaerea
L’impiego contro formazioni navali
Ma è alla guerra aeronavale che gli S.79 danno il più largo contributo. I tiri dei nostri equipaggi sono generalmente eseguiti in maniera ineccepibile come documenta il materiale fotografico ripreso durante le missioni, ma altrettanto brave sono le navi nemiche nell'evitare gli ordigni all'ultimo momento, con violente accostate: il risultato è ottenuto seguendo con i cannocchiali la traiettoria delle bombe e manovrando di conseguenza per cui il più delle volte esse cadono là dove « sarebbe » passata la nave. Successivamente più cospicui risultati sono ottenuti con i siluri, una tecnica operativa che espone ancora maggiormente gli equipaggi degli aeromobili.
Le azioni contro le navi inglesi iniziano il 17 giugno 1940: 6 S.79 dell'11° stormo attaccano, senza esito, un incrociatore a sud-est di Malta. Fanno seguito il 29 giugno 6 velivoli dello stesso stormo che bombardano 7 piroscafi e 5 cacciatorpediniere a nord-ovest di Creta. Il giorno dopo, vicino alla stessa isola, 8 S.79 dell'11° attaccano un forte convoglio scortato colpendo un incrociatore. L'8 luglio 1940 61 S.79 del 10° - 11° - 12° - 14° - 15° stormo effettuano dodici attacchi sulla flotta inglese di Alessandria: 3 corazzate, 1 portaerei, 5 incrociatori, 16 cacciatorpediniere. Per molti equipaggi è la prima uscita operativa su obiettivi navali reali ed il risultato è modesto limitandosi al danneggiamento dell'incrociatore « Gloucester ».
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero 58a squadriglia (32° gruppo, 10° stormo) Sicilia 1942.
All’altezza dei piani di coda l’insegna della squadriglia con il motto “se ti vedo ti frego”
Bombe ancora prive dei governali nella vicinanza di Savoia Marchetti S.79 Sparviero
sulla destra, in primo piano, il verricello per il caricamento a bordo
La battaglia aereonavale di Punta Stilo
Il giorno seguente, nell'ambito della battaglia di Punta Stilo, si succedono gli attacchi di 35 S.81, 9 CZ.506 e 82 S.79, questi ultimi appartenenti a sei stormi: purtroppo circa un terzo dei bombardieri si dedica alle nostre navi, a causa di una situazione tattica assai confusa che ha visto le due flotte suddividersi in gruppi e cambiare continuamente le reciproche posizioni. D'altronde le nostre navi, attaccate, hanno aperto il fuoco contro i trimotori, finendo per confermare l'errore di valutazione. Mentre nel calderone di Punta Stilo regna sovrano il nervosismo, dagli aeroporti sardi di Decimomannu e di Villacidro decollano 18 S.79 del 32° stormo e 22 dell'8°: raggiungono il loro Comandante, gen. di brigata aerea Stefano Cagna che partito in ricognizione offensiva con una pattuglia di velivoli ha avvistato 50 km. a sud delle Baleari, la flotta di Gibilterra: 3 corazzate, 1 portaerei, 4 incrociatori, numerosi cacciatorpediniere.
Contro la perdita di due S.79 si conseguono risultati importanti: danneggiata con tre bombe la corazzata « Hood », colpita a prora la portaerei « Ark Royal » colla perdita di sette aerei da caccia, due cacciatorpediniere danneggiati ed un terzo affondato dopo 18 ore dall'attacco, prima di giungere a Gibilterra. Infatti la formazione navale è costretta ad invertire la rotta e a rientrare alla base.
Una fase dell’intervento dei Savoia Marchetti S.79 Sparviero
nel corso della battaglia aeronavale di Punta Stilo
Successivi interventi contro formazioni navali e convogli
L'11 luglio, ad est di Malta, altro attacco a formazione nemica, questa volta ad opera di 81 S.79 del 30° - 34° - 36° - 41° stormo: colpita la portaerei « Eagle » e, assai gravemente, un piroscafo. Le stesse unità sono poi intercettate da 24 S.79 della Libia (15° e 33° stormo) che forse danneggiano un incrociatore. Nella giornata sono perduti due nostri trimotori. Il 12 luglio, 14 attacchi sono condotti da 112 S.79 del 10° - 11° - 12° - 14° - 15° - 33° stormo: danni a varie unità compresa una bomba da 250 kg. su una corazzata.
Infine il 13 luglio, 22 S.79 dell'11° - 12° - 15° stormo conducono gli ultimi attacchi al convoglio. Si conclude così con il rientro ad Alessandria la navigazione della flotta inglese impegnata dall'8 luglio nella scorta ad un doppio convoglio da e per Malta. L'imponente spiegamento dei nostri mezzi aerei ha ottenuto risultati modesti, pur avendo mantenuto continuamente sotto pressione le navi avversarie. Il 19 luglio, 25 S.79 dell' 11° - 12° - 15° stormo partecipano. alla battaglia di Capo Spada.
Il 1° agosto 1940 gli stormi della Sardegna, il 32° del col. Luigi Gallo e l'8° del col. Vittorio Ferrante, tornano con 17 velivoli a sud delle Baleari sopra una imponente flotta di 3 corazzate, 2 portaerei, 4 incrociatori, 6 cacciatorpediniere. Li guida, come sempre, Stefano Cagna, « atlantico », comandante della X Brigata da bombardamento « Marte », a 36 anni di età il più giovane generale dell'Aeronautica militare italiana: muore insieme al col. Nello Capanni e al sottoten. Carlo Pallavicini, nell'aereo abbattuto dalla contraerea. Anche questa volta sono colpite una portaerei ed una corazzata.
Il 9 novembre 1940, 19 S.79 del 32° stormo attaccano la flotta inglese a nord di Cap de Fer: sono intercettati da una trentina di caccia e poi da un violentissimo fuoco contraereo. Ciononostante il tiro consegue il danneggiamento di una portaerei e di un incrociatore, ma ben 18 trimotori subiscono danni nel combattimento: a Decimomannu sono sbarcati 5 morti e 9 feriti e si arriva a contare in un aereo ben 320 fori dei piccoli calibri della caccia nemica.
In occasione dell'episodio di Capo Teulada (27 novembre 1940) intervengono 20 S.79 della Sardegna; poi le navi, ormai giunte a La Valletta (Malta) sono attaccate da 10 velivoli della Sicilia (30° stormo). Le azioni sono mediamente condotte da 3.500-4.000 metri: quote inferiori non sono generalmente possibili perché espongono ancora maggiormente al tiro contraereo e perché non consentono agli ordigni di stabilizzarsi in una traiettoria regolare di caduta (è il difetto caratteristico di stivaggio sull'S.79). A quote superiori è il sistema di puntamento a divenire impreciso; inoltre l'apertura dei portelli per lo sgancio esporrebbe il puntatore in fusoliera a temperature ancora più glaciali dei —40°C a cui purtroppo è costretto già a media quota.
Il 9 gennaio 1941 aerei del 32° stormo attaccano vicino alla costa africana un forte convoglio scortato, colpendo la corazzata « Malaya » ed un cacciatorpediniere: due S.79 non rientrano. Per il tempo eccezionalmente cattivo, è praticamente nullo l'apporto degli S.79 alla caccia delle navi inglesi che hanno bombardato Genova (9 febbraio 1941).
L'8 maggio, 14 S.79 del 32° stormo attaccano due navi da battaglia, una portaerei, 6 incrociatori, 10 piroscafi, numerosi cacciatorpediniere nuovamente colpita l' « Ark Royal » ma un S.79 è abbattuto, 3 colpiti gravemente, 8 in maniera lieve. Il 10 maggio, 15 S.79 del 32° piazzano i loro colpi molto vicino a due incrociatori, causando probabili danni.
Il 23 luglio 1941, 10 S.79 del 32° stormo attaccano la « Forza H » uscita da Gibilterra (1 corazzata, 1 portaerei, 3 incrociatori, 8 cacciatorpediniere) per scortare piroscafi carichi di truppe e rifornimenti. Sono danneggiate le due navi maggiori di fronte alla perdita di un velivolo: poi intervengono 16 S.79 dalla Sicilia (10° e 30° stormo) ma solo 5 di essi, a causa della foschia possono avvistare il nemico. Il successivo 25 luglio, 8 bombardieri del 32°, intercettati dai caccia durante lo sgancio, sono tutti colpiti ed uno precipita in fiamme. Nel corso del 1941 gli attacchi degli S.79 bombardieri cominciano a diminuire: il grosso delle azioni è affidato ai CZ.1007 bis o agli aerosiluranti.
Anche nella esplorazione su mare, l'aereo ha reso importanti servizi. Questa attività svolta in vicinanza delle flotte nemiche ha purtroppo comportato altissime perdite specie se i velivoli hanno tentato di rimanere in zona, funzionando da radio-faro, ossia emettendo segnali per essere raggiunti dai bombardieri.
Savoia Marchetti S.79 Sparviero della 194a squadriglia (90° gruppo, 30° stormo)
La guerra dei poveri
Oltre che con un avversario agguerrito e con la povertà dei suoi mezzi, la Regia Aeronautica ha spesso dovuto fare i conti con una certa incomprensione nei confronti delle proprie esigenze operative. Un solo episodio, piuttosto clamoroso, può dare idea di queste non minori difficoltà. A Cagliari-Elmas, il Comando dell'Aeronautica è in fermento per il solito convoglio inglese che sta attraversando il Mediterraneo. Le riserve di carburante sono a zero e si attende, sommergibili inglesi permettendo, l'arrivo di una motocisterna dalla penisola per poter andare a combattere. Questa volta il prezioso carico giunge indenne ed il gen. Vespignani, Comandante l'Aeronautica della Sardegna, manda del Personale a curare le operazioni di scarico. Ed ecco il fatto inatteso: in porto, la, nave è piantonata da soldati perché il Comando Regio Esercito di Cagliari ha requisito, per proprie esigenze, il carico di... benzina-avio. Vespignani cerca spiegazioni telefonando ai colleghi dell'altra Arma, ma ha risposte evasive e promesse generiche per cui ordina al cap. Macario, Comandante dei Reali Carabinieri per l'Aeronautica della Sardegna, di recarsi con i suoi uomini al porto di Cagliari per sbloccare la situazione « anche a costo di far uso delle armi »: poche ore dopo gli S.79 della Sardegna sono in volo verso l'obiettivo. E' molto difficile fare una guerra aerea con bombe e siluri contati e la benzina centellinata …
L’impiego per il trasporto di personalità e l'addestramento
L’S.79 è presente in discreti quantitativi presso le Scuole da bombardamento, presso la Scuola di volo senza visibilità. E' anche il velivolo personale di Ufficiali Generali della R. Marina, R. Esercito, R. Aeronautica: come tale è l'aereo di Giuseppe Valle, poi di Francesco Pricolo e di Rino Corso Fougier, per le loro esigenze di spostamento.
Marchetti SM.79 utilizzati per compiti di addestramento presso la Scuola di Aviano (AVI)
Savoia Marchetti S.79 adibito al trasporto di personalità, la bandierina azzurra in fusoliera attesta l'assegnazione del velivolo al Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica
I velivoli assegnati ad personam durante la guerra sono i seguenti:
MM.21467 Gen. S.A. Valle
MM.22176 Gen. S.A. Corso Fougier Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica
MM.21362 Gen. D.A. Cappa
MM.22853 Gen. D.A. Tedeschini-Lalli
MM.22191 Gen. D.A. Bernasconi
MM.22284 Gen. D.A. Aimone Cat
MM.25367 Gen. D’A. Ambrosio Capo Stato Maggiore/Generale
MM.21199 Gen. D’A. Roatta Capo Stato Maggiore del Regio Esercito
MM.21806 Gen. D’A. Rosi
Durante la RSI vengono assegnati due soli velivoli:
MM.21199 Quartier Generale Forze Armate della RSI (ex velivolo del Generale Roatta)
MM.45516 Capo del Governo della RSI
Savoia Marchetti S.79 Sparviero (MM.21154) assegnato ad Amedeo di Savoia Duca d'Aosta.
Il velivolo reca bande tricolori in fusoliera e sulle ali e la marca civile I-ABNE.
Da notare i due finestrini in fusoliera, ricavati per migliorare il comfort dei trasportati
Una tragica giornata
Dei numerosi voli sostenuti in tale ruolo, ne citiamo uno solo, in una giornata particolarmente triste. Il 26 giugno 1942, l'S.79 pilotato da Guidantonio Ferrari, porta Fougier in ispezione ad un aeroporto avanzato sul confine libico-egiziano, appena abbandonato dagli inglesi, ove operano i C.202 del Gruppo del 4° stormo, comandato dal magg. Ludovico Laurin.
Si sta attendendo il rientro di alcuni caccia e ad un certo punto si ha l'impressione di sentirne il caratteristico sibilo: sono invece le bombe a spillo lanciate da alcuni aerei inglesi. E' una strage: inservibili numerosi C.202 ed il velivolo S.79 del Capo di Stato Maggiore, molti morti e feriti tra il Personale di volo e gli Specialisti. Fougier e Ferrari si salvano per caso e dopo poco tempo giunge un Fieseler Storch tedesco a prelevare il Comandante della nostra aviazione. Ferrari rimane invece nello sventurato aeroporto e partecipa all'opera di evacuazione dei feriti che vengono avviati con i pochi mezzi disponibili verso i lontani ospedali da campo; poi assiste alla sepoltura dei Caduti. Tra essi è anche Laurin, già abilissimo e valoroso pilota del Centro Sperimentale di Guidonia. Nella stessa fossa i superstiti vogliono deporre il fedelissimo cane di Laurin che ha seguito il padrone in Libia, lo ha festeggiato ad ogni rientro e non se ne è separato nemmeno sotto le bombe nemiche, nell'ultimo viaggio fuori dal tempo: inizialmente il Cappellano si oppone a questo rito inconsueto che accomuna nella terra benedetta un uomo ed il suo cane, poi si piega alla volontà degli altri nella certezza di una pietà che tutto abbraccia, senza limiti. Ma l'orribile giornata non è ancora finita: tra i morti, dopo molte ore di permanenza sotto il sole e nella sabbia, si scopre un aviere col cranio scoperchiato anteriormente ed in cui si vede la massa cerebrale ancora pulsante. Purtroppo non c'è più un mezzo per trasportarlo in ospedale. Solo la mattina dopo, con un sottufficiale pilota giunge per pura combinazione l'S.79 del generale comandante la V Squadra Aerea che dovrebbe caricare generi alimentari abbandonati dal nemico. Ma il volo sarà diverso: Ferrari requisisce l'aereo e decolla portando verso la salvezza l'aviere ferito.
Gli studi e le esperienze di radio guida, il Savoia Marchetti SM.79 ARP
L'idea di impiegare contro le navi nemiche un aereo privo di equipaggio e carico di esplosivo, è formulata nella estate del 1940 dal gen. Ferdinando Raffaelli. Il prof. Algeri Marino, l'eminente studioso che coordina il lavoro dei giovani ingegneri elettrotecnici del Centro Sperimentale di Guidonia, esamina la proposta e l'affida per la parte radioelettrica al cap. G.A.r.i. Emilio Montuschi.
Per questo ciclo di esperienze è messa a disposizione una coppia di velivoli SM.79 ormai radiati dai reparti per le loro pessime condizioni di efficienza: uno è destinato a fungere da guidatore, l'altro sarà la vera « bomba volante ». Fin dall'inizio viene scartata l'idea di dare all'aereo una radio-guida totale per l'impossibilità (almeno con la tecnica del momento) di riprodurre tutta quella serie di operazioni, alcune addirittura istintive, che il pilota compie normalmente. Ci si dedica ad un obiettivo più limitato adottando un autopilota sul velivolo guidato, per limitarsi a mandare « ordini » al giroscopio di questo apparato. Fortunatamente esiste già un ottimo autopilota per l'SM.79, peraltro non adottato di serie, dovuto al Cerini. Ma questa soluzione si rivela subito complessa in quanto a bordo del « guidatore » bisogna, volta a volta, calcolare in quale misura far precessionare il giroscopio dell'aereo guidato al fine di ottenerne una certa manovra nella condotta del volo: si risolve l'inconveniente montando un ripetitore dell'autopilota, sull'aereo-guida, in modo che i tecnici abbiano un riferimento diretto. Inizialmente i segnali sono trasmessi su quattro differenti canali (per picchiare, cabrare, virare a destra, virare a sinistra) ma poi per evitare che un eventuale disturbo venga a « coprire » la emissione di uno di questi « ordini » compromettendo la conduzione del volo, si adottano segnali codificati che possono essere trasmessi coll'impiego dello stesso canale: anche l'eliminazione dei disturbi richiede una procedura inconsueta a causa delle modeste potenze di trasmissione che i nostri tecnici hanno a disposizione. Un altro intervento è previsto sulla bussola ` dell'aereo guidato al fine che i parametri della direzione siano noti a bordo del « guidatore » nel caso che condizioni di tempo cattivo impediscano il contatto visivo tra i due velivoli.
A questa serie di modifiche e di applicazioni, Montuschi si dedica con grande impegno in un lavoro che non conosce giorni festivi o di licenza. Tuttavia il vero problema non è nella difficoltà della ricerca quanto nella realizzazione pratica ove ci si deve avvalere di componenti fabbricati con materiali autarchici di pessima qualità che non garantiscono sicurezza e costanza di funzionamento.
Durante l'affinamento del sistema di radio-guida Montuschi si alterna sui due velivoli per controllare su uno le modalità di trasmissione e sull'altro il comportamento durante la ricezione degli «ordini ». Egli prende posto con Raffaelli sul radio-guidato, decollano, indi inseriscono autopilota e radio-guida per essere così condotti dall'altro aereo: rimangono pronti ad intervenire solo in caso di emergenza. Senza che essi tocchino i comandi, il loro aereo sale, esegue virate corrette, vien fatto scendere a pochi metri dall'acqua e a quella quota mandato avanti per molti chilometri.
A Guidonia, dopo violente piogge, il gruppetto dei protagonisti ha una sgradita sorpresa: uno degli SM.79 continua a grondare acqua dai piani di coda, più del previsto. Si decide una ricognizione all'aereo, « stappando » il vano delle superfici di coda: viene giù acqua frammista a schegge di legno perché l'SM.79 ha le parti strutturali in avanzato stato di marcimento. L'economia imposta dalle gravi condizioni di guerra costringe ad arrischiare apparecchiature di complessa realizzazione e tecnici ancora più preziosi su aerei che dovrebbero essere stati demoliti già da molti mesi.
Dopo questo abbandono, il ruolo di « guidatore » è assunto da un Cant. Z.1007bis.
La sfortunata uscita operativa, nel quadro della battaglia aeronavale di “mezz’agosto”
Arriva finalmente il grande giorno dell'uscita operativa. Il 12 agosto 1942, l'SM.79 ed il CZ.1007 decollano dall'aeroporto sardo di Villacidro: il primo ha il dorso delle ali e della fusoliera dipinti in giallo per poter essere meglio distinto sulla superficie marina. Dopo aver effettuato tutti i controlli, il maresciallo pilota Mario Badii si lancia con il paracadute lasciando il compito della guida a Ferdinando Raffaelli che, con il marconista Palmieri è a bordo del Cant. Z. pilotato dal ten. Giulio Rosoigliosi.
I 1.000 kg. di esplosivo a bordo dell'SM.79 sono destinati ad una importante nave inglese nell'ambito della cosiddetta « battaglia di mezz'agosto ». Dopo 200 km. di volo al momento di effettuare un piccolo ritocco alla rotta del velivolo, avviene improvvisamente un guasto: a bordo del « guidatore » un condensatore va in corto circuito e rende inoperante il survoltore. Nonostante tutti i tentativi di riparare l'apparato, non è più possibile trasmettere «ordini » all'SM.79 che così non può essere scagliato contro il nemico. Dopo altri 600 km. di volo, l'aereo si andrà a schiantare contro una montagna algerina a 1.800 metri di quota, spargendo i propri rottami su un raggio di 500 metri.
E' una grossa amarezza per i fautori dell'iniziativa che hanno visto naufragare l'azione all'ultimo momento perché il Paese in guerra, non avendo possibilità di impiegare la mica come materiale isolante nei condensatori, deve ricorrere a surrogati di dubbio affidamento.
Si continua comunque a perfezionare il piano, duplicando gli apparati di radio-guida in modo da avere un sistema di riserva in caso di avaria e si porta a 2.000 kg. la carica esplosiva dell'SM.79.
Savoia Marchetti SM.79 ARP. Esempio di attacco con inclinazione di 15°, dalla quota iniziale di 6000 m
Due caccia C.202 vengono utilizzati come “guidatori” in luogo del “1007”
Ma l'aspetto più importante è nell'adozione di caccia Macchi C.202 come « guidatori ». Il lavoro di adattamento di questo velivolo presenta gravi difficoltà per il modesto spazio che si ha a disposizione. Alla fine gli apparati sono collocati dietro all'abitacolo del pilota ma per montarli si deve far ricorso a Tancredi. Questo è un ragazzo che, grazie alla sua limitata corporatura, inferiore a quella del più piccolo specialista in servizio con la Regia Aeronautica, riesce ad infilarsi nella fusoliera del C. 202 e attraverso le istruzioni ricevute dall'esterno, montare supporti, apparati ecc. Il suo contributo è risolutivo e così bene eseguito che il C.202 funziona perfettamente.
Nel frattempo Raffaelli prende piena dimestichezza con la radio-guida anche da bordo del monoposto da caccia. Alla conduzione dell'SM.79 sono destinati due Macchi, in condizioni di scambiarsi le funzioni di guida e di protezione. Infatti il pilota impegnato nella condotta dell'SM.79 e del proprio caccia non può contemporaneamente controllare l'eventuale sopraggiungere di aerei avversari.
In attesa che venga realizzata la piccola serie di Ambrosini A.R., ossia dei monomotori monoplani destinati a funzionare da radio-bombe, si continua l'esperienza con l'SM.79 allestendone due esemplari.
A inizio settembre 1943, essi ed un C.202 sono pronti sul campo di Guidonia. Si decide di impiegarli contro le navi americane dinanzi a Salerno, ma l'armistizio dell'8 settembre impedisce l'attuazione della seconda uscita operativa.
Tentato attacco del 12 agosto 1942, rotta del Savoia Marchetti SM.79 ARP
Ecco il testo dei telegrammi che confermano la perdita dell’S.79 ARP
URGENTE SEGRETO PER TELEARMONICA SUPERAEREO – MARINAVIA 19561 MARICIAF ALGERI COMUNICA CHE GIORNO 12 CORRENTE APPARECCHIO BOMBARDAMENTO TIPO SAVOIA MARCHETTI CON BOMBE EST PRECIPITATO AT KLENCHELA SUD COSTANTINA INCENDIANDOSI ALT EQUIPAGGIO DECEDUTO.
COMMISSIONE ITALIANA DI ARMISTIZIO CON LA FRANCIA – DELEGAZIONE AERONAUTICA CONTROLLO NORD-AFRICA A SUPERAEREO ROMA – CIAF AERONAUTICA TORINO – 99800 AEROCIAF – AUTORITA’ FRANCESI COMUNICA OGGI ALLE ORE 13,30 APPARECCHIO TRIMOTORE PRECIPITATO PRESSO KLENCHELA 150 KM SUD PHILIPPEVILLE – APPARECCHIO INCENDIATO EQUIPAGGIO DECEDUTO – PARTICOLARI ACCERTATI MOTORI ALFA ROMEO E CROCI BIANCHE TIMONI – INVIATO UFFICIALE SUL POSTO – SEGUIRANNO PARTICOLARI 193012 – COL. ROLANDO
Telex 99800 AEROCIAF:
TRATTASI SM.79 – INCIDENTE AVVENUTO PER URTO CONTRO MONTAGNA E CONSEGUENTE ESPLOSIONE – EQUIPAGGIO COMPLETAMENTE CARBONIZZATO – NESSUNA TRACCIA DI DOCUMENTI – FRAMMENTI APPARECCHIO PROIETTATI RAGGIO 500 METRI – RINTRACCIATA PLACCA MOTORE ALFA ROMEO 125 RC34 NC 4176 MM 30141
Studio per l’istallazione dell’ ala metallica e di un impianto aviotrasportato di radiolocalizzazione
Verso la fine della carriera produttiva dell'S. 79, il Ministero ne chiede la versione ad ala metallica. Delle tre soluzioni presentate (Ambrosini, Savoia-Marchetti, Piaggio) è scelta la prima, dovuta all'ing. Sergio Stefanutti, che realizza un'economia di ben 900 kg. rispetto all'ala tradizionale in legno facendo peraltro aumentare di tre punti il coefficiente di robustezza. L'ala è realizzata in termini tali da poter essere montata sugli aerei di nuova produzione od in revisione senza alcun accorgimento particolare. L'Ambrosini, come previsto da contratto, ne realizza tre unità, la prima delle quali destinata alle prove statiche, ma poi non riceve ulteriori istruzioni per continuare questo interessante sviluppo.
Non meno importante è lo studio e la realizzazione di due tipi di radiolocalizzatori per la Regia Aeronautica curata a Guidonia dagli ingegneri Giorgio Barzilai, Ascanio Niutta, Arnaldo Piccinini. Il primo apparato è una installazione fissa da « avvistamento lontano » avendo un raggio d'azione di 250 km. Esso è installato a Pratica di Mare ed entra in funzione all'inizio del 1943 tanto che può rilevare le incursioni sul Lazio effettuate nell'estate quando però sono ormai scarse le aliquote di caccia da mandare contro il nemico. L'altro radiolocalizzatore (siglato « Vespa ») è invece trasportabile in volo e viene definito da « ricognizione » essendo destinato al rilevamento di unità navali. La richiesta di un aereo ove installarlo è avanzata dal prof. Algeri Marino all'inizio del novembre 1942. Se ne fa portavoce il magg. Giulio Marini che ottiene per interessamento del gen. Raffaelli dalla D.S.S.E. (Direzione Superiore Studi Esperienze) un velivolo S.79 a motori potenziati. L'installazione esterna consiste in due antenne disposte sotto ciascuna semiala, verso l'estremità: esse danno un aspetto caratteristico al velivolo che viene soprannominato « S.79 con i baffi ». Inizialmente il ciclo di prove è effettuato tra il litorale laziale e la Sardegna ma, dopo rischiosi incontri con caccia-bombardieri americani, la valutazione è trasferita in un settore più tranquillo, a Gorizia. Qui, il 25 luglio 1943 l'aereo termina le prove di collaudo e messa a punto degli apparati: « Vespa » è destinato ad essere riprodotto in serie per dotarne gli aerosiluranti.
