Mario Visintini "gli eroi alati"

Mario Visintini “Gli Eroi Alati”

 

Con il presente profilo iniziamo la pubblicazione su alieuomini de “Gli Eroi Alati” collana di  brevi profili delle Medaglie d’Oro della Regia Aeronautica. Pur nell’enfasi propria alla propaganda dell’epoca queste biografie richiamano quella unione tra aerei e uomini che costituisce fulcro e filosofia del sito.  

 

 

Mario Visintini “Gli Eroi Alati” 

Capitano pilota MARIO VISINTINI
Nato a Parenzo il 24 aprile 1913 – Caduto in azione di guerra
nelle terre dell’Impero l’11 febbraio 1941

 

VISINTINI, anzi Visintin, era veneto e precisamente di Parenzo, la cittadina marinara che dagli scogli occiden­tali dell'Istria sembra guardare estatica a Venezia ed all'Italia. E verso l'Italia guardarono a lungo gli occhi dei suoi genitori e dei suoi compaesani, quando Mario era an­cora piccolo ed i suoi occhi guardavano invece senza che il cuore ed il cervello fossero ancora in grado di integrare coi sentimenti il fenomeno fisico del vedere.

Ma vivendo in mezzo a gente che sa guardare anche col cuore, si impara presto a fare altrettanto. Il piccolo Mario era cresciuto appunto in mezzo a gente di quella specie, in mezzo a gente che aveva nelle vene lo stesso sangue di Nazzario Sauro. In quei tempi a Parenzo cor­revano spesso di casa in casa notizie come quella dei forzamento del Canale di Fasana, degli attacchi allo Sco­glio Olivi e delle varie imprese dei nostri marinai. I ragazzi ascoltavano e commentavano in disparte le noti­zie che riuscivano a captare, e le rivedevano a modo loro, abbellendole coi miracoli creati dalla fantasia infantile. Sembrava non potessero capire e forse non capivano, ma a modo loro sentivano di vivere in un'atmosfera d'av­ventura, di eroismi e di presagi.

Parenzo fu sferzata dalle onde delle navi fugate dai nostri a Cortellazzo, conobbe l'eco gloriosa di Premuda e vide e udì i velivoli che ripetutamente, nelle chiare notti dell'agosto 1917, violarono il munito cielo di Pola. Questi echi, queste visioni, quella stessa atmosfera, non pote­vano non incidere sulla formazione del carattere di Ma­rio Visintin. Noi riteniamo che per interpretarlo e per tentare di capirlo, non ci si possa astrarre da questa sua infanzia movimentata, che già lo metteva a contatto del­la lotta, lui, marmocchietto di pochi anni. E in questo tentativo di interpretazione non vogliamo essere aridamente analitici, ma cerchiamo soltanto di portarci più vi­cini a lui, a quel ragazzo che, vent'anni dopo d'aver visto intere formazioni di velivoli sorvolare il mare aperto e portare la loro offesa sulla più munita base nemica, do­veva entrare a far parte di quell'arma che non conosceva distanze, spazi, ostacoli.

Naturalmente la passione lo portò dritto dritto alla caccia. Voleva sentirsi uno con la macchina e studiarla e imparare a conoscerla a fondo, per obbligarla ai suoi disegni ed alla sua volontà. Voleva anche essere in con­dizioni di scorazzare a briglia sciolta, evitando di esser messo dentro al primo accenno di una virata stretta, co­me, secondo lui, avveniva per i bombardieri.
Era insomma cacciatore nell'anima; di quelli che sui campi son sim­patici a tutti e vengono chiamati, in quanto veneti, con l'aggiunta del pleonasmo veneto « Ciò Visintin »; ma era anche un ragazzo metodico o, come altri lo ha défini­to, « scientifico ». Non pignolo, o sgobbone, o pedante; ma preciso. Era un gran bel « manico », ma sapeva che il « manico » non bastava e si applicava per integrare le sue qualità, affinandosi e completandosi. Studiava l'ap­parecchio e studiava sé stesso, evitando di mostrare che lo faceva. Ma i superiori che avevano l'occhio clinico s'erano accorti di aver a che fare con un tipo di quelli di razza, uno di quelli che se imbroccava il primo combat­timento, avrebbe fatto scuola.

