Frequenti erano le prove originali, come quella del paracadutino di coda che ho descritto più sopra, normali e quotidiane invece le prove di velocità massima e minima, di salita alla prova massima a pieno carico, di partenza e atterraggio nel più breve tratto di terreno. Queste ultime presentavano per noi un notevole interesse sportivo, perché potevamo compiere con gli aerei delle manovre che nei reparti operativi, per motivi di sicurezza, erano tassativamente vietate.
Durante questi voli per definire le caratteristiche dei velivoli prototipi avvenne un fatto poco edificante, che mi addolorò moltissimo.
Il collaudatore della Breda fece le sue prove e ottenne una velocità massima intorno ai 500 km/h con il Ba.88. ripetei per controllo le stesse prove e non andai oltre i 430 km/h. Sorpresa dei tecnici.
Ripetei le prove e non mi discostai dalle precedenti. Sorse allora il dubbio che il pilota della ditta avesse truccato il velivolo e fu richiesta la ripetizione delle sue prove, s’intende, con maggiori controlli. Questa volta la sua velocità massima scese a livello della mia e si scoprì anche l’artifizio da lui usato per ottenere quel falso risultato. Immediata contestazione. Il pilota disse chiaramente di essere stato spinto a tal punto dai tecnici della ditta, che avendo in costruzione avanzata una trentina di Ba.88, temevano la sospensione dell’ordinativo.
Il mattino successivo un telegramma dello Stato Maggiore vietava, da quel momento in poi, l’ingresso del collaudatore al Centro Sperimentale di Guidonia. Non ho fatto il suo nome di proposito perché era un giovane ingegnere, un uomo generoso, dall’intelletto vivace, brillante pilota che stimavo moltissimo, e che si era fatto coinvolgere ingenuamente in quella vicenda dai vecchi dirigenti della ditta. Smise l’attività di collaudo, ma poco dopo, all’inizio della guerra del 1940, partì volontario e cadde su Malta. Per questo lo ricordo con simpatia, affetto e rispetto.
Continuammo le prove su quel velivolo e giunti al termine, ci rendemmo conto che aveva deluso le aspettative del nostro Stato Maggiore. In uno di questi voli attraversai un momento pericoloso. Ero a pieno carico per una salita in quota, e giunto al limite dell’aeroporto, subito dopo il decollo, si levò in aria un volo di pavoncelle spaventate dal rumore dei miei motori. Io finii dentro il mucchio, una di queste colpì il mio parabrezza, ma qualcuna invece fu succhiata dall’aspirazione del motore sinistro, con la conseguenza che cominciò a zoppicare.
Da tener presente che quell’aereo non stava in aria con la trazione di un solo motore, e per questo mi trovai costretto a tentare subito il rientro al campo. Feci un virata di 180° mentre il motore sinistro un po’ tirava e un po’ no. Terminai la manovra con una scivolata involontaria per la scarsa velocità che avevo, ma con una pedata raddrizzai l’aereo e pigliai una direzione accettabile per l’atterraggio. Se il motore sinistro si fosse bloccato del tutto, non avrei potuto completare quella virata e sarei finito fuori campo. Tutto sommato, dunque, mi andò bene.
[…]
Ci dedicavamo a queste esperienze in particolare il maggiore Borgogno ed io, e ci scambiavamo pareri e consigli. Malauguratamente un giorno Borgogno, facendo un tonneau rapido con il Ba.88, finì in vite piatta, cercò di rimettere l’aereo in assetto normale con i motori e non riuscendo nell’intento si lanciò con il paracadute. Intravedeva già la salvezza mentre scendeva in caduta libera più rapidamente dell’aereo trattenuto dalla rotazione, ma quando il paracadute giunse a completa apertura frenò di colpo Borgogno, e l’aereo passandogli vicino con l’ala tranciò tutti i cavi dell’ombrello protettivo. Fu una grave perdita per l’Aeronautica, perché Borgogno era un uomo di gran carattere, notevole cultura, pilota espertissimo, che era stato valoroso combattente nella guerra di Spagna. Per me fu un maestro e un amico.
Paolo Moci, Seguendo la bandiera vita di un aviatore, Giorgio Apostolo Editore, Milano, 2001

Breda Ba.88, struttura dell’ala
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