Distribuzione dei serbatoi di carburante e relativi carichi sull’ala
Serbatoi |
I |
II |
III - V |
IV -VI |
VII - VIII |
IX - X |
Capacità |
210 |
580 |
200 |
505 |
150 |
410 |
Peso |
23,3 |
46,9 |
22,5 |
42,7 |
22,6 |
50 |
Ingombro |
415 x 620 x 1140 |
550 x 1115 x 1230 |
415 x 550 x 1140 |
475 x 1115 x 1240 |
350 x 765 x 1070 |
900 x 1000 x 1150 |
L’MPIEGO COME AEROSILURANTE
I precursori della specialità, un tormentato percorso
Nonostante gli studi e le pionieristiche esperienze di Alessandro Guidoni, le prove con i Caproni Ca.33 e Ca.44, l'impiego dei biplani trimotori Ca.46 (terrestre) e Ca.47 (idro), durante la I guerra mondiale solo inglesi e tedeschi conseguono affondamenti con le nuove armi. Le prove in Italia riprendono nel 1927 impiegando idro bimotori Savoia-Marchetti S.55 e Macchi M.24.
Caproni Ca.33 armato di siluro, la cessazione delle ostilità impedirà l'impiego dell'arma in condizioni operative
In questo ciclo la quota di lancio del siluro è nell'ordine dei 5 metri sul pelo dell'acqua al fine di evitare il danneggiamento dell'ordigno od un suo errato infilarsi in mare. Dal 1933, la sperimentazione entra in una fase completamente nuova nel tentativo di definire un impennaggio aereo tale da consentire il rilascio a quote e velocità maggiori: il siluro, del diametro di 450 mm., lungo mt. 5,46 e pesante 930 kg. (di cui 170 di esplosivo) non è altro che l'arma impiegata dalle nostre unità navali minori (torpediniere, MAS) e, prodotto presso la Whitehead di Fiume, vanta una paternità storica… ancora austro-ungarica.
Il nuovo impiego (siamo nel 1934) trova purtroppo restii larghi settori della Regia Aeronautica che lo considerano un lusso dal punto di vista economico e molto meno efficace delle bombe, dal punto di vista bellico. Assai più lungimirante la valutazione datane dalla Regia Marina che cerca in tutti i modi di far sviluppare questo ciclo di esperienze forse anche colla speranza che esso preluda alla creazione di un'aliquota aerea direttamente dipendente dalle Forze navali.
Nell'agosto 1936 la Regia Marina si dichiara soddisfatta dei lanci effettuati con l'S. 81 (da 80 metri di quota e a 280 km/h.) ma in ottobre l'Aeronautica replica chiedendo una quota di lancio di 350 metri ed una velocità di 500 km/h.: obiettivo chiaramente assurdo o polemico se si pensa che al momento non esiste nemmeno l'aereo con simili prestazioni.
Tra l'accapigliarsi dei teorici, nel novembre 1937 è comunque consegnato il primo S.79 attrezzato per il lancio dei siluri: è una svolta molto importante in quanto consente un sia pur lieve miglioramento dei parametri di lancio e prelude all'impiego operativo. E' indispensabile ricorrere ad un plurimotore per le caratteristiche dimensionali e di peso dell'arma. Solo nell'ottobre 1939 gli S.79 sono dotati di serie delle installazioni relative al trasporto ed allo sgancio del siluro: come per l'S.81 non ha pratico impiego la doppia installazione. Per la « dimenticanza » della Regia Aeronautica, non possono fare altrettanto rapidamente seguito le relative armi: la produzione della Whitehead è destinata alla Luftwaffe che ha passato una commessa per ben 300 siluri aerei mentre la Regia Marina assorbe tutta la rimanente produzione compresa quella effettuata a Baia (Napoli) presso il Silurificio Italiano.
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero 283a squadriglia (130° gruppo autonomo)
La nascita della specialità, il Reparto Sperimentale Siluranti
Il 31 ottobre 1939 è nominato nuovo Capo di Stato Maggiore per la Regia Aeronautica, il gen. Francesco Pricolo: già nel primo mese di carica, egli corre ai ripari ottenendo per l'aviazione una sia pur modesta aliquota di 4 siluri mensili, inizialmente sottratti agli altri due committenti. Contemporaneamente sull'aeroporto di Gorizia continua la sperimentazione della nuova specialità Il Reparto Sperimentale Siluranti è ancora in fase addestrativa con 5 velivoli e 5 equipaggi, quando viene improvvisamente mobilitato per la prima azione bellica.
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero 279.a squadriglia (131° gruppo autonomo aereo siluranti) Gerbini 1942
L’incursione contro il porto d’Alessandria d’Egitto del 15 agosto 1940
Tra il 12 ed il 14 agosto 1940, gli equipaggi del magg. Vincenzo Dequal, del magg. Enrico Fusco, dei ten. Carlo Emanuele Buscaglia, Guido Robone, Carlo Copello fanno successivi scali a Roma-Ciampino, Catania-Fontanarossa, Bengasi, El Adem: alle h. 21,30 del 15 agosto la prima sezione di 3 velivoli si presenta sulla rada di Alessandria, seguita dopo 15 minuti dagli altri 2 S.79. I piloti, ostacolati durante il volo da nubi e foschia, si trovano quasi d'improvviso sulle navi nemiche e solo due di essi, date le preventive indicazioni ricevute sulla condizione dei fondali, riescono a sganciare. Gli aerei risultano non gravemente colpiti dal fuoco di terra ma due di essi sono costretti per l'esaurimento del carburante ad atterrare nel deserto: l'aereo di Fusco è purtroppo ancora su territorio nemico e l'equipaggio catturato.
L'uscita operativa contro una base avversaria molto lontana, le modalità di attacco ad obiettivi in rada, non hanno certo facilitato il compito di questi primi valorosi equipaggi. Chi da Roma ha deciso di mandarli nella lotta, sembra quasi confidare nella sorpresa e sperare in un colpo fortunato da propagandare: mancando quest'ultimo, l'azione del 15 agosto 1940 è ignorata dal Bollettino di Guerra.
Il 23 agosto, l'S.79 di Robone torna su Alessandria in concomitanza ad un bombardamento in quota e sono confermate le difficoltà di sgancio, per il violentissimo fuoco di sbarramento antiaereo e per l'abbagliamento dei proiettori.
COMPONENTI DEGLI EQUIPAGGI PARTECIPANTI L’AZIONE NOTTURNA SU ALESSANDRIA DEL 15 AGOSTO 1940
Maggiore pilota Vincenzo Dequal, Tenente pilota Francesco Melley, Tenente di Vascello Osservatore Giovanni Marazio, I aviere motorista Guerrino Comisso, Sergente marconista Armorino De Luca
Tenente pilota Carlo Emanule Buscaglia, Sergente Maggiore pilota Eugenio Sirolli, I aviere motorista Leonida Beccececi, I aviere marconista Dionello Danieli, I aviere armiere Narciso Munari
Sottotenente pilota Guido Robone, Sergente pilota Corrado Deodato, I aviere motorista Ulderico Sabatini, I aviere marconista Umberto Mauri, I aviere armiere Antonio Origlio
Maggiore pilota Enrico Fusco, Sergente Maggiore pilota Attilio Ferrandi, Sottotenente Osservatore di Vascello Giovanni Bertoli, Aviere scelto motorista Guido Franco, I aviere marconista Renato Vanelli
Tenente pilota Carlo Copello, Sergente Maggiore pilota Camillo Pipitone, Aviere scelto motorista Fosco Neroni, I aviere marconista Giuseppe Dondi, I aviere montatore Over Moretto
Verso l’imbrunire da un aeroporto dell’Africa Settentrionale decollarono cinque velivoli per portare la loro offesa in una unitissima base aeronavale nemica. Nonostante la presenza della caccia notturna avversaria, gli aerei si infilarono nel fuoco contraereo delle navi e delle batterie costiere, accecati dai fasci di luce bianca dei riflettori e lanciarono la nuova arma. Con esattezza forse non si saprà mai cosa accadde quella notte, si capì che un nuovo mezzo potente e micidiale era in mano nostra per portare la distruzione e l’annientamento nella flotta mercantile nemica.
Carlo Emanuele Buscaglia, L’Ala d’Italia, agosto 1942
In quel periodo cominciavamo a preoccuparci di aerei che volavano a bassa quota. Una notte un aereo, volando basso, sfiorò il frangiflutti e sganciò presso il Gloucester due pesanti ordigni che sollevarono un grande spruzzo. A tutta prima pensammo si trattasse di torpedini magnetiche, ma alla fine concludemmo che dovevano essere siluri, i quali si erano subito conficcati nel fango. Non riuscimmo a trovarne traccia. Non avevamo sbarramenti di palloni e così, una volta ancora, fummo costretti all’improvvisazione: innalzammo alberi su frangiflutti e fu dato l’ordine ad ogni nave di allestire un cervo volante e di farlo salire in aria sul porto tutte le volte che c’era abbastanza vento. Guai se qualche nave veniva trovata dal capo di stato maggiore senza l’aquilone in mezz’aria dopo che si era ormeggiata. Alla nave-appoggio sommergibili Medway fu dato l’incarico di preparare aquiloni con cariche esplosive attaccate al cavetto. Spesso gli aquiloni esplodevano in aria con uno scoppio lacerante. Sperammo che gli osservatori italiani dall’aria o a terra avrebbero riferito che tutti i nostri aquiloni erano dotati di mortali cariche esplosive. Gli incrociatori in navigazione furono altresì attaccati da aerosiluranti, i quali costituivano piccolo pericolo in pieno giorno allorché erano avvistati mentre si avvicinavano, bassi, varie miglia di prora; ma in seguito questi impararono una tattica più pericolosa e ci causarono forte spavento attaccandoci all’incerta luce grigia che segue il tramonto.
Andrew Browne Cunningham, L’odissea di un marinaio, Garzanti, Milano 1952
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero 278a squadriglia, Pantelleria estate 1941
Il primo attacco coronato da successo
Comincia così la caccia alle navi in mare aperto: il 27 agosto un velivolo del Reparto Sperimentale Siluranti (ten. Buscaglia) decolla dalla Libia e colpisce a nord-est di Sidi Barrani un incrociatore della classe « London ».
278a squadriglia autonoma siluranti: “i Quattro Gatti”
I quattro S.79 siluranti della Libia diventano « quattro gatti » a passeggio sopra un siluro, il glorioso emblema della 278a squadriglia Aut. A.S.
Il 13 settembre un S.79 della 278a silura un piroscafo nemico a nord-est di Sidi Barrani, poi il 17 Buscaglia e Robone attaccano con luce lunare l'incrociatore « Kent », sganciando da 700 metri di distanza e colpendo gravemente la nave. Il 14 ottobre il Comandante della 278a, cap. Massimiliano Erasi attacca di notte l'incrociatore « Liverpool » a sud-est di Creta: il siluro asporta l'intera prua dell'unità che rientra a rimorchio nel porto di Alessandria per poi abbandonare il Mediterraneo con una prua provvisoria, per essere ricostruita in cantiere.
Infine il 3 dicembre 1940, Erasi e Buscaglia mettono a segno i loro siluri sganciando a soli 300 metri di distanza contro l'incrociatore « Glasgow » ancorato nella baia di Suda. Intanto altri 5 S.79 siluranti, comandati dal magg. Vittorio Cannaviello, sono provvisoriamente inquadrati nel 34° gruppo dell'11° stormo basato a Gadurrà (Rodi).
Peso dell'arma e potenza istallata del Savoia Marchetti SM.79 Sparviero consentono il carico di un solo siluro.
Tutte le foto di velivoli recanti due armi sono di propaganda
Si creano i Nuclei Addestramento Siluranti ed i primi reparti operativi
Dal 28 ottobre 1940, la Scuola di Gorizia diviene ufficialmente il I Nucleo Addestramento Siluranti (N.A.S.): ne è appassionato e capace organizzatore il ten. col. Carlo Unia. Fanno seguito il II (Napoli-Capodichino, novembre 1940) ed il III (Pisa-S. Giusto, gennaio 1942). Alla fine del 1940 i primi due Nuclei sono ormai attivi: nasce la 279a squadriglia (24 dicembre 1940), seguono la 280a (8 febbraio 1941), la 281a (5 marzo 1941), la 283a (4 luglio 1941), la 284a (7 novembre 1941).
Carlo Emanuele Buscaglia, appena promosso capitano, comanda la 281a: i 4 aerei ed i tre ulteriori equipaggi dei ten. Cimicchi, Greco e Sacchetti sono prima a Capodichino, poi a Taranto-Grottaglie, indi a Gadurrà.
La prima azione è condotta il 24 marzo 1941 a sud di Creta. Il 2 aprile, Cannaviello ed il ten. Umberto Barbani per il 34° gruppo, Cimicchi e Sacchetti per la 281a, portano un riuscito attacco contro un grosso convoglio: danneggiati due piroscafi, affondato l’« Homefield » da 5.325 ton. ad opera di Giuseppe Cimicchi.
Il 18 aprile lo stesso pilota affonda la cisterna « British Science » da 7.183 ton. Dopo una fase operativa effettuata da Catania-Fontanarossa, in Egeo si trova anche la 279a squadriglia.
Aeroporto di Gadurrà (Rodi), rientro di un Savoia Marchetti SM.79 Sparviero della 204a squadriglia ( 41° gruppo autonomo).
Notare l’obliterazione della banda bianca e numerazione di reparto
L’ultimo pensiero di Italo Fontanelli
Lo stesso giorno, ma in un settore più a sud tra Creta e la costa africana, viene segnalata una formazione navale nemica. Da Gadurrà decolla una coppia di S.79 della 281a squadriglia (Cap. Bernardini e Ten. Guza). Dopo due ore di volo viene avvistata una unità in navigazione: i piloti se ne allontanano, dopo averla riconosciuta come nave-ospedale. Poco dopo viene avvistata la formazione navale oggetto della segnalazione: essa è costituita una portaerei , due navi da battaglia, un incrociatore, numerosi c.t. Prima ancora di poter attaccare, i due S.79 sono intercettati da numerosi caccia. L'aereo del ten. Guza è colpito ripetutamente, subendo gravi danni. L'armiere addetto alla postazione dorsale, Italo Fontanelli, è ferito all’addome in maniera molto grave. La difesa dorsale viene continuata con determinazione dal Serg. Fonzi che viene a sua volta ferito a una spalla. Risulta ferito a un tallone anche il capo equipaggio. La sezione decide per il rientro. Quando l'S.79 del Ten. Guza atterra, non senza difficoltà per i danni subiti alle superfici di governo, sulla parete di fusoliera si trova scritto col sangue « Viva la Regia ». E' stato l'ultimo pensiero della Medaglia d’Argento Italo Fontanelli.
I documenti fotografici che seguono sono tratti dalla Rivista Aeronautica del maggio 1941.
Le didascalie sono quelle originali
SILURAMENTO AEREO
La documentazione fotografica delle azioni di siluramento è molto difficile perché esse si svolgono quasi sempre in condizioni di luce inadatte alla fotografia, anche considerando la minima quota sull'acqua a cui i siluratori agiscono. La serie di foto che Presentiamo relative a quattro drammatiche fasi d'un siluramento, Può sembrare esteticamente Poco soddisfacente ma dal punto di vista documentario è di grande interesse.
Prima fase: IL SILURATORE (UNO “SPARVIERO”) FA L’APPROCCIO A VOLO RASENTE; LE NAVI SONO APPENA VISIBILI MA GIA’ SPARANO CON VIGORE; LE GRANATE CONTRAEREE PERO’ SCOPPIANO TROPPO ALTE
Seconda fase: LE UNITA’ NEMICHE NON SONO ANCORA A DISTANZA UTILE PER UN BUON LANCIO DI SILURO MA IL PILOTA GIA’ NE DISTINGUE I PEZZI CONTRAEREI CHE SPARANO E CHE HANNO MEGLIO AGGIUSTATO IL TIRO
Terza fase: TENENDO SERRATA TRA I DENTI LS VOLONTA’ DI VINCERE IL PILOTA HA SERRATO SOTTO, HA SGANCIATO IL SILURO MENTRE LA REAZIONE CONTRAEREA S’E’ FATTA ANCOR PIU’ VIOLENTA
Quarta fase: LO SCAMPO E’ PRECEDUTO DA UNA SAPIENTE VIRATA;
MALGRADO I COLPI CHE SCOPPIANO D’INTORNO IL VELIVOLO RIPRENDE QUOTA
Vengono conseguiti nuovi successi, altri reparti vengono impegnati nella lotta
Tra aprile e giugno, 279a e 281a vengono a contatto con il nemico altre dodici volte con l'affondamento della motonave « Rawnsley » di 5.000 t., il danneggiamento dell'incrociatore « Ajax » e di naviglio minore.
Il 4 luglio, Buscaglia, Faggioni, , Cimicchi, Mazzigli conseguono il danneggiamento di un incrociatore ausiliario vicino a Famagosta, indi effettuano il mitragliamento di un aeroporto dell'isola di Cipro. L'11 agosto Buscaglia, Giulio Cesare Graziani, Aldo Forzinetti danneggiano il posareti « Protector », non lungi da Porto Said.
Dalla Sardegna ha cominciato ad operare (10 febbraio 1941) la 280a comandata dal cap. Amedeo Mojoli, poi dal cap. Franco Melley (agosto 1941). Il 23 luglio 6 S.79 della 283a e 2 della 280a attaccano un importante convoglio colpendo l'incrociatore « Manchester » ed un piroscafo, affondando il cacciatorpediniere « Fearless » ed una nave da trasporto. Il 10 settembre 1941, 280a e 283a sono riunite per formare il 130° gruppo autonomo A.S.
L'esordio operativo del reparto avviene alle h. 13,15 del 27 settembre 1941 con 14 velivoli in azione: è perduto un S.79 che si aggiunge al sacrificio dei sei SM.84 del 36° stormo. La sera, alle h. 19,45 5 aerei del 130° tornano all'attacco per concludere la tragica e gloriosa giornata di lotta.
Dalla Libia opera invece la 279a squadriglia, comandata dal cap. Giulio Marini. Nella notte del 25 agosto 1941 egli attacca con un gregario gli incrociatori « Devonshire » e « Frobishir »: le due navi segnalano, nel corso della stessa notte, una non meglio precisata collisione.
E' interessante notare che come la nostra propaganda ha spesso gonfiato i risultati conseguiti dagli equipaggi, così da parte inglese si è provveduto a minimizzarli. Ricorrono invece danni per collisioni, mine.., scogli e colpi di mare, della cui veridicità possiamo, con altrettanta spregiudicatezza, dubitare. Marini ha diretta ammissione nemica per quanto riguarda il siluramento dell'incrociatore « Phoebe » (27 agosto 1941) e del cacciatorpediniere « Jackal » (10 dicembre 1941).
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero 256a squadriglia (108° gruppo) Gerbini primavera 1943
Gli S.79 siluranti sono ormai presenti in ogni settore del Mediterraneo ed hanno un peso preponderante nel corso delle azioni, rispetto al bombardamento in quota. La dislocazione dei reparti su aeroporti molto lontani crea gravi problemi logistici per quanto concerne l'approvvigionamento dei siluri. Spesso essi sono risolti con l'inoltro di aerei già dotati di carico bellico oppure con l'invio di SM.82 che trasportano in fusoliera sino a tre siluri.
Entro il settembre 1942, la Regia Aeronautica ha già impiegato circa 250 esemplari di questa arma. L'esperienza di questo tipo di azioni non è certo gradevole: a bassa quota, con velocità modesta ed aereo ingombrante, gli equipaggi sono gravemente esposti, durante l'avvicinamento come lungo la rotta di scampo. Eppure quanti sopravvivono alla prova, tornano ad affrontarla numerose volte, con la lucidità e la decisione richieste da un'azione che vede la sequenza cruciale attuarsi nello spazio di circa un minuto.
Il 13 ottobre 1941, Graziani, Faggioni, Cimicchi, portano gli aerei della 281a al siluramento della corazzata « Queen Elizabeth », poche miglia dal porto di Alessandria. Il 17 dicembre, Aldo Forzinetti lascia per sempre i compagni di squadriglia e dopo pochi giorni non rientra Luigi Rovelli: la massima onorificenza militare è conferita alla memoria di questi capi-equipaggio.
Il 1941 si chiude con l'affondamento dei piroscafi « Empire Guillemot », « E. Pelican », « E. Defender ».
Si costituiscono nuovi reparti operativi
Continua intanto la fusione delle squadriglie autonome in Gruppi ed il passaggio di nuovi reparti a questa specialità. E' formato il 131° gruppo (25 marzo 1942) con la 279a e la 284a, il 132° con la 278a e 281a; il 133° (1° aprile 1942) è costituito dalle squadriglie 174a e 175a, già da ricognizione lontana, ed affronta direttamente in Libia la preparazione. A sua volta il 41° gruppo del 12° stormo (204a e 205a) diviene autonomo ed A.S., il 46° stormo genera (1° settembre 1942) i gruppi aut. 104° (252a-253a) e 105° (254a- 255a). In settembre, i gruppi del 36° stormo (108° con la 256a e 257a; 109° con 258a e 259a) lasciano gli SM.84 siluranti per passare agli S.79.
Nel gennaio 1943, la stessa sostituzione avviene per l'89° gruppo (228a e 229a) del 32° stormo. Anche il 3° Nucleo Addestramento di Pisa-S. Giusto (magg. Guglielmo Di Luise) è in piena attività avendo già preparato un centinaio di piloti anche con lanci (senza esplosivo) contro una torpediniera ed un piroscafo messi a disposizione dalla Regia Marina. Qui, come negli altri N.A.S., gli istruttori alternano l'addestramento con uscite operative.
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero 253a squadriglia (104° gruppo) Rodi primavera 1943
Il contributo alla battaglia aereonavale di mezzogiugno
Il primo grosso intervento del 1942 è compiuto il 22 marzo nell'ambito della « seconda battaglia della Sirte », ma solo a metà giugno i nostri reparti conseguono il successo atteso da tempo. Per risolvere la crisi dei rifornimenti a Malta, gli inglesi ne tentano il rifornimento con un doppio convoglio. Da Haifa, Alessandria, Porto Said partono dieci mercantili, una petroliera, una vecchia corazzata carica di rifornimenti, con la scorta di 8 incrociatori, 27 cacciatorpediniere, 4 corvette, 2 dragamine; ad ovest, provenienti dall'Inghilterra entrano in Mediterraneo cinque piroscafi ed una petroliera, scortati inizialmente da 1 corazzata, 2 portaerei, 3 incrociatori, 8 cacciatorpediniere, poi rilevati da un incrociatore, 9 cacciatorpediniere, 4 dragamine, 6 motovedette. Il contributo degli aerosiluranti alla battaglia (13-15 giugno 1942) consta in una ottantina di velivoli appartenenti al 36° stormo, ai gruppi 41° - 104° - 130° - 131° - 132°, al 2° e 3° N.A.S.
I risultati conseguiti dagli aerei italo-tedeschi di tre specialità (bombardamento in quota e a tuffo, aerosiluranti), dalla flotta italiana, da sommergibili e motosiluranti italiane e tedesche, l'incontro di zone minate, decimano i convogli: uno è costretto a rientrare ad Alessandria, dell'altro giungono soltanto due navi. Nel dettaglio, le perdite sono meno gravi limitandosi ad un incrociatore, 5 cacciatorpediniere, 6 mercantili, al danneggiamento certo di altre 13 navi ed a quello probabile di ulteriori 10 unità. Da parte nostra vanno perduti 28 aerei, tra cui 8 SM.84 ed 8 S.79.
Terna di Marchetti SM.79 siluranti in volo sul mare
Ed a quella di mezz’agosto
Non meno complesso è il tentativo nemico di rifornire Malta nell'agosto 1942. I 14 mercantili partiti dall'Inghilterra sono scortati in Mediterraneo da 2 corazzate, 3 portaerei, 3 incrociatori, 14 cacciatorpediniere, indi sostituiti (per la parte finale della navigazione) da 4 incrociatori ed 11 cacciatorpediniere: una quarta portaerei, scortata da 8 cacciatorpediniere, deve limitarsi al lancio di velivoli Spitfires destinati a Malta.
Contro questo imponente apparato, la Regia Aeronautica schiera 110 aerosiluranti S.79 ed SM.84, 39 bombardieri, 40 ricognitori, 65 tuffatori e cacciabombardieri, 256 aerei da caccia. La Luftwaffe concorre con 340 aerei pesanti integrati da numerosi caccia, mentre lo schieramento navale italiano comprende 6 incrociatori, 12 cacciatorpediniere, 19 MAS, 20 sommergibili e quello tedesco 2 sommergibili e 4 motosiluranti.
Le fasi della battaglia (11-14 agosto) costano alla Marina britannica 9 mercantili, la portaerei « Eagle », 2 incrociatori, 1 cacciatorpediniere; il danneggiamento delle portaerei « Indomitable » e « Victorious », di 2 incrociatori ed 1 cacciatorpediniere, dei quattro restanti piroscafi e della petroliera: perduti in azione 5 nostri aerosiluranti, più altrettanti distrutti al suolo ed una decina seriamente danneggiata per una riuscita incursione di Bristol Beaufighters sugli aeroporti sardi di Decimomannu e di Elmas.
