Volare è passione e vocazione, che riempie di sè una vita.
Adolf Galland
Caccia / Assalto
Breda Ba..65, immagini, scheda e storia
Velivolo da assalto, monoplano ad ala bassa a sbalzo, monomotore, monoposto a struttura interamente metallica.
[ vedi descrizione completa ]Scheda tecnica
CARATTERISTICHE (fra parentesi quelle con motore Isotta Fraschini K14)
motore: FIAT A.80 (Isotta Fraschini K14)
potenza: cv. 1000 (880)
apertura alare: m 11,90
lunghezza: m 9,75 (9,40)
altezza: m 3,85 (2,98)
superficie alare: m 23,50
peso a vuoto: kg 2.511 (2.215)
peso a carico massimo: kg 3.611 (3.215)
velocità massima: km/h 424 a 4.640 m (389 a 4.900 m)
velocità minima: km/h 123,5 a m 0 (117 a 0 m)
tempo di salita: 7’8” a 3.000 m (8’9” a 3.000)
tangenza massima: m 7.450 (7.750)
autonomia: km 740 (8509) con 200 kg di bombe
decollo: m 335 (360)
atterraggio: m 465 (385)
armamento: 2 mitragliatrici da 12,7 mm alari, 3 mitragliatrici da 7,7 mm: 2 alari, 1 dorsale
progettisti: Antonio Parano e Giuseppe Panzeri
pilota collaudatore: Ambrogio Colombo
primo volo del prototipo: MM. 325 nel settembre 1935
località: Bresso (Milano)
Breda Ba.65 A.80
DESCRIZIONE TECNICA (Riferita ad esemplari con FIAT A.80)
Velivolo da assalto, monoplano ad ala bassa a sbalzo, monomotore, monoposto a struttura interamente metallica.
Fusoliera in tubi di acciaio al cromo-molibdeno, saldati, con rivestimento in duralluminio.
Ala con struttura in tubi di acciaio al cromo-molibdeno, con due longheroni collegati da tubi in acciaio disposti diagonalmente, rivestimento in duralluminio per la parte anteriore e la sezione centrale, il rimanente in tela; alettoni e ipersostentatori ad apertura ventrale, a struttura metallica, ricoperti in tela: aletta Handley-Page sul bordo di entrata.
Carrello retrattile per rotazione verso l'indietro a parziale scomparsa in apposita carenatura al pianetto centrale dell’ala, a comando idraulico e con comando meccanico manuale di emergenza.
Ruotino di coda orientabile, non retrattile, privo di carenatura sulle macchine operative. Piani di coda con struttura in acciaio e rivestimento in lamiera, irrigiditi con tiranti e montanti.
Posto di pilotaggio con cappottina vetrata scorrevole all'indietro.
Strumentazione, a destra: bussola, orologio, segnalatore carrello e deflettori, inalatori ossigeno, fanalino. Al centro: anemometro, lampadina riscaldamento anemometro, interruttore fari segnalazione, girodirezionale, sbandometro, girorizzonte, variometro, altimetro da 8.000 m. a sinistra: commutatore, lampadina, comando passo elica, termometro, commutatore, avvisatore incendio, pressione olio, pressione benzina, manometro, contagiri, tele termometro.
Serbatoi per il carburante nella fusoliera, semapizzati esternamente per una capacità volumetrica complessiva di 650 l, il principale dietro al pilota, il secondario dietro all'armiere. Serbatoio dell’olio posto sopra il serbatoio principale della benzina, capacità 75 l.
Motore con elica tripala metallica FIAT Hamilton a giri costanti e passo variabile in volo.
Quattro mitragliatrici alari sparanti al di fuori del disco dell'elica: all'interno le due 12,7 mm., (350 colpi) all'esterno le due 7,7 mm. (500 colpi).
Armiere radiotelegrafista alloggiato nel vano situato dietro al serbatoio della benzina, la parte superiore è occupata dalla torretta ad arcone Breda tipo L con mitragliatrice da 7,7 (350 colpi) rivolta verso la coda, articolata dall’impianto oleodinamico.
Vano bombe disposto nella parte centrale della fusoliera, tra il posto di pilotaggio ed il serbatoio della benzina, chiuso da portelloni. Vi possono essere collocate: 4 bombe da 100 o da 50 kg, 4 gelatiere per un totale di 168 spezzoni o un serbatoio di grande capacità. Il comando sgancio bombe può essere manovrato dal pilota o dal mitragliere.