Anche qui vi saranno state opinioni differenti. Alla « scienza », specie nei Reparti da caccia, c'è chi ci crede molto, chi poco e chi non ci crede affatto; né si può dire da che parte stia la ragione. In ogni caso Visintin ci cre­deva, ed anche dopo i primi insuccessi, pur rimanendo alquanto immusonito, non cambiò sistema. Sinché un giorno, in Africa Orientale dove s'era trovato allo scop­pio delle ostilità, buttò giù due velivoli avversari su tre che avevano attaccato il campo, sparando poche raffiche precise e senza grandi evoluzioni e picchiatone e richia­mate. Anzi, fece tutto effettuando un volo pressoché ret­tilineo, quasi in pattuglia, piazzato pacificamente in un angolo morto per la difesa avversaria e sparando soltan­to quando aveva il settore dei serbatoi ben centrato nell’iride del mirino.

 

Mario Visintini “Gli Eroi Alati” 

 ... aveva quel suo modo speciale di attaccare che si sarebbe detto freddo,

 

Così quel giorno e così di seguito in 50 combattimenti aerei, durante i quali riuscì ad abbattere ben sedici velivoli nemici. L'abitudine attuale alle cifre grosse non deve falsare l'importanza di questa cifra, se si tiene conto del fronte sul quale Visintin operava. Un fronte sul quale si poteva a volte volare sino al completo esaurimento del carburante e venir giù senza aver avvistato non dico un velivolo, ma neppure una nube che potesse profilarsi tenue all'orizzonte e far sussultare di speranza. E malgrado questo, Visintin aveva al suo attivo sedici velivoli abbattuti in combattimenti aerei e non so quanti incendiati al suolo durante attacchi a volo radente su campi nemici.
I fastigi della notorietà non lo esaltarono. In un certo senso non lo esaltava neppure il combattimento. Aveva quel suo modo speciale di attaccare che si sarebbe detto freddo, mentre era soltanto metodico. Ma se gli mancava l'esaltazione, non gli mancava per certo l'entusiasmo. Ché si trattasse di provare un apparecchio rimesso in sesto alla meglio, o di partire su allarme o di guidare altri ve­livoli su una base nemica, o di scortare in azione i bom­bardieri, Visintin era sempre il primo. Le vittorie si uni­rono alle vittorie, le soddisfazioni alle soddisfazioni, la gloria alla gloria. Gli arrivò anche la promozione a capi­tano per merito di guerra e gli fu definitivamente assegna­ta una Squadriglia.

Il comando di una Squadriglia è di gran lunga il più bello tra quelli che si possono avere in aviazione. C'è del­la gente da formare, degli elementi da correggere, da se­guire, da incitare, da sorvegliare, da consigliare. C'è la possibilità di creare nel vero senso della parola un orga­nismo saldo, pronto, affiatato e omogeneo, che agisca se­condo criteri ben elaborati e precisi, sulla scorta degli insegnamenti e delle esperienze. Una vera famiglia che ha nei piloti anziani e in quelli giovani e negli specialisti i nonni, i padri, i fratelli, i figli e i cugini. Una Squadriglia era il più bel premio che si potesse dare a Visintin. Egli aveva il senso di responsabilità di un vecchio soldato e la esperienza di un anziano. Fu per questo che quando due giovani piloti, presi improvvisamente tra le infide nebbie dell'altopiano, furono costretti ad atterrare in un campo di fortuna fortemente esposto all'offesa nemica, Vi­sintin volle recarsi subito in volo sul posto per ricondurli a casa. E fu nello svolgimento di questa azione che l'av­versità delle condizioni atmosferiche e quella del destino infransero l'ala che il nemico non aveva potuto piegare.

Sui nebbiosi costoni che circondavano il campo, il « Fal­co » del capitano Visintin finì per sempre il suo volo, in una azione che compendiava nel più alto senso del do­vere i più puri sentimenti di altruismo e di ardimento.

La motivazione che accompagna la concessione del­la medaglia d'oro al valor militare alla sua memoria, è una delle più belle tra quante ne sono state vergate in tutte le guerre :

 

Superbo figlio d'Italia, eroico, instancabile, indomito, su tutti ì cieli dell'Impero stroncava la tracotanza dell'azione nemica in 50 com­battimenti vittoriosi, durante i quali abbatteva 16 avversari e Partecipa­va alla distruzione di 32 aerei, nell'attacco contro munitissime basi; nemiche. In cielo ed in terra era lo sgomento dell'avversario, il simbolo della vittoria dell'Italia eroica protesa alla conquista del suo posto nel mondo.

 

La salma dell'Eroe Visintin, composta dai valorosi camerati dell'Impero in una terra consacrata dal sacri­ficio, attende laggiù il nostro ritorno. Ed è anche per que­sto che torneremo.

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