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero silurante pronto al decollo
La situazione della specialità al novembre 1942, lo sbarco alleato in Nord Africa
All'inizio di novembre, la Regia Aeronautica ha in carico 147 S.79 siluranti, di cui 115 efficienti. Le prime segnalazioni di grosse forze navali anglo-americane (150 navi da trasporto e 46 da guerra) aprono la via a numerose congetture, ma presto si rivela l'obiettivo nemico. Contro questo sbarco in Nord Africa effettuato con la protezione di ingenti forze aeree, i nostri aerosiluranti possono fare molto poco. Concentrati in Sardegna, aerei ed equipaggi vanno al massacro. Nel mese di novembre, le perdite equivalgono a quelle di un intero anno operativo della specialità.
L’abbattimento di Buscaglia sulla baia di Bougie
L'11 novembre, Buscaglia guida 4 S.79 in una difficile missione sulla baia di Bougie: attacco di 7 Spitfires durante l'avvicinamento, contraerea nutritissima, secondo attacco di caccia. Buscaglia, Faggioni, Graziani riescono a tornare indietro ma l'aereo di Ramiro Angelucci si è dissolto in una fiammata sopra il porto algerino.
Ciononostante Buscaglia ripete l'azione il giorno successivo con 6 velivoli, gli altri condotti da Francesco Bargagna, Marino Marini, Martino Aichner, Carlo Pfister, Giuseppe Coci. Questa volta gli Spitfires si accaniscono contro il velivolo di testa che comincia ad emettere fumo: Buscaglia continua l'azione, sorvola un cacciatorpediniere, riceve altri colpi e, coll'aereo ormai in fiamme, sgancia contro un piroscafo. Poco dopo, l'S.79 tocca l'acqua ed esplode.
L'asso degli aerosiluranti, l'eroico comandante del 132° gruppo, è ritenuto deceduto nell'azione e decorato di medaglia d'oro al V.M. Invece Buscaglia, unico sopravvissuto al rogo, tornerà molti mesi più tardi in Italia per chiudere la Sua vita in un doloroso incidente di decollo.
Personale si affolla in prossimità di un Savoia Marchetti SM.79 silurante rientrato da un’azione
Altre azioni del “Gruppo Buscaglia” contro porti algerini e unità navali in navigazione
Il 20 novembre, il « Gruppo Buscaglia » effettua una riuscita azione notturna contro il porto di Philippeville. Insieme a Graziani, nuovo Comandante ad interim, sono Faggioni, Pfister, Aichner, Mazzocca, M. Marini e Coci: l'aereo di quest'ultimo è colpito da caccia notturni inglesi e costretto ad ammarare non lontano dalla costa tunisina. Ancora il 28 novembre, Giulio Marini e G. C. Graziani con quattro gregari, riescono a colpire tre unità vicino a Cap Carbon ed a rientrare indenni.
Il 30 novembre 1942 finisce invece tragicamente un attacco di 5 SM.79 del 130° gruppo: intercettati da 13 Spitfires si incendiano gli aerei dei ten. Ferruccio Lo Prieno, Antonio Vellere, Salvatore Ingrosso, quello di Manlio Caresio è costretto ad ammarare e solo l'S.79 del cap. Cimicchi riesce a tornare in Sardegna.
Si apportano migliorie ai propulsori, l’ultima serie produttiva
Da parte italiana si cerca di migliorare le caratteristiche di volo dei velivoli installando gli etilizzatori di bordo, altrimenti noti come +200. L'impianto, dovuto all'ing. Lamberto De Luca, consente di fornire fino a 20 minuti di superpotenza ai motori A.R.126 R.C.34: può essere messo in funzione a più riprese e con diverse modalità. Al decollo, la potenza motrice unitaria sale da 680 a ben 900 cv. e la velocità massima può essere aumentata di circa 50 km/h.
Mentre piccole aliquote di aerosiluranti intervengono contro le navi assedianti Pantelleria (maggio-giugno 1943) a Gorizia si prepara una importante missione contro la rada di Gibilterra. Si utilizzano i primi esemplari di una nuova versione dell'S.79, munita di motori Alfa Romeo A.R.128 RC.18 eroganti 950 cv. in decollo ed 860 cv. in quota. I propulsori hanno scarichi allungati tipo « Wellington » ed eliche con coprimozzo ridotto; la fusoliera, priva di gondola ventrale, ha nuove dotazioni radio-elettriche ed un serbatoio supplementare da 1.000 litri in luogo del vano-bombe; la velocità massima sale a 475 km/h.
Savoia Marchetti SM.79 bis Sparviero 204a squadriglia “Raggruppamento aerosiluranti” estate 1943
L’incursione contro Gibilterra (Operazione Scoglio)
Per i dieci aerei a disposizione si preparano gli equipaggi del ten. col. Carlo Unia, magg. Gabriele Casini, magg. Franco Melley, cap. Marino Marini, cap. Dante Magagnoli, cap. Francesco Aurelio Di Bella, cap. Giulio Cesare Graziani, cap. Carlo Faggioni, cap. Giuseppe Amorusu. Come base di partenza è scelto l'aeroporto francese di Istres, più vicino all'obiettivo. Ma anche da esso il volo è talmente impegnativo che delle 10 ore di autonomia, si prevede di dedicare solo 1/2 ora al vero e proprio attacco.
Alle h. 24 del 19 giugno 1943, nove S.79 decollano in sovraccarico con 5.000 litri di carburante: non parte Graziani il cui aereo è rimasto gravemente danneggiato durante la fase preparatoria. A 2.000 metri di quota, i velivoli costeggiano la Spagna ma poi, un poco alla volta e per i più disparati inconvenienti debbono abbandonare l'impresa: solo a Cimicchi e Faggioni è dato di raggiungere Gibilterra. La trovano piena di navi ed illuminata, quasi la guerra fosse già finita o in un altro continente. Entrambi sganciano, poi Faggioni è costretto ad atterrare in Spagna, per un eccessivo consumo di carburante. Solo Cimicchi rientra ad Istres alle h. 9,40 del 20 giugno.
Pochi giorni dopo, il 24 giugno, i superstiti 8 S.79/A.R.128 da Istres portano la loro azione contro il porto algerino di Orano, affondando un piroscafo e danneggiandone gravemente un altro: non rientra l'S.79 del cap. Pini.
Si costituisce il “Raggruppamento siluranti”
Il 1° giugno 1943, sugli aeroporti di Pisa-S. Giusto e Siena-Ampugnano il « Raggruppamento siluranti » assorbe, con 44 S.79, i resti dell'89° e 108° gruppo, la 284a del 131°, la 204a del 41° gruppo. Il 130° gruppo, a Latina, è ridotto con 9 aerei ed il 132°, a Gorizia, ne ha 5; 4 S.79 in Sardegna, a Milis, con la 205a, ed altrettanti in Sicilia, a Gerbini, con la 279a; in Egeo, a Gadurrà, sono gli 11 SM.79 del 104° gruppo; 133° e 105° sono stati sciolti rispettivamente a novembre 1942 ed a giugno 1943. Eppure la notte del 16 luglio, durante l'invasione della Sicilia, un isolato SM.79 riesce a colpire, 50 miglia da Capo Passero, la portaerei « Indomitable » che è costretta a tornare a Gibilterra. Tra luglio ed agosto sono effettuate le uscite operative di 150 velivoli con la perdita di 15 S. 79 siluranti.
L’ ultima azione bellica prima dell’armistizio
Ai primi di settembre, durante gli sbarchi sulla costa calabrese, tutti gli aerosiluranti sono concentrati a Pisa ed a Siena (39 aerei del « Raggruppamento » e 12 aerei del 104° gruppo), a Latina (9 aerei del 132°). Nel tardo pomeriggio dell'8 settembre, 12 S.79 decollano per un attacco contro i convogli nemici dinanzi a Salerno: 8 aerei captano l'annuncio dell'armistizio e rientrano, gli altri 4 non lo ricevono e portano a termine, nella notte incipiente, l'ultima azione della Regia Aeronautica contro gli anglo-americani.
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero catturato dai tedeschi dopo l’8 settembre ed utilizzato per compiti ausiliari
Gli sparvieri dell’aeronautica co-belligerante
Il10 settembre, 10 S.79 del 132° gruppo lasciano l'aeroporto di Latina, prima che sia occupato dai tedeschi, e si trasferiscono a Siena: vanno invece perduti gli S.79 presenti sull'aeroporto di Pisa-S. Giusto. La mattina dell'11, gli aerosiluranti di Siena-Ampugnano (« Raggruppamento », 104°, 132°) ricevono l'ordine di portarsi in Sardegna. Dei 25 aerei partiti, 13 giungono a Decimomannu e 7 a Milis, 2 ammarano dopo un attacco di caccia tedeschi e 3 debbono rientrare a Siena. Ad essi bisogna aggiungere 9 S.79 partiti da Foligno, Fano, Lonate Pozzolo ed egualmente portatisi in zone sotto controllo alleato.
Dopo un breve trasferimento a Korba, in Tunisia, tutti gli S.79 tornano in Italia ove (inizio di novembre) se ne hanno 29 esemplari, tra Puglia, Sicilia, Sardegna. Caduta l'idea di dotarne uno stormo da bombardamento, nell'ultimo trimestre 1943 questi aerei sono impiegati per il lancio di manifestini su località dell'Italia centrosettentrionale.
Al 1° luglio 1944, gli S.79 sono concentrati nel 3° Stormo Trasporti (2° gruppo, 102a e 103a; 98° gruppo, 240a e 241a) operando in voli di collegamento o nell'esercizio dei Corrieri Aerei militari, prima da Lecce, poi da Roma-Centocelle (dicembre 1944). All'8 maggio 1945, la Regia Aeronautica co-belligerante ha ancora 24 S.79.
E quelli utilizzati dall’ANR
Presso l'aviazione della Repubblica Sociale Italiana, è invece ricostituita la specialità aerosiluranti per interessamento del ten. col. Remo Cadringher che affida l'incarico al magg. Arduino Buri. Il reparto operativo conserva il nome di « Gruppo Buscaglia », è comandato dal cap. Faggioni e viene organizzato su tre squadriglie.
Nell'ottobre 1943, esso ha un solo S.79, poi si aggiungono altri recuperi, la restituzione di preda bellica da parte tedesca, infine una piccola serie dell'ultima versione (con gli Alfa Romeo 128) prodotta dalla Ditta: un totale di circa 50 velivoli. La riorganizzazione è curata sugli aeroporti di Venegono e di Gorizia.
L'8 marzo 1944, 7 S.79 si trasferiscono a Perugia-S. Egidio e la notte del 10, Faggioni ed il ten. Irnerio Bertuzzi mettono a segno due siluri contro le navi anglo-americane davanti ad Anzio. La notte del 14, vi ritornano tutti e sette i velivoli: sono abbattuti gli S.79 dei ten. Giuseppe Balzarotti e Giovanni Teta. Il 18 marzo l'aeroporto di Gorizia è soggetto ad un violentissimo bombardamento americano che distrugge al suolo 7 aerosiluranti.
Il 6 aprile, durante il volo di trasferimento da Lonate Pozzolo a Perugia, nel cielo toscano una dozzina di S.79 viene sorpresa da caccia americani P.47: 4 trimotori sono abbattuti ed altri costretti a rovinosi atterraggi di fortuna, solo cinque velivoli riescono a raggiungere l’aeroporto umbro.
Nella notte dell’11 il cap. Faggioni guidava 4 velivoli all’attacco delle navi a largo di Anzio. Si consegue l’affondamento del ct Jaunus ma tre apparecchi sono perduti, compreso quello del comandante.
Il Gruppo è ora comandato dal magg. Marino Marini e quando si sa che Buscaglia ha aderito all’ Aeronautica Cobelligerante, viene intitolato alla memoria di Faggioni.
Distintivi metallici dei piloti del Gruppo Aerosiluranti dell'ANR
Il 2 giugno 1944, Marini si trasferisce ad Istres con 10 velivoli per ripetere l'azione su Gibilterra. Decollati nella serata del 4 giugno, ben 9 aerei riescono a sganciare nella rada, anche questa volta piena di navi ed illuminata: quattro mercantili affondati e due danneggiati. Nella rotta di rientro tre S.79 debbono atterrare in Spagna e altrettanti a Perpignano.
Il 6 luglio, 5 aerei del « Gruppo Faggioni » affondano a Bari un cacciatorpediniere e colpiscono alcuni piroscafi. In luglio ed agosto, 12 S.79 si trasferiscono ad Eleusis (Atene) ed operano sul Mediterraneo orientale. Dopo il rientro in Italia, l'attività è ormai limitata: tuttavia il 24 dicembre 1944 Bertuzzi affonda un mercantile al largo di Ancona ed il 5 gennaio 1945 il ten. Francesco Del Prete effettua un ultimo vittorioso attacco.
All’aprile 1945 il bilancio operativo del reparto annovera il compimento di 14 azioni, il lancio di 54 siluri e il passivo di ben 59 SM.79 perduti. Risultano ancora in carico 14 trimotori efficienti, 12 in riparazione, 8 in fase avanzata di costruzione presso la SIAI di Vergiate.
Savoia Marchetti S.79 bis Sparviero 1a squadriglia “Gruppo Buscaglia” (in seguito Faggioni), Gorizia 1944.
L’ANR sarà l’ultima forza aerea a utilizzare il “Gobbo” in un ruolo offensivo
Piloti del Gruppo Aerosiluranti dell'ANR: tenenti Ruggeri, Del Prete (uno dei piloti dell'azione contro Gibilterra), Marcello Perina (autore dell'affondamento di un CT a largo di Bari), capitano Ireneo Bertuzzi (nel dopoguerra pilota personale di Enrico Mattei, perito con nell'incidente aereo del 26 aprile 1962), tenente medico Lombardo, tenente Perina
Il dopoguerra, gli ultimi voli con l’aeronautica libanese, il mito
Nel dopoguerra, l'Aeronautica italiana usa i superstiti S.79 come aerei da collegamento e per il traino-manica; quando la prosecuzione dell'attività di volo diventa impossibile, essi vengono demoliti o ceduti alle Scuole dei Vigili del Fuoco, per esercitazioni degli allievi.
Nel 1950 la neonata Aviazione militare libanese si fornisce di quattro S.79 ricondizionati e li impiega in una squadriglia da trasporto: insieme agli esemplari lasciati (od internati) in Spagna si tratta delle macchine più longeve.
Ma non cadranno nell’oblio le migliaia di uomini che con onore sempre, spesso con gloria, portarono nei primati e nella lotta il trimotore veloce di Alessandro Marchetti.
Savoia Marchetti SM.79 Sparviero dell'AMI. Nel periodo postbellico il velivolo vede l'impiego come trasporto e traino bersagli (gli agganci per quest'ultimo utilizzo sono visibili nella parte ventrale)
Savoia Marchetti SM.79 bis dell’aviazione militare del Libano. Nel dopoguerra lo stato mediorientale acquista quattro Sparvieri. Sia l’esemplare del Museo di Vigna di Valle (restaurato con i colori della 278a squadriglia aerosiluranti) sia quello del Museo Gianni Caproni di Trento hanno tale provenienza
Due Savoia Marchetti SM.79 dell’Ejército del Aire.
Il secondo trasformato in trasporto è privo di gondola ventrale e gobba e fornito di finestrini rettangolari
I due Savoia Marchetti SM.79 libanesi conservati presso
il Museo dell’AMI a Vigna di Valle e il Museo Caproni di Trento
Storia pilota, aviatore
Posto di pilotaggio di un Savoia Marchetti SM.79 Sparviero
Il pilota
Iniziamo con la testimonianza del più famoso asso degli aerosiluranti, Carlo Emanuele Buscaglia. Nell’articolo pubblicato su Ali di Guerra n. 33 del 10 ottobre 1942 descrive come viene svolta un'azione di siluramento. È uno scritto piano, pulito, senza retorica: il lettore ne trae un'informazione viva su un'azione di aereosiluramento, nei suoi aspetti tecnici, umani e psicologici; una testimonianza in cui non vi è assolutamente nulla da aggiungere o da cambiare.
Da qualche tempo, amici, conoscenti e colleghi mi rivolgono spesso questa domanda: « Ma dimmi un po', come viene svolta un'azione di siluramento? ». Poiché penso che la risposta possa interessare anche i lettori di Ali di Guerra, cercherò di spiegare ad essi nel modo più semplice possibile, in maniera da farmi capire anche da coloro che di aviazione poco se ne intendono, come viene effettuata un'azione di aerosiluramento, e così risponderò anche in una volta, ad amici, conoscenti e colleghi.
Prima di parlare dell'azione, sarà bene dire due parole sull'equipaggio di un aerosilurante. E' desiderabile che i componenti di esso siano tutti volontari nella specialità, ma è strettamente necessario che siano perfettamente addestrati al volo sul tipo di velivolo in uso per l'aerosiluramento ed abbiano un'ottima capacità tecnico-professionale. Ogni equipaggio deve formare un tutto armonico ed emogeneo: affiatamento, fiducia l'uno nell'altro, elasticità di mente, capacità professionale, calma nel pericolo, sono le forze che tale perfetta unione debbono cementare. Sul velivolo, come e più che su una grande nave, una volontà sola deve dominare, quella del comandante, in modo che prima, durante e dopo l'attacco non si verifichino incertezze o esitazioni che potrebbero compromettere l'esito dell'azione.
Il personale dei reparti aerosiluranti italiani possiede in modo perfetto queste caratteristiche, grazie alla perizia e alla cura con cui viene istruito nei nuclei di addestramento della specialità, alla quale tanti giovani sono accorsi pieni di entusiasmo e di orgoglio.
Nessun ostacolo, nessuno sbarramento contraereo, nessuna reazione aerea nemica, riescono a fermare lo slancio dei siluratori italiani che, specie nelle ultime battaglie del giugno e dell'agosto, hanno dimostrato la loro perizia, il loro sprezzo del pericolo ed il loro eroismo.
I risultati conseguiti in questi due anni di attività di guerra, il progresso continuo degli strumenti di puntamento,di angolazione e di sgancio, il miglioramento degli aeroplani in dotazione, sono fattori che contribuiranno a rendere questa nuova arma sempre più micidiale per il naviglio mercantile e da guerra nemico.
Gadurrà (Rodi), primavera 1941. Il capitano Buscaglia e del suo equipaggio con alle spalle il fido Savoia Marchetti SM.79. Da sinistra: sergente maggiore motorista Dante Scaramucci, maresciallo pilota Pasquale Di Gennaro, capitano Carlo Emanuele Buscaglia, sergente maggiore marconista Luigi Venuti, I aviere armiere Giuseppe Sanna
London, Kent, Liverpool, Nelson, Protector, sono nomi che, mentre destano negli Inglesi ben cocente ricordo, costituiscono altrettanti titoli di gloria per gli aerosiluratori italiani.
Gli aerosiluratori sono sempre in allarme in qualsiasi ora del giorno e della notte. I piloti e gli specialisti mangiano e dormono sotto le ali dei loro aeroplani, e non appena, su segnalazione della ricognizioni marittima o di unità di superficie e subacquee nazionali, si ha notizia della presenza di qualche unità o convoglio navale nemico, la formazione dei siluratori aerei parte in brevissimo tempo, senza alcun incidente, grazie alla meticolosità e alla precisione delle disposizioni in precedenza impartite, che ne regolano l'involo.
Effettuata la navigazione di andata e avvistato il nemico, il Comandante in un piccolissimo intervallo di tempo deve decidere l'attacco, ideare il modo come esso deve essere condotto, stabilire l'unità o le unità da attaccare, avere già chiara nella mente la rotta di scampo, tenendo anche presenti le condizioni atmosferiche, l'entità della formazione nemica, la presenza della caccia avversaria, il fattore sorpresa, e ciò considerando il numero degli aerei attaccanti.
In quell'attimo il Comandante diventa un essere, direi quasi, più che umano: non si cura del fuoco contraereo nemico, non si cura della caccia avversaria, non si cura di tutti quei fattori che potrebbero portare alla distruzione del proprio velivolo e causare la morte sua e dei suoi compagni. Egli vede una cosa sola: l'obiettivo che ha deciso di attaccare. E fino a che il siluro non sia sganciato a bassissima quota ed a distanza ravvicinata, non distoglie lo sguardo dall'unità nemica.
Compiuta la missione, però, un nuovo sentimento lo invade: la volontà di salvare sé ed i suoi compagni e di riportare a casa, oltre all'apparecchio col suo prezioso carico umano, la notizia della nuova vittoria.
Il rientro è senza preoccupazioni, allietato dal pensiero gioioso di poter riatterrare alla base di partenza e abbracciare i camerati che attendendo passano attimi di vera e intensa trepidazione.
E una volta a terra, quando nell'ufficio del Comandante si è svolta, severissima e rigorosissima, un'inchiesta per accertare i risultati conseguiti attraverso l'esame dei fotogrammi che il fotografo di bordo ha scattato al momento giusto, tutti hanno la coscienza di aver compiuto il proprio dovere e niente più. Il pensiero della ricompensa è lontano dalla mente di questi valorosi, e se il segno del valore fregerà i loro petti, sarà ad essi caro, soprattutto perché legato al ricordo vivo degli attimi trascorsi con i compagni di rischio e di gloria, all'attacco di quella grossa unità i cui pezzi facevano un fuoco d'inferno, tanto che la nave sembrava un vulcano.
Questa guerra, nel novero delle armi aeree, ha dato il posto di onore al siluro l’arma costosa e tremenda è oggetto di diligente preparazione (Didascalia originale della Rivista Aeronautica anno XVIII n.6 giugno 1941)
Il secondo pilota
Dopo il pilota comandante, sentiamo le impressioni di un secondo pilota, il collaboratore più diretto nella conduzione del velivolo, al quale erano demandati particolari compiti specifici.
Nel nostro caso si tratta del cap. Pasquale Di Gennaro, che fece parte degli equipaggi del 132° Gruppo, volando quindi con il com. Buscaglia e con il com. Graziani e compiendo così un gran numero di azioni tra le più clamorose portate a termine dai nostri aerosiluranti.
D. Quali erano le mansioni specifiche del secondo pilota a bordo dell'SM.79?
Non credo si possa parlare di un metodo unico. Pertanto accenno alle mansioni affidatemi dal comandante Buscaglia con il quale ho effettuato la maggior parte delle mie azioni belliche e di siluramento.
R. Il decollo e l'atterraggio erano compito esclusivo del comandante. I comandi mi venivano affidati subito dopo il decollo e per tutta la durata della navigazione.
L'intervento del comandante era per eventuali correzioni di rotta. Ciò con qualsiasi condizione di tempo, per voli diurni e notturni. È noto che si preferiva sorprendere la formazione navale nemica alle prime luci del giorno o a luce quasi crepuscolare.
D. E nella fase di attacco, mentre il comandante puntava sulla nave da colpire, che incarichi svolgeva il secondo pilota?
Dal momento dell'avvistamento (non sempre la sorpresa riusciva), mentre il comandante con il binocolo si rendeva conto del numero e del tipo di navi da attaccare, ubbidiva ai suoi segnali per l'assetto del velivolo perché lui stesso potesse meglio osservare.
Deciso l'attacco il comandante ripigliava i comandi mentre io, come da sue precise disposizioni, mi tenevo leggerissimo sui comandi. Giusta disposizione. Diceva Buscaglia: « Se rimango colpito, lei deve essere pronto a intervenire e continuare l'azione ».
A segnali convenuti il motorista azionava la levetta per il lancio del siluro.
La manovra per sfilare e allontanarsi dalla formazione navale era tutta un susseguirsi di rapide picchiate e impennate effettuate dal comandante. Ed io sempre leggero sui comandi. Guai se scostavo anche per un istante una mano dal volantino.
Chi veniva designato come secondo pilota? Un subalterno in grado, o un « meno esperto », oppure qualcuno specificamente addestrato al ruolo?
Primo pilota giovane - secondo più esperto. E viceversa. Ma il primo era sempre ufficiale. Questi i concetti di massima. Ma per la specialità aerosiluranti, specie all'inizio, credo non sia stato mai un problema.
Fior di ufficiali capi equipaggi e una schiera di secondi esperti, con migliaia di ore di volo, in condizione di essere a loro volta capi equipaggi in qualsiasi momento.
E se ai reparti arrivavano « pivelli » i comandanti dei reparti stessi si regolavano in modo logico e, secondo la disponibilità dei piloti, sempre nel modo migliore.
Ma più che di primo e secondo pilota si deve parlare di equipaggio quale entità unica. Prima di tutto infatti era necessario creare l'addestramento e l'affiatamento di tutto l'equipaggio.
D. Che compito aveva il secondo pilota quando l'aereo veniva attaccato dalla caccia nemica?
R. Nessuno in particolare; per i velivoli dei « gregari » sì, era speciale: dovevano cercare di affiancarsi al capo formazione il più possibile per creare una barriera di fuoco con le mitragliatrici sul « gobbo » e volare a bassissima quota quasi a sfiorare l'acqua; oppure in caso di nubi basse infilarcisi dentro.
Con Buscaglia era mio il compito di pilotare 1'SM.79 da capo pattuglia.
Esulando dalle vostre domande sento il dovere di precisare: erano gli specialisti a difenderci dalla caccia: questi valorosi combattenti, che tante volte ci hanno salvato, che hanno sempre collaborato durante le azioni, con ubbidenza, capacità, serenità e con palese fiducia in chi aveva il compito del comando.
Mi si conceda di ricordare quelli facenti parte del mio equipaggio in tante azioni: il motorista Dante Scaramucci caduto poi in azione con il comandante Carlo Faggioni, il grande aerosiluratore (a mio parere il più completo); il marconista Luigi Venuti, maestro nei rilevamenti, preciso nel passarci i Q.D.M. (Rotta magnetica per raggiungere un determinato punto, N.d.R.) come nell’'usare la mitraglia 12,7; i capaci armieri Sanna e Mataluna.
Ore e ore di volo a volte senza dire una parola — tutti sapevano quello che dovevano fare e come intervenire in caso di emergenza. — Certo riponevano fiducia in noi piloti, ma quanta serenità ci trasmettevano con la loro calma e il loro sorriso.