PRODUZIONE
MM. 325 - prototipo
MM. 75081 – 75161 – n. 81 (febbraio – luglio 1937, Breda)
MM. 75163 – 75242 – n. 80 (gennaio – settembre, Breda)
MM. 75243 – 75281 – n. 39 (luglio 1938 – aprile 1939, Caproni Vizzola)
CREDITI
Giancarlo Garello Il Breda 65 e l’aviazione d’assalto Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri, Roma 1980
Autori Vari Dimensione caccia assalto vol. 1 Edizioni Bizzarri, Roma 1971
Pietro Tonizzo Breda Ba.65 Stem Mucchi, Modena
Guido Mattioli L'aviazione legionaria in Spagna L'aviazione, Roma 1940
Un'opportuna nota sulla sigla del velivolo
L'esatto nome dell'apparecchio dovrebbe essere Breda 65 essendo la sigla "Ba.", seppur comunemente, adottata non ufficiale. Il suo utilizzo è avvenuto esclusivamente per ragioni legate ai criteri di indicizzazione nei motori di ricerca.
Storia aereo
Storia pilota, aviatore
Il capitolo di cui forniamo integrale trascrizione è tratto dal corposo volume «L’aviazione legionaria in Spagna» di Guido Mattioli, pubblicista aeronautico dell’epoca. Pur con toni apertamente propagandistici il quadro operativo fornito circa l’attività bellica del Breda 65 risulta sufficientemente unitario e indicativo dell’intensa attività di uomini i piloti su quel tormentato fronte operativo.
Breda Ba.65 K14, Aviazione Legionaria, Spagna 1937
L'AVIAZIONE D'ASSALTO
L'aviazione d'assalto, inviata in Spagna con velivoli allo stato sperimentale, non potè, in un primo tempo, prendere parte attiva alle operazioni belliche.
Occorsero alcuni mesi prima che i «Ba. 65» potessero far sentire, nel quadro delle operazioni, tutta la potente offesa del loro armamento; nel frattempo vennero utilmente impiegati in crociere di sbarramento e protezione, in ricognizioni a vista e fotografiche cd in bombardamenti di obiettivi occasionali. Comunque, fino dall'inizio del loro impiego, dettero risultati soddisfacenti che divennero addirittura brillanti quando gli apparecchi furono impiegati in vere e proprie azioni di attacco al suolo.
Con opportuni ritocchi alle istallazioni di bordo, modificati, resi nel loro complesso più agili e quindi più rispondenti allo scopo per il quale dovevano essere impiegati, i «Ba. 65» da assalto si sono rivelati nel corso della guerra elementi di primo ordine, tali da costituire una continua minaccia per il nemico che, alle rapide incursioni dei piloti e dei velivoli assaltatori, difficilmente riusciva a sottrarsi perché, nella maggior parte dei casi, colto di sorpresa e quindi impossibilitato a cercare vie di scampo.
L'aviazione d'assalto venne principalmente impiegata in spezzonamenti e mitragliamenti a volo radente, diretti contro colonne di truppe, autocarri, carri armati e postazioni di batterie.
In speciali casi furono utilmente impiegati anche per il bombardamento in picchiata con bombe da 100 kg. poste sotto le ali; gli effetti di tali bombardamenti furono, per il nemico, sempre letali per la tempestività e la precisione del tiro che veniva eseguito da piloti particolarmente addestrati a tale impiego.
Per la natura del suo terreno, la Spagna offriva un teatro di operazioni notevolmente difficile: i voli si svolgevano, per la più parte, su zone montagnose ed aspre, di non facile identificazione sulle carte di rotta, ed una qualsiasi avaria sia al motore che al velivolo poneva il pilota nella più precaria condizione di poter salvare sia la macchina che la propria vita. Eppure il personale si è comportato in maniera superiore ad ogni attesa e tutti indistintamente, dai piloti agli specialisti, hanno dato il loro contributo affinché tutto procedesse nel modo migliore, riuscendo brillantemente nell'intento.
Comunque non sarà superfluo ricordare, oltre quelli già illustrati, alcuni episodi che serviranno a mettere in luce la perizia, il valore e lo spirito di sacrificio del personale che, se pure doveva servirsi di un mezzo notoriamente complesso e di difficile pilotaggio, ha saputo dare inconfondibili dimostrazioni di cosa possano il cuore e lo spirito, quando siano al servizio di una Causa giusta, come quella per la quale era volontariamente accorso a combattere sui cieli iberici.
