Il raid Roma Tokio del 1920
Il germe del volo Roma-Tokio nasce nella mente del poeta Gabriele D’Annunzio attraverso la conoscenza, avvenuta nei tormentati anni della guerra mondiale, con lo scrittore giapponese Haru-Kichi-Shimoi, sincero ammiratore dell’Italia. L’impresa deve costituire auspicio di amicizia fra i due popoli e dimostrazione delle straordinarie possibilità del mezzo aereo, agli inizi del suo impetuoso sviluppo. Al termine del conflitto il progetto prende corpo con la definizione dei velivoli da impegnare e delle inedite esigenze logistiche connesse al lunghissimo e complesso volo. Viene dato corso al dislocamento nelle varie tappe, sovente in località remote carenti o addirittura prive di linee ferroviarie, telegrafo o addirittura strade degli essenziali accantonamenti di materiali. Risulta utile chiarire che tale non indifferente dispiego di mezzi trova la sua ragion d’essere non nell’interesse del Governo di dare lustro alla nazione con una grande impresa aviatoria, quanto nell’intento d’allontanare D’Annunzio dall’Italia nel timore (tutt’altro che privo di fondamento)della sua azione politica svolta negli agitati anni del dopoguerra che vedono il pendere delle questioni relative a Fiume. Infatti D’Annunzio, in una lettera del 3 gennaio 1920 inviata al colonnello Berliri, principale organizzatore dell’impresa, dichiara di dover rinunciare al raid. Nonostante il cadere della ragione, si potrebbe dire, occulta dell’evento dato il suo stato d’avanzamento si decide per la sua prosecuzione.
Savoia S.55 "Jahu", la traversata dimenticata
Ma è destino che il Savoia S.55 ”Alcione” debba compiere una nuova grande impresa: il pilota brasiliano Joao Ribeiro de Barros, infatti, discute il progetto di trasvolata a New York con il collega portoghese Coutinho e costituisce un equipaggio composto dal Capitano Newton Braga, dal sottotenente Arthur Cunha e dal meccanico Vasco Cinquini. Ribeiro si reca quindi presso gli stabilimenti della SIAI di Sesto Calende per ordinare un S.55 atto a compiere la trasvolata.