E una volta a terra ancora a lavorare con qualsiasi tempo per il rifornimento e messa a punto degli aerei spesso decentrati a chilometri di distanza dalla base, a curare le ferite inflitte al loro velivolo dalla contraerea o caccia nemica.
Ed a conclusione Di Gennaro ci descrive la famosa azione del 13 ottobre '41, come la visse a bordo del suo SM.79, con l'attacco e l'epico ritorno alla base, con l'aereo danneggiato.
Dell'SM.79 non si dirà mai bene abbastanza. Gli è stato chiesto tutto; anche manovre acrobatiche, ed è il massimo per un trimotore.
Ma in guerra ha fatto faville ... episodi clamorosi! Se ne potrebbero raccontare a decine. Questo è uno meritevole di essere menzionato.
13 ottobre 1941 — Al largo di Alessandria attacchiamo una forte formazione navale inglese, due corazzate scortate da incrociatori e cacciatorpediniere per un totale di 13 unità (L'azione venne condotta da tre equipaggi della 281.a squadriglia comandati da Graziani, Faggioni e Cimicchi. Le due corazzate erano la Queen Elizabet e la Barham. L'attacco di Graziani venne effettuato contro la Queen Elizabet che successivamente venne gravemente danneggiata nel porto di Alessandria la notte del 19 dicembre 1941 dall’SLC (“maiale”) di Durand de la Penne e Emilio Bianchi, N.d.R.).
Mio capo equipaggio: l'allora tenente Giulio Cesare Graziani, per sicurezza, audacia, stile, pari a Buscaglia.
Puntiamo e lanciamo il siluro contro una corazzata. Nella manovra di scampo sfiliamo tutta la formazione e il fotografo Di Paolo può fotografare così da vicino la nave da fissarne sulla negativa le insegne di comando.
La reazione contraerea si fa onore. Ci colpisce con una cannonata procurandoci sull'ala destra un foro di qualche metro quadrato e con tanti altri colpi ci danneggia longheroni, carrello,gomma della ruota, e tante pallottole sotto i sedili, nell'abitacolo ecc. Sembra finita, il velivolo con l'ala destra ormai sta per impattare l'acqua ma in extremis risponde alle manovre del pilota e riprende l'assetto normale. Che volo per circa 600 km con tanti danni! Poco motore, perché l'ala sembra volersi spezzare con quel foro al centro, con il semicarrello destro fuori e la gomma afflosciata.
Sono due ore e mezza di volo con una vibrazione continua, uno sforzo enorme di braccia e piedi per tenere il giusto assetto a velocità ridotta, ma l'SM.79 ubbidisce alla volontà degli uomini e non ci tradisce nemmeno in atterraggio facendo quello che il pilota richiede.
A distanza di anni mi chiedo ancora come fu possibile salvarci.
Senza dubbio valentia di uomini, equipaggio affiatato, ma assistenza della nostra Protettrice che prima di esserci vicina nel pericolo, ha illuminato il progettista del velivolo detentore di tanti records, l'incassatore senza pari dei colpi della contraerea e della caccia nemica, del magnifico SM.79.
Gadurrà (Rodi), primavera 1941. Appoggiati al piano di coda di un Savoia Marchetti SM.79
il capitano Buscaglia e del suo equipaggio studiano una carta
Savoia Marchetti SM.79 l’impianto radio e marconista
Il radiotelegrafista
Giovanni Capaldi fu radiotelegrafista nel 132° Gruppo Aerosiluranti: gli furono rivolte alcune domande circa le apparecchiature di bordo nonché i compiti ed i problemi di questo specialista. Le sue risposte non solo furono molto esaurienti per quanto riguarda gli argomenti specifici richiesti (spesso con dettagli tecnici che richiederebbero, forse, un approfondimento particolare per i profani...) ma arricchite di osservazioni, aneddoti e notizie di carattere generale, molto interessanti.
D. Può esprimere un giudizio sulla qualità delle apparecchiature a bordo degli SM.79 e parlarci in generale sulle funzioni del radiotelegrafista durante un'operazione?
R. Le apparecchiature radiotelegrafiche e radiogoniometriche installate a bordo degli aerei italiani — e, in specie, degli SM.79 — erano inadeguate, usurate, in buona parte sorpassate dalle nuove conoscenze acquisite dalla tecnologia, cronicamente guaste. Ciononostante, ci si riusciva a tirare avanti, in qualche modo; c'era chi riusciva a farle funzionare a furia di scossoni e talvolta a calci; poteva funzionare il trasmettitore sì e il ricevitore no o viceversa e capitava naturalmente anche il caso che funzionassero tutti e due. Ci si faceva l'abitudine e tutto rientrava nella norma. In definitiva, per imperfetti che fossero, spesso gli apparati radio svolsero un ruolo importante e, talvolta, determinante.
Oggi da qualsiasi aereo si comunica direttamente in fonia (Ossia le parole stesse vengono trasmesse via radio e non è più necessario convertire in codice Morse e trasmetterle ad impulsi distinguibili solo per durata: punti e linee, N.d.R.); abbiamo addirittura sentito gli astronauti in volo verso la luna parlare tranquillamente da centinaia di migliaia di chilometri di distanza ma, nel 1941, '42 e '43, eravamo ancora alla preistoria delle radiocomunicazioni: alla fonia non si pensava neppure. Alcuni timidi tentativi vennero effettuati verso la fine del conflitto, ma sempre limitatamente a punti assai ravvicinati, di non oltre quattro-cinque chilometri: praticamente, si poteva realizzare la comunicazione tra i pochi velivoli d'una stessa formazione; ma, così, la fonia non serviva a gran che: infatti, gli esperimenti vennero abbandonati.
Era molto raro il caso di un reparto in volo con tutti gli apparati radio efficienti. Talvolta mancava il radiogoniometro che presto si rivelò uno strumento pressoché indispensabile nei voli lunghi e specialmente nei voli notturni.
Il velivolo del capo-squadriglia (sul quale, di regola, volava il capo-specialista che, ovviamente, riservava a sé la migliore apparecchiatura) era funzionante in ogni sua parte, ma i gregari avevano sovente impianti imperfetti se non addirittura guasti.
Fin quando gli aerei stavano in formazione, non c'era di che preoccuparsi, giacché era il marconista capo-squadriglia che provvedeva a tutto per tutti; ma quando l'apparecchio restava solo e magari volava di notte se non addirittura nella tempesta (nei mesi invernali queste occasioni capitavano spesso), con la bussola che impazziva sotto le scariche elettriche e la terra che non si vedeva, eran guai seri.
Di apparecchi nuovi da montare in sostituzione di quelli guasti, neppure a parlarne. La possibilità di sostituirne uno vecchio con altro migliore (se non proprio perfetto) si realizzava solo quando un velivolo per una qualsiasi ragione veniva seriamente danneggiato e doveva restare a lungo nell'hangar per le necessarie riparazioni. In quel caso, i marconisti si facevano un dovere di saccheggiarlo dei pezzi che si eran salvati e dei quali avevan bisogno per mettere a punto gli apparati del proprio aereo.
Circa la propensione ai guasti, basti pensare che l'antenna di trasmissione consisteva in un lungo filo di rame acciaioso di alcune decine di metri, che si svolgeva da un apposito tamburo e che si tendeva sotto il ventre dell'aeroplano, tirato giù da una sfera di piombo grande come una mela. Ora bisogna sapere che quel lungo filo appeso intralciava in qualche modo le necessarie evoluzioni dell'aerosilurante che di regola volava a bassissima quota. Non sarà difficile immaginare quanto fosse seccante svolgere e riavvolgere quel filo; l'operazione si doveva compiere manualmente, facendo girare il tamburo raccoglitore, in modo attento e lento, per impedire che il filo si aggrovigliasse. Accadeva — non molto spesso, ma neppure troppo di rado — che il filo si spezzava, la sfera di piombo cadeva giù e il trasmettitore restava senza antenna.
Certo le nostre apparecchiature non erano neppur lontanamente paragonabili a quelle installate sui velivoli americani, in grado di superare centinaia e migliaia di chilometri radioguidati. Tale differenza qualitativa crebbe a dismisura quando gli Anglosassoni, un paio di anni dopo l'inizio del conflitto, cominciarono ad utilizzare su larga scala il radar che noi, allora, non conoscevamo e che chiamavamo, con la solita vena ironica dei soldati, « rastrelliera ».
Va aggiunto, poi, che le nostre trasmittenti non avevano grande portata; se non ci aiutavano le condizioni atmosferiche, dopo alcune centinaia di chilometri restavamo senza alcun collegamento. Volando lungo le coste egiziane — nostra abituale zona di caccia — eravamo senza alcun contatto radio.
Quando nel 1943 compimmo l'azione su Gibilterra, benché fosse una notte splendida e tutti gli equipaggi minuziosamente preparati, perdemmo quasi immediatamente il contatto tra noi e ciascuno se la dovette vedere per proprio conto. Sette velivoli si persero per strada sorvolando la Spagna e dovettero tornare con il siluro a bordo. Io potei utilizzare dapprima qualche stazione pirenaica, poi, più nulla. Fortunatamente la nostra navigazione poté procedere senza intralci; avendo ormai superatole zone più scabrose, ed essendo la Spagna illuminata, con le carte nautiche potevamo riconoscerne le città, i fiumi, le sierre, fino a Cadice da dove c'inoltrammo nell'Oceano Atlantico per sorprendere gli Inglesi che non potevano attenderci da quella parte.
Corrisponde al vero che spesso gli aerei italiani erano portati fuori rotta da falsi segnali emessi da radiotrasmittenti inglesi? In caso affermativo, come poteva contrastare questa azione di disturbo?
Secondo certe comode rievocazioni retrospettive, le radiotrasmittenti inglesi si inserivano nelle nostre trasmissioni al fine di mandarci su false rotte, addirittura a tiro dei loro cannoni antiaerei. E' una favola. In oltre cento ore di volo in buona parte svoltesi di là delle nostre linee (Africa Settentrionale, Malta, Cipro, Mar del Levante, Gibilterra ecc.) mai una radio estranea s'è inserita nelle mie trasmissioni.
D'altronde, non so come un trasmettitore nemico avrebbe potuto influire sulle nostre rotte. Gli itinerari eran prestabiliti. Nel corso del raid venivano presi appuntamenti con determinate stazioni. Le nostre conversazioni, per elementare prudenza (in teoria, eventuali cacciatori nemici avrebbero potuto individuarci e, quindi, intercettarci) non duravano mai più di dieci secondi, limitandosi alla notizia, ovviamente cifrata, che tutto procedeva bene o che si era sulla via del rientro. Tutto il colloquio si riduceva il più delle volte a un solo punto (corrispondente a una battuta del tasto), il che stava a dire che tutto era O.K. e non c'erano novità.
Certe volte la trasmissione durava qualche minuto; era questo il caso in cui il marconista avvertiva l'aeroporto (affinché ivi predisponessero i mezzi necessari alla bisogna) che c'erano feriti a bordo, o che l'aereo era gravemente danneggiato o che aveva il carrello bloccato per cui l'atterraggio doveva essere eseguito « sulla pancia » — come in gergo si diceva — con quei pericoli per l'equipaggio oltre che per gli altri aerei a terra, che ognuno immagina. Questi casi si verificavano però solo ad azione effettuata, quando, cioè, i cannoni delle navi eran lontani e i cacciatori nemici avevano esaurito la loro autonomia, per cui un pericolo d'intercettazione era del tutto inesistente. Bisogna a tal proposito tener presente che gli aerosiluranti tornavano alle proprie basi attraversando lunghi e talvolta lunghissimi tratti di mare e che la sola caccia da temere nella fase di ritorno era quella delle portaerei.
Poteva anche accadere (e forse accadde, qualche volta) che un nostro velivolo andasse a cacciarsi in bocca al nemico con grande sorpresa e paura di quest'ultimo. Questo poteva succedere se si utilizzava il radiofaro sbagliato.
Il radiofaro era una emittente di onde hertziane a fascio diretto. Per raggiungere la emittente (che naturalmente era installata in un punto noto) bastava che il velivolo navigasse dentro il fascio elettromagnetico, il che poteva fare con uno speciale apparato ricevente, il radiogoniometro.
Si capisce che doveva trattarsi dei radiofaro giusto. Se per errore o distrazione si utilizzava, mettiamo, quello di Malta nella erronea supposizione che fosse quello di Taranto, inevitabilmente si andava a finire su Malta. Credo che un infortuno del genere capitò a un generale inglese che credendo di atterrare a Malta atterrò invece a Pantelleria, facendosi così impacchettare come un salame.
Bisogna anche tener presente che il radiofaro indicava la direzione non la provenienza: in apparenza si poteva navigare correttamente tanto se si andava verso il radiofaro quanto se ci si allontanava da esso. Errori del genere non potevano accadere se il radiofaro si prendeva dopo aver « fatto il punto », avere, cioè, con operazioni geometriche, localizzato esattamente il velivolo nello spazio. All'epoca sentii raccontare di un aereo che navigava da un bel po' lungo le coste della Palestina, sopra un interminabile banco di nubi, alla caccia di un introvabile piroscafo inglese partito da Cipro. Vista vana ogni ricerca, il primo pilota pensò bene di tornare alla base e, non avendo punti di riferimento, decise di navigare col radiofaro. Inserita l'emittente di Maritza, nel Dodecanneso, il pilota corresse l'angolo di rotta e si mise tranquillo, convinto di andar verso casa. Dopo una ventina di minuti, essendo apparso uno squarcio nelle nubi, il velivolo ci si infilò e l'equipaggio constatò con sorpresa che stavano sorvolando a bassa quota un accampamento di soldati inglesi che scappavano da tutte le parti colti dal panico. Inutile dire che l'aereo descrisse una brusca virata di 180 gradi e in un battibaleno se la svignò. Era avvenuto che il pilota, distratto, aveva sì infilato il fascio del radiofaro emittente ma, invece di prenderlo di prua, lo aveva preso di coda, sicché si allontanava dalla base invece di avvicinarcisi. Se lo strato di nubi fosse continuato, andava a finire nel Golfo Persico!
D. È stato detto che un buon marconista è in grado di riconoscere la « mano » di chi trasmette. Cosa può dirci al riguardo? Poteva avere una certa utilità pratica questa « capacità »?
R. È vero che i marconisti di una certa esperienza riconoscevano l'autore delle trasmissioni radio; ma, per la verità, non è che si trattava di riconoscerne uno tra mille.
Solitamente, gli interlocutori erano i marconisti della squadriglia o dello stormo, le cui conversazioni si riducevano allo stretto necessario nel linguaggio del « Codice Q », un cifrario contenenti frasi corrispondenti a tre lettere sempre precedute dalla lettera Q. Tra gli anziani, la prima lettera, la Q, veniva sovente eliminata, ritenuta superflua. Tra gli anziani più spicciativi, veniva addirittura eliminata anche la seconda lettera perché la presupponeva il tipo di conversazione in corso.
Le vere trasmissioni si intrecciavano tra l'aereo (di norma il capo-pattuglia, se si era in formazione) e una stazione a terra dove, anche i marconisti eran sempre gli stessi, non più di due o tre.
Credo di non affermare niente di sensazionale se dico che anche il battere il tasto d'un radiotelegrafo è operazione strettamente connessa, come del resto ogni altra attività dell'uomo, al carattere o, meglio, al sistema nervoso dell'operatore. C'eran trasmissioni pulite, elementari, che quasi facevan tenerezza e di solito appartenevano ai giovanissimi appena sfornati dalle scuole, che avevan paura di sbagliare; ve n'erano di concise e autoritarie, come quella del veterano Venuti che al radiotelegrafo non amava le chiacchiere e desiderava farlo sapere; ce n'erano di confuse, approssimative, concitate, come quella d'un certo Danieli, un polentone del quale non ho saputo più nulla; e ricordo con raccapriccio la trasmissione arruffata e caotica di quel pazzo di Renzo Casellato, al quale mi legava un affetto più che fraterno.
D. Ha mai sentito dire che gli Inglesi disponevano dei nostri codici segreti, trovati a bordo di un aereo italiano abbattuto?
R. Venni anch'io a conoscenza di questa voce alla quale, peraltro, nessuno attribuì importanza. Infatti, una eventuale fuga dei nostri codici, per il modo in cui essi eran congegnati, non doveva destare alcuna preoccupazione.
La cifratura consisteva semplicemente nella sostituzione della lettera vera con una qualsiasi. Per esempio, alla N corrispondeva una B e alla O una F, sicché, per dire NO bastava dire BF.
Questa sostituzione di lettera veniva realizzata con un apparecchio che in gergo chiamavamo « macchina » o « valigia » ma più comunemente « trabiccolo » e che sostanzialmente consisteva di una parte contenente i segni alfabetici veri, da sostituire, e da una parte fissa con i segni che dovevano sostituire i primi. Facendo combaciare le due parti in corrispondenza delle ascisse si otteneva il nuovo segno. La lettura, poi si aveva col procedimento inverso.
Si deve però tener presente che la cosiddetta parte fissa, consistente in un semplice foglio di carta con tutti i segni alfabetici e i numeri, variava ogni ora. Sicché, decorsa l'ora, il codice non serviva più a niente.
Nelle casseforti di ogni reparto c'erano le raccolte, trasmesse direttamente da Roma, delle pagine da adottare per un certo periodo (non oltre un mese). Agli aerei che partivano per missioni di guerra veniva consegnato il numero delle pagine relative alle ore di presumibile durata dell'azione: solitamente, non più di quattro o cinque. Era dunque possibile catturare il «trabiccolo» ma, prima di poterlo utilmente usare, il tempo della sua validità era ormai decorso e tutto l'armamentario diveniva automaticamente un aggeggio inutile.
D. Ebbe mai notizie di sabotaggi?
A me non risultano, ma debbo anche dire, per amor della verità, che la nostra azione più impegnativa, quella di Gibilterra, si risolse in un completo fallimento, forse proprio per sabotaggi.
Innanzitutto, fummo costretti a compiere due giri attorno alla Rocca, dato che il siluro, al primo passaggio, non volle sganciarsi (il che, tra l'altro, ci fece consumar preziosa benzina, per cui fummo costretti a un atterraggio di fortuna in Catalogna); sganciato il siluro, restammo invano, durante la manovra di disimpegno, ad attendere che lo scoppio si verificasse. Non scoppiò niente e noi proseguimmo delusi il nostro difficile volo di rientro, sgattaiolando nelle valli della Sierra Pinar, fatte chiare da quella bellissima notte.
Durante il nostro successivo forzato soggiorno a Barcellona, circolò la voce che un nostro informatore di Algesiras aveva fatto sapere che il siluro era stato trovato inesploso, qualche giorno dopo, su una spiaggetta andalusa. (In effetti uno dei nostri agenti informatori in Spagna, il Cap. Pilota Mario Casali, incaricato dall'Ufficio Aerosiluranti dell'Aeronautica di tener sotto osservazione, la rada e segnalare i movimenti delle navi, nonché comunicare l’esito delle azioni, ebbe poi modo di assistere al controllo effettuato da un ufficiale della RAF al nostro siluro che senza scoppiare, si era conficcato nella sabbia, lasciando fuori solo una piccola parte della poppa con le due eliche. L'ufficiale disse che si trattava di una bomba d'aereo ... e per gli Inglesi tutto si concluse così, N.d.R.).
Si disse che il congegno di scoppio era stato manomesso dai partigiani sul campo base, a Istres, presso Marsiglia.
Evidentemente non posso giurare sulla attendibilità di questa voce ma, debbo dire la verità, non ci credetti e non ci credo, per numerose ragioni: la situazione generale del campo-base, le sentinelle, la insufficienza di tempo a disposizione, la necessità di conoscenze tecniche relative a congegni nuovissimi e segreti, la pericolosità dell'operazione ecc. (Tra i fatti che fecero pensare ad un'azione di sabotaggio vi fu la constata diminuzione di pressione nel serbatoio di aria compressa dei siluri dei velivoli rientrati. Ma Unia ritenne di individuare la causa nel surriscaldamento del serbatoio stesso provocato dai gas uscenti dai convogliatori di scarico allungati che non erano stati ancora sufficientemente collaudati con i siluri magnetici. Il surriscaldamento del serbatoio aveva provocato l'entrata in funzione della valvola di conservazione e la fuoriuscita di una certa quantità di aria, N.d.R.)
D. Ci vuol raccontare di qualche missione degna d'essere ricordata?
R. Ogni nostra missione è per qualche motivo degna di essere ricordata. Una volta una cannonata mise fuoco al nostro motore centrale e dovemmo rientrare con i soli due motori laterali; un'altra volta, nelle acque di Capo Blanch, una quarantina tra Hurricane e Spitfire ce la fecero vedere particolarmente brutta; un'altra volta, davanti a Biserta, ci sparammo furiosamente un contro l'altro con un Heinkel tedesco e solo quando quest'ultimo, per farla finita, ci si gettò addosso, potemmo riconoscerci all'ultimo momento e smettere di tentare di abbatterci a vicenda; un'altra volta, avanti a Capo Bougaroun, avemmo tre membri dell'equipaggio feriti; a Castelvetrano atterrammo sotto una pioggia di bombe, mentre era in corso uno dei più pesanti bombardamenti che quell'aeroporto subì; un'altra volta il nostro armiere venne colpito dal proiettile di un Beaufighter e cadde riverso sulla mitragliera. Mi pare fosse un certo Scaringella, ma adesso, a più di trent'anni di distanza, non ne son sicuro. Ad ogni modo, lo presi e lo adagiai sopra i nostri paracadute, dove egli si racchiocciolò apparentemente in punto di morte. Invece, improvvisamente si scosse, mi si attaccò al collo per sollevarsi e mi gridò all'orecchio: « Viva l'Italia! ». Capii che stava facendo del teatro e a mia volta gli gridai in un orecchio una esortazione che immediatamente lo calmò e gli fece smettere l'aria funerea. Gli dissi: « Smettila, cretino! ».
Una volta, di notte, volammo fianco a fianco con un apparecchio che, solo dopo un lungo tratto, capimmo essere inglese. Prontamente ce la svignammo ma l'altro non tentò d'inseguirci. Credo che si trattò d'una distrazione generale. Un'altra volta ... Un'altra volta eravamo in missione di libera caccia, in vista d'una costa brulla e disabitata. A un certo punto si delinearono avanti a noi cinque o sei barche di poveri pescatori; dai nostri cinquanta metri di quota io li vedevo benissimo, con i loro caratteristici, cenciosi vestimenti arabi. Uno levò una mano in segno di saluto. Davanti a noi, il nostro capo-squadriglia si abbassò in picchiata e li mitragliò con tutte le sue armi. I due gregari si abbassarono a loro volta. Ma nel mio velivolo, io non sparai e impedii di sparare a un altro mio compagno che aveva puntato la mitragliera di sinistra.
Quando rientrammo alla base il caposquadriglia voleva mangiarmi. Strillava come un ossesso. Voleva mandarmi sotto processo. Sosteneva che quelle barche erano camuffate, che sotto le reti e gli stracci e le ceste nascondevano potenti radio trasmittenti per segnalare a terra la presenza dei nostri velivoli. Ero convinto allora, e sono convinto ancor oggi, che fosse una convinzione totalmente infondata.
L’armiere
Il Maresciallo Armiere Renato Golfetto di Treviso, sottufficiale di carriera frequentò la scuola della specialità a Bresso (Milano) ove rimase — in forza con il 10° Stormo 56.a Squadriglia B.T. — fino al giugno del '39 quando venne inviato in Egeo, prima a Lero con i Cant. Z.501, poi nel '40 a Rodi Maritza con gli SM.81, ed in seguito presso l’altro aeroporto dell’isola, quello di Gadurrà con gli SM.79. Anch'egli parla in modo aperto e schietto, con la simpatica cadenza veneta, in un alternarsi di ricordi e stati d'animo opposti, solo parzialmente sopiti dal tempo: entusiasmo, rammarico, allegria, rabbia, compiacimento, a seconda dei temi toccati. Tuttavia, malgrado gli anni passati e di non essere più in servizio, a volte è trattenuto da una certa reticenza, certe cose preferisce tenerle per sé, ed altre ci prega di non riportarle, preso quasi da una forma di riserbo, di istintivo senso del dovere.
«Il primo volo lo feci alla 56.a Squadriglia del 10° Stormo a Bresso (Milano) il 2 settembre 1938 quando da qualche giorno gli SM.79 erano venuti a sostituire gli SM.81 che avevamo in dotazione: con questi due velivoli avrei poi volato in guerra su tre Continenti: sulle acque del Mediterraneo, sulle sabbie del Sahara, sulla Terra Santa, sulle steppe russe e sui laghetti della Finlandia! Sempre durante la guerra mi "sarei fatto" anche un po' di SM.84 e di Cant. Z.1007 bis, ma l'aeroplano che mi diede più soddisfazione e senso di fiducia fu il 79.
Per quanto riguarda le parti di mia pertinenza posso dire che era un aeroplano dotato di sistemi meccanici semplici e quindi robusti, a differenza degli altri più moderni i quali disponevano al contrario di sistemi più avanzati, usati ancor oggi, come impianti idraulici, elettrici, pneumatici ecc. che richiedono una costante, precisa manutenzione, indiscutibilmente utili e pratici, ma altrettanto delicati e vulnerabili. In guerra, quando si era sotto alla "pioggia" delle mitraglie dei caccia nemici o delle " sciampagnate " di schegge della contraerea, ne bastava una, o un proiettile di 7,7 per rompere un condotto dell'impianto idraulico o un cavo dell'impianto elettrico e così ciao alla comodità ed all'automatismo ... Il 79 questi problemi non li presentava, perché era una macchina essenziale, "spartana"; usava solo un impianto idraulico-meccanico per la apertura degli sportelloni e un semplice impianto pneumatico per armare le mitraglie da 12,7, pratico ma non indispensabile perché le mitraglie si potevano armare anche a mano con un po' più di forza.
Eh, se contassi tutte le cose che ho visto, a cui ho assistito o partecipato verrebbe fuori un libro, altro che una intervista; ma è meglio metterci una pietra sopra, tanto con il vostro SM.79 non c'entra.