Nell'agosto 1937 un apparecchio «Ba. 65» veniva inviato sul fronte di Gijon per fotografare una base aerea nemica, situata oltre 60 km. nell'interno del territorio rosso. Si conosceva l'esistenza di tale base, ma se ne ignorava l'esatta posizione topografica ed il velivolo assaltatore, trasformato in ricognizionista per l'occasione, ebbe l'incarico di stabilirla con esattezza per farne il teatro di future operazioni.
Il pilota a cui era stata affidata la missione, trovò il campo, lo fotografò, dopodiché prese la via del ritorno con la preziosa documentazione.
Ma da una quota notevolmente superiore ben nove « Rata » saettarono improvvisi e velocissimi sulla macchina legionaria e, dato il loro vantaggio numerico e di quota, la presero immediatamente sotto il fuoco incrociato delle loro mitragliatrici. L'enorme sproporzione delle forze in contrasto e la limitata maneggevolezza del «Breda» avrebbero potuto indurre il pilota a cercare scampo in una rapida fuga a volo radente, ma la sua audacia e il suo spirito si ribellarono a questa idea e senza un attimo di esitazione impegnò il combattimento con le soverchianti forze avversarie.
Più volte e più volte i caccia rossi riuscirono a scaricare raffiche delle loro armi sulle strutture metalliche del velivolo d'assalto. Le ali, la fusoliera, i timoni, vennero letteralmente crivellati, ma il pilota legionario non si perse d'animo ed alla superiorità numerica avversaria contrappose la propria eroica disperata volontà ed il suo grande cuore di combattente deciso a vendere cara la pelle.
Manovrando con serena freddezza e con rara abilità, contrattaccò con le proprie armi, si difese con tenacia, con ostinazione, ed il suo pesante velivolo raggiunse in certi aspetti gli estremi limiti di sostentamento: riuscì però a fugare una parte degli assalitori ed a far desistere gli altri dall'inseguirlo, date le ormai prossime linee nazionali, alle quali si era intelligentemente avvicinato durante il combattimento.
Al termine della pericolosa avventura il pilota osservò che stava sorvolando il terreno a pochi metri d'altezza. Nel serrato duello con i caccia nemici aveva perduta quasi completamente la quota iniziale.
Ecco un altro episodio che non si può non qualificare magnifico per la decisione del suo protagonista.
Mese di settembre 1937. L'aviazione d'assalto aveva allora la base al campo di Soria, trasferitavi dopo la permanenza sull'aeroporto di Tablada, ove i velivoli avevano subìto le modifiche che ne permisero poi l'impiego per l'attacco al suolo.
Era quello il periodo in cui più frequenti si verificavano le incursioni dei bombardieri rossi in territorio nazionale, per la notevole massa di buoni apparecchi moderni di cui disponeva allora l'aviazione marxista, il cui Comando si cullava nell'illusione di potere, forse, conquistare il dominio del cielo con la preponderanza quantitativa.
I «Ba, 65» venivano in quel tempo impiegati per il servizio di protezione, ma non si può proprio asserire che essi corrispondessero perfettamente allo scopo per la lentezza di avviamento e di riscaldamento dei motori, per cui varie volte i bombardieri nemici avevano potuto giungere improvvisamente sul campo ed effettuare i loro bombardamenti, prima che i velivoli in servizio di allarme avessero potuto efficacemente intervenire.
Per mettersi al riparo da ogni possibile sorpresa venne deciso allora un servizio continuo di vigilanza dall'alba al tramonto e tale servizio veniva esplicato da un apparecchio dacaccia «CR. 32» e da un «Ba. 65» che incrociavano ad altissima quota sul cielo del campo.
Un giorno si trovava in volo il sergente Dell'Acqua, pilota giovane ma di brillanti qualità, che stava compiendo il suo turno di servizio, quando, improvvisi e senza che che vi fosse stato il tempo di poter dare 1' allarme, tre «Martin Bomber» apparvero sul campo e dopo aver frettolosamente sganciato il loro munizionamento di caduta, presero la fuga affidandosi alla velocità.
Ma giunse immediata la reazione legionaria: impetuoso e velocissimo, l'apparecchio pilotato da Dell'Acqua sfrecciò nel cielo e ben presto fu sulla coda del più prossimo avversario.
Si udì il crepitio delle quattro mitragliatrici e quasi istantaneamente il velivolo rosso, crivellato da una gragnuola di colpi sparatigli quasi a bruciapelo, dopo aver rigato il cielo di una densa scia di fumo, precipitava per sempre. Con la sua ardita puntata Dell'Acqua aveva irrimediabilmente stroncato il volo dell'aquila marxista.