Mi è stato chiesto tante volte se è difficile colpire le navi in navigazione durante i combattimenti aeronavali. Risponderò a tutti decisamente: sì! Le navi dispongono di un campo di manovra piuttosto ampio, direi, che è il mare; pertanto di spazio ne hanno quanto ne vogliono per sbizzarrirsi nelle più ampie ed imprevedibili evoluzioni. Non è che debbano percorrere un senso obbligato come ad esempio un treno o anche un'auto sulla strada, molto più facili ad essere vittime di un attacco aereo anche se sono mobili. Le navi vengono avvistate rilevando prima la lunga scia che lasciano dietro; a mano a mano che ci si avvicina si notano la forma, poi le caratteristiche dei loro profili da cui si può dedurre se è un cargo, una nave passeggeri, una petroliera o una nave da guerra, C.T., incrociatore, nave da battaglia o portaerei, e quanto più ci si avvicina e ci si abbassa, sempre più particolari si notano, fino al punto di vedere le persone sulla plancia. Noi bombardieri per effettuare il loro puntamento e sganciar le bombe dovevamo per forza passare sulla loro verticale. Ed è da immaginarsi se queste proseguivano bel bello, diritte nella loro direzione senza mandarci neanche una "salve" di saluto. Quando poi venivano attaccate dai bombardieri sembravano tante anguille. I comandanti delle navi quando, mediante binocoli, ci vedevano prendere la direzione su di loro ed aprire gli sportelloni, si tenevano pronti per fare le più strane manovre, come accostare da una parte e poi dall'altra o aumentare la velocità o diminuirla, appena vedevano uscire le bombe dalla "pancia" degli aerei; perché il tempo di caduta delle bombe lanciate da 3500 o 4000 o più metri dava loro il tempo di schivarle. (Il tempo di caduta per quelle quote oscilla dai 20 ai 30 secondi per percorrere la traiettoria). A parte ciò, considerando pure le altre incognite delle sottostanti condizioni atmosferiche che potevano modificare la traiettoria, c'è quasi quasi da dire che "è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che ... una bomba cada su una nave ...". Parlo naturalmente di giorno, con buona visibilità, perché di notte a mala pena si riesce a vederla e nelle migliori delle ipotesi (con la luna) si riconosce qualche dettaglio di massima, come la sagoma, la direzione, grazie alla scia, ma anche questa la si scorge per caso: a me non è mai successo!
Sono così convinto di quanto dico, che se, com'è capitato a me nel marzo del '41, attaccando un convoglio inglese diretto in Grecia, uno ti va a colpire bene un incrociatore, anche se quell'uno sono io, io stesso per primo vado in giro dicendo che non è stata la bomba a cadere sulla nave, bensì ... questa a cadere sulla bomba! E per quella mia sincerità, che sminuiva la mia « bravura », ci ho rimesso una medaglia.
Pertanto per colpire navi in navigazione, o si bombarda a tappeto (e noi, che io sappia, con le navi non l'abbiamo mai fatto perché si richiedevano grandi formazioni senza limitazione di bombe), o in picchiata, ed allora qualcosa si prende; altrimenti sono bombe sprecate. A meno di scendere bassi, così la nave non ce la fa ad accostare tempestivamente, ma ciò significa correre grossi rischi di essere abbattuti dall'antiaerea. Piuttosto si ricorreva a bombardamenti in quota diversivi, cioè in concomitanza con i tuffatori e mentre attaccavano gli aerosiluranti: l'azione combinata aveva lo scopo di distrarre l'attenzione dei comandanti delle navi e suddividere il fuoco dell'antiaerea su tre fronti d'attacco diversi. Ma per noi le cose diventavano ancora più difficili in quanto le navi, sotto, per sottrarsi agli attacchi degli altri facevano di quelle evoluzioni che sembravano tante formiche impazzite. E qui non c'entrano i sistemi di puntamento più o meno perfezionati, perché lo Jozza, anche se non era il non plus ultra, ci andava bene, almeno per noi che avevamo fatto un po' di pratica; e lo stesso dicasi per le bombe stivate orizzontali o verticali. Nell'SM.81, ad esempio, erano orizzontali o verticali, ma non si facevano più centri rispetto al 79 che le aveva verticali. Però c'è da dire una cosa: una bomba da 250 kg che cadeva anche a 15-20 metri da una nave, poteva danneggiare lo scafo in modo anche grave per lo scoppio in acqua che creava la depressione. Ciò accresceva leggermente l'effetto dei bombardamenti in quota. Ma ben presto gli Alti Comandi si resero conto che per affondare le navi occorrevano soprattutto azioni di aero-siluramento e costituirono così i primi reparti della nuova specialità, sempre con i 79, che fu incrementata e sempre meglio curata, mentre i bombardamenti in quota sul mare continuarono normalmente o in azioni combinate (con aerosiluranti e tuffatori) utilizzando tutti i tipi di aerei della specialità dal 79 all'81, dal BR.20 al Cant. Z.1007 bis.
Con i bersagli fissi era tutto un'altra cosa, riuscivano molto più facili, tenendo sempre presenti quelle famose condizioni atmosferiche sottostanti, il "manico" di chi effettuava il puntamento, e perché no, anche la coscienza di chi faceva quest'operazione. Comunque gli effetti si vedevano. Solo che sarebbero occorse bombe più potenti e soprattutto molti più aerei, perché andare su obbiettivi importanti e pericolosissimi con bombe di piccolo e medio calibro e una dozzina di aerei (quando erano rose e fiori), sprovvisti pure della scorta della caccia, significava che gli equipaggi che vi partecipavano avevano nei loro cuori una fede e una volontà più forte dell'acciaio delle loro armi. Ma i risultati globali, spesso, non corrispondevano purtroppo ai sacrifici.
Gli Anglo-americani, ed anche i Tedeschi, ci davano nel frattempo molteplici ed efficaci esemplificazioni di come si sarebbero dovuti effettuare i bombardamenti sia tattici che strategici!
Altra grande differenza era anche qui tra un bombardamento diurno e uno notturno. Mentre con il diurno si poteva individuare bene l'obbiettivo, a meno che non fosse collocato in un folto centro abitato, di notte era impossibile scorgere un determinato bersaglio anche con l'ausilio dei bengala illuminanti. Ammenoché non fosse un obbiettivo isolato, come ad esempio impianti di raffinerie, depositi, baraccamenti o un ponte su un fiume o una zona industriale ben definita, oppure anche porti, per la loro forma caratteristica. Pertanto i bombardamenti fatti indiscriminatamente sulle città erano dei veri e premeditati atti di criminalità, e cade qualsiasi forma di giustificazione, come ho avuto modo parecchie volte di sentire, nei confronti degli attacchi terroristici sui nostri centri urbani.
Gli sganci potevano essere fatti singoli o «a imitazione », a seconda dei bersagli e degli effetti da conseguire. In genere lo si concordava prima con il capo pattuglia, insieme agli altri dettagli dell'azione. Nel primo caso, giunti sull'obbiettivo, la formazione tendeva a scomporsi (se non vi erano caccia in vista) ed ogni aereo agiva autonomamente sganciando dove prestabilito. Se si lanciava ad imitazione, invece, che corrispondeva ad un bombardamento a tappeto, bisognava seguire il capopattuglia e sganciare «a vista » quando sganciava lui, per cui gli altri non avevano neppure da controllare i calcoli. Ma non sempre si poteva condurre l'azione come si voleva: spesso, o per l'intervento della caccia nemica, che entrava anche nella zona battuta dall'antiaerea, o per l'efficacia dell'antiaerea stessa — con cui sempre, più o meno, si aveva a che fare — si doveva cambiare piano d'attacco al momento, portando comunque sempre l'azione a termine, anche a costo delle inevitabili perdite.
Per reagire alla caccia non c'era che da tenere la formazione di pattuglia più stretta possibile per produrre il maggior sbarramento di fuoco, coprendosi reciprocamente.
Inizialmente gli Inglesi avevano i biplani Gloster cui potevamo sfuggire senza difficoltà: facevano i 160 all'ora! Poi sono arrivati gli Hurricane e soprattutto gli Spitfire ed allora la vita era diventata più difficile, specie con gli ultimi tipi perché avevano velocità e potenza di fuoco notevoli; se si veniva colti isolati era problematico sfuggirgli; tuttavia il « gobbo » aveva una maneggevolezza ed era un incassatore tale che spesso riuscivamo a fargliela lo stesso. Le cose incominciarono ad andare decisamente male per noi quando la loro superiorità numerica divenne schiacciante ed oltre al resto ebbero a disposizione il radar che segnalava tempestivamente il nostro arrivo.
Per difenderci dall'antiaerea, invece, adottavamo la tecnica del cambiamento di quota, cioè in prossimità del bersaglio iniziavamo una leggera picchiata, che oltretutto dava velocità all'aereo. Naturalmente il puntatore era già d'accordo col pilota perché puntamento e sgancio dovevano avvenire con l'aereo perfettamente in assetto ed a velocità nota e costante, altrimenti le bombe andavano dove volevano. Il comandante diceva ad esempio prima od in prossimità dell'obbiettivo "Entriamo à 4500 poi giù e sganciamo a 3500, a velocità tot, d'accordo? ". Allora io sapevo che dovevo fare i miei calcoli sui 3500 m alla velocità tot. Con questa tecnica non solo traevamo in inganno i telemetristi a terra ma abbassando la quota improvvisamente correvamo semmai il rischio di essere "trapassati" dal proiettile (due buchi che il 79 incassava disinvoltamente, se il punto colpito non era vitale), ma evitavamo di ricevere lo scoppio attorno all'aereo, che sarebbe stato investito da moltissime schegge, con conseguenze ben più gravi. In ogni modo l'antiaerea faceva sempre paura, specie quella della marina, ed era un pericoloso ostacolo; non era soltanto fortuna ma un qualcosa come di soprannaturale che ci aiutava a venirne fuori. Però l'accorgimento adottato, per quanto banale, funzionava e le qualità dell'aereo e dell' equipaggio facevano il resto.
Sulla tecnica di puntamento, calcoli ed operazioni che il puntatore doveva fare per premere i tasti al momento giusto, credo non sia il caso mi dilunghi, essendo un argomento complesso ed arido da spiegare a parole senza gli strumenti sottomano; lo stesso dicasi per spiegare come funzionava lo Jozza che era un traguardo a vista con due guide mobili con un campo retinato nel quale bisognava mantenere inquadrato il bersaglio. Ciò grosso modo. In genere bastava un solo passaggio sull'obiettivo, che richiedeva un puntamento diretto con l'ausilio di un contasecondi e usando un « falso scopo »; questo era un bersaglio ipotetico posto sulla stessa rotta di quello effettivo verso il quale puntava il pilota. Nell'ultima fase di avvicinamento piccole correzioni di rotta potevano essere fatte dal puntatore mediante l'apposito volantino che agiva sul timone di direzione. Poi seguendo il bersaglio entrava in azione il traguardo di puntamento mediante i dati ricavati dagli strumenti del mio cruscotto: altimetro, sbandometro, derivometro, indicatore di velocità, peso ed angolo di ritardazione della bomba. Dal risultato di questi dati veniva approntata la prima fase di puntamento sul traguardo seguita immediatamente dalla seconda, traguardo > bersaglio > contasecondi > sgancio. Avvenuto lo sgancio ci si augurava che nelle quote sottostanti non ci fossero i minimi mutamenti atmosferici, come la direzione del vento, che potevano causare il tiro lungo o corto o spostato da una parte o dall'altra del bersaglio.
Circa l'obiettivo specifico da bombardare, se la missione non era segreta, lo si studiava e discuteva prima: si va a Cipro sull'aeroporto, sulla baia di Suda, si va su un convoglio navale, ad Haifa sulle raffinerie ecc., e spesso si preparava anche un piano d'azione con il capoequipaggio con il quale il puntatore doveva in ogni modo avere il massimo affiatamento. Poi i dettagli si mettevano a punto con il comandante stesso « a vista »; cioè, giunti sul posto mi portavo in cabina con lui ed egli mi indicava: « Vedi quel punto? Bisogna picchiare là, o su quei capannoni o su quella nave ecc. ». Oppure mi lasciava libertà di scelta, per cui decidevo io il bersaglio, a mio discernimento. Prese le disposizioni correvo al mio posto perché ormai ci si era avvicinati e dovevo incominciare il lavoro. Se non potevo essere in cabina il comandante comunicava con me con il laringofono, che era costituito dalle cuffie e dai due microfoni applicati alla gola.
Vi erano ordini severissimi di non toccare obiettivi non militari. Guai a chi mancava: si arrischiavano punizioni molto gravi e non si potevano raccontar frottole perché la macchina fotografica automatica documentava senza attenuanti! I capiequipaggio, quando mancavamo il bersaglio imprecavano, specie se l'errore era grossolano e non sussistevano valide giustificazioni. Le reazioni dipendevano ovviamente dal tipo d'uomo, ma in genere c'era poco da stare allegri. Ricordo che una volta andavamo a bombardare l'aeroporto di Suda che era su una lingua di terra protesa nel mare lunga e stretta. Avevamo a bordo come « passeggero » un ufficialetto di prima nomina, tanto pieno di arie quanto scarso d'esperienza. Vicini al bersaglio mi ordina di lasciargli il mio posto per fare lui il puntamento e lo sgancio. Io resisto un po'; poi, pur diffidando (tanti anni di servizio mi avevano insegnato molte cose), gli dico prego s'accomodi; e poiché era pure di sua pertinenza puntare e sganciare, lo lascio fare dato che, tutto sommato, mi sembrava abbastanza sveglio e poi non si trattava di prendere un ponte: il bersaglio era bello grande! Attacchiamo dunque l'aeroporto in linea perpendicolare, provenendo quindi dal mare. Non siamo neppure disturbati più di tanto, ma prima di esserci sopra vedo con orrore delle bombe, che non potevano essere che le nostre, esplodere in acqua. Quel benedetto aveva fatto il puntamento chissà come ed aveva sganciato corto, con tutto lo spazio buono che stava sotto! Potete immaginare la mia rabbia ed i moccoli, tanto più che ora avrei dovuto io render conto dell'errore al comandante; il quale, infatti, poco dopo mi chiama in cabina per sapere com'era andato il tiro (dalla cabina non si può vedere lo scoppio delle bombe). « Beh, gli dico, è stato un po' corto »... « Corto? Quanto corto, porco ... ». « Corto, corto, signor comandante » ribatto io sempre più a disagio, tanto più che lo vedo armeggiare nella trousse dei ferri e cavarne un martellone. Era un duro; incalza gridando: « Dove sono cadute allora 'ste bombe???... » ed il martellone roteava troppo vicino a me perché io rinunciassi a rivelargli la verità, ma tutta, aggiungendo che non avevo potuto disobbedire ad un superiore. Evito così il lancio del martello ma non la sua furiosa reazione. Tuona: « Ora si ripassa e si fa mitragliamento a bassa quotaaa! ! ! »; che il Signore l'abbia in gloria, ha cento ragioni, ma qui ci castriamo da soli perché per dare una punizione a quello arrischiamo tutti la pelle, poiché nel frattempo l'antiaerea s'era svegliata violenta e precisa. Se sono qui è perché anche quella volta è andata bene, ma ho inanellato un'esperienza in più.
Però quello è stato un caso perché per la verità ero un tipo geloso del mio mestiere e facevo tutto con il massimo scrupolo: accudivo con pignoleria estrema a tutte le mansioni di mia competenza e vigilavo che i subalterni lavorassero con altrettanto scrupolo,dal caricamento delle bombe al loro aggancio, dalla regolazione delle spolette alle sicure, ecc.; dal munizionamento delle mitragliatrici al loro buon funzionamento ed al « saperci fare » degli altri membri dell'equipaggio con le armi di difesa. Il più bravo lo mandavo in gobba, posto molto importante (di solito era il motorista che non poteva allontanarsi troppo dalla cabina), l'altro alla 12,7 in gondola, mentre io, di solito, badavo alle due 7,7 laterali. Ma non era una disposizione fissa e dipendeva dalle contingenze. A proposito di mitragliatrici: quella in caccia il più delle volte non la caricavamo neanche, almeno noi, perché nelle nostre missioni non ci serviva ed era un peso in più (mentre per altri tipi di azioni era un'arma preziosissima). Così, grazie al mio scrupolo ed alla mia buona stella, sono riuscito a fare andare sempre le cose per il meglio e soprattutto a portarmi a casa la pelle pur facendo il mio dovere per cinque anni di guerra, senza contare quelli prima. Solo una volta mi capitò un inconveniente che poi si trasformò quasi in una comica, per cui glielo racconto. Eravamo in missione per un bombardamento notturno su Alessandria d'Egitto. A bordo avevamo anche quella volta un ufficiale pilota come osservatore, lo ricordo ancora si chiamava ten. Serena, che non era un pinguino come l'altro (Ci capitava spesso di portare ufficiali dell'Esercito o della Marina come osservatori, oppure fotografi o un altro armiere. Si portavano a volte anche giornalisti od operatori cinematografici che per calma e coraggio non erano secondi a nessuno). Durante l'azione, non mi va a capitare che una bomba da 100, probabilmente perché avevo schiacciato il tasto troppo leggermente, non mi si sgancia? Può immaginare come ci rimango io, tanto più che l'ufficiale mi guarda stupito e con aria interrogativa, indicandomi la bomba, beffarda, attaccata alla traversina. Seccato, non mi perdo d'animo e tento un bluff. L'antiaerea sparava maledettamente ed erano accesi molti riflettori. Allora, a mia volta, faccio cenno all'ufficiale di stare calmo, che la cosa era prevista: « Lo vede quel faro laggiù? Ecco, la bomba è destinata a lui ... ». Faccio il puntamento, schiaccio il tasto, questa volta la nespola parte e come radioguidata dalle mie implorazioni non ti va a beccare proprio quel faro? Potete immaginare lo stupore e l'ammirazione del superiore, il quale a terra narrò il fatto e le mie quotazioni professionali crebbero a dismisura; ed il bello è che nessuno voleva credere che era stata una pura combinazione, o quasi, in seguito ad un errore, come andavo ripetendo a tutti, perché non mi piaceva carpire la buona fede di amici e colleghi!
Il discorso sulle nostre bombe aeree merita qualche precisazione. Quelle di maggior peso di uso corrente erano le 250, anche perché le più efficaci. Quelle da 500 kg normali c'erano, ma che io sappia non furono mai impiegate perché si diceva che avessero un difetto di base (è l'ennesima conferma. Sembra che nessuno abbia mai portato queste bombe per le quali l'SM.79, come l'81, era pur predisposto. Il difetto pare fosse che dopo l'urto la bomba non scoppiava in quanto la maggior parte del tritolo si frantumava in grossi pezzi compatti, n.d.R.). Comunque, a parte tutto, è chiaro che era proprio un fatto di necessità quello di portare più pezzi da 250 piuttosto che uno o due da 500: data la scarsezza di aerei la scelta mirava ad aumentare le probabilità di colpire comunque i bersagli. Per i convogli ad esempio usavamo molto spesso anche le bombe da 100 ed all'inizio addirittura da 50 kg (con cui una volta colpii un mercantile).
Un altro mistero è la bomba da 500 speciale. La bomba da 500 kg speciale era molto bene congegnata ed efficace contro impianti portuali e navi ormeggiate o alla fonda. Disponeva di un congegno che le parava gli effetti della caduta nell'acqua, adagiandola sul fondo; di un sistema ad orologeria che entrava in funzione quando cadeva nell'acqua e provocava l'esplosione con il ritardo prestabilito, e infine di un sistema multiplo di spolette per l'impatto contro corpi solidi. Questo ordigno fu lanciato sui porti di Alessandria d'Egitto all'inizio della guerra ancora con gli SM.81. Poi sparirono dalla circolazione e non se ne seppe più nulla. So solo che l'Home Fleet per un po' di tempo dopo questi tipi di bombardamento è stata ormeggiata al largo dei porti o fuori ben protetta da reti di sbarramento. La prerogativa della bomba, diciamo pure a doppio uso, era che dispensava dal dover puntare su un bersaglio ben definito e quindi consentiva efficaci azioni notturne, rendendo le missioni più rapide e sicure, avendo comunque la certezza che in ogni caso si sarebbero ottenuti efficaci risultati. La tecnica era questa: giunti sul porto mollavamo prima una bomba da 100 kg e subito dopo quella da 500; così l'esplosione di quella da 100 copriva il tonfo di quella grossa se si infilava in mare, in modo che il nemico non se ne accorgesse e non rilevasse il punto di caduta, facendo perdere l'efficacia della sorpresa. Ripeto comunque che la bomba speciale non l'ho più vista e su Alessandria siamo ritornati altre volte con l'SM.79 e le normali bombe da 250. Per concludere il discorso sulle nostre bombe dirò che quelle « super » da 800 kg di cui tanto si parlava, personalmente non le ho mai impiegate. Ne ho viste un paio scariche far solo bella mostra all'entrata delle aviorimesse, terribili ma impotenti! Delle bombe di piccolo e medio calibro, bombe speciali, spezzoni ecc, non credo meriti parlare: basta dire che erano molto efficienti per gli scopi cui erano adibite.
Prima di ogni missione i comandanti di squadriglia riunivano i capi reparto specialisti (armieri, motoristi e marconisti) ed a ciascuno impartivano le disposizioni per l'azione: a noi, caricate tante bombe di quel tipo; ai motoristi, tanta benzina, ed ai marconisti gli ordini del caso ecc. Le bombe dovevano essere caricate per regolamento col verricello ed infilate nei cestelli, scoprendo il tetto della carlinga che comprendeva la parte centrale dietro il vano della gobba, ed agganciate agli appositi tralicci; quelle da 100 kg con l'ogiva in su, quelle da 250 con l'ogiva in giù. Ma spesso per comodità e per far più presto, fino a quelle da 100 kg usavamo caricarle a braccia e spalle. Il brutto tuttavia era quando per un improvviso mutamento di «programma », dopo aver sistemato le bombe per bene, era necessario scaricarle tutte per cambiare tipo; giù quelle, corri a prendere le altre, smonta e rimonta ed era un lavoraccio cane; perché bisognava cambiare, secondo il tipo della bomba, anche i cestelli guida-bombe e le traverse porta bombe, con tutti i cavetti da collegare con piccolissimi perni e con coppiglie da infilare sui forellini di questi ultimi. Potete immaginare che delizia, specie se questo andava fatto di notte con l'aereo decentrato a termine campo, muniti solo di una torcia con la pila mezzo scarica e con dei rompiscatole tecnicamente incompetenti che ti facevano premura, ti sollecitavano, perché l'aeroplano doveva partire presto: come se noi non lo sapessimo quando sarebbe partito, poiché, scusi sa ... eravamo ancora noi a dover salire a bordo, senza nemmeno cinque minuti di riposo; e a questi tizi non si poteva obbiettare nulla, perché ... personalmente ne so qualche cosa. E poi, magari ti capitava un nuovo contrordine per cambiare ancora, perché il Comando, certamente non per capriccio, aveva modificato i piani d'attacco per l'ennesima volta.
Ma la sostituzione più ... integrale, diciamo così, è stata quella in occasione dell'operazione del marzo '41, cui ho fatto cenno all'inizio. Bene, la nostra ricognizione rileva questo grosso convoglio di una quarantina di navi, tra mercantili e scorta, partito da Alessandria e diretto a nord, proprio in direzione delle isole del Dodecanneso. Poiché la nostra situazione risultava tutt'altro che brillante, eravamo scarsi di munizioni, di viveri, di vestiario ecc. « Sta a vedere - ci diciamo con tono canzonatorio - che questa volta avranno saputo come siamo conciati qui, sbarcano da noi e ci vengono a prendere ... ». Così tutta la notte la guarnigione si prepara a far fronte come può allo sbarco ormai ritenuto inevitabile, e noi dell'aeronautica ci approntiamo ad attaccare. Naturalmente avevamo dato l'allarme e fatta la segnalazione dell'avvistamento, per cui attendevamo l'intervento della nostra marina e di aerei dalle basi più vicine. E sa cosa abbiamo dovuto fare noi armieri? Siccome eravamo scarsi di bombe ed avevamo molti spezzoni incendiari, questi ultimi del tutto inutili per gli eventi che ci preparavamo a fronteggiare, il comando dispose che gli togliessimo la carica incendiaria sostituendola con quella esplosiva; così lavorando febbrilmente un giorno e una notte, ne allestimmo un grande numero.
Il mattino riparte la ricognizione e rileva il convoglio vicinissimo, ma che non faceva rotta su Rodi bensì, incredibilmente, puntava tra le isolette infilandosi in quel budello che è il canale di Caso, non più largo di 2000 m, ma pieno di scogli che rendevano la navigazione assai pericolosa e soprattutto toglievano ai comandanti ogni possibilità di manovre, per cui le navi dovevano procedere con la massima cautela. Pensavamo che mai avrebbero scelto una rotta del genere. La rotta era comunque assurda e incomprensibile per noi: pensate, quaranta navi costrette a navigare in uno stretto, con la preoccupazione di far fronte ad eventuali attacchi, oltretutto senza protezione aerea non essendoci neanche una portaerei, con la preoccupazione d'incagliarsi. Sarebbe stato un macello per loro se noi avessimo avuto mezzi per attaccarli adeguatamente ... Purtroppo avevamo efficienti solo pochissimi SM.79 da bombardamento, in compenso sempre pronto il reparto aerosiluranti. Un po' più efficiente per numero e mezzi era il reparto tedesco con i suoi Stukas.
Alle 11,45 del 6 marzo 1941 decollammo con il nostro carico di bombe da 250, dopo una notte insonne, per il lavoro sopradescritto, puntando direttamente sul canale di Caso, secondo l'ultima segnalazione della ricognizione. Eravamo proprio in pochi della 201.a Squadriglia e assieme alla sorella di Gruppo, la 200.a Squadriglia, creavamo appena una pattuglia: tutto quello che si era potuto racimolare da un Gruppo già lungamente provato da altre numerose battaglie. In prossimità della zona prevista avvistiamo il grande convoglio che navigava in formazione di combattimento. Appena ci scorgono aprono un tremendo ed intenso sbarramento di fuoco antiaereo. Eravamo pochi ma decisi a vendere cara la nostra pelle e così ci lanciammo contro le navi con accanimento quasi avessimo dovuto spaccarle con le mani. I nostri SM.79 facevano sentire il loro "uan-uan" del rombo dei motori ad un ritmo sempre più celere. Come al solito andai dal mio capo equipaggio, ten. Chiantia, a prendere le ultime disposizioni; ricordo che egli lasciò a me la scelta del bersaglio con «preferenza » per un incrociatore; il passaggio doveva essere uno, salvo complicazioni tecniche, e il puntamento individuale. Sapevo cosa voleva dire e cosa comportava un secondo passaggio in quell'inferno di fuoco, per cui doveva essere evitato; diedi perciò le disposizioni ai miei colleghi motorista e marconista per la difesa dell'aereo, assegnando loro le mitraglie e chiarendo gli ultimi particolari dell'attacco; del resto erano ragazzi sempre in gamba e non c'era bisogno di raccomandazioni. Io presi posto nella gondola. Aprii gli sportelloni e cominciai le operazioni per il puntamento diretto. Intanto l'SM.79 volava in perfetta formazione ed in perfetto assetto, secondo gli accordi prestabiliti, imperterrito nella nube nera degli scoppi dei proiettili antiaerei che arrivavano da tutte le parti; la pattuglia, perforando lo sbarramento, giunse sul convoglio; solo qui si allargò un poco per stendersi sull'obiettivo perché — come ho detto — il puntamento oltre che essere diretto, era anche singolo, perciò ognuno doveva scegliersi il bersaglio che gli si presentava più propizio nella sua rotta senza danneggiare la formazione di pattuglia. Intanto io avevo approntato parte dei calcoli di puntamento, ed ecco che una nave mercantile mi apparve nel reticolo del traguardo; cominciai ad ultimare le fasi di puntamento per colpirla, quando mi «entrò» un incrociatore del quale distinguevo bene le vampe delle bocche dei cannoni che ci sparavano. Fu un attimo, tralasciai il mercantile, rimisi a zero il contasecondi e prima che l'incrociatore raggiungesse la prima tacca di mira ero già pronto per mirarlo; corressi lievemente con il volantino la direzione dell'aereo ed il bersaglio era interamente dentro al reticolo e non lo lasciai più uscire; intanto il mio contasecondi precedentemente messo in moto aveva già raggiunto il punto per farlo ritornare e stavo tutto proteso ad osservare bersaglio e contasecondi con le dita della mano sulla tastiera pronto a premere i tasti per sganciare; ancora qualche secondo ed ecco, giù: le due bombe si staccarono e andavano diritte nella direzione dell'incrociatore; ma porco ... questo mi stava uscendo dal reticolo; conoscevo già la mossa dei comandanti delle navi ed ero preparato anche questa volta a subirla. Strano però ... non proseguiva più nell'accostata e mi stava rientrando perfettamente nel reticolo; poi temetti che mi uscisse dall'altra parte; furono attimi di tensione terribile ... invece no: in quel momento si levarno vicine alla nave prima una e poi l'altra due grandi colonne d'acqua, una delle quali proprio a ridosso andò a infrangersi contro la fiancata.
A questo punto chiusi subito gli sportelloni, diedi ancora un'occhiata all'incrociatore che come minimo doveva essere stato danneggiato e corsi dal capo equipaggio a darne notizia, mentre i miei colleghi senza abbandonare i loro posti mi facevano cenni con le braccia molto significativi di quanto anch'essi avevano visto. Il capo equipaggio e il secondo pilota assentirono e tutto finì nel giro di pochi secondi. Allora io tornai alle mitraglie laterali, feci cenno al marconista di tornare alla radio (dato che non c'era caccia attorno) e la vita a bordo tornò normale. L'infuriare della contraerea a mano mano che ci si allontanava scemava; appena fuori tiro il capo pattuglia virò girando al largo del convoglio per scattare fotografie e vidi così che alcune navi si erano avvicinate all'incrociatore colpito che perdeva velocità. Poi riprendemmo la rotta per casa. A quanto si capiva in volo sembrava che due SM.79 fossero stati colpiti ma non seriamente e che gli equipaggi fossero incolumi. Tutto per il meglio.
Nella rotta di ritorno cercammo sul mare se erano sopraggiunte le nostre piccole unità di superficie e i sommergibili della vicina isola di Stampalia e le altre unità più grandi della base navale di Lero a far la loro parte nella battaglia. Niente, niente; all'infuori del convoglio nemico che continuava ormai indisturbato la sua rotta verso nord, il mare era pulito. Come mai questo assenteismo? E gli altri aerei dall'Italia?
Atterrammo alle ore 13,55 alla nostra base piuttosto contrariati. Dopo qualche giorno si seppe che truppe inglesi erano sbarcate a Salonicco per dar man forte alla Grecia e da quel giorno le sorti del nostro fronte Greco-Albanese cambiarono in peggio.
Ritornando a quell'azione, il nostro bollettino di guerra ne parlò e mi sembra che quattro o più navi furono dichiarate affondate, un incrociatore probabilmente affondato (il mio), ed altre otto danneggiate; la parte dei leoni ancora una volta era stata fatta dai nostri aerosiluranti e dagli Stukas tedeschi. Ci sarebbe da scrivere ancora molto su questa battaglia ma preferisco terminare così senza polemizzare. Perché: oggi vale proprio la pena di sapere la verità?
Qualche giorno dopo me ne capita un'altra di bella, di quelle che potevano costarmi caro; un fatto però che esprimeva chiaramente lo stato d'animo di tutti noi. Arriva in aeroporto il gen. Porro, molto noto a tutti, a fare la solita « visita ». Noi eravamo in volo di ritorno da un'azione di ricognizione strategica nel Mediterraneo Orientale e avevamo avvistato due Spitfire che ci inseguivano ma che al momento di attaccare il combattimento avevano fatto per fortuna un inspiegabile dietro-front, ritornandosene da dove erano venuti, forse per questione di autonomia, essendo molto lontani dalle loro basi (l'isola più vicina era Creta). Però quando erano quasi a tiro il marconista prima di prendere posto alla mitraglia aveva trasmesso il segnale convenzionato di « attacco da parte di caccia nemici ». Per cui a terra già sapevano e credevano avessimo subito l'attacco. Poco dopo si raggiunse l'isola di Rodi e si atterrò a Maritza. Mentre si parcheggiava l'aereo ci accorgemmo che un insolito gruppo di persone si stava avvicinando a noi e tra queste riconoscemmo il generale Longo comandante dell'Aeronautica dell'Egeo. Allora ci sistemiamo tutti alla meglio le tute di volo facendo «accomodare» per primi i due piloti, mentre di solito eravamo noi specialisti a saltare giù per primi, essendo i più vicini allo sportello, senza tanti formalismi. Poi ci mettiamo un po' allineati ed egli viene e ci dà la mano a tutti scambiando qualche battuta. Noi, che eravamo ancora sotto tensione per l'azione appena ultimata ed il cuore gonfio così per gli eventi dei giorni precedenti, salviamo la forma più che possiamo; ma quando, giunto davanti a me, mi fa tra il bonario e lo scherzoso: « Allora t'hanno fatto penare lassù gli Inglesi, vero? » (e per la verità uso un altro intercalare...). « No, signor generale », mi viene di rispondergli. « Come, non hai avuto paura dei caccia inglesi? » incalza. « Le ripeto di no, signor generale », ribatto ancora, calmo. Allora lui, quasi per non darmela vinta: « Quindi non hai proprio paura degli Inglesi ... ». E dagliela, me la stava tirando proprio fuori: « No, signor generale, non ho proprio paura ». La calma mi era improvvisamente passata e stavo andando in tilt. « Ma allora di chi hai paura tu? », ecco la goccia fatidica. Ed io: « Di nessuno, semmai solo degli Italiani, signor generale! ». Alla faccia della mia faccia di tolla! Ormai mi era uscita, ed era una battuta grave e pesante, rivolta ad un generale. Egli se ne va senza aggiungere altro; da parte mia perdo la baldanza e tanto per incominciare, per coerenza, temo gli strali del mio comandante. Invece questi viene subito da me con altri, mi dà una pacca sulla spalla, si congratula: cose da matti: « Bravissimo! hai fatto benone a dirgli così! Bene perdio, che i capi sappiano come la pensiamo e cosa succede! Se me ne avesse dato occasione avrei detto le stesse cose! Qualcuno doveva pur cantargliele! » ... Cala la tela.
L'organizzatore intervista a Carlo Unia
D. I siluri usati dagli aerosiluranti erano esattamente quelli della nostra Marina per i MAS?
A parte gli impennaggi speciali, presentavano modifiche particolari? Anche quelli commissionati alla Whitehead dalla Luftwaffe, di cui noi ricevemmo un quantitativo per i primi approvvigionamenti, erano dello stesso tipo? È vero che inizialmente le forniture di siluri ci vennero fatte in piccoli quantitativi mensili? Da quando le forniture divennero regolari e sufficienti?
R. I siluri usati dai nostri aerosiluranti erano gli stessi per MAS della Regia Marina prodotti dal silurificio Whitehead di Fiume tipo 450/170/5,46 [I dati si riferiscono rispettivamente al diametro, al peso dell'esplosivo portato e alla lunghezza]. Subirono alcune modifiche da parte del silurificio stesso per irrobustirli maggiormente nell' attacco della testa di guerra con l'adozione di una testa a profilo sferico, negli ammortizzatori dei guida siluri ecc. La nostra Marina, prima dello scoppio della guerra, ne aveva ordinati un certo quantitativo, dato che servivano ugualmente bene sia per le sue unità sia per l'impiego aereo, la Luftwaffe a sua volta ne aveva commissionato ben trecento.
Il Capo di Stata Maggiore dell'Aeronautica nel novembre del '39 passò da parte dell'Aeronautica una prima commessa di trenta siluri per aereo, cui ne fecero seguito delle altre, in modo da avviare la produzione in serie. Confermo che riuscì a stornare anche cinquanta pezzi dalla commessa per la Luftwaffe onde disporne di un certo quantitativo, all'inizio del conflitto, nel più breve tempo possibile. In un secondo tempo furono passati ordinativi anche al silurificio di Baia; questi erano molto simili al tipo della Whitehead, pur presentando qualche differenza costruttiva e risultarono meno sicuri nel funzionamento e alcune volte fecero fallire degli attacchi condotti con bravura e coraggio dai nostri equipaggi.
Comunque, dal '40 le forniture di siluri incominciarono ad essere abbastanza regolari anche se, quantitativamente, ci fu sempre una certa penuria, specie verso la fine ed era necessario che i nostri equipaggi li usassero ... a colpo sicuro.
D. L'SM. 79, pur considerato un ottimo aereo, aveva degli svantaggi come aerosilurante? E quali vantaggi? Nessuno, meglio di lei, può esprimere un giudizio così specifico.
R. L'SM. 79, pur non essendo ideale come aerosilurante, in fondo fece un ottimo servizio. Buon incassatore di colpi, dotato di una certa galleggiabilità, spesso in un ammaraggio forzato, prima di affondare diede tempo agli equipaggi di mettere il battellino di salvataggio in mare; resisteva ottimamente a tutti i climi nonostante fosse a costruzione mista, legno e tela. La strumentazione non era molto idonea per il volo nelle nubi e con grande turbolenza. Aveva inoltre dei settori morti in cui la caccia nemica poteva attaccare abbastanza facilmente.
Grave svantaggio poi quello di dover portare un equipaggio minimo di cinque elementi, il che costituiva una perdita notevole di personale ogni volta che un velivolo veniva abbattuto. I velivoli tedeschi aerosiluranti e quelli inglesi richiedevano quasi esclusivamente due uomini, avevano maggiore autonomia, un'ottima strumentazione, qualcuno anche l'autopilota ed i radiolocalizzatori.
Tuttavia anche gli Inglesi adottarono inizialmente un velivolo di scarsa velocità ma molto robuste e con due elementi di equipaggio. Era lo « Swordfish » imbarcato sulle portaerei e ottenne risultati meravigliosi. Vedi il siluramento delle nostre navi nel porto di Taranto e l'affondamento della Bismark.
D. Dopo le prove con l'SM.81 si passò direttamente a quelle con l'SM.79 del 1937 o furono provati altri aerei? Non vi erano altre alternative? Gli ottanta Ca.314/B aerosiluranti come e dove vennero utilizzati? Avevano dei limiti rispetto all'SM.79?
R. Dopo 1'SM. 55 vennero impiegati per le prove soltanto l'SM.81 e l'SM.79. I Ca.314 vennero provati a Gorizia come siluranti, ma proprio io diedi parere contrario al loro impiego, in quanto il velivolo non aveva una struttura sufficientemente resistente: colpito in uno dei motori (era un bimotore) non avrebbe potuto sostenersi in volo con l'altro; inoltre l'autonomia era troppo limitata. Non fu pertanto mai impiegato come aerosilurante. Quindi l'SM.79 non ebbe alternativa in quanto anche il Piaggio P. 108 non si dimostrò idoneo come aerosilurante, mentre il Cant. Z.1015 non venne prodotto in serie (l'unico esemplare veniva usato per prove di lanci a gran‑
de velocità) ed il Cant Z.1018 giunse tardivamente.
D. Dispone di notizie e dati precisi su un nostro radiolocalizzatore (Vespa) montato sperimentalmente su un SM.79?
R. So che nel 1943 venne montato un nostre radiolocalizzatore su un SM.79 (chiamato il '79 "con i baffi") ma che fu soltanto sperimentato senza entrare in linea. L'attuale gen. di S. A. Giulio Marini si interessò nel 1943 della questione, potrà quindi darle dati più precisi.
D. Dispone di dati, notizie, disegni del siluro con lancio angolare (Cadringher) e del siluro radiocomandato? Ha rapporti sulle prove? Perché non furono mai usati?
R. Non ci sono disegni o fotografie del siluro con lancio angolare Cadringher. Il siluro era sempre lo stesso, il Cadringher era un traguardo di puntamento da mettere al posto di pilotaggio per il calcolo del triangolo di lancio, ma non venne mai usato.
Il siluro radiocomandato fu inviato col sottoscritto in Sardegna alla fine del 1942 (tre velivoli) per effettuare la sorpresa con l'impiego della nuova arma contro una grossa unità nemica (nave da battaglia o portaerei). Non essendosi trovati tali obiettivi (o fuori del nostro raggio d'azione) per circa una ventina di giorni, i tre velivoli rientrarono a Gorizia.
Sotto la Repubblica Sociale italiana il siluro radiocomandato non fu mai impiegato perché i pochi siluri radiocomandati esistenti furono resi inutilizzabili dopo l'8 settembre affondando in mare a Fiume le parti essenziali. Almeno questo ritengo sia il motivo principale.
D. Può dirci qualcosa sul lancio di siluri paracadutati?
R. Ho effettuato personalmente i primi lanci del siluro munito di paracadute nel giugno e luglio 1943. All'atto dell'impatto in acqua il paracadute si sganciava ed il siluro effettuava la sua
corsa subacquea. Vi erano ancora alcuni particolari tecnici da perfezionare, ma non se ne fece nulla. I siluri scarseggiavano, mancava la benzina ed ogni attività nel mese che precedette l'8 settembre venne molto ridotta.
D. Quando e perché iniziarono le azioni notturne? Per sfuggire all'intercettamento dei caccia? Ma all'aereo non risultava difficile trovare le navi? O queste erano già state individuate preventivamente?
R. Le navi venivano segnalate dalla ricognizione, oppure gli aerosiluranti partivano per le cosiddette « ricognizioni offensive armate, con siluro ». In un primo tempo si fecero solo azioni diurne. Poi, quando gli equipaggi furono ben addestrati per il volo notturno sul mare, si effettuarono ricerche ed attacchi anche di notte. Era naturalmente molto più difficile (sia pure con presenza di luna) scoprire le navi, ma di contro era più facile innanzitutto effettuare la sorpresa; la difesa contraerea era meno efficace e, nei primi tempi, si era anche soggetti ad una minore offesa della caccia, dato tra l'altro che gli Inglesi all'inizio non disponevano che saltuariamente di portaerei nel Mediterraneo. Per la verità si pensò ad utilizzare degli appositi aerei, muniti di radiolocalizzatori, che scoprissero e facessero i necessari rilievi sulle navi nemiche, provvedendo poi al lancio di bengala per «guidare» i velivoli siluranti verso il convoglio ed offrir loro una scena bene illuminata che consentisse il riconoscimento e l'attacco a vista. Ma inspiegabilmente, malgrado le prove convincenti effettuate, non si utilizzarono mai questi aerei, al contrario degli Alleati che ne fecero ampio impiego.
Successivamente le navi inglesi furono equipaggiate di radar e quindi localizzavano i nostri aerosiluranti prima ancora che non fossero a distanza utile di lancio, e ciò anche di notte. I caccia delle portaerei potevano seguire e proteggere in permanenza i convogli e quindi gli attacchi si fecero per noi sempre più onerosi per le perdite si subivano.
Quando verso la fine del 1942 la superiorità aerea nemica (dopo lo sbarco anglo-americano in Algeria) divenne schiacciante, non fu più possibile che tentare azioni di notte subendo spesso ugualmente l'attacco della caccia notturna avversaria a sua volta munita di radiolocalizzatore.
Quando la caccia nemica dominò cieli le perdite maggiori le avemmo proprio da parte sua, dato che i nostri cacciatori, il più delle volte, non potevano scortare gli aerosiluranti che per un breve tratto perché la loro autonomia non lo consentiva e le nostre basi erano molto lontane dagli obiettivi.
D. Esistevano delle analogie nelle tattiche di attacco nostre e degli aerosiluranti delle altre Potenze, ovvero esistevano tattiche diverse, persino sostanzialmente opposte? Vi furono scambi di esperienze tra noi e i nostri alleati? E gli Inglesi ci « insegnarono » qualcosa?
R. I Tedeschi seguivano la nostra tattica di attacco nel Mediterraneo i loro equipaggi vennero addestrali a Gorizia ed a Siena, in parte); degli Inglesi si sa poco. Partivano dalle portaerei dovevano fare percorsi relativamente più brevi dei nostri, tuttavia le tattiche sembrarono simili alle nostre anche se le azioni furono più coordinate dato che i velivoli avevano efficaci mezzi di comunicazione con le navi e fra loro e un sistema di guida caccia da bordo delle navi per dirigere i caccia si sugli obiettivi.
D. Quando iniziò la parabola discendente dell'SM. 79? Furono i suoi limiti e le sue caratteristiche ormai superate, a segnarne il declino o, nel contesto generale, la crescente superiorità numerica del nemico? In altri termini, a parità di circostanze e di rapporti quantitativi, con lo stesso SM. 79 avremmo ottenuto risultati maggiori e perdite minori o ci sarebbe occorso comunque aereo più moderno ed efficiente? Ne avevamo in forza o, almeno, in fasi progetto? Quale avrebbe potuto essere?
R. La parabola discendente iniziò – come già ho fatto cenno – dall’ottobre 1942 per la enorme superiorità avversaria in mezzi di ogni genere e specialmente nel campo aereo. Con aerei più moderni avremmo potuto fare qualcosa di più, ma ormai troppo era la sproporzione nel numero.
Fin dall'inizio del conflitto combatterono ugualmente tutti gli aerei disponibili, pur avendo un'Aeronautica che, depauperata dalle esigenze della guerra etiopica e spagnola, aveva bisogno di rinnovare la linea di volo; ma per questo occorrevano alcuni anni, mentre invece entrammo improvvisamente in guerra nel 1940.
Nel 1940 avevamo tuttavia alcuni prototipi di velivoli che anticipavano le caratteristiche di quelli che sarebbero comparsi poi nel corso del conflitto nelle aeronautiche avversarie ma che per le condizioni artigianali della nostra industria aeronautica, non fu possibile produrre tempestivamente in serie ed in numero adeguato, salvo qualche eccezione e per alcuni velivoli da caccia.
D. Quando, di fatto, ci rendemmo conto che gli Inglesi disponevano di radar? E quando di caccia con radar a bordo? Che provvedimenti di carattere tecnico-tattico fu possibile adottare?
R. Già nel 1941 per le navi inglesi e nel 1942 per i velivoli. Inoltre dopo lo sbarco in Africa Settentrionale degli Alleati era stata creata una rete radar efficientissima lungo tutta la costa.
Gli aerosiluranti pertanto effettuavano tutto il percorso di andata e ritorno di notte e quasi a pelo d'acqua, per non essere intercettati dai radar!!!
le memorie di Giuseppe Cimicchi "Cim"
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Italians Airplane story and details
Martino AICHNER
nato il 12 marzo 1918 a Trento.
MEDAGLIA D'ORO
D.P.R. 7 aprile 1988
SOTTOTENENTE A.A.r.n.
Pilota di Complemento del 132° Gruppo 281.a Squadriglia Aerosiluranti
Partecipava, quale capo equipaggio di apparecchio aerosilurante, alla luminosa vittoria dell'Ala d'Italia nei giorni 14 e 15 giugno 1942 nel Mediterraneo. Incurante della violenta contraerea che gli danneggiava gravemente l'apparecchio, portava decisamente l'attacco ad un cacciatorpediniere nemico, che colpiva con grande precisione, affondandolo. Nuovamente colpito dalla reazione avversaria, ammarava con grande perizia, rendendo possibile il salvataggio del personale di bordo.
Cielo del Mediterraneo, 15-15 giugno 1942.
Athos AMMANNATO
nato l’11 novembre 1911 a Roma.
Deceduto nel cielo della Marmarica il 20 febbraio 1941 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO
R.D. 3 luglio 1942 (B.U. 1942 disp. 30 pag. 1471 e disp. 39 pag. 2054)
CAPITANO A.A.r.n.
Pilota, in S.P.E. del 41° Stormo 60° Gruppo, Comandante delle 235.a Squadriglia
Intrepido comandante di squadriglia, baldo combattente di tre guerre, quattro volte decorato al Valor Militare, volontario per le più aspre e ardite azioni belliche, aveva portato sempre brillantemente a termine in un'aura di entusiasmo e di fede, tra i rischi più gravi, tutte le missioni affidategli. Sulla via del ritorno da un volo di guerra alturiero, compiuto su velivolo terrestre, scompariva nel mare che la sua ala vittoriosa aveva tante volte sorvolato.
Cielo del Mediterraneo e della Marmarica, 11 giugno 1940 - 20 febbraio 1941.
Silvio ANGELUCCI
nato il 20 marzo 1909 a Conza della Campania (Avellino).
Deceduto nel cielo del Mediterraneo Occidentale il 13 agosto 1942 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memcria)
D.P.R. 14 giugno 1937 (B.U. 1957 disp. 16 pag. 833)
TENENTE A.A.r.n.
Pilota, in S.P.E. del 46° Stormo 105° Gruppo, 255.a Squadriglia
Pilota di doti eccezionali e di provato valore in una lunga attività bellica su più fronti. Durante un'azione di aerosiluramento contro un incrociatore, nonostante avesse l'apparecchio colpito e in fiamme, proseguiva impassibile nell'attacco conclusosi con l'olocausto della sua fiorente giovinezza.
Cielo del Mediterraneo Occidentale, 13 agosto 1942.
Mario ARAMU
nato il 7 aprile 1900 a Cagliari.
Deceduto in Libia (Cielo della Marmarica) il 17 dicembre 1940 in combattimento aereo
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
11 D. 30 dicembre 1940 (B.U. 1941 suppl. 1 pag. 1 e B.U. 1942 disp. 18 pag. 856)
COLONNELLO A.A.r.n.
Pilota, in S.P.E. Comandante del 9° Stormo 29° Gruppo, 63.a Squadriglia
Colonnello pilota, navigatore tra i più audaci, Atlantico ed eroico legionario di Spagna, alla testa del suo stormo scagliato contro il nemico cui non aveva concesso tregua in tanti giorni di prove supreme, scompariva nel cielo della battaglia marmarica dopo prodigi di valore.
Cielo della Marmarica, 17 dicembre 1940.
Riccardo BALAGNA
nato il 30 ottobre 1912 a Pinerolo (Torino).
Deceduto nel cielo del Mediterraneo Orientale il 24 giugno 1941 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 22 dicembre 1941 (B.U. 1942 disp. 2 pag. 49 e disp. 8 pag. 367)
SERGENTE MAGGIORE A.A.r.spec.
Marconista in Rafferma, 131° Gruppo Autonomo 279.a Squadriglia
Marconista abilissimo, di provato ardimento, sempre primo in ogni impresa ed in ogni rischio, partecipava volontario ad una audace azione di aerosiluramento contro unità navali nemiche. Durante l'attacco svoltosi sotto l'infuriare della violentissima reazione sebbene colpito dalle raffiche della caccia nemica, non abbandonava l'arma e :in un supremo sforzo di volontà cooperava ancora alla difesa del velivolo; ma una seconda raffica lo abbatteva sull'arma. Costretto il velivolo ad ammarare, veniva accolto sul battellino di salvataggio e sul fondo di quello, che male teneva il mare, sopportava stoicamente il dolore delle carni martoriate, senza una parola di lamento, incoraggiando anzi i propri compagni a resistere nella durissima prova. Nelle ore della notte, atroci per il freddo e le sofferenze, non abbandonava la propria forza d'animo benché le sue condizioni si aggravassero. Quando già la terra era in vista, dopo aver affermato che avrebbe ripetuto volentieri una simile azione qualora si fosse salvato, spirava serenamente e dopo aver salutato la Patria in armi ed i compagni, trasvolava nel cielo degli eroi.
Cielo del Mediterraneo Orientale, 24 giugno 1941.
Italo BALBO
nato il 5 giugno 1896 a Ferrara.