E riferiamo l'episodio memorabile di Umberto Coppini. Il giorno 30 marzo 1938, durante l'offensiva per la liberazione del territorio d'Aragona, un ordine di operazione disponeva la immediata partenza di sei velivoli d'assalto per la individuazione e l'attacco di alcune batterie controaeree che, insidiosamente appostate sulla sommità boscosa di una collina, in località Valdeltormo, tentavano sbarrare il passo alle formazioni nazionali da bombardamento che sostenevano l'avanzata delle truppe, tese nello sforzo di raggiungere ad ogni costo il mare, obiettivo immediato dell'Alto Comando Nazionale.
Effettivamente in quel luogo, le formazioni degli aerei nazionali avevano incontrato un intenso e preciso fuoco di sbarramento; molti velivoli erano stati colpiti senza che nessuno fosse riuscito ad individuare le postazioni nemiche, occultate dal terreno collinoso e coperto di boscaglie.
La formazione d'assalto partì alle 16 circa del pomeriggio: in tutti i piloti era la stessa decisione di riuscire a scovare il nemico e inchiodarlo per sempre su quelle alture dove, non visto, era riuscito fino a quel momento a contrastare la via alle ali liberatrici.
Della formazione anzidetta faceva parte un giovanissimo sergente, che della terra di Toscana possedeva lo spirito arguto ed il facile parlare. Si chiamava Umberto Coppini. In tutte le azioni alle quali aveva fino ad allora partecipato, aveva dato la chiara dimostrazione del suo coraggio e della sua audacia, di quella audacia propria dei giovani forti, per i quali è bella la vita, ma che non esitano a metterla in giuoco per un radioso ideale.
Quello doveva essere il suo ultimo volo. Le postazioni nemiche furono individuate e battute quindi col fuoco delle armi prodiere prima e con gli spezzoni poi: con i difensori rossi della collina di Valdeltormo la partita era stata definitivamente saldata.
Ma nell'irruenza dell'attacco il velivolo pilotato dal sergente Coppini veniva colpito da proiettile, incendiario e quasi istantaneamente le fiamme lo avvolgevano, trasformandolo in un rogo volante che la volontà eroica del pilota riusciva a mantenere in aria fino all'esaurimento delle munizioni, sotto gli occhi esterefatti dei compagni d'arme e di fede impotenti a prestargli aiuto.
Solo quando ebbe terminato il proprio compito, precipitò fra quegli stessi nemici che forse, in quel momento, assistevano ghignando alla sua agonia, e mentre la fiammata si spegneva sul suolo di Spagna ancora irredento, Umberto Coppini ascendeva all'Olimpo degli Eroi circondato dall'aureola del suo martirio.
«Pilota sicuro, combattente magnifico, — come dice la motivazione della medaglia d'oro - ispirato da puro idealismo, tendente al trionfo della Causa fascista si prodigava in ogni azione bellica con fierezza indomita e con non comune spirito di abnegazione. Chiesto ed ottenuto di fare parte di una speciale squadriglia di mitragliamento, in ben trentaquattro audaci azioni a volo radente, e benché più volte colpito dalla reazione nemica, si distingueva sempre per ammirevole serenità e sprezzo del pericolo. Il 4 giugno 1938 durante un'arditissima azione di mitraglia- mento a volo radente su formidabile posizione nemica, colpito in una parte vitale dell'apparecchio, era costretto ad affidarsi al paracadute. Sceso inerme fra le linee nemiche cadeva sotto il fuoco dell'avversario immolando la sua giovane esistenza di valoroso soldato».
Il 25 giugno 1938 una formazione di velivoli d'assalto decollava dal campo di Puig Moreno (Aragona) per compiere una azione sul fronte di Castellon de la Plana. Da circa 20 minuti aveva lasciato il campo di partenza, quando uno dei gregari, il sergente Sebastiani, abbandonava improvvisamente la formazione.
Un rapido controllo permise di accertare che un principio d'incendio si era sviluppato a bordo, mentre il motore girava al minimo, tanto da impedire sia il proseguimento del volo che il rientro alla base.
Data la natura del terreno, assolutamente inadatto per un atterraggio di fortuna, il Sebastiani avrebbe potuto senz'altro affidare la propria salvezza al paracadute, ma non fu così.