Deceduto nel cielo di Tobruk il 28 giugno 1940
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 2 dicembre 1940 (B.U. 1941 disp. 22 pag. 860)
MARESCIALLO DELL'ARIA Governatore della Libia
Maresciallo dell'Aria, quadrunviro e fedele soldato del Duce nell'ora della vigilia, del combattimento e della vittoria, insuperabile trasvolatore di continenti e di oceani, colonizzatore di masse e reggitore di terre imperiali con le armi, con le leggi e con opere di romana grandezza, nel cielo di Tobruk, mentre si accingeva a scagliare oltre confine le valorose truppe ed i possenti stormi, concludeva con il sacrificio supremo l'eroica sua vita, nella memoria delle genti eternando le gesta e le glorie della razza.
Cielo di Tobruk, 28 giugno 1940.
Armando BOETTO
nato il 25 agosto 1911 a Courgnè (Aosta).
Deceduto nel cielo del Mediterraneo 18 maggio 1941 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO
R.D. 17 ottobre 1941 (B.U. 1941 disp. 44 pg. 2015 e disp. 48 pag. 2304) in commutazione della Medaglia d'Argento e una di Bronzo di cui al R.D. 18 aprile 1941 e R.D. 13 novembre 1940 (B.U. 1940 disp. 45 pag. 1638 e suppl. 9 pag. 32)
CAPITANO A.A.r.n.
Pilota in S.P.E. del 32° Stormo 38° Gruppo, Comandante della 49.a Squadriglia
Comandante di squadriglia da bombardamento terrestre, con istancabile attività ed ardimento, alla testa della sua squadriglia, conseguiva notevoli risultati infliggendo al nemico notevoli perdite. Volontario in difficili missioni isolate si prodigava con volontà decisa oltre ogni sacrificio. Da più combattimenti rientrava con l'apparecchio gravemente danneggiato e riportando in salvo con mirabile perizia il suo eroico equipaggio. In una più rischiosa missione di ricognizione su formazione navale nemica scortata da portaerei, costretto a rientrare per avaria, ripartiva immediatamente con sublime slancio e lungamente si intratteneva nel cielo della battaglia per dare preziose informazioni sul nemico cercando di eludere l'azione della caccia avversaria proteggendosi con le nubi e combattendo quando assalito. Eroicamente rimaneva al suo posto di lotta e gloria fino a quando non veniva sopraffatto dai maggiori mezzi dell'avversario, dando esempio di supremo eroismo e di completa dedizione alla Patria.
Cielo del Mediterraneo, 12 giugno 1940 - 8 maggio 1941.
Loris BULGARELLI
nato il 28 febbraio 1909 a Cento (Ferrara).
Deceduto all'Ospedale Militare di Tobruk il 13 dicembre 1940 in seguito a ferite riportate in combattimento aereo.
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 10 ottobre 1941 (B.U. 1941 disp. 43 pag. 1907 e disp. 48 pag. 2298)
CAPITANO A.A.r.n.
Pilota, in S.P.E. del 33° Gruppo Autonomo Comandante della 60.a Squadriglia
Veterano d'Africa e di Spagna, comandante di squadriglia da bombardamento veloce, dall'alba del primo giorno di guerra, effettuava numerose azioni su obiettivi terrestri e navali nei cieli di Malta, dei Mediterraneo Orientale e dell'Egitto, dimostrando sempre doti di perizia e di valore. Ripetutamente attaccato dalla caccia nemica, mai desisteva dal suo compito e contribuiva all'abbattimento di due assalitori. Alla testa dei suoi piloti, nelle giornate dell'offensiva inglese in Marmarica, si prodigava con magnifico slancio e con dedizione incomparabile anche in difesa dei combattimenti di terra. Durante il bombardamento di un reparto corazzato che minacciava una nostra unità, assalito da sei caccia avversari, sosteneva eroicamente l'impari aspra lotta. Colpito a morte reclinava sui comandi la nobile fronte.
Cielo del Mediterraneo e della Marmarica, giugno - 13 dicembre 1940.
Carlo Emanuele BUSCAGLIA
nato il 22 settembre 1915 a Novara.
Deceduto a Campo Vesuvio (Napoli) il 24 agosto 1944 per incidente di volo
MEDAGLIA D'ORO
R.D. 10 maggio 1943 (B.U. 1943 disp. 22 pag. 1-27 e disp. 30 pag. 1871)
MAGGIORE A.A.r.n.
Pilota, in S.P.E. Comandante del 132° Gruppo Autonomo 281 Squadriglia
Comandante di un gruppo di aerosiluranti, fiaccola d'eroismo e maestro della arma nuovissima, in trentadue vittoriose azioni di siluramento tra uragani di ferro e idi fuoco, confermava lo spirito guerriero dell'italica gente, infliggendo alla marina nemica la perdita di oltre 100.000 tonnellate di naviglio. Alla testa dei suoi gregari, dopo aver compiuto con ardimento e perizia inimitabili un'azione con risultati brillantissimi contro navi anglo-americane, alla fonda di una base dell'Africa del Nord, ripeteva, il giorno appresso, l'attacco. Sulle vampe della violenta difesa contraerea, sotto la mitraglia rabbiosa di numerosi caccia che gravemente colpivano il suo velivolo incendiandolo, si lanciava come folgore sull'obiettivo prescelto e, a distanza ravvicinata, mentre un'ala dell'apparecchio era già consumata dal fuoco, sganciava il siluro contro un grosso piroscafo che, colpito, si incendiava.
Cielo del Mediterraneo, maggio - novembre 1942.
Stefano CAGNA
nato il 25 dicembre 1901 ad Ormea (Cuneo).
Deceduto nel cielo del Mediterraneo il l° agosto 1940 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 30 dicembre 1940 (B.U. 1941 suppl. 1 pag. 1 B.U. 1962 disp. 4 pag. 309)
GENERALE DI BRIGATA AEREA Comandante della X Brigata Marte
8° Stormo, 27° Gruppo, 18° Squadriglia
Generale di B.A. due volte Atlantico, navigatore audacissimo attraverso i ghiacci del polo ed i deserti dell'Africa, ardito fra gli arditi, alla testa dei suoi bombardieri vittoriosi, cadeva in combattimento nel cielo del Mediterraneo, mentre piombava ancora una volta con aggressiva irruzione sulla flotta britannica già precedentemente dalla sua azione tanto tormentata e gravemente danneggiata. Luminoso esempio di supremo eroismo.
Cielo del Mediterraneo, 1 agosto 1940.
Vittorio CANNAVIELLO
nato il 25 febbraio 1906 a Napoli.
Deceduto n21 cielo del Canale di Sicilia il 12 agosto 1943 in combattimento aereo
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
D.P.R. 13 febbraio 1959 (B.U. 1959 disp. 9 pag. 715) in commutazione della Medaglia d'Argento di cui al D.C.P.S. 11 settembre 1947 (B.U. 1947 disp. 21 pag. 1560)
TENENTE COLONNELO A.A.r.n.
Pilota, in S.P.E. Comandante del 132°, Gruppo Autonomo 278.a Squadriglia
Già comandante di gruppo aerosiluranti, attraverso molteplici prove di perizia tecnica di eroico ardimento Si affermava comandante e combattente del più alto valore. Addetto aeronautico all'estero, trovandosi in licenza in Italia, in un'ora assai grave per il Paese si offriva volontariamente e chiedeva insistentemente di assumere il comando di un reparto di aerosiluranti destinato ad attaccare una forza navale nemica nelle acque della Sicilia. Scomparso nel cielo della battaglia, lasciava imperituro ricordo della magnanimità del suo spirito, della grandezza del suo esempio. di una esistenza serenamente consacrata e consapevolmente offerta alle fortune della Patria.
Cielo del Canale di Sicilia, 12 agosto 1943.
Franco CAPPA
nato il 9 maggio 1916 a Bovolone (Verona).
Deceduto nel cielo del Mar di Sardegna 18 maggio 1941 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 24 ottobre 1941 (B.U. 1941 disp. 45 pag. 2071 e disp. 52 pag. 2562)
TENENTE A.A.r.n.
Pilota, di Complemento della 280.a Squadriglia Autonoma
Primo pilota di apparecchio aerosilurante già distintosi in altre azioni quale bombardiere, partecipava all'attacco di una potente formazione navale nemica. Con suprema audacia e decisione, penetrando nel violento sbarramento di fuoco navale e contraereo, attuava il proposito, già alla partenza manifestato ai camerati, di avvicinarsi il più possibile all'obiettivo pur di non fallire il colpo. Mentre compiva con quest'intento l'azione, un proiettile spezzava la sua ala eroica. Non vinto ancora, sganciava il siluro precipitando in mare accanto al colpito potente scafo nemico. Esempio di eroismo e di suprema dedizione alla Patria.
Cielo del Mar di Sardegna marzo - 8 maggio 1941.
Alessandro CASELLI
nato il 18 febbraio 1920 a Penne (Pescara).
Deceduto nel cielo di Koritza il 18 novembre 1940 in combattimento aereo
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 25 luglio 1941 (B.U. 1941 disp. 35 pag. 1510)
SOTTOTENENTE A.A.r.n.
Pilota, di Complemento del 46° Stormo 105° Gruppo, 255.a Squadriglia
Giovanissimo capo equipaggio, già vittoriosamente provato in duri scontri con la caccia nemica, in una rischiosa azione di bombardamento, veniva attaccato da preponderanti forze che riuscivano ad incendiargli il velivolo. Con calma ammirevole e sereno sprezzo del pericolo, noncurante delle fiamme, portava l'apparecchio sulle nostre linee e solo allora ordinava al personale di bordo, che con audacia aveva respinto l'attacco abbattendo due assalitori, di lanciarsi col paracadute. Rimasto solo e ritenuto vano il tentativo di riportare in salvo la preziosa macchina che le fiamme avevano tramutato in rogo ardente, tentava, in condizioni ormai impossibili, il proprio lancio, che si concludeva col sacrificio di una giovane vita che va additata ad esempio della più pura ed eroica abnegazione.
Cielo di Koritza, 18 novembre 1940.
Giuseppe CIMICCHI
nato il 22 marzo 1913 a Castelviscardo (Terni)
MEDAGLIA D'ORO
D.P.R. 12 ottobre 1953 (B.U. 1955 disp. 8 pag. 575)
CAPITANO A.A.r.n.
Pilota in S.P.E. del 132° Gruppo Autonomo Comandante della 281.a Squadriglia
Eccellente aerosiluratore, magnifico comandante di squadriglia, nel corso di otto mesi di guerra nel Mediterraneo, prendeva parte singolarmente e alla testa dei suoi gregari che trascinava in superbe gare di ardimento a sedici durissime e rischiosissime azioni di siluramento e di ricognizioni offensive violando munitissime basi nemiche come Algeri, Bougie e Gibilterra. Col preciso lancio dei suoi siluri colpiva ed affondava o danneggiava gravemente ventuno fra piroscafi e navi da guerra nemici. Esempio luminoso di cosciente temerarietà e di assoluta intera dedizione alla Patria ed all'Arma.
Cielo del Mediterraneo, 21 settembre - 28 novembre 1942 e 29 gennaio - 17 agosto 1943.
Giorgio COMPIANI
nato il 15 ottobre 1915 a Parma.
Deceduto nel cielo del Mediterraneo il 14 giugno 1942 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
D.L. 30 dicembre 1847 (B.U. 1948 disp. 6 pag. 341 e B.U. 1959 suppl. 7 pag. 263) in commutazione della Medaglia d'Argento di cui al R.D. 1,, marzo 1943 (B.U. 1943 disp. 5 pag. 246 e disp. 19 pag. 1182
SERGENTE MAGGIORE A.A.r.n.
Pilota in Rafferma, del 46° Stormo 104° Gruppo, 253.a Squadriglia
Capo equipaggio di aerosilurante rifiutava il ricovero in ospedale e, benché sofferente per grave malattia, chiedeva di partecipare ad un'azione particolarmente rischiosa contro un convoglio nemico potentemente scortato. Prima di partire lasciava uno scritto al proprio comandante affermando che non avrebbe lasciato il cielo della battaglia se non dopo aver colpito la nave portaerei segnalata. Avvistata la formazione navale nemica si portava all'attacco dell'obiettivo prescelto e non desisteva pur in mezzo al violento fuoco delle armi contraeree delle navi e di quelle degli apparecchi da caccia nemici. Sganciato il siluro contro la portaerei da distanza ravvicinata e colpitala gravemente, ormai certo che il proprio mezzo non gli avrebbe consentito di tornare alla base perché seriamente danneggiato, si lanciava contro la fiancata di altra unità da guerra nemica in un ultimo sublime olocausto.
Cielo del Mediterraneo, 14 giugno 1942.
Francesco Aurelio DI BELLA
nato il 7 luglio 1914 a Roccalumera (Messina)
MEDAGLIA D'ORO
D.P.R. 9 febbraio 1954 (B.U. 1954 disp. 4 pag. 198 e B.U. 1959 suppl. 7 pag. 572)
CAPITANO A.A.r.n.
Pilota di Complemento del 130° Gruppo Autonomo 283a Squadriglia
Ufficiale pilota aerosilurante, combattente di più guerre e su vari fronti, più volte decorato al Valor Militare, sempre primo ad affrontare le missioni di volo più pericolose sia di giorno che idi notte. Affetto da malattia contratta in servizio, ancora convalescente, chiedeva ed otteneva di rientrare ai reparto per scagliare la sua micidiale arma contro il nemico ché invadeva il sacro suolo della Patria. Nel breve giro di 7 giorni effettuava 5 siluramenti danneggiando ed affondando unità nemiche per complessive 54 mila tonnellate. Mitragliato in partenza notturna dalla caccia nemica, col velivolo colpito in più parti, si dirigeva alla ricerca del nemico e raggiuntolo, sotto le vampate della violenta difesa contraerea che fortemente menomava l'efficienza del velivolo, attaccava silurava ed affondava una grossa unità da carico. Con le fiamme a bordo subiva un nuovo attacco dalla caccia nemica che toglieva al velivolo l'ultima possibilità di volo. Con abile manovra, calma e perizia, effettuava un riuscito ammaraggio alla luce lunare, portando in salvo l'intero equipaggio. Degno continuatore dell'esempio dei più puri eroi dell'Aria.
Cielo di Sicilia, 17 luglio 1943.
Armando DI TULLIO
nato il 3 aprile 1913 a Roma.
Deceduto nel cielo di Alessandria d'Egitto il 4 luglio 1940 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
B.P.R. 24 dicembre 1948 (B.U. 1949 disp. 5 pag. 265 e B.U. 1959 suppl. 7 pag. 337) in commutazione della Medaglia d'Argento di cui al R.D. 9 agosto 1940 (B.U. 1940 disp. 32 pag. 1069 e B.U. 1942 disp. 8 pag. 393)
MARESCIALLO 3a Cl. A.A.r. spec.
Armiere in Rafferma del 34° Gruppo Autonomo 67.a Squadriglia
Armiere di un velivolo da bombardamento, durante l'attacco ad una base nemica d'oltremare, difendeva strenuamente il suo velivolo contro preponderanti formazioni da caccia. Ferito agli arti inferiori, e sostituito alla mitragliatrice dall’Ufficiale puntatore, presente a se stesso e con stoica noncuranza del dolore eseguiva lo sgancio delle bombe colpendo efficacemente l'obiettivo. Accortosi che l'ufficiale puntatore si era accasciato perché colpito a morte, benché estenuato dalla grave perdita di sangue si portava ancora alle mitragliatrici laterali e continuava nell'impari lotta finché colpito alla testa decedeva, non senza prima aver visto un nemico, da lui colpito, precipitare in fiamme.
Cielo del Mediterraneo Orientale, 11 giugno - 4 luglio 1940.
Pietro DONA' DELLE ROSE
nato il 10 gennaio 1914 a Venezia.
Deceduto nel cielo del Mediterraneo Occidentale il 27 agosto 1941 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO
R.D. 26 settembre 1942 (B.U. 1942 disp. 42 pag. 2239 e B.U. 1943 disp. 11 pag. 688)
TENENTE A.A.r.n.
Pilota in S.P.E. della 283a Squadriglia Autonoma
Ufficiale pilota di elevate qualità militari, volontario d'Africa più volte decorato al valore, in linea con reparti operanti all'inizio delle ostilità, richiedeva volontariamente l'assegnazione alle specialità aero-siluranti. In una azione di siluramento contro un incrociatore ausiliario nemico, onde permettere ad un altro velivolo silurante di effettuare il lancio con assoluta precisione, effettuava una audacissima manovra impegnante, che continuava, incurante della formidabile reazione contraerea, fino a poche centinaia di metri dal nemico. Mentre l'altro velivolo silurante colpiva a morte l'incrociatore, il suo apparecchio, inquadrato dalle mitragliere precipitava a brevissima distanza dalla nave attaccata. Alto esempio 'di eroismo, oltre il dovere.
Cielo del Mediterraneo Occidentale 27 agosto 1941.
Antonio FORNI
nato il 6 aprile 1908 a Fombio (Milano).
Deceduto nel cielo del Mediterraneo Occidentale il 27 agosto 1941 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO
R.D. 26 settembre 1942 (B.U. 1942 disp. 42 pag. 2242 e B.U. 1943 disp. 1 pag. 46)
TENENTE DI VASCELLO R.S.
Osservatore della 283.a Squadriglia Autonoma
Partecipava, due volte nella stessa giornata, all'attacco contro una potente formazione navale nemica scortata da portaerei. Entrambe le volte attaccato da preponderanti forze da caccia, contribuiva all'abbattimento sicuro di tre apparecchi nemici e a quello probabile di un quarto. Nel secondo combattimento, con l'apparecchio ripetutamente colpito e con feriti a bordo; protraeva la strenua difesa del velivolo sino a quando gli attaccanti, duramente provati erano costretti a ripiegare. In una successiva azione di siluramento contro un incrociatore nemico, nella quale il suo velivolo aveva il compito di impegnare al massimo il fuoco dell'incrociatore per consentire, ad altro aerosilurante, di effettuare il lancio con esito sicuro, incurante del rischio mortale permaneva sotto il tiro concentrato permettendo così il pieno raggiungimento dello scopo. Centrato dal fuoco della nave, precipitava in mare: superbo esempio di tenace ardimento e di dedizione fino al sacrificio.
Cielo del Mediterraneo Occidentale, 23 luglio 1941.
Aldo FORZINETTI
nato 18 dicembre 1914 a Milano.
Deceduto nel cielo del Mediterraneo il 17 dicembre 1941 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO
R.D. 8 agosto 1942 (B.U. 1942 disp. 37 pag. 1921 e disp. 46 pag. 2496)
SOTTOTENENTE A.A.r.n.
Pilota di Complemento della 281.a Squadriglia Autonoma
Figura superba di aerosiluratore, già circonfuso dall'aureola della gloria per precedenti vittoriose azioni, in suprema dedizione alla Patria, al vertice dell'umano ardire, attaccava di pieno giorno una potente formazione navale nemica. Con la decisa volontà di penetrare entro la barriera del fuoco navale e contraereo per colpire più da presso un grosso incrociatore sfaceva del suo corpo, del velivolo e del siluro un'arma sola da scagliare contro l'obiettivo. Entro la cortina di ferro e di fuoco, con il velivolo già gravemente colpito, sganciava infatti il siluro e quindi precipitava con la sua gloriosa ala in fiamme sul mare nostro, fiaccola imperitura di luce italica.
Cielo del Mediterraneo, 6 agosto - 17 dicembre 1941.
Luigi GENTILE
nato il 12 agosto 1920 a S. Michele (Bari). Deceduto a Shannon (Irlanda) il 26 febbraio 1960
per incidente di volo
MEDAGLIA D'ORO
R.D. 5 marzo 1942 (B.U. 1942 disp. 14 pag. 643 e disp. 46 pag. 2498)
SOTTOTENENTE A.A.r.n.
Pilota di Complemento dell'8° Stormo 28° Gruppo, 19.a Squadriglia
Giovanissimo ufficiale pilota, entusiasta e capace, dava più volte prova di coraggio e sprezzo del pericolo in numerose e rischiose azioni di guerra.
Durante una missione di ricerca di camerati dispersi in mare, attaccato da soverchiante caccia avversaria, svolgeva le manovre per la difesa e reazione con sangue freddo e calma esemplari.
Con tutti i membri dell'equipaggio gravemente feriti, e con il velivolo colpito e reso inservibile, era costretto all'ammaraggio in mare aperto, eseguendo la difficile manovra con precisione e prontezza e provvedendo con le sole sue forze a trasbordare sul battellino tutti i camerati che altrimenti, essendo essi immobilizzati per le gravi ferite; avrebbero seguito le sorti del velivolo repentinamente inabissatosi.
Rimanendo per tre ore in acqua per permettere ai feriti di sistemarsi sul canotto nel modo migliore, iniziava la faticosa navigazione, per guadagnare la costa lontana, mai mancando di confortare i camerati doloranti con la parola e dando loro, con la serenità dello spirito, la certezza del salvamento.
Con fraterna devozione assisteva il collega osservatore morente che trovava la forza estrema di additare ai compagni il sublime comportamento del giovane pilota.
Per tutto il pomeriggio e la notte provvedeva da solo a dirigere il battello verso terra fieno a che dopo diciannove ore di navigazione, riusciva a sbarcare sulla riva i compagni feriti.
Raccogliendo in un supremo sforzo le proprie energie, compiva una lunga e faticosa marcia per raggiungere un Comando Alleato cui chiedeva i soccorsi.
Infaticabile, rimaneva al fianco dei compagni fino al loro ricovero in ospedale, incurante di sé, preoccupato soltanto dei propri uomini attoniti per tanta forza d'animo.
Cielo del Mediterraneo Orientale, 25 giugno 1941.
Italo GHERARDINI
Nato il 29 maggio 1915 a Montescudaio (Pisa).
Deceduto nel cielo di Ras al Ara il 15 ottobre 1940 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 10 maggio 1941 (B.U. 1941 disp. 28 pag. 1129)
SOTTOTENENTE A.A.r.n.
Pilota di Complemento del 44° Gruppo Autonomo 6a Squadriglia
Ufficiale pilota di eccezionali qualità, su tutti i cieli dell'Impero in oltre 600 ore di volo, valicando i confini del dovere, si distingueva in ogni più arduo cimento. Portava a termine una difficilissima missione sulla base di Aden nonostante fosse attaccato da tre caccia avversari con i quali impegnava combattimenti abbattendone uno e ponendo in fuga gli altri. Caduti due componenti dell'equipaggio nell'impari lotta, chiedeva di accompagnarli all'ultima dimora al comando di un plotone d'onore. Rientrato al campo dal mesto uffizio mentre una formazione era in procinto di prendere il volo per una rischiosissima impresa, fedele alle nobili tradizioni dell'Arma, chiedeva ed otteneva d'onore di. parteciparvi. Nell'azione conclusasi in asprissimo combattimento contro forze nemiche soverchianti, durante il quale venivano abbattuti due apparecchi e gravemente danneggiata una grossa nave, coronava il suo grande ideale con l'offerta suprema della sua giovinezza. Quando già la vittoria precorreva le ali onuste di gloria egli passava sereno dal cielo della guerra a quello degli eroi.
Cielo dell'Impero 1937-1940 - Cielo di Ras al Ara, 15 ottobre 1940.
Victor Ugo GIROLAMI
nato il 24 aprile 1910 a Roma.
Deceduto nel cielo della Marmarica il 16 dicembre 1940 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 1, maggio 1941 (B.U. 1941 disp. 18 pag. 696 e B.U. 1942 disp. 8 pag. 365)
CAPITANO A.A.r.n.
Pilota in S.P.E. del 9° Stormo 29° Gruppo, Comandante della 63a Squadriglia
Comandante di squadriglia da bombardamento, già valoroso combattente nei cieli d'Africa e di Spagna, con grande perizia e superba audacia portava poi le sue pattuglie di vittoria in vittoria in numerose battaglie diurne e notturne, su obiettivi terrestri e navali, dal fronte orientale al fronte della Marmarica. In un'azione a bassa quota, contro forti e vaste formazioni meccanizzate nemiche, attaccato da numerosi caccia nemici, ne sosteneva impavido l'urto in una strenua ed impari lotta. Caduto il mitragliere del suo apparecchio sotto violenti raffiche di mitragliatrice, ne prendeva il posto e continuava strenuamente, la lotta contribuendo ad abbattere due velivoli avversari, fino a che, colpito in fronte cadeva con l'arma in pugno, mentre il velivolo precipitava in una scia di fiamme come fiaccola di suprema dedizione dell'eroe alla Patria.
Cielo della Marmarica, 16 dicembre 1940.
Giulio Cesare GRAZIANI
nato il 24 gennaio 1915 a Affile (Roma)
MEDAGLIA D'ORO
D.P.R. 20 luglio 1955 (B.U. 1955 disp. 17 pag. 1328) in commutazione della Medaglia d'Argento di cui al R.D. 14 novembre 1941 (B.U. 1941 disp. 47 pag. 22:38 e B.U. 1942 disp. 21 pag. 993)
TENENTE A.A.r.n. Pilota in S.P.E.
della 281a Squadriglia Autonoma
Giovane capo equipaggio di apparecchio da bombardamento, partito in volo, isolato dalla sua formazione, per un'azione su una munita base navale nel Mar Rosso, veniva attaccato, prima di raggiungere l'obiettivo, da numerosi caccia avversari.
Pur avendo avuto, nell'impari lotta, l'aereo ripetutamente colpito, due specialisti dell'equipaggio feriti mortalmente e lui stesso gravemente ferito alla regione cervicale, incurante del dolore, portava a compimento la missione.
Nella rotta di ritorno; nuovamente attaccato, riusciva con ardita brillante manovra a sfuggire al nemico e, nonostante si trovasse in condizioni fisiche menomate per l'irrigidimento del collo e del busto, eseguiva per perdita di carburante un brillante atterraggio di fortuna in zona desertica lontana dalla propria base.
Impaziente di riprendere a combattere, otteneva con reiterata insistenza, in anticipo sul suo completo ristabilimento in salute, la dichiarazione di idoneità al volo, e si faceva assegnare alla specialità siluranti.
In pieno giorno, a poche miglia da Alessandria, nonostante la violentissima reazione contraerea, attaccava primo della sua squadriglia, una formazione navale, lanciando il siluro contro una grossa unità.
Ancora una volta rientrava alla base col velivolo seriamente colpito dopo un volo di 600 km. su mare aperto, confermando e sue qualità di perizia e di audacia senza limiti.
Cielo del Mar Rosso, 16 dicembre 1940 - Cielo del Mediterraneo Orientale, 13 ottobre 1941.
Mario INGRELLINI
nato il 21 aprile 1915 a Lucca. Deceduto nel cielo del Mediterraneo il 14 giugno 1942 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
D.P.R. 18 giugno 1949 (B.U. 1949 disp. 16 pag. 1185 e B.U. 1959 suppl. 7 pag. 431) in commutazione della Medaglia d'Argento di cui al R.D. 1° marzo 1943 (B.U. 1943 disp. 5 pag. 247 e disp. 19 pag. 1182)
TENENTE A.A.r.n.
Pilota di Complemento del 46° Stormo 104° Gruppo, 253a Squadriglia
Ufficiale di complemento, già decorato al Valor Militare per l'eroico suo comportamento su altri fronti, assolveva brillantemente rischiose missioni belliche fortemente contrastate. Capo equipaggio di velivolo aerosilurante, alla vigilia di una azione contro una potente formazione navale nemica esprimeva la decisione di attaccare. a costo di ogni sacrificio la portaerei di scorta. Durante l'attacco fu visto sdegnare due bersagli favorevoli e benché già in fiamme, puntare decisamente contro l'obiettivo prefisso che colpiva con siluro. Sottrattosi al fuoco nemico, impossibilitato ormai, date le condizioni del velivolo a rientrare alla base, fu visto ripiegare nuovamente verso le navi e infrangersi contro le murate di una di esse. Esempio sublime di eroismo e di sereno spirito di sacrificio.
Cielo del Mediterraneo Occidentale, 4 febbraio 1941 - 14 giugno 1942.
Roberto LIBERI
nato il 17 aprile 1901 a L'Aquila. Deceduto nel cielo del Mediterraneo il 27 luglio 1941 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO
R.D. 8 febbraio 1943 (B.U. 1943 disp. 9 pag. 587 e disp. 17 pag. 1051) in commutazione della
Medaglia d'Argento di cui al R.D. 28 maggio 1942 (B.U. 1942 disp. 24 pag. 1148)
TENENTE COLONNELLO
AA.r.n. Pilota in S.P.E. del 10° Stormo Comandante del 30° Gruppo, 56a Squadriglia
Comandante di gruppo da bombardamento, combattente volontario di quattro guerre, sei volte decorato al Valor Militare, si attribuiva quale privilegio della sua carica, il compito delle più rischiose azioni. Superando le sofferenze fisiche di una scossa salute, si prodigava, sempre primo alla testa dei suoi reparti, dando superbo esempio ai dipendenti. Nel corso di una ricognizione effettuata in prossimità di munita base aeronavale nemica, attaccato da soverchiante caccia, dopo aver eroicamente combattuto scompariva nel cielo della battaglia.
Cielo del Mediterraneo, febbraio-luglio 1941.
MAIORE Francesco
nato il 25 agosto 1921 a Noto (Siracusa). Deceduto all'Ospedale N.W. Africa il 28 novembre 1942 in seguito a ferite riportate in combattimento aereo
MEDAGLIA D'ORO
R.D. 10 maggio 1943 (B.U. 1943 suppl. 22 pag. 1334 e disp. 30 pag. 1870)
AVIERE SCELTO FOTOGRAFO
A.A.r. spec. in Breve ferma del 132° Gruppo Autonomo, 281a Squadriglia
Intrepido specialista di velivolo silurante, già decorato sul campo, esentato dal servizio per le ferite riportate in precedente azione, chiedeva, l'indomani, al proprio comandante, in procinto di partire per una nuova missione, la concessione di poterlo ancora seguire e l'onore di far parte ancora una volta dell'equipaggio. Assecondato nel :suo desiderio, incurante delle raffiche della caccia avversar;a, che nel tentativo di ostacolare l'impresa, colpiva gravemente l'apparecchio, impavido e sereno partecipava, in piena comunione di spirito col proprio comandante, ad un'epica gesta: il lancio dell'apparecchio in fiamme e del siluro contro una nave nemica che veniva colpita ed incendiata. Precipitava quindi gloriosamente 'con il velivolo in mare, nella luce di una nuova superba vittoria dell'Ala italiana.
Cielo del Mediterraneo, 11-12 novembre 1942.
Urbano MANCINI
nato il 10 dicembre 1912 a S. Giorgio in Bosco (Padova).
Deceduto nel cielo del Mediterraneo il 27 marzo 1943 in combattimento aereo
MEDAGLIA D'ORO
D.C.P.S. 2 novembre 1946 (B.U. 1947 disp. 3 pag. 98 e B.U. 1959 suppl. 7 pag. 184)
CAPITANO A.A.r.n.
Pilota in S.P.E., Comandante dei 105° Gruppo Autonomo, 254a Squadriglia
Superbo Comandante di Gruppo Siluranti, sempre primo, alla testa dei suoi Reparti che trascinava con la virtù dell'esempio eroico, fervido propugnatore di ogni più alto ideale, conduceva intenso ciclo di ardite operazioni di siluramento in settore irto di difese e di insidie, arrecando al nemico ingenti danni. Partito ancora una volta all'attacco di un importante convoglio nemico in navigazione, affrontava impavido e sereno l'uragano di ferro e di fuoco delle navi e dei caccia di scorta. Riusciva a colpire, con decisa volontà, una grossa unità che affondava, ma la sua ala infranta, non tornava sul suolo della Patria. Purissimo eroe, espressione della forte gente italica e della sua tradizione guerriera.
Cielo del Mediterraneo, 18 novembre 1942 - 27 marzo 1943.
MOCCHEGGIANI Giorgio
nato il 23 aprile 1917 a Sedico (Belluno).
Deceduto nel cielo della Marmarica il 14 dicembre1940 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 24 ottobre 1941 (B.U. 1941 disp. 45 pag. 2078 e disp. 52 pag. 2551)
SOTTOTENENTE A.A.r.n.
Pilota in S P.E. del 33° Gruppo Autonomo 60a Squadriglia
Giovane ufficiale pilota di apparecchio da bombardamento, chiedeva di partecipare a numerosi voli di guerra diurni e notturni, dando chiara prova di perizia e di sprezzo del pericolo. Durante un'azione di bombardamento su divisioni corazzate inglesi, benché ferito e con il velivolo in fiamme, in seguito ad attacco della caccia nemica, con suprema energia e grande spirito di sacrificio, riusciva ad aprire la cabina pilotaggio e con disperata volontà si adoperava perché il primo pilota venisse salvato con il paracadute, conscio che col suo atto di superba generosità precludeva a sé stesso ogni possibilità di salvezza. Investito dalle fiamme faceva olocausto della sua fiorente giovinezza alla Patria.
Cielo della Marmarica, 18 ottobre - 14 dicembre 1940.
Ademaro NICOLETTI ALTIMARI
nato il 6 aprile 1903 a Livorno.
Deceduto a Rodi il 30 luglio 1940 per incidente di volo
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 11 luglio 1941 (B.U. 1941 disp. 33 pag. 1388)
MAGGIORE A.A.r.n.
Pil. in S.P.E. del 12° Stormo Comandante del 42° Gruppo, 206a Squadriglia
Trasvolatore atlantico, comandante di un gruppo di velivoli da bombardamento veloce, alla testa dei suoi gregari compiva con somma audacia e grande perizia un fulmineo attacco contro la flotta inglese navigante in mare aperto, riuscendo a colpire e ad affondare, nonostante la violenta reazione contraerea, una nave da guerra nemica. Primo in ogni rischio partiva di notte per compiere un bombardamento su lontana e munita base avversaria, ma, dopo il decollo a pieno carico, per improvvisa avaria dei 'motori, era costretto a discendere su terreno accidentato, riuscendo con grande perizia a posarvi l'apparecchio che s'incendiava. Benché subito avvolto dalle fiamme che gli mordevano di già le carni e cosciente del grave pericolo di imminente scoppio delle bombe, nell'intento unico di salvare l'equipaggio, lasciava per ultimo il velivolo e, dopo aver rivolto ancora una volta parole di fede e di sprone ai suoi dipendenti, che infatti riuscivano a salvarsi, con superbo stoicismo sopportava le atroci sofferenze del suo corpo bruciato chiudendo così eroicamente la sua gloriosa vita di volatore e di soldato.
Cielo del Mediterraneo Orientale, giugno-luglio 1940.
Sante PATUSSI
nato il 23 novembre 1915 a Tricesimo (Udine).
Deceduto nel cielo del Mediterraneo Orientale il 26 giugno 1941 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 5 marzo 1942 (B.U. 1942 disp. 14 pag. 642 e disp. 46 pag. 2498)
TENENTE R. ESERCITO FANTERIA
Osservatore di Complemento dell'8° Stormo 28° Gruppo, 19a Squadriglia
Ufficiale osservatore dall'aeroplano, capace, attivissimo, entusiasta, chiesta ed ottenuta l'assegnazione in zona d'operazioni, svolgeva attività intelligente e coraggiosa in numerose azioni in zona desertica.
Durante una missione di ricerca di camerati dispersi in mare, attaccato da cinque velivoli da caccia, con calma esemplare rispondeva a furiosi assalti nemici che già avevano danneggiato il velivolo e ferito il resto dell'equipaggio.
Vista l'arma abbandonata dall'armiere ferito ed accortosi di un nuovo attacco avversario proveniente dal basso, si precipitava per reagire in quella direzione.
Colpito una prima volta ad una gamba, continuava a sparare, finché una seconda raffica lo abbatteva sull'arma.
Avvenuto l'ammaraggio in mare aperto, benché con le carni straziate e lacerate e col corpo immerso in gran parte nell'acqua entrata nel velivolo, insisteva perché il pilota unico illeso, deponesse, sul battellino di salvataggio, prima gli altri feriti.
Durante diciassette ore di permanenza sul mare, senza alcun conforto di medicinali né di viveri né d'acqua, sorretto soltanto dalla sublime forza d'animo e dal senso del dovere, incitava :i compagni feriti alla sopportazione del dolore e alla speranza della salvezza, esaltando il camerata pilota e lo aiutava, pur morendo, nello orientamento del canotto verso la riva amica.
Conscio della fine imminente, dava l'ultima parola di sollievo ai camerati, ammirati per tanto stoicismo e rivolgeva un augurio alle sorti della Patria ed espressioni di saluto alla madre.
Chiudeva così nell'angusto spazio del battello, ancora in pieno mare la giovane esistenza, dando, fino all'ultimo anelito, insuperabile esempio di forza d'animo, senso del dovere, sublime cameratismo.
Cielo del Mediterraneo Orientale, 25 giugno 1941.
Carlo PFISTER
nato il 5 aprile 1916 a New York (U.S.A.).
Deceduto nel cielo del Mediterraneo il 12 febbraio 1943 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
D.L. 21 settembre 1945 (B.U. 1945 disp. 24 pag. 1088 e B.U. 1959 suppl. 7 pag. 106)
SOTTOTENENTE A.A.r.n.
Pilota in S.P.E. del 132° Gruppo Autonomo 278a Squadriglia
Intrepido pilota cinque volte decorato al Valor Militare, promosso per merito di guerra, impareggiabile combattente, sempre primo e sempre volontario per le missioni più ardue e rischiose, siluratore capace, entusiasta, calmo ed aggressivo, faceva rifulgere fra l'infuriare delle più violente reazioni nemiche e nelle più critiche condizioni di volo il suo grande valore, la sua eccezionale perizia e la sua incrollabile volontà di vittoria. In un volo di guerra, non vinto dal nemico ma dall'insidia del destino, incontrava morte gloriosa in servizio della Patria in armi.
Cielo del Mediterraneo, 12 settembre 1942 - 12 febbraio 1943.
Ugo POZZA
nato il 19 settembre 1907 ad Asolo (Treviso).
Deceduto nel cielo del Mediterraneo il 4 luglio 1940 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
D.L. 3 maggio 1945 (B.U. 1945 d?sp. 12 pag. 502 e B.U. 1959 suppl. 7 pag. 85) in commutazione della Medaglia d'Argento di cui al R.D. 9 agosto 1940 (B.U. 1940 disp. 32 pag. 1069)
CAPITANO A.A.r.n.
Pilota in S.P.E. del 34° Gruppo Autonomo Comandante della 67a Squadriglia
Figura superba di soldato prode e valoroso, combattente dell'aria sempre primo ed ardente là dove maggiore fosse il rischio e più aspra si combattesse la lotta; volontario di ogni impresa, già promosso per merito di guerra e più volte decorato al Valor Militare, conseguiva risultati brillantissimi in numerose rischiose e vittoriose azioni belliche. Durante un bombardamento diurno su munitissima e lontana base nemica d'oltremare, mentre ultimava il tiro ed il lancio dello bombe, veniva attaccato da numerosi apparecchi da caccia avversari. Balzato dalla cabina di puntamento lanciava il primo segnale di allarme e d'incitamento ai compagni di volo, impugnava deciso, calmo e sicuro di sé una mitragliatrice laterale, subito abbattendo in fiamme un caccia assalitore. Ma mentre con tutta l'aggressività del suo grande animo, sparava ancora su altri velivoli che dappresso lo incalzavano, delle raffiche nemiche abbattevano, al suo fianco, l'armiere e successivamente ferivano in modo grave il marconista ed il motorista. Egli rimasto ultimo e solo difensore del velivolo, continuando strenuamente a combattere, riusciva a respingere gli attacchi. Quando già l'aspra ed impari lotta, vittoriosamente sostenuta, volgeva al suo termine e il nemico cominciava a ritirarsi, l'ultima raffica lo colpiva al petto, ed egli cadeva da eroe sulla sua arma, ancora impugnata nell'attimo del trapasso, chiudendo così. gloriosamente la sua mirabile vita di purissimo, soldato dell'aria.
Cielo del Mediterraneo, 11 giugno - 4 luglio 1940.
Rolando RICCI
nato il 25 luglio 1913 a Rivarolo Ligure (Genova). Deceduto a Milano il 29 gennaio 1962
per malattia
MEDAGLIA D'ORO (a vivente)
D.C.P.S. 21 marzo 1947 (B.U. 1947 disp. 10 pag.619 e B.U. 1959 suppl. 7 pag. 209)
I° AVIERE A.A.r. spec.
Motorista in Rafferma del 32° Stormo 38° Gruppo, 228a Squadriglia
Abilissimo motorista di apparecchio da bombardamento, in un'azione contro una importante formazione navale scortata da portaerei, nel corso di reiterati violenti attacchi da parte di caccia nemici, azionando prontamente e con abilità una mitragliatrice di bordo, conteneva e collaborava all'abbattimento di un assalitore. Perduta la vista, per un proiettile che lo aveva colpito negli occhi, pur tra atroci sofferenze, continuava a prestare la sua opera ed a dare utili suggerimenti agli altri membri dell'equipaggio per assicurare il funzionamento dei motori e la condotta del velivolo che riusciva a rientrare alla base nonostante fosse menomato in parti vitali. Sottoposto alle prime cure esprimeva il suo orgoglio per il dovere compiuto e il suo auspicio per i migliori destini della Patria.
Cielo di 60 Km. NW. Capo Buogaroni, 25 luglio 1941.
Luigi ROVELLI
nato il 25 aprile 1915 a Rodi Garganico (Foggia).
Deceduto nel cielo del Mediterraneo Centrale il 28 dicembre 1941 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
RD. 24 luglio 1942 (B.U. 1942 disp. 32 pag. 1602 e disp. 42 pag. 2274
TENENTE A.A.r.n.
Pilota in S.P.E. della 281a Squadriglia Autonoma
Intrepido, valoroso capo equipaggio di velivolo aerosilurante, già precedentemente distintosi in (numerose e vittoriose azioni belliche, compiendo bombardamenti e ricognizioni offensive, attaccando convogli, silurando navi ed abbattendo un caccia che gli aveva gravemente colpito il velivolo, partecipava ad un ardito attacco contro un convoglio nemico fortemente scortato da navi da guerra e protetto da velivoli da caccia, incurante della violenta rabbiosa reazione aerea e contraerea, solo dominato dalla decisa volontà di colpire, si scagliava, anima e arma contro le unità navali avversarie. Giunto a minima distanza dall'obiettivo la sua ala veniva infranta dal fuoco nemico e con essa precipitava .in fiamme sul mare. Esempio magnifico di luminoso eroismo e di suprema dedizione alla Patria.
Cielo del Mediterraneo, 14 dicembre 1940 - 28 dicembre 1941.
Sergio SARTOF
nato il 4 novembre 1913 a Roma.
Deceduto nel cielo dell'A.S. il 9 dicembre 1940 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 24 ottobre 1941 (B.U. 1941 disp. 45 pag. 2065 B.U. 1942 disp. 8 pag. 363) in commutazione della Medaglia d'Argento di cui al R.D. 26 settembre 1941 (B.U. 1940 disp. 41 pag. 1445)
TENENTE A.A.r.n.
Pilota in S.P.E. del 14° Stormo 45° Gruppo, 22.a Squadriglia
Capo equipaggio di velivolo da bombardamento, partecipava a tutte le azioni di guerra compiute dal suo reparto, dando prova in ogni circostanza di eccezionale perizia, di altissimo senso del dovere, di supremo sprezzo del pericolo, e di grande entusiasmo, per cui rinunciava due volte alla licenza concesagli come premio della sua infaticata attività bellica. Durante un'azione condotta contro ingenti forze meccanizzate dirette all'attacco di nostre posizioni, veniva assalito da soverchiante caccia nemica. Eseguito il tiro nonostante il furioso combattimento già in corso, contribuiva validamente all'abbattimento di sei caccia nemici e di tre probabili. Pur avendo l'apparecchio crivellato dai colpi e già con l'incendio a bordo, persisteva nel mantenere il proprio posto a difesa della formazione, finché, per la esplosione del velivolo, scompariva nella battaglia, facendo olocausto della sua giovane vita alla Patria, già tanto mirabilmente servita.
Cielo dell'A.S.I., giugno 1940 - 9 dicembre 1940.
Valerio SCARABELLOTTO
nato il 26 agosto 1905 a Roma.
Deceduto nel cielo di La Valletta il 9 luglio 1940 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 25 agosto 1940 (B.U. 1940 disp. 35 pag. 1190 e B.U. 1942 disp. 8 pag. 366)
CAPITANO A.A.r.n.
Pilota in S.P.E. del 30° Stormo 87° Gruppo, 192a Squadriglia
Valoroso pilota d'Africa e di Spagna, ebbe già a dare di sé prove superbe di fede e di eroismo. Capo equipaggio di velivolo da bombardamento, pur ferito a morte da una raffica di mitragliatrice durante un'audace azione nel cielo del Mediterraneo, continuava a prodigarsi sino all'estremo delle sue forze impartendo ancora, nell'attimo del supremo olocausto, ordine al suo equipaggio perché la missione affidatagli venisse compiuta. Espressione sublime di dovere che la morte innalza al mito.
Cielo del Mediterraneo (Malta), 9 luglio 1940.
Lelio SILVA
nato il 23 gennaio 1915 a Venaria Reale (Torino).
Deceduto nel cielo del Mediterraneo Occidentale il 15 giugno 1942 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO
R.D. 23 novembre 1942 (B.U. 1942 disp. 50 pag.2720 e B.U. 1943 disp. 6 pag. 357)
TENENTE A.A.r.n.
Pilota in S.P.E. del 2° nucleo addestramento siluranti
Ufficiale pilota di eccezionale coraggio e perizia, già combattente per la conquista dell'impero, più volte decorato al Valor Militare, volontario nelle imprese più rischiose, sempre primo fra i primi, partecipava a numerose azioni di bombardamento su munitissime basi nemiche d'oltremare e imponenti formazioni navali. Capo equipaggio di velivolo aerosilurante, durante l'attacco in pieno giorno di una potente formazione navale nemica, scortata da portaerei, assalito da soverchianti forze da caccia, si lanciava con animo saldo e superba decisione contro una nave portaerei, che silurava da distanza ravvicinata. Dalla lotta asperrima cercata, voluta e fermamente sostenuta, abbattuto dalla difesa nemica, l'apparecchio non rientrava alla base. Alto esempio di una vita tutta dedicata al servizio della Patria e di assoluta dedizione al dovere spinto fino all'estremo limite del sacrificio.
Cielo del Mediterraneo Occidentale, 15 giugno 1942.
Vito SINISI
nato il 1° luglio 1907 a Ripacandita (Potenza).
Deceduto nel cielo del Mediterraneo Orientale il 24 giugno 1941 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 22 dicembre 1941 (B.U. 1942 disp. 2 pag. 49 e disp. 8 pag. 367)
MARESCIALLO 3° Cl. A.A.r. spec.
Armiere raffermato del 131° Gruppo Autonomo 279° Squadriglia
Maresciallo armiere di provata capacità e di ardimento, volontariamente partecipava ad una rischiosa azione di aerosiluramento contro unità navali nemiche. Durante la missione, svoltasi sotto l'infuriare di una violentissima reazione contraerea, manteneva contegno calmo e sereno. Attaccato dalla caccia, rispondeva con la propria arma all'offesa nemica, fino a quando una raffica lo abbatteva mortalmente ferito. Costretto il velivolo ad ammarare veniva accolto sul battellino di salvataggio. Con le carni straziate dal piombo nemico sopportava con stoica fermezza il tormento di una lunga permanenza in mare, senza un lamento, solo timoroso di essere di impaccio ai camerati col proprio corpo ormai inutile. Sentendosi prossimo alla fine rivolgeva ai compagni parole di saluto per la Patria e per la sua famiglia, pregando di essere, dopo morto, gettato in mare. Quindi spirava con la nobile serenità dei più puri eroi italici.
Cielo del Mediterraneo Orientale, 24 giugno 1941.
Antonio TREVIGNI
nato il 18 febbraio 1917 a Tripoli (Libia).
Deceduto a Sondalo (Sondrio) il 23 ottobre 1942 per malattia
MEDAGLIA D'ORO
R.D. 30 dicembre 1940 (B.U. 1941 suppl. 1 pag. 2)
1° AVIERE A.A.r. spec.
Armiere in Commutazione ferma del 15° Stormo 47° Gruppo, 53° Squadriglia
Armiere a bordo di un velivolo da bombardamento, assalito da numerosi caccia durante un'azione contro unità navali, colpito ad una spalla, con una gamba maciullata da una pallottola esplosiva e l'altra spezzata, incurante dell'atroce dolore per le gravissime ferite, avvinghiato in magnifico slancio alla sua arma, persisteva nel fuoco, abbattendo con precise raffiche due caccia avversari. Rifiutando poi il soccorso che gli volevano portare i compagni di volo, li invitava a non preoccuparsi di lui, ma solo del nemico. Si trascinava quindi al posto di pilotaggio per manifestare al comandante la sua gioia per l'esito del tiro. All'ospedale sopportava con romana fierezza e stoico coraggio l'amputazione della gamba, dicendosi soltanto fiero e lieto d'aver potuto compiere tutto il suo dovere verso la Patria.
Cielo del Mediterraneo, 17 agosto 1940.
Antonio VELLERE
nato il 5 giugno 1913 a Sarceto (Vicenza).
Deceduto nel Mediterraneo Centrale il 2 dicembre 1942 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
D.C.P.S. 21 maggio 1947 (B.U. 1947 disp. 15 pag. 1093 e B.U. 1959 suppl. 7 pag. 224)
TENENTE A.A.r.n.
Pilota di Compl. del 130° Gruppo Autonomo 280a Squadriglia
Superba figura di aerosiluratore, reduce invitto da numerosi cimenti contro poderose formazioni navali nemiche, partecipava ad azioni di siluramento particolarmente difficile durante un intenso ciclo operativo, scagliandosi più volte e sempre con lo stesso animo, contro le navi nemiche, attraverso la barriera di fuoco della difesa, dava superba prova delle sue eroiche doti di soldato.
Rientrato ferito da un'azione notturna, solo compreso delle necessità contingenti, e deciso a non tornare se non col serto della vittoria, chiedeva di prendere parte alle altre azioni del reparto.
Partito per una rischiosa azione di siluramento, di pieno giorno ed attaccato da soverchianti forze da caccia, pur vedendo precipitare tre velivoli della sua formazione, manteneva il suo posto, fermo nella decisione di raggiungere a tutti i costi l'obiettivo.
Colpito da una raffica di mitragliatrice fondeva nel rogo dell'ala la fiamma del suo ardimento, scomparendo quindi nel cielo della battaglia.
Cielo del Mediterraneo, 13 dicembre 1941 - 2 dicembre 1942.
Ignazio ZANINI
nato il 11 febbraio 1916 a Corbola (Rovigo).
Deceduto nel cielo del Mediterraneo Centrale il 12 ottobre 1940 in combattimento aereo
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 30 dicembre 1940 (B.U. 1941 suppl. 1 pag. 2)
1° AVIERE A.A.r. spec.
Armiere in Commutazione ferma del 36° Stormo 108° Gruppo, 257a Squadriglia
Armiere su velivolo da bombardamento in rischiosa azione contro unità navali nemiche, veniva ferito da una raffica di mitragliatrice che gli spezzava un braccio. Incurante della menomazione e del dolore, non preoccupandosi della critica situazione del volo per l'incalzare della reazione nemica compiva regolarmente il puntamento ed il tiro, quindi, brandendo col suo braccio valido la sua mitragliatrice, cooperava con inalterata fermezza alla difesa, finché cadeva sotto una nuova raffica. Fulgido esempio di stoicismo e di valore, egli sembrò ascendere già prima del trapasso, nella luce degli eroi, tanto grandi parvero all'ammirazione dei compagni di volo, la serenità, la dedizione, la fermezza con cui, servendo la Patria oltre il dovere, si avviò al supremo sacrificio.
Cielo del Mediterraneo Centrale, 12 ottobre 1940