La volontà del pilota, tesa al salvataggio della macchina, rifiutò la salvezza sicura e cercò di conservare alla Patria il materiale di volo, tentando un atterraggio sul greto di un torrente asciutto incassato fra i monti, dopo avere accortamente lasciati cadere gli spezzoni su una zona di terreno completamente deserta.
Ma la mèta era lontana, le possibilità di planata del velivolo limitate anche per il carico che ancora restava a bordo, ed il suo nobile intento non ebbe fortuna.
Fu così costretto a prendere terra sulla sommità di una collina, e nel disastroso atterraggio riportò varie ferite che lo tennero lontano dalla attività bellica del reparto per tutto il periodo della sua ulteriore permanenza in Spagna. Pochi giorni avanti lo stesso sottufficiale era rientrato da una azione con oltre cinquanta squarci nella fusoliera dell'apparecchio, prodotti da proiettile antiaereo, ed anche in tale frangente aveva dimostrato le sue elette virtù di combattente, mantenendo contegno sereno ed esemplare.
25 luglio 1938. L'esercito marxista aveva improvvisamente invaso il territorio nazionale in Aragona: mercé la ingegnosa costruzione di piccoli ponti mobili, approfittando del favore della notte, molte migliaia di uomini erano riusciti a passare l'Ebro e dilagavano sulla riva opposta dopo avere sistematicamente travolto i piccoli presidi lasciati a guardia di quel settore del fronte. Il grosso delle forze legionarie e nazionali era impegnato in una lotta ai ferri corti nel Levante, ove l'esercito di Franco si apriva sanguinosamente la via verso Valencia, ancora sottoposta al dominio rosso.
Per alleggerire la pressione nazionale sul fronte del Levante, i rossi crearono il diversivo dell'Ebro, attaccando con forze ingenti e tentando di riconquistare quei territori già bagnati dal sangue generoso delle truppe liberatrici, nella loro vittoriosa avanzata verso il Mediterraneo.
La situazione si presentava oltremodo difficile: per togliere dal Levante i rinforzi da inviare sull'Ebro, occorreva del tempo ed intanto i rossi, imbaldanziti dal facile successo, avanzavano.
L'Aviazione Legionaria ebbe il compito di arrestarne la marcia: le formazioni da bombardamento si avvicendarono sull'obiettivo con un crescendo impressionante e per due giorni e due notti il martellamento delle linee nemiche fu incessante, vigoroso, implacabile. Ed anche la aviazione d'assalto ebbe il suo compito.
Due pattuglie di tre velivoli «Ba. 65» vennero inviate sulla zona invasa con l'incarico di battere i ponti che servivano al nemico per il passaggio del fiume, situati uno di fronte al villaggio di Ascò e l'altro di fronte al villaggio di Flix.
Quest'ultimo doveva essere attaccato a bassa quota da una pattuglia condotta dal tenente Piccolomini giovane e valoroso ufficiale già distintosi in numerose precedenti azioni.
Come giunse la formazione sull'obiettivo, incominciò il tiro rabbioso delle batterie controaeree, ma Piccolomini con una decisa e velocissima affondata, attaccò con la sua pattuglia il ponte, mitragliandolo e spezzonandolo a volo radente.
La sua audacia però ebbe la immediata risposta dei difensori: una granata esplodeva sotto la fusoliera del suo velivolo e mentre una scheggia lo feriva ad un braccio, un'altra andava a colpire il motore che, danneggiato, iniziò a funzionare irregolarmente.
E fu allora che la sua fede, la sua volontà ed il suo cuore di soldato fascista, seppero trionfare di ogni avversità. Con abile e brillante manovra, sfuggendo al fuoco nemico che, data la bassa quota, lo riteneva già sicura preda, riuscì a riportare la propria formazione in terreno amico, dopodiché. essendo impossibilitato a rientrare alla base, effettuava un atterraggio di fortuna su terreno accidentato producendo solo lievi danni all'apparecchio e salvando la propria esistenza ad altre brillanti e valorose azioni di guerra.
Ci siamo qui limitati a segnalare gli episodi di maggiore rilievo, ma altri se ne potrebbero citare perché innumeri furono le dimostrazioni di fede, di coraggio e di assoluta abnegazione date dai piloti d'assalto in terra di Spagna. Non fu una dimostrazione di sereno coraggio quella data da Fanali, a Teruel, allorché fu ripetutamente colpito dalle scheggie dei proietti dell'artiglieria rossa e proseguì imperterrito nell'azione fino al suo completo assolvimento?
In quella circostanza ben ottantasette scheggie crivellarono il suo «Ba. 65»!
Accanto all' opera dei piloti, però, è doveroso mettere in evidenza anche quella del personale specialista che silenziosamente lavorò nella diuturna preparazione delle macchine di guerra e visse coi piloti la vita di ogni giorno in una perfetta fusione di spiriti.
Numerosi furono, dunque, i piloti che si misero in luce per l'attività svolta, per la valentia dimostrata e per l'audacia con cui compirono le missioni loro assegnate. Ne ricordiamo, qui, qualcuno, non senza rammentare però che tutti cercarono di emularsi e di superarsi in audacia, in valentia, in coraggio. Da Cigersa a Fanali, da Miotto a Caponetti, da Testerini a Sartirana, da Piccolmnini a Sebastiani, a Boldrini, fino all'eroico Coppini, tutti gli assaltatori della squadriglia recarono un contributo di gloria non indifferenze all'Ala Legionaria. E non va dimenticato Colombo che fu quegli che per primo, a tutto suo rischio, portò in Spagna queste belle macchine, per la potenza dell'Ala Legionaria.
Se le macchine non corrisposero sempre allo scopo, gli uomini furono, in ogni momento, all'altezza della missione loro affidata e si prodigarono in ogni circostanza all'estremo limite delle loro energie, con assoluta dedizione alla Causa. I loro comandanti, da Barba a Lalatta, tutto fecero per stimolarne con l'esempio le meravigliose qualità.
Anche nei piloti dell'aviazione da assalto mai venne meno la fede nell'immancabile trionfo finale, mai, nemmeno nelle ore più tristi e, giusto premio, il sole della vittoria baciò la fronte dei combattenti fascisti che del motto mussoliniano «Credere, obbedire, combattere» avevano permeato lo spirito nella dura fatica di ogni giorno di lotta.
Guido Mattioli L'aviazione legionaria in Spagna L'aviazione, Roma 1940
Italians Airplane story and details
Operazioni Militari in Spagna
Umberto COPPINI
nato il 16 ottobre 1916 a Siena.
Deceduto a La Fresneda Valdetorno (Spagna) il 30 marzo 1938 in azione di guerra
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 2 settembre 1938 (B.13. 1938 suppl. 05 pag. 22)
SERGENTE A.A.r.n.
Pilota in Commutazione ferma
Pilota d'assalto di eccezionale valore, volontario in una missione di guerra per l'affermazione degli ideali fascisti, in numerosi voli dava prova di rare virtù militari. In un attacco al suolo contro munitissime posizioni nemiche, veniva colpito al velivolo da proiettile incendiario. Con sublime eroismo — nonostante avesse le fiamme a bordo — anziché tentare la salvezza personale, proseguiva nell'azione di spezzonamento e mitragliamento sino a che — divenuto rogo il velivolo — precipitava, offrendo in olocausto la giovane vita alla Patria.
Cielo di Aragona, 30 marzo 1938.
II guerra mondiale
Antonio DELL'ORO
nato il 28 dicembre 1908 a Lecco (Como).
Deceduto a Bir Kamsat 1'8 ottobre 1940 in combattimento aereo
MEDAGLIA D'ORO (alla memoria)
R.D. 10 ottobre 1941 (B.U. 1941 disp. 43 pag. 1907 e disp. 48 pag. 2298)
CAPITANO A.A.r.n.
Pilota in S.P.E. del 50° Stormo
12° Gruppo, Comandante della 159° Squadriglia
Comandante di reparto di aviazione d'assalto, in quattro mesi di dura campagna, conduceva con tenacia, valore ed insuperata perizia i propri gregari all'attacco di mezzi corazzati e di munite posizioni nemiche, infliggendo all'avversario forti perdite. In una missione particolarmente rischiosa, diretta contro formazioni corazzate, lanciatosi con impeto eroico da bassa quota, incurante della violenta reazione nemica, inquadrava ed avvolgeva il bersaglio con preciso tiro di bombe, spezzoni e raffiche di mitragliatrice, obbligando il nemico a cercare scampo nella fuga. Nell'impeto di un ultimo assalto, condotto alla minima distanza, precipitava, rogo fiammante, sull'obiettivo, immolando la giovane esistenza per la Patria, e rinnovando con il suo ardimentoso gesto le più pure e gloriose gesta dell'Arma del cielo.
Cielo della Marmarica e di Bir Kamsat, giugno - ottobre